ANNO 347 d.C. (provvisorio)
Per gli irriducibili del bel sesso c'erano invece .........i locali, curati da un vero e proprio ente di stato, con una funzione ben precisa, legalizzata: a "operare per provvedere ai giusti sfoghi della gioventu'"(*). Le giovani donne non "erano" in quei "servizi" per prostituirsi ma dovevano "essere" prostituite, e non ricevevano nessun compenso, era "merce" di Stato e che lo Stato utilizzava per il benessere della societ�, e che loro, con quel semplice e naturale intrattenimento, lo Stato "dovevano servire".
(*) (La stessa frase comparve e rimase sulla bocca dei democratici uomini di governo, quando nell'Italia dell'Unit�, s'istituirono e si mantennero fino al 1958 le "case di tolleranza". (Chiudendo entrambi gli occhi anche il cattolicesimo, visto che la frequentazione delle "case" non rientrava fra i peccati da confessare).
A Roma nei confronti della cultura sessuale ellenica, invece era cambiato qualcosa, adottarono le "case chiuse" i " postribulum " che non erano affatto chiuse, ma "stavano" le donne davanti alla porta (come quelle in "vetrina" oggi ad Amburgo). L'etimo � "stare fermo sulla porta" (pos e stitum) dove sostavano le "meretricem", "gente che guadagna" da "merere" = guadagnare.
Ma i romani avevano inventato una scappatoia per salvare la morale e nello stesso tempo tassarla: per le donne che vi lavoravano istituirono un registro, quello degli "edili". Vi erano iscritti tutti gli addetti ai servizi pubblici e privati, soggetti impiegati non solo nelle costruzioni ma anche nei vari servizi come acquedotti, terme, giochi, annona, le guardie municipali ecc... e nelle "case del buon piacere", appunto le "addette".
Non era per nulla un disonore fin quando le gestiva lo Stato (dopo ne parleremo) tanto che ad un certo momento su questi registri si erano iscritte molte matrone di Roma. Nella leggenda tramandataci poi dai moralisti (quindi costruita ad arte per infangare Roma, la corrotta) si deduce da quelle liste (vista il gran numero) che tutte le donne di Roma erano prostitute. Ma non era per nulla cos�, per un semplice motivo, che proprio perch� non disonorevole per il "comune pudore" molte signore di Roma s'iscrivevano in gran segreto per non essere incolpate se andavano con un amico, d'adulterio, che era un reato che colpiva solo la donna. I mariti, infatti, non erano puniti anzi potevano perfino portare in casa altre donne se non gli bastavano le concubine, che gi� convivevano con la moglie. (Una morale questa che resister� fino al 1968 - Poi scrive Montanelli che il '68 non cambi� nulla! Basterebbe solo questo per incidere nel bronzo questa data.)
Per una disposizione legale, poich� non potevano le prostitute contrarre matrimonio ufficiale, l'"aduleterii crimen" veniva a cessare e l'accertata iscrizione nel registro degli edili consentiva ad ogni donna che ne aveva fatto richiesta di eludere l'incriminazione per adulterio al momento della flagranza di reato. Erano messe alla porta dal marito ma evitavano cos� il carcere. Una scappatoia legale insomma. E pensare che il registro era nato inizialmente per tutelare la sicurezza e il buon nome delle maritate.
Ma stiamo parlando ancora della Roma augustea, poi cominci� la grande ricchezza, il benessere diffuso, ed in parallelo ecco sorgere le case di piacere private che non erano per nulla abusive, e le donne disponili mille volte pi� belle delle meretrici. Si potevano trovare spesso i bocconcini pi� prelibati: come le donne maritate a uomini facoltosi che pensavano solo a far soldi e trascuravano le giovani e insoddisfatte mogli; o vi si trovavano le figlie i cui padri bacchettoni negavano i denari e quindi diventavano "squillo" di lusso per guadagnarseli facilmente e comprarsi un vestito di seta o l'ultimo profumo orientale arrivato a Roma dall'Oriente.
Crebbero talmente a dismisura queste case che intervennero ma senza ottenere risultati i legislatori, in un modo ipocritamente moralistico, perch� si stava diffondendo una situazione che colpiva - gabbandoli - l'orgoglio dei mariti cornuti. Infatti, la vergogna non era che ci fossero troppe "case" dentro la societ�, n� per farsi paladini delle donne sfruttate, ma la vergogna era di venire a sapere con una lettera anonima che la sua moglie si sollazzava nel tal posto; "ma che diamine non gli bastava i liberti e gli schiavi che possedeva in casa?"
Chi � stato a Pompei e ha visitato accuratamente anche i musei dove si conservano le iscrizioni degli edifici, sapr� che le "case" che esercitavano questo tipo di prostituzione privata erano moltissime (sembra oltre 600) e tutto alla luce del sole. Alcune insegne erano esplicite sulla porta, e riportavano (sono ancora visibili) in modo chiaro le prestazioni che davano chi le abitava: I prezzi che si praticavano ci fanno pensare che erano quelle sessuali di tante, tantissime donne d'ogni ceto sociale, delle prestazioni molto in ribasso. Significa che l'offerta era abbondante.
Un boccale di circa un litro di vino costava da 1 a 2 assi (la moneta di allora). Una prestazione sessuale costava da 1 a 5 assi. Sulla porta, un'insegna indicava "Eutichide di garbate maniere � tua per 1 asso", pi� avanti "Felicia vuole 1 asso per farti una fellatio"; la famosa Euplia che doveva essere superesperta e come donna una venere, ne voleva invece 5. Poi c'erano le prestazioni anche per le donne " Glicone cunnum lingit, assi 2 , Virgines ammittit", costui iniziava insomma le vergini giovinette a provare i primi piaceri e nel frattempo a dare gli ultimi a qualche donna ormai con il suo fiore scarlatto un po' stagionato.
Di queste iscrizioni a Pompei ce ne sono quasi 600, di quelle gi� scoperte; ma sappiamo che la citt� aveva allora circa 60/70.000 abitanti, e non � stata ancora tutta dissepolta, potrebbero essere quindi molto di pi� le case e le donne che allietavano i pompeiani. La pratica era cos� diffusa che possiamo arguire che forse mancava l'amore sensuale. Forse mancava anche l'Eros, il piacere, visto che lo stesso era cos� a buon mercato, cos� deflazionato, cos� distribuito, da non essere nemmeno pi� desiderato e consumato.
Di morale non ne parliamo. Del resto la morale � il frutto delle leggi, e la morale va in parallelo con i comportamenti dei governanti. Gli imperatori di esempi comportamentali poco ortodossi ne offrivono molti!! Per secoli le ballerine, erano considerate pari alle prostitute, senza diritti civili, una feccia. Poi Giustiniano se ne innamor� di una, di Teodora, e la morale cambi�; subito.
Torniamo alla figliolanza, a quello scarso interesse per un figlio, a quel cinico atteggiamento che i romani in questi anni nutrono nei loro riguardi. Chi non ne ha, ne adotta uno, e mica facendo le pratiche d'adozione, ma raccogliendolo per strada, lo abbiamo detto, e se proprio uno era gi� grandicello si regalava ad un amico che ne aveva bisogno per lavorare i campi, per fargli da servo, o per dargli piacere se era bello e giovane e di tenere carni, e perch� no, anche succedergli come imperatore, se aveva la fortuna di capitare dentro il Palazzo.
Quante "adozioni" abbiamo avuto in questi 600 anni fra imperatori e vice-imperatori! Si prendeva, toller, un bel maschietto di un amico aristocratico o anche il figlio di un bifolco (quello che conosceremo come imperatore fra un anno: Magnenzio, era appunto figlio di uno schiavo) lo si adottava dichiarandolo pubblicamente e lo si allevava per i propri scopi pi� o meno ortodossi.
Anche l'imperatore Vespasiano, passeggiando in una strada fece tollere una bella bambina femmina esposta, che adott� e allev� con cura e dato che venne su proprio bella e gentile e di buone maniere non se ne separ� pi�, a 15 anni divent� sua moglie.
Per i maschi, l'osservanza delle dinastie o naturale o adottata, era sacra, mentre nei confronti della donna, una valeva l'altra, perch� in fin dei conti fino al tardo 1800 la "femmina" era considerata un ricettacolo del seme del maschio e nulla pi�. (non sapevano, ma tanti non lo sanno nemmeno oggi che � semmai il DNA del mitocondrio femmina che d� la certezza dell'ereditariet� e non il DNA del maschio, che vi partecipa solo con alcuni geni).
Abbiamo un documento dove un povero diavolo dopo aver avuto 4 figli, n'ebbe altri 3, trattenne questi ultimi e gli altri quattro gi� grandicelli uno per volta, li regal� all'amico che non ne aveva nessuno e li desiderava tanto per avere delle braccia per i suoi orti.
Questi atteggiamenti andavano bene quando la coscienza umana era ancora legata ad una "morale" "naturale"; andavano bene quando erano ancora presenti i vecchi "valori" etici dell'uomo. Quell'etica aristotelica che intende come dottrina i principi di una vita morale nel suo aspetto normativo individuale o sociale. Una morale fatta da un popolo nel suo cammino storico ma poi cambiata dai governanti che la modificano alcuni osservando i propri tempi, altri solo valutando ci� che era bene e ci� che era male col proprio metro. I governanti non si fecero certamente scrupolo a cambiarla la morale nel corso dei secoli. Ognuno impose la sua, anche senza tanto osservare i tempi e i suoi simili.
Ora a Roma c'era l'etica teologica che si distingueva e si presentava come un aspetto particolare dell'Etica complessiva, fondata su base religiosa e orientata secondo la visuale del cristianesimo.
San Tommaso riconfermando il principio aristotelico che "Dio � l'ultimo fine dell'uomo", pose come condizione per il raggiungimento di questo fine, non solo le virt� morali e intellettuali di cui parlava Aristotele e Platone stesso (saggezza, fortezza, giudizio e giustizia) ma anche la fede, la speranza, la carit�; aggiungeva in pratica altre tre virt� teologali perch� direttamente infuse da Dio. Ma non dimentichiamo che anche questa era una interpretazione dell'etica concepita da un uomo. Era "divina", ma erano pur sempre degli uomini ad applicarla.
Dopo 2000 anni arriviamo all'ultimo dei filosofi, che afferma che questi valori non sono tuttavia alla portata di tutti, ma solo del "superuomo" (inteso come "oltreuomo", uomo "Superiore"); ma anche lui, Nietzsche, difendendo cos� un'etica "aristocratica" (il super - la categoria delle "�lite") costruisce su una base non meno metafisica dell'etica teologica e di conseguenza non la fa proprio rimpiangere.
Questa nobile interpretazione della morale era in questo momento a Roma ancora molta annacquata. Non lo si deduce solo dal comportamento di una societ� disattenta ai valori, ma arriva da molti segnali da quei rappresentanti che con le loro opere dovevano "eticizzare" la societ�, e che quindi appare subito chiaro che la loro morale, quella che mettevano negli scritti, � una morale di comodo, spesso servile, e non certo quella teologica cristiana che lentamente si sta ora imponendo a Roma in questi anni.
Perfino i giochi "barbari", i sanguinolenti scontri tra gladiatori resisteranno fino al 380; molti romani anche quelli convertiti al cristianesimo non ne potevano fare a meno di questo "sollazzo". Nemmeno lontanamente pensavano che fosse un insulto a Dio far "giocare" la vita ad un uomo in questo modo indegno; ma si seguiva anche qui la catarsi aristotelica, e strumentalmente la si teorizzava. Il cristianesimo proprio a Roma fece fatica ad estirpare queste "purificazioni" desiderate e offerte alla plebe per l'azione rassenerante, e non solo alla plebe.
Poi le Virt�! Gli esempi di alcune "virt� romane" predicate ma mai messe in pratica, ci arrivano proprio da uno dei cantori delle virt� "romane", da un fustigatore di costumi per eccellenza (i suoi scritti bench� gi� morto da un pezzo, erano a Roma ancora vangelo) che giudicava (cos� i suoi colleghi intellettuali) cos'era il male cos'era il bene. Chiunque di noi oggi rabbrividisce nel sentire dire - dall'autore de "La Felicit� ", Seneca, a proposito di bambini non belli, nati non sani, figli della colpa che "era necessario eliminarli", e quelli dei signori pure perch� "non certo possono smembrare l'eredit� dei beni in 8 figli".
Erano semmai pi� morali (e teologici - c'era inconsapevolmente gi� una connessione fra Dio e l'uomo umile) i principi etici dei ceti poveri. Costoro il bambino che non potevano permettersi di allevare, lo esponevano, lo mettevano fuori dell'uscio, ma facevano bene attenzione a non fargli prendere freddo, e ogni tanto andavano, a dargli la poppata; e la sera, appena faceva umido se lo riportavano a casa e lo accudivano. Se qualcuno poi se lo portava via non finivano pi� a raccomandarsi di trattarlo bene.I ricchi invece se ne disfacevano in un modo molto sbrigativo e cinico. Incaricavano lo schiavetto di casa di portarlo nel mucchio rifiuti o buttarlo nel Tevere. Tutto questo avveniva non nella Roma Arcaica ma nella Roma dell'anno 347, una Roma ancora ricca, ma che gli mancava le altre tre virt�, e la spiritualit� teologica, che tratta dei doveri dell'uomo verso Dio, il prossimo e se stessi. Ma il romano non lo sapeva, saranno gli eventi traumatici a cambiarlo.
((( Divaghiamo un p�. - Pi� sale il benessere e pi� si allontanano questi valori etici superiori, e questo non accadeva solo nella Roma di questi tempi. In tutte le societ� del benessere, nelle societ� opulente, (o si vive o ci s'identifica) la connessione fra Dio e l'uomo non � garantita ma � violentata, e assistiamo sempre di pi� ad un vero e proprio distacco non solo dalla teologia cristiana evangelica, ma anche dalla "teologia" razionale naturale arcaica, quella che sempre pi� interiorizzata nacque e "illumin�" dentro una caverna la prima comunit� di uomini; quindi gi� una dottrina morale nel suo aspetto normativo individuale e sociale. E' la "religione naturalistica".
Non per nulla, etica significa anche comunit�. Poi divent� la scienza della morale e i suoi "scienziati" stravolgendola, iniziarono ad appiccicarci "la loro" morale, con le leggi, gli ordinamenti, le istituzioni, gli insegnamenti (naturalmente quelli a loro graditi), le regole di comportamento, scardinando l'ordine naturale delle cose e della societ� umana, un ordine antico dove ci sono i segni di una manifestazione biologica universale alle quali si deve guardare con spontanea commozione naturalistica e con una prospettiva antropocentrica. L'etica non � monopolio di una religione, � un vanto dell'Uomo.
Pi� sale la cultura e aumenta il benessere, il successo, la fama, e pi� l'uomo crede di poter giudicare e indicare ad altri, cosa � bene e cosa � male, se dare o non dare la vita, e ha sempre l'improntitudine di peccare di vanagloria, si sente onnipotente, e pontifica, legifera, punisce e condanna.
Le comunit� civili spesso si scandalizzano. I provvedimenti razziali di Hitler scandalizzarono il mondo civile, ma quando gli stessi provvedimenti li presero nel 1960 in Sud Africa proprio quelli che avevano combattuto Hitler, il mondo civile si volt� dall'altra parte.
Quello che fa orrore e che la societ� civile permette con i mezzi d'informazione che un imbecille qualsiasi monti su un piedistallo a pontificare o ad erigersi a modello. L'Aparthaid entr� nella legislazione di uno Stato detto "civile".Del resto in questo nostro 2000, basta che un individuo abbia successo cantando una canzone � gi� il giorno dopo interviene a dire dai teleschermi cosa sia bene e cosa sia male, su tutto. Ha fatto qualche gorgheggio e gi� si sente Dio. Predica la sua morale. C'indica "la via". C'indica la sua esistenza come esempio di vita, e pretende di darci le "illuminazioni" su ogni cosa, tronfio della sua saccenteria.
Accade molto spesso che questa persona fino a ieri sconosciuta per circostanze varie, anche per le pi� banali, balza alla notoriet�, ebbene in queste circostanze, anche nelle pi� stupide, si trasforma in "condottiero", e scatta nel pubblico che ascolta un processo d'identificazione che li fa sentire come lui, quindi liberi di comportarsi come lui. Il suo carisma anche da quattro soldi, fa rimuovere colpe non d'origine filosofica o teologica ma anche quelle che affondano nella coscienza collettiva da quando nacque un barlume di coscienza e l'identificazione con il prossimo. Codici morali di quella religione naturalistica che possiede anche chi � ateo.
Prima s'inorridisce per la pedofilia, poi subito dopo, un gran regista adotta una bambina, la fa crescere e poi se la porta a letto. La moglie lo butta fuori sdegnata, e lui a sessantatr� anni se la sposa, e tutte le televisioni del mondo fanno a gara per portarci dentro le nostre case l'epilogo, e celebrano il fatto come un "poetico romanzo d'amore". Bravi i media!! E si giustificano nel dire che fanno informazione.
(Forse Tizio lo disprezza perch� - direbbe Caio - lo vorrebbe fare anche lui; l'invidia e lo odia solo perch� non pu� permetterselo non essendo un uomo di successo (solo a un potente e a un uomo di successo questo � concesso, persino adulato con piaggeria). Forse � vero, ma gi� il fatto che Tizio provi questo sentimento di odio, significa che gli � gi� stata violentata la sua morale goccia a goccia. Forse fino ieri non ci avrebbe mai pensato, ora ci pensa, il che significa che si sta mettendo in discussione, "ma allora chi sbaglia?" sembra chiedersi. Tizio lo si deride persino se fa commenti scandalizzati, e si sente dire da Caio "chiamalo stupido, poco prima di sessanta anni si � messa a circuire una bella bambina di teneri carni e ora ce l'ha bella e pronta per il letto!!")
Questa "morale a go-go" accadde anche quando fu introdotto l'aborto in Italia. Molte cattoliche dissero io mai! Poi vedendo le altre, si misero in discussione. "Se la morale � cambiata perch� non devo cambiare pure io?" Ora ogni 3 nascite c'� 1 aborto.
Torniamo a Roma....
Uno dei padri di questa morale a Roma era pure lui un media, Seneca la teorizzava con le sue teorie nei libri, che a Roma tutti possedevano. Infatti, in uno dei pi� letti, scrisse quel passo gi� accennato sopra: "Li annegano, ma non lo fanno per rabbia, ma lo fanno con una giusta riflessione; bisogna pur separare ci� che � valido da ci� che non pu� servire a nulla, anzi spesso � dannoso alla societ� e alla stessa famiglia". I "Valori"? Nulla! Una colonia di ratti fa la stessa cosa.
Dato che quando nacque Seneca nessuno lo aveva annegato, ha fatto in tempo e ci ha lasciato poi una testimonianza che anche lui non valeva nulla: Infatti per una colpa che non era neppure questa una perla delle sue virt� (il tradimento - lui il virtuoso), si uccise svenandosi. Se il padre si fosse comportato come il figlio scriveva, ci saremmo risparmiati il suo ipocrita "Saggio sulla Felicit� " e tanti altri saggi dove non si conciliano le sue prediche sulle rinunce mentre lui praticava i vizi, oltre che l'ostentazione della ricchezza, visto che aveva un patrimonio che oggi rapportato sarebbe di circa venti miliardi.
L'incoerenza dei suoi nobili insegnamenti e lo sfarzoso tenore di vita non si concilia proprio per nulla dalla prima riga fino all'ultima. La sua morale non � solo ipocrita ma vergognosa. Possedeva terreni pari a 100 ettari, aveva 300 schiavi che lavoravano per lui, naturalmente gratis, e lui scriveva quelle pagine! Che si poteva vivere felici con pane e due olive.
Della morte; diceva di non averne paura; in dieci libri ci ritorna sempre sopra e la irride, non la teme, afferma che la accetter� con serenit� quando verr�, perch� lui � un saggio.
Poi a quasi settanta anni si mise a piangere disperato quando gli comunicarono che Nerone lo aveva condannato a morte, e invent� mille scuse strisciando come un verme. Implorando, scrisse che tanto sarebbe morto da l� a poco, di risparmiarlo. Fece una lettera-supplica a Nerone come un maiale portato al macello. Ma il suo allievo dovette provare un gran disprezzo, e si liber� senza fatica dei rimorsi nell'indicare il suo pollice in gi� per quell'uomo senza dignit�.
Seneca non voleva andarci nell'aldil� anche se aveva scritto quella famosa frase "l'amico che crediamo di aver perduto per sempre, ci ha solo preceduto". E della carit�? Scriveva: "A un miserabile non serve fare della carit�, non si deve aiutarlo, perch� uno che vive nella miseria e non muove un dito per tirarsene fuori, non si deve aiutare".La stessa cosa dovette pensare Nerone dopo aver letto la sua implorante lettera. Seneca era caduto troppo nella miseria morale, non bisognava n� fargli della carit� nel salvargli la vita, e nemmeno muovere un dito, o al massimo muoverne uno in gi�, il pollice". La lezione, l'allievo Nerone, dal suo maestro, l'aveva imparata bene!
oppure PROSEGUI NELL'ANNO 348 >