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20 MILIARDI ALL' 1 A.C. |
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< vedi stesso periodo "RIASSUNTI
STORIA D'ITALIA"
ANNO 1921
SECONDA
PARTE - TERZA PARTE - QUARTA
PARTE - E...MUSSOLINI
NE APPROFITTA
Scoperte/Scienza
- Cultura/Costume
L'AVVENTO
DEL FASCISMO: DAL PARLAMENTO ALLA MARCIA SU ROMA
( CON UN'AMPIA DOCUMENTAZIONE PARLAMENTARE )
BAGLIORI DI COMUNISMO
Mussolini - Il secondo periodo: dal 1912 a questo 1921
L'ITALIA
CONTA 37.856.000 ABITANTI
Attivi 47,1%, di cui in Agricoltura il 55,7%
Industria 24,8%, Servizi il 19,5%
Prodotto lordo: Agric. 38,3%, Industria 25,1%,
Terziario 24,3% (Amm. pub 12,3 %)
Quelli che lavorano sono 17.830.000,
i non attivi 20.026.000
Per
la prima volta le FEMMINE (19.042.000) superano i MASCHI (18.814.000).
LA SVOLTA POLITICA - In Italia il 1921 � l'anno dove si verifica una svolta politica, sociale ed economica che va a modificare i rimanenti decenni fino a met� secolo e la condizioner� fino alla fine. Politicamente � la fine del periodo liberal-feudale (o liberal-borghese) e contemporaneamente l'inizio di una mutazione strutturale storica per il Paese Italia.
Il mutamento si deve ad una nuova emergente classe dirigente (capitalismo non liberale) che non ha pi� nulla a che vedere con quella precedente (borghese liberale). Non esistevano prima uomini con industrie con 50.000 dipendenti che invece la guerra ha permesso ad alcuni di loro in pochi anni di creare. Non esistevano grandi imprenditori che potevano competere - come ora - con entrate pari e superiori persino allo stesso Re.
Ora � questa la nuova classe dirigente, non ancora venuta allo scoperto, ma che sta condizionando gi� la politica, e sta sbarazzandosi della vecchia potente borghesia latifondista, baronale, quella che possiede migliaia di ettari improduttivi come simbolo di potere ma non ha liquidit� in tasca; che � ora al tramonto, ininfluente e per nulla autorevole dentro la nuova borghesia industriale, che -solo ora- in Italia, sta decollando, mutando il territorio e spostando i baricentri del potere. Per farlo, la leva che usa e che trasferisce ogni cosa a proprio favore � il capitale reale, non i migliaia di ettari infruttiferi adibiti al solo pascolo. La politica costa, sono finiti i tempi che al politico di turno gli si mandava a casa dal contado le ceste delle primizie, i salami, i prosciutti e il pollastro ruspante. Per fondare un giornale occorrono macchine straniere e queste si pagano non con le caciotte ma con pacchi di soldi contanti, e questi li hanno nei forzieri solo gli industriali.
Ci sono � vero le banche (piene di soldi e con una consistente quota di azioni delle industrie privilegiate dallo Stato che possiedono anche i giornali stessi) ma appena finita la guerra i potenti gruppi industriali siderurgici, meccanici, manifatturiero, dello zucchero e della chimica, sferrando una feroce guerra (anche tra di loro, in certi casi) hanno tentato la "scalata alle banche" con quella che fu definita la "guerra parallela".
(Finir� con un oscuro compromesso di Nitti tra privati, banche ed enti pubblici, che rimanda solo nel tempo la soluzione di un problema cui pochi sanno porre rimedio, perch� anomalo, e anche perch� non si � ancora preso coscienza che sono totalmente cambiati sul vecchio continente gli equilibri; politici ed economici.Contemporaneamente in questo periodo in Italia avviene anche la fine del socialismo, quello rivoluzionario (frammentario) e quello riformista (non all'altezza). Sono (proprio come in Russia) due correnti in lotta che chiamate ad operare in una fase storica di enorme complessit�, entrambe falliscono l'utopistico obiettivo, senza aver capito (pur gi� dentro in alcune nicchie del potere) il nuovo processo di "maturazione" dell'Italia, che cos� cammina e corre su strade nuove e del tutto impensate, per oltre due decenni.
L'anno 1921 � insomma l'anno delle grandi crisi. Nel sociale e nella politica. Il protagonista assoluto con un lento processo di conversione politica durato tre anni � BENITO MUSSOLINI, che trova l'humus ideale sia nel terreno dove si muove una parte del proletariato e sia in quello dei produttori; questi ultimi ormai molto compatti, e anche "forti", ormai in grado di prendere in mano l'intera situazione, anche se non si espongono personalmente; ed � gi� questa la prima novit� dentro la politica del nuovo corso, che non verr� pi� modificata. Dietro le quinte si muovono uomini quasi anonimi, ma potenti ("eminenze grigie") che creeranno o distruggeranno imperi e uomini a loro piacimento. Alcune loro "creature" appariranno all'opinione pubblica, alla massa, "forti", "virili", "autorevoli". Daranno (e avranno loro stessi) l'impressione di "gestire" i produttori, invece si accorgeranno - troppo tardi - di essere stati "usati" e scaricati - (compreso proprio Mussolini; il 25 ottobre 1938 arriva alla sua amara constatazione, non ci sono dubbi! - Vedi).
Tutto questo avverr� all'inizio del fascismo, durante il fascismo, nel 1938, dopo il fascismo, nel dopoguerra, negli anni '60, e ancora oggi anni 2000 non � per nulla terminato. C'� una continuit�, un unico legame. Sar� sorpreso il lettore quando legger� le pagine che abbiamo dedicato a uno, anzi a due, perch� uno � la continuazione dell'altro. Due personaggi che hanno creato, gestito, condizionato, fatto gli "arbitri" dell'intera economia italiana nell'intero secolo. Creato, grandi industrie, banche, imperi finanziari, enti e partecipazioni statali, manager e ministri, senza avere mai occupato una carica istituzionale, entrambi sempre in silenzio, mai una intervista. "vietato parlare al manovratore" o all' "arbitro" di Iri, Ina, Iri, Imi, Fiat, Pirelli, Bastogi, Generali, Montecatini, Edison e mille altre uscite dalle loro costole.
Una sorpresa quando il lettore scoprir� chi era BENEDUCE (di idee socialiste), lui l' "eminenza grigia" del regime, che poi diede in sposa IDEA SOCIALISTA (cos� battezz� sua figlia) e il bastone di comando a ENRICO CUCCIA. ( L' INTRIGANTE STORIA - QUI )RITORNIAMO A MUSSOLINI
Mussolini lo avevamo lasciato con alcuni cenni biografici nel 1911. Lo ritroviamo in questo 1921 a mediare due epoche e ad un passo dal potere. Vale la pena dunque ripercorrere velocemente alcune tappe di questi suoi ultimi dieci anni.
Nel 1912 lo troviamo a dirigere l'organo del partito socialista L'Avanti. Come paladino del proletariato inizia il 7 gennaio 1913 una feroce campagna contro "gli assassinii di Stato". Con indignazione si era scatenato per gli incidenti mortali che si erano verificati durante gli scioperi dei lavoratori che chiedevano miglioramenti salariali, riduzioni d'orari, previdenze. Conflitti dove scopriamo all'interno non solo una forte tensione sociale fra padronato e operai, ma anche la prima forte spaccatura nei sindacati socialisti, tra i riformisti e i rivoluzionari. Poi venne la ferale notizia da Sarajevo e l'inizio di quella che si trasform� in una guerra mondiale.
MUSSOLINI dallo stesso giornale, il 20 settembre 1914 lo troviamo prima contro l'intervento in guerra dell'Italia, promuovendo perfino un plebiscito pacifista, poi subito dopo il 18 ottobre 1914 (l'articolo � una "bomba") lo troviamo improvvisamente schierarsi a favore di una "neutralit� attiva e operante" che gli costa la radiazione dal giornale e dal partito, il PSI. Un socialismo neutralista ad oltranza, che gi� in crisi con la disgregazione dell'Internazionale socialista messo di fronte alle scelte sull'intervento in guerra, che tutti ormai consideravano imminente, lo troviamo a schierarsi contro la guerra e a completare il fallimento. Mussolini non � disposto ad accettare questo fallimento n� le limitate vedute di molti dirigenti.
L'idea che si � fatta Mussolini (ed � l'unico ad avere una lucidit�) � che la rivoluzione socialista � fallita prima ancora di iniziare, e mai il socialismo potr� uscire dalla guerra, sia vinta o persa, con nuove prospettive.
"Le masse, i milioni d'individui, dopo aver combattuto potranno imporre domani, a vittoria ottenuta, la propria pace alla borghesia con tutte le carte in regola, perch� avranno una propria forza autonoma per farlo. A guerra persa invece le colpe ricadrebbero solo sui socialisti, che il conflitto non lo volevano e l'hanno disprezzato". Insomma i socialisti erano dentro un vicolo cieco. Questo in sostanza aveva sostenuto Mussolini alla vigilia del conflitto, e il ragionamento era impeccabile; ma il guaio grosso fu che la guerra fin� in un modo anomalo, non accontent� nessuno; i vincitori si ritrovarono in mano quella che fu poi definita una "vittoria mutilata"; in altre parole, una frustrazione per entrambi, chi l'aveva sostenuta e combattuta (Mussolini e C) e chi aveva profetizzato il fallimento (i socialisti) (Nenni confermerà questo fallimento!))Il 15 novembre del 1914, dopo l'articolo "bomba" e dopo la radiazione all'Avanti, MUSSOLINI fonda a Milano il Popolo d'Italia (finanziato e non del tutto disinteressatamente dalla Edison, dalla Fiat di Agnelli, dall'Ansaldo dei fratelli Perrone ecc. ecc.) con un indirizzo antisocialista, e con iniziali palesi appoggi all'irredentismo che va predicando D'Annunzio.
Infine il 6 maggio del 1915, l'altra "bomba": Mussolini esce con l'articolo "E' l'ora", poi abbandona non del tutto il giornale (terr� un diario di guerra fino al febbraio 1917) e molto coerentemente con quello che ha scritto, si offre volontario (ma andrà in guerra solo quando è chiamata la sua classe).
Non � il solo, parte D'Annunzio, parte Marinetti, e parte Cesare Battisti che incita "tutti al fronte con la spada e col cuore", poi in agosto parte finalmente anche Mussolini.Sul fronte Mussolini non ha la vita molto facile, sia con i soldati che lo ritengono un interventista e sia con lo Stato Maggiore che diffidano di questo ambiguo soggetto fino a ieri a sinistra come oppositore all'intervento. (Il suo antimilitarismo era iniziato nel 1911-12 con la guerra in Libia, mettendosi a capo dei socialisti rivoluzionari con violenti dimostrazioni di piazza in Romagna).
Al Distretto non si fidano proprio. Senza tanti riguardi al suo diploma e al suo mestiere di giornalista lo mandano al fronte, come soldato semplice col grado di caporale. Dopo 16 mesi di guerra, per quaranta giorni Mussolini � in trincea, sul Carso, in prima linea sotto le granate austriache dove si guadagna perfino il nastrino. Infatti, nel febbraio 1917 una sventagliata di schegge, non proprio del nemico, ma di un cannone difettato, lo colpisce. Resta gravemente ferito. Trascorre in stampelle quattro mesi all'ospedale di Ronchi, dove nel portare conforto ai feriti troviamo Re Vittorio Emanuele III, che certo non immagina nemmeno lontanamente, nel preoccuparsi della salute e nello stringere la mano di questo semplice caporale, di trovarsi di fronte all'uomo che fra soli 5 anni legher� il suo destino proprio a quello di Casa Savoia.Dopo la convalescenza, MUSSOLINI rientra al giornale nel luglio 1917. Le cose in Italia sono molto cambiate nel frattempo, l'interventismo, dopo tre anni di guerra, quasi inutili sul piano militare e politico � in crisi, e sembra che il disfattismo socialista fra le masse trovi un buon appoggio.
Ma non � cos�, Mussolini � attento, si accorge che le masse hanno avuto uno scollamento dal socialismo e che questo (dopo la disfatta di Caporetto del 24 ottobre) non pu� certo aspirare alla vittoria di una rivoluzione dopo una guerra persa (Questo lo pensava anche lui).
Alla fine, la guerra non fu persa, ma nemmeno vinta, passer� alla storia come gi� accennato come "vittoria mutilata". Questo finale and� ancora di pi� a complicare le cose. Non c'erano n� vinti n� potevano rallegrarsi i vincitori. Quello che temeva e prevedeva Mussolini accadde, come aveva previsto e profetizzato. I socialisti riformisti (con Treves e Turati) sono in difficolt� pi� di prima della guerra, e nemmeno parlarne di poter avviare un dialogo con i padroni che invece di concertare hanno fatto le serrate. Per quelli invece massimalisti dichiaratamente rivoluzionari (con Gramsci e Bordiga), hanno guardato con molta attenzione i fatti russi che avrebbero potuto far aprire delle prospettive di una prossima fine del capitalismo con la tanto attesa rivoluzione. Ma non hanno i seguaci, hanno solo -e difendono solo questi- i pochi che ancora lavorano e che sono poi quelli che non hanno fatto la guerra. Non hanno nemmeno le masse contadine timorose di perdere la terra, quindi sorde a tutte le sirene comuniste.
Insomma tra le due correnti, e tra queste e le masse si � creata una barriera di totale incomunicabilit�. Non esiste pi� spazio per i socialisti.Mussolini se ne convince ancora di pi� quando inizia a vedere i pessimi risultati della Rivoluzione Russa. "Bello i soldati uniti al popolo! Bello il collettivismo! Bello la distribuzione delle terre! Male invece i nuovi dittatori statali nelle fabbriche e nelle campagne". Non era questo il socialismo che Mussolini sognava da giovane. In Russia il "padrone" autoritario e il grasso borghese zarista, usciva dalla porta e rientrava dalla finestra con la nascente borghesia statale di partito autoritaria. Lenin dimostrando subito i propri limiti e le incapacit� a organizzare uno Stato, ha dovuto richiamare in fretta e furia ai loro posti dell'apparato burocratico gli stessi funzionari zaristi per riuscire a sopravvivere ed evitare il totale fallimento della rivoluzione.
Mussolini lo troviamo quindi a guardare in altre direzioni, � il momento della sua "conversione". Finita la guerra, profondamente mutato, soprattutto dopo una cocente sconfitta elettorale, lo ritroviamo in questo 1921 a guidare quel movimento politico che presto lo porter� al potere.
C'erano tutte le condizioni a favore: buona parte del proletariato senza lavoro, il ceto medio deluso, la rabbia degli ex combattenti e la rottura dentro le file dei cattolici. Ma c'era soprattutto la nuova borghesia industriale che iniziava a combattere le feudali forze latifondiste che si opponevano con forza a tutti cambiamenti. Analizziamole brevemente queste condizioni.
Questo 1921 � l'anno della grande crisi dovuta proprio al dopoguerra. La disoccupazione aumenta di sei volte rispetto l'anno precedente, gi� molto alta (4.593.000 gli scioperanti in due anni).
La riconversione dell'economia di guerra a una produzione di pace nella sua lentezza e senza una guida governativa, provoca una disoccupazione che sembra avere imboccato una strada senza ritorno. A renderla drammatica sono i debiti di guerra, con le banche in sofferenza (anche se sono piene di soldi degli speculatori, che per� non hanno certo la "vocazione" di puntare sulle nuove "scommesse" degli imprenditori). Le industrie quindi sono senza capitali e con un mercato dei consumi che precipita sempre di pi� a picco per la poca liquidit� circolante nella popolazione che ha nelle sue file 4.500.000 di ex combattenti senza lavoro. Infine, a rischio, perfino il rimborso dei prestiti di guerra sottoscritti dai cittadini. Sono circa 200.000 i malcapitati tutti appartenenti alla classe media. Tutti in preda quest'anno alla pi� nera disperazione: una mina vagante questa categoria che vede la grande industria e le banche (che si rifiutano di accollarsi i debiti nonostante gli ingenti profitti fatti con la guerra); e ha -anche questa categoria- la netta impressione di essere stata tradita.Poi arriv� anche il colpo di grazia con la "caduta" (prevedibile da mesi) della Banca di sconto. La disperazione dell'industria, della finanza e dei risparmiatori fu comune, una cosa sola. Quando il Tesoro far� i conti dei debiti, i propri e quelli contratti con gli alleati, con le cifre che sono di dominio pubblico, le speranze dei risparmiatori di riavere indietro i soldi furono quasi nulle. Forse i pronipoti nel 1984! questa � la data degli impegni assunti con l'Inghilterra e l'America per i rimborsi. Altro che guerra vinta! Ogni nato si porter� dietro fino a sessantacinque anni la "follia" della Grande Guerra, che era pi� coerente chiamarla "una Grande Obbligazione a futura memoria".
La guerra ha provocato due fenomeni. 1) L'industria pesante ha registrato un enorme sviluppo con la produzione bellica, che per� � andata a drenare e a convogliare tutte le risorse disponibili nel modo pi� selvaggio e solo a un piccolo gruppetto; scarsa -per non dire nessuna- considerazione sulla media e piccola impresa che rimasta senza risorse in pochi anni � quasi scomparsa. Nello stesso tempo ha accelerato cos� il processo di concentrazione sia industriale sia bancario. Negli anni di guerra il legame industria-banca si � fatto sempre pi� stretto. A guerra finita, entrato in crisi il primo, l'altro segu� la stessa sorte ma senza tanti traumi, anzi si prese il lusso con i capitali accumulati (o quote di azioni (o immobili) fagocitate in cambio di crediti inesigibili) di riuscire a traghettare il potere dello Stato a questa nuova emergente forte borghesia, non aristocratica, ma produttiva, persino da proteggere. (Come l'invio dell'esercito ai cancelli della Fiat).
E' il primo passo di un patto scellerato dell' impotenza politica, che (servilmente) ipocritamente si giustifica (chi ha messo in bocca queste frasi lo possiamo solo immaginare) con quello che sar� d'ora in poi un ritornello: "per salvaguardare il patrimonio produttivo del Paese, per salvare l'occupazione". In nome di questa "moralistica missione", le altre arme ricattatorie dei poteri forti della grande industria saranno in seguito anche le innumerevoli sollecitazioni a svalutare la moneta, con tutte le conseguenze negative sulle importazioni di beni di prima necessit�. E questo fino alla fine degli anni Novanta, con Mussolini e anche senza Mussolini - in particolare negli anni dal 1950- a fine anni '70).
Avviene poi il secondo fenomeno che � l'effetto del primo: questa nuova classe, ora chiamata dei "grandi produttori", moderna e spregiudicata, divenuta forte, progressivamente esautora non solo i sindacati ma anche la classe politica, ormai logora, antiquata, anacronistica, fatta di conservatori, di aristocratici, e di borghesia liberale ma con il Dna feudale, avversi ad ogni mutamento. La grande industria � costretta (e fa di tutto) a scaricarla se vuole andare avanti con certe ambizioni per imitare il modello americano (che non ha questi "medievali" lacci).
La nuova classe, poche famiglie, sono ora i padroni dell'Italia. D'ora in avanti qualsiasi politico dovr� fare prima i conti con loro, perch� loro sono in grado di crearli e anche di distruggerli i politici. Di condizionarne le scelte economiche, e gli indirizzi. Divenute potenti, la grande industria e le grandi banche diverranno una forza sola. La prima, entrando di prepotenza sui giornali fornisce i mezzi propagandistici ai politici che ora sono loro a scegliersi; la seconda (le banche - dove i padroni sono gli stessi grandi industriali) con i suoi nodi scorsoi sul credito, domina il resto della produzione nella media e piccola impresa, spesso quest'ultima asservita, clientelare, utile solo per allargare il loro "nuovo regno". l potere forte fa insomma quello che vuole, quando vuole, con chi vuole, dove vuole. I politici in mano a loro d'ora in avanti saranno solo dei soggetti manovrabili. Burattini che a loro volta muoveranno altri fili: con la propaganda ideologica, il patriottismo, la retorica risorgimentale, e l'oratoria autoritaria; le droghe utili e necessarie che servono per avere la massa a servizio e ottenerne il consenso. Come e con cosa? Ma con l'informazione, con i giornali degli stessi industriali subito messi a disposizione.
La cartina d'Italia, col "nuovo regno", se la prendiamo e iniziamo a tracciare l'organigramma di questo nuovo potere e ad annotare una ad una le nuove societ� industriali e finanziarie che orbitano come satelliti attorno a quelle "forti" (non arrivano a una decina) la rete che ne viene fuori � tale che vi troviamo imbrigliata tutta l'economia nazionale.
Con il fascismo assisteremo alla grande concentrazione fra societ� e banche: "Serve ed � necessario- dicono gli economisti dei "Signori del Nord" - a trasformare l'apparato produttivo del Paese in un modo razionale, a produttivit� e competitivit� molto forte".
(le stesse frasi le sentiremo dire anche da un parvenu "vincente" dal 1994 in poi )
E' una logica imprenditoriale ineccepibile, ma ha il rovescio della medaglia: perch� diventa forte anche politicamente. L'avvento del fascismo viene utile e permette di fare i primi passi. Gli autorizza il regime a fare anche le prime "prove d'orchestra" nel retroscena. Poi cinicamente sbarazzatosi del teatrante di turno, dal '45 in avanti il "grande capitale" sale prepotentemente sul "palco" a dirigere l'orchestra intera e a mettere altri insignificanti attori a recitare; chiamati "ministri" (Che spesso sono o diventano subito dopo dei grandi imprenditori, grandi economisti, banchieri, che industria e finanza imprestano alla politica e dalla politica tornano nei salotti dell'alta finanza))BENEDUCE in questo 1921 � gi� amministratore delegato dell'INA, poi guider� la Bastogi, creer� lui e gestir� lui quasi in forma privata il colosso IRI, l'IMI, e mille altre imprese, banche, enti e finanziarie, pubbliche e private, poi lascer� tutti i segreti degli intrecci (dare e avere) e tutta l'"autorit� occulta" a suo genero ENRICO CUCCIA, che ha sposato la sua IDEA SOCIALISTA (che � il nome della figlia di Beneduce, non confondiamo! di socialismo resta solo il nome della moglie di Cuccia)