LA RIVOLUZIONE RUSSA
LA RUSSIA
DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE ALL'OTTOBRE 1917Il 28 giugno 1914, a Sarajevo, l'erede al trono asburgico, l'Arciduca FRANCESCO FERDINANDO, venne assassinato da uno studente nazionalista (PRINCIP)
( vedi 1914 - come scoppia una guerra )
Fu la scintilla che fece esplodere le tensioni che da anni si covavano in Europa.L'Austria lancio' un ultimatum alla Serbia, presto trasformatosi in una dichiarazione di guerra; e con l'impero austro-ungarico si schiero' la Germania.
La Russia voleva assolutamente evitare un'avanzata austriaca nei Balcani e decise di stare dalla parte serba. La stessa cosa fece la Francia e piu' tardi l'Inghilterra. (si ripresentavano le stesse condizioni del 1829 - vedi ) Ad esse si aggiunse poi anche l'Italia. Era la prima guerra mondiale, ma tutti erano persuasi che sarebbe stato un conflitto di breve durata; la realta' fu ben diversa, fu una spaventosa guerra che in tragiche e sanguinose battaglie vide la morte di oltre 10 milioni di persone. Ed alla sua conclusione imperi secolari, come quello tedesco o austro-ungarico, erano stati cancellati.Ed anche in Russia, la guerra segno' la fine decisiva della dinastia dei ROMANOV, nell'ottobre del 1917, lo Zarismo venne spazzato via dalla rivoluzione comunista di LENIN.
Ma, come abbiamo gia' visto ( RUSSIA 1905 ) ormai da tempo l'impero zarista era attraversato da una grave crisi che nella guerra conobbe il suo atto finale.
Gia' le prime fasi del conflitto mostrarono l'inadeguatezza dell'esercito russo, che combatteva con ardore, ma le armi erano scarse ed inefficienti, i soldati mal addestrati e pareva non esserci alcuna programmazione; l'esercito spesso sembrava un'armata allo sbaraglio. Vi era assenza di munizioni, trasporti e validi capi militari.
I disastri delle battaglie di Tannenberg e dei laghi Masuri subìti ad opera della Germania furono la conseguenza di queste deficienze. Tuttavia l'esercito russo combatteva con coraggio, riuscendo ad impegnare soprattutto gli austriaci nelle prime fasi della guerra, e pur avendo subìto le due pesanti sconfitte dalla Germania riusciva a tenere le potenze "tedesche" impegnate anche sul fronte orientale.
Ma i costi umani che la guerra nel corso dei mesi imponeva alla Russia diventarono ben presto insostenibili. L'esercito russo sacrifico' al suo ardore quasi 5 milioni fra morti e feriti. Il coraggio era inutile di fronte alla troppa disorganizzazione.Naturalmente questo non poteva non avere ripercussioni interne, in patria la situazione gia' critica con la guerra si fece insostenibile. Ben presto cominciarono a mancare alimenti e ogni bene di prima necessita', l'impoverimento del popolo russo aumento' a dismisura ed inoltre milioni di famiglie, specie contadine, vedevano partire i loro giovani verso una guerra che si stava rivelando un'orrenda carneficina.
In quel momento lo zar NICOLA II avrebbe dovuto quantomeno accogliere alcune minime richieste del popolo affamato, ma niente di cio' avvenne e le conseguenze furono tragiche. NICOLA II poi, con una decisione quantomeno avventata, decise di mettersi lui al comando delle forze armate, lasciando in pratica la Russia nelle mani della Zarina, una donna di vedute miopi e reazionarie. Negli anni precedenti, di fatto il potere in Russia era nelle mani dell'ambiguo consulente della zarina, il misterioso monaco RASPUTIN, un uomo che ha alimentato numerose leggende.
Costui era un avventuriero d'origine contadina che, sfruttando il fanatismo religioso della zarina, si era conquistato la sua fiducia, spacciandosi nientemeno che "emissario di Dio". Il governo, i ministri erano in pratica succubi di Rasputin. A questo punto anche negli ambienti aristocratici la situazione era giudicata non piu' tollerabile: un vero governo in pratica non c'era, la guerra si era rivelata un disastro e nelle piazze le agitazioni andavano montando. Gran parte dei deputati della Duma decise che era ora di fare qualcosa. Era il febbraio 1917 (tra l'altro c'e' da segnalare che nel dicembre del 1916 Rasputin, in circostanze mai pienamente chiarite, era stato assassinato da esponenti di circoli conservatori)
LA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO
(altri particolari li leggeremo in fondo e nelle successive pagine)
Nei giorni dal 23 al 26 febbraio (secondo il calendario russo) si consumo' il destino dello Zar. In quei giorni Pietrogrado (nome assunto da Pietroburgo durante la guerra) fu teatro di violente e spontanee manifestazioni di piazza contro la mancanza di viveri e la diffusa poverta'. La polizia zarista, quella che sparo' sul popolo nella gia' citata "domenica di sangue" del 1905, venne disarmata, anzi, in larga parte solidarizzo' con gli insorti. Le truppe fedeli al regime richiamate dal fronte non riuscirono a giungere sul posto per un massiccio sciopero dei ferrovieri.
Cosi' l'iniziativa la prese la Duma, contro il volere dello Zar. Venne formato un governo provvisorio guidato dal principe LIVOV, tra i cui ministri c'erano il capo del partito dei cadetti MILJUKOV e KERENSKIJ, unico esponente di sinistra.
NICOLA II, giudico' illegittimo questo governo, ma non pote' che prenderne atto e, su insistenza dello stesso nuovo governo, fini' per abdicare. La futura guida istituzionale - si disse - l'avrebbe decisa un'assemblea costituente. Cadeva cosi' il dominio degli zar, era la cosiddetta rivoluzione di febbraio.Nei mesi in cui il governo opero', circa 7 furono i provvedimenti presi, abbastanza notevoli: vi fu davvero liberta' sia di stampa sia di parola sia di religione. I cittadini divennero uguali davanti alla legge e fu sancito il diritto allo sciopero. Ma i nuovi governanti dovettero ben presto rendersi conto di quanto la guerra aveva radicalizzato la situazione. Il governo, pur nelle sue benevole intenzioni, ignoro' le vere richieste del popolo: che chiedeva pace e terra.
Il popolo non voleva piu' la guerra, voleva le terre dei padroni ed una vera riforma agraria.
Invece il governo decise di proseguire la guerra, non rendendosi conto che, specie dopo la caduta dello Zar, l'esercito si stava sfaldando e migliaia di soldati tornavano da disertori in patria desiderosi di farla pagare ai responsabili delle loro sofferenze.
Ma il nuovo governo aveva un altro insidioso avversario: dopo la caduta dello Zar si era riformato il SOVIET DEGLI OPERAI, nato nel 1905 come abbiamo in precedenza visto, che divenne ben presto una sorta di contropotere per il governo. Con il Soviet i nuovi ministri si consultavano prima di prendere le loro decisioni, si creo' la cosiddetta "dualita' di poteri". E ben presto in tutta la Russia i Soviet cominciarono a spuntare come funghi; le masse cominciarono a vedere in quegli organismi le persone che potevano davvero rappresentarle. Essi furono una sorta di pungolo per il governo, e se inizialmente dominati da socialisti moderati, si rivelarono decisivi nella futura rivoluzione di ottobre. Collaborazione tra governo e Soviet vi fu, ma la questione della guerra e della terra li divise irrimediabilmente.
Gli attacchi contadini alle proprieta' padronali si moltiplicavano ed il governo comincio' ad essere pressato anche dagli ambienti conservatori che chiedevano ristabilimento dell'ordine.
LENIN E LE TESI DI APRILE
Il 16 aprile 1916, LENIN, leader del partito, all'epoca minoritario, bolscevico, torno' in Russia dopo l'esilio decretato all'epoca di STOLYPIN, grazie, ironia della sorte, all'aiuto tedesco che gli mise a disposizione un vagone ferroviario (indubbiamente si aspettavano qualcosa in cambio una volta che Lenin avesse preso le redini della rivoluzione). Fino a quel momento tra governo e Soviet vi erano stati contrasti, ma gli operai ritenevano impossibile prendere loro il potere essendo ancora una forza minoritaria.
LENIN invece, nelle sue "Tesi di aprile", stupi' tutti, anche all'interno del partito. Assunse una posizione estrema e decisa: era ora che la rivoluzione da borghese diventasse proletaria, la guerra aveva dimostrato il fallimento del capitalismo, era l'ora del socialismo, l'ora che il potere andasse al popolo. "Tutto il potere ai Soviet" diceva LENIN, basta con la guerra imperialista, i proletari mandati dai loro corrotti governi ad ammazzarsi per nulla, dovevano in ogni contrada della Russia solidarizzare.
LENIN auspicava una sorte di "guerra civile europea", ovunque gli sfruttati dovevano reagire alle prepotenze dei loro governi. E, - disse ancora - era ora che le terre dei ricchi padroni "arcisfruttatori" venissero confiscate e date a chi le lavorava. Non si doveva piu' appoggiare il governo provvisorio, ma i Soviet dovevano prendere il potere.
LENIN sapeva quali corde toccare, era un programma con venature demagogiche, ma e' innegabile che veniva incontro alle vere esigenze del popolo. Le masse, specie contadine, non conoscevano ne' MARX, ne' il COMUNISMO, ma parole come PACE e TERRA bastavano per accontentarli.
Tuttavia le resistenze che LENIN incontro' all'interno del partito furono notevoli, molti, fra cui il giovane STALIN (1879-1953) lo reputarono un avventuriero.
Ma il governo sottovalutò la forza propulsiva delle tesi leniniane; la guerra era ormai persa, ed era ora di uscirne, ma cio' non avvenne.
I contadini rischiavano di diventare una massa senza controllo. Verso l'inizio dell'estate del 1917 gli assalti alle proprieta' dei ricchi assunsero i connotati di una rivolta incontrollata. Le dimore dei latifondisti vennero date alle fiamme, si prendevano i loro averi, le loro terre, e numerosi furono gli omicidi. Vasti settori nobiliari chiesero con insistenza che il governo ristabilisse l'ordine.
E' tuttavia bene sottolineare, il carattere spontaneo di quei moti, nessuno dirigeva gli operai o i contadini che si ribellavano, erano mossi solo dall'odio verso i ricchi. Come e' stato dagli storici sottolineato, le masse erano ben lungi dall'essere già bolscevizzate, agivano d'istinto e con gli atavici livori nei confronti dei loro sfruttatori.
Ma LENIN con abilita' ed un po' di cinismo capi' l'importanza che potevano assumere quei moti, si era formato un clima ideale per abbattere il potere.
Nel governo vi furono importanti cambiamenti, KEREMSKIJ divenne primo ministro ed il leader del partito socialrivoluzionario, CERNOV, forte nelle campagne, ministro dell'agricoltura. Ma non servi' anzi, il governo si stava screditando e stavolta a tutto vantaggio dei bolscevichi che mai vollero entrare a farvi parte.
Quando nel luglio 1917 gruppi di soldati, marinai ed operai tentarono un colpo di stato, LENIN giudico' prematuro il moto, ancora non aveva ottenuto l'auspicata maggioranza alla sua linea nei soviet. Cosi' quel tentativo di prendere il potere, venne duramente stroncato e fu allora che vasti settori della destra, capeggiati dal generale KORNILOV, chiesero di arrestare i bolscevichi e di ristabilire l'ordine al piu' presto anche nelle campagne. Il governo capeggiato da KERENSKIJ fece arrestare numerosi seguaci di LENIN, ma ben presto si trovo' sospeso nel vuoto. L'obiettivo di KORNILOV era quello di far cadere KERENSKIJ e di prendere lui il potere, il che avrebbe probabilmente voluto dire una dittatura militare, fu cosi' che minacciato da destra e da sinistra KERENSKIJ si rivolse a quest'ultima e per la prima volta si appello' al popolo.
Libero' i bolscevichi che lui stesso aveva arrestato e consegno' loro armi perche' insieme ad altre forze socialiste salvassero il suo governo dalla minaccia di KORNILOV.
L'operazione riusci', dal 9 al 14 settembre a Pietrogrado gruppi di operai ingaggiarono un duello feroce con le truppe fedeli a Kornilov riuscendo a sconfiggerle. Il governo era salvo e Kornilov venne arrestato, ma ormai Kerenskij si era screditato agli occhi dei bolscevichi e di gran parte delle masse che lo giudicarono ondivago ed opportunista.
Vi fu una nuova crisi ministeriale, Kerenskij formò il 25 ottobre il suo ultimo governo, il prossimo lo avrebbe fatto Lenin.
LA RIVOLUZIONE DI OTTOBRE
Dopo che fu battuto KORNILOV, LENIN, che era nuovamente stato esiliato in Finlandia, insiste' sempre piu' che ora era davvero il momento di prendere il potere.
Intanto raggiunse l'agognato obbiettivo: avere la maggioranza nei Soviet, specie in quelli fondamentali di Pietrogrado e Mosca. A questo punto le sue pressioni verso un'insurrezione divennero continue e con lui si distinse il futuro capo dell'armata rossa: LEV TROCKIJ.
Ormai i bolscevichi vedevano aumentare ovunque i consensi, da partito minoritario quale erano prima della guerra, interpretando LENIN i desideri del popolo e sapendo ben adattare il programma bolscevico ai sommovimenti spontanei, i bolscevichi si erano guadagnati un appoggio ormai molto vasto.
KERENSKIJ, ormai isolato, promosse una conferenza democratica per ridare prestigio al governo, ma fu inutile, come inutile fu decretare di nuovo l'arresto dei bolscevichi; non aveva piu' truppe fedeli in grado di eseguire i suoi ordini.
LENIN incoraggio' la spontaneita' rivoluzionaria. Manifesti che incitavano a prendere il potere, ad espropriare i ricchi, a lottare contro gli oppressori borghesi; ed esaltavano l'antico desiderio popolare di giustizia e vendetta sociale.
Cosi' lenin riusci' ad imporre la sua linea al partito anche a chi come KAMENEV chiedeva un'assemblea costituente.
Il 12 ottobre TROCKIJ creo' un comitato militare rivoluzionario che comincio' i preparativi per l'insurrezione.
La rivoluzione ebbe inizio il 25 ottobre 1917 e , come LENIN aveva previsto, incontrò scarsissima opposizione. Kerenskij inutilmente cercò di chiamare truppe fedeli, poi decise di fuggire.
Nella giornata del 25 i bolscevichi occuparono la capitale Pietrogrado, ed il 26 entrarono quasi indisturbati nel Palazzo d'Inverno.
Quel giorno nasceva il primo governo "socialista rivoluzionario della storia", e il "Consiglio dei Commissari del Popolo".
I primi provvedimenti furono il decreto che sanciva la pace ed il decreto che dava le terre ai contadini, attuando il quale, in pratica LENIN finì per adottare il programma dei socialrivoluzionari che in passato non aveva condiviso la linea rivoluzionaria.
LENIN prese il potere convinto dell'imminente scoppio della rivoluzione a livello europeo, il che non avvenne mai, ma in occidente il suo governo non venne visto come duraturo, fu giudicato di passaggio, ma anche questa fu un'illusione.
(by GIACOMO PACINI)
un'altra pagina sulla Rivoluzione Russa di ALESSANDRO FRIGERIO
FEBBRAIO 1917 Una rivolta popolare dissolve l'impero russo.
Cade il regime zarista. Ma il governo provvisorio riesce
a scontentare tutti, aprendo la strada a un outsider, Lenin.
LA RIVOLUZIONE
DI OTTOBRE,
ATTO PRIMO
"La situazione è grave. La capitale è in preda all'anarchia. Il governo è paralizzato. I mezzi di trasporto e i rifornimenti di viveri e di combustibile sono completamente disorganizzati. Il malcontento generale va aumentando. Si spara a casaccio per le strade. In alcune località le truppe combattono fra loro. È necessario affidare subito l'incarico di formare un nuovo governo a una persona che goda la fiducia del paese. Non c'è un momento da perdere. Procrastinare equivale a morire. Prego Dio che in quest'ora tragica la responsabilità non ricada sul monarca".
Era il 26 febbraio 1917 (secondo il vecchio calendario giuliano in uso in Russia; nel resto del mondo era l'11 marzo. D'ora in poi si indicherà tra parentesi la corrispondente data "europea"). A rivolgersi con queste accorate parole al suo zar era il presidente della Duma (la prima camera rappresentativa russa, dotata di poteri legislativi fortemente limitati dallo zar) dopo i disordini scoppiati nei giorni immediatamente precedenti nella capitale, Pietrogrado.
L'Europa e la Russia erano entrate nel quarto anno di guerra ma ancora non si vedeva uno sbocco ai combattimenti. Tuttavia, all'origine della rivoluzione del febbraio 1917, che si sarebbe poi trasformata nell'anticamera della conquista bolscevica del successivo ottobre, non c'era solo il lungo conflitto con gli imperi centrali, condotto in modo disastroso e iniquo. Certo, l'incompetenza totale dei vertici militari era sotto gli occhi di tutti: sui campi di battaglia avevano perso la vita più di un milione e settecentomila russi, lanciati praticamente inermi contro il micidiale fuoco tedesco. Dei tredici milioni di soldati schierati al fronte ben dodici erano contadini. Esasperati da vessazioni inimmaginabili, urlavano ai loro comandanti: "Dateci da mangiare, dateci qualcosa per vestirci e riscaldarci, altrimenti non combatteremo più e ci consegneremo tutti prigionieri".
Ma pochi chilometri dietro le linee anche la società civile subiva analoghe, mortificanti privazioni: problemi di approvvigionamento alimentare, la paralisi del sistema burocratico e una spaventosa inflazione stavano colpendo un po' tutti, ma soprattutto le classi più povere.
Dicevamo però che lo sbocco rivoluzionario del 1917 aveva cause più remote. Era infatti il frutto di una crisi lunga e profonda che affondava le sue radici all'inizio del XX secolo. Il moderno sviluppo della società civile russa aveva trovato nella sclerosi zarista uno dei principali ostacoli. Nemmeno gli interventi riformatori succeduti alla scossa rivoluzionaria del 1905, la creazione della Duma e il ministero illuminato di Stolypin riuscirono a scalfire l'ancien régime di Nicola II e a introdurre le riforme economiche, politiche e sociali necessarie al paese. Il malgoverno, un'autocrazia egoista che spesso travalicava nell'arbitrio pseudocostituzionale, la corruzione della corte e lo spaventoso indebitamento con l'estero si sarebbero sommati, dopo lo scoppio del conflitto, ai sacrifici imposti dal regime di guerra.
È così che il latente processo di dissoluzione dell'organismo imperiale russo, sommando mali antichi a tragedie moderne, sfociò, non senza preavviso, nelle giornate rivoluzionarie di febbraio.
Alla fine del 1916 il malcontento per la guerra era cresciuto pressoché in tutti gli strati della popolazione. Il fronte interno si stava sgretolando di fronte ai primi scioperi operai nelle grandi città. Nei villaggi, invece, come segnalavano i rapporti della polizia: "V'è un netto aumento fra i contadini di sentimenti ostili non solo verso il governo, ma verso altri gruppi sociali come gli operai di industria, i funzionari di stato, il clero ecc.".
Già nel mese di gennaio 1917, in occasione dell'anniversario della rivoluzione del 1905, si erano avute imponenti manifestazioni e scioperi operai contro lo zar. In un rapporto della polizia redatto negli stessi giorni si legge:
"Il proletariato della capitale è ai limiti della disperazione; si ritiene che la più piccola esplosione, dovuta al minimo pretesto, condurrà a sommosse incontrollabili, con decine di migliaia di vittime. Effettivamente esistono già le condizioni d'una simile esplosione; la situazione economica delle masse, malgrado un importante aumento dei salari, rasenta la disperazione. [...] La proibizione di ogni riunione, anche per organizzare cooperative o cantine, la chiusura dei sindacati, fa sì che gli operai, condotti dagli estremisti, e magari dai più rivoluzionari fra questi, assumano un atteggiamento apertamente ostile al governo e protestino contro la continuazione della guerra".
La tensione stava salendo fino al limite di rottura, le difficoltà economiche create dal lungo conflitto si erano ormai saldate al malcontento politico, ma dalle sale del Palazzo d'Inverno di Pietrogrado la realtà veniva accuratamente tenuta alla porta. Lo zar, che con nobile quanto insensato sprezzo del pericolo stava partecipando alle operazioni militari al fronte, riteneva che l'ordinaria amministrazione potesse tranquillamente essere sbrigata dai burocrati e dalla polizia.
A metà del mese di febbraio fu introdotto il razionamento dei generi alimentari, mentre nelle stesse ore la nuova sessione della Duma chiedeva ai "ministri incapaci" di andarsene.
La rivoluzione di febbraio prese il via il giorno 23 febbraio (8 marzo) a Pietrogrado, sotto forma di una manifestazione voluta dai partiti e dai sindacati. I bolscevichi, che allora costituivano una piccola formazione politica illegale, non la ritennero invece opportuna. Migliaia di operai, molti dei quali licenziati dopo gli scioperi di gennaio, si riversarono in strada sotto gli occhi attenti delle pattuglie cosacche. Tutto si svolse con la massima tranquillità, senza incidenti.
Il 24 febbraio (9 marzo) un'altra imponente manifestazione operaia sfilò, al canto della Marsigliese e al grido "Viva la repubblica" nelle vie del centro. La polizia questa volta non si limitò a controllare gli avvenimenti ma caricò una parte del corteo causando le prime vittime. Il primo ministro Galitzin, che invano aveva cercato pochi mesi prima di sottrarsi alla richiesta di Nicola II di reggere il governo, prese per buone le informative del ministro dell'interno Protopopov, che volevano la situazione poco preoccupante e sotto il controllo delle forze dell'ordine.
Intanto, in numerose città russe si stavano formando spontaneamente dei soviet. Originariamente noti come "consigli dei deputati degli operai", i soviet avevano poi mutato il loro nome in "consigli dei deputati degli operai e dei soldati". I due partiti che li governavano erano il menscevico, vicino alle esigenze del proletariato industriale, e il socialrivoluzionario, espressione della grande massa di soldati-contadini impegnati al fronte. Nelle confuse giornate di febbraio e marzo 1917, i soviet costituivano quindi l'unico organo amministrativo efficiente nel totale crollo delle istituzioni.
Il 25 febbraio (10 marzo) le proteste, questa volta guidate dai bolscevichi, si coagularono in un imponente sciopero generale, cui parteciparono, oltre agli operai, anche piccoli drappelli di soldati cosacchi. Si contarono numerosi morti, sia tra i manifestanti, sia tra la polizia fedele allo zar. Nicola II con un telegramma impose all'autorità di far cessare immediatamente i disordini, senza però spiegare come, mentre l'incertezza politica regnava pressoché sovrana. I manifestanti, privi di un capo, non sapevano quale sbocco dare alla rivolta: richiedere tramite la Duma un'assemblea costituente oppure trasferire tutto il potere ai soviet? Ma la rivolta, che non era stata ancora soffocata perché non si era avuta una vera azione repressiva, avrebbe resistito ai giorni successivi? Lo straordinario vuoto politico creatosi negli ultimi anni in Russia si rifletteva chiaramente nella confusione di quel giorno: le autorità credevano di aver completamente perso il controllo della situazione, mentre gli operai temevano che l'imminente repressione li avrebbe travolti.
E infatti, domenica 26 febbraio (11 marzo) l'ordine zarista sembrò avere la meglio. I manifestanti trovarono l'esercito già appostato agli angoli delle strade. Nella centrale piazza Znameskaja i soldati aprirono il fuoco con le mitragliatrici uccidendo quaranta persone. Un reggimento si ammutinò e uccise i propri ufficiali. Nel corso di tutta la giornata si ebbero circa centocinquanta vittime. Giunta la sera, il bilancio politico delle ventiquattrore appena trascorse era disastroso. Mentre si rincorrevano le voci di un imminente arrivo di truppe dal fronte per sedare definitivamente le manifestazioni, i sindacati, gli operai e i partiti rivoluzionari non sapevano che fare. I bolscevichi sembravano voler gettare la spugna.
Come ha scritto lo studioso Marc Ferro:
"I bolscevichi non avevano avuto fiducia in questo movimento che non era stato da loro suscitato interamente e si erano limitati solo a seguire, tanto era diverso dalla forma di insurrezione armata che, secondo loro, era l'unica che potesse raggiungere lo scopo desiderato".
Chi ancora sperava in un successo era invece Aleksandr Kerenskij, avvocato eletto nella Duma tra le fila dei socialisti rivoluzionari. Nemmeno lui fino a quel momento era stato tra i promotori delle manifestazioni, limitandosi come molti altri a osservare da fuori lo sviluppo degli eventi. Quella sera riunì però a casa sua alcuni esponenti rivoluzionari per commentare la situazione e individuare una linea d'azione. Non si trovò un accordo praticamente su nulla: mentre secondo gli esponenti delle organizzazioni clandestine (gli unitari) occorreva muoversi con estrema cautela e proseguire nell'opera di propaganda tra gli operai, Kerenskij era entusiasticamente favorevole all'idea di incanalare immediatamente il malcontento in una svolta antiassolutistica. Paradossalmente, a tenere il freno e a dubitare della forza unitaria degli operai e dei soldati erano proprio gli esponenti delle organizzazioni clandestine, che, in sintonia con le più ortodosse teorie marxiste, pensavano che la vera rivoluzione sarebbe nata da sé solo dopo l'instaurazione di un regime di tipo capitalista.
Il 27 febbraio (12 marzo) i manifestanti furono accolti dai soldati dei reggimenti Pavlovskij, Volynskij, Litovskij e Preobrazenskij. Costretti il giorno prima a sparare sui cittadini inermi, durante la notte i soldati si erano ribellati, avevano ucciso i propri ufficiali ed ora distribuivano armi ai manifestanti. Insieme presero d'assalto il Tribunale. Nel primo pomeriggio, dopo alcuni scontri tra soldati lealisti e ammuntinati, la folla entrò nell'Arsenale impadronendosi di tutte le armi disponibili.
Intanto la sessione della Duma era stata sospesa d'autorità dallo zar. I delegati però si riunirono ugualmente. Gli eventi stavano precipitando, i rumori degli spari si stavano avvicinando e i delegati non riuscivano a trovare una linea d'azione comune: il presidente della Duma, Rodzjanko, sperava ancora in un benevolo e provvidenziale intervento della dinastia, alcuni delegati proposero invece un governo provvisorio militare, altri un governo provvisorio civile, altri ancora di affidare tutti i poteri alla Duma stessa. Mentre la discussione si stava arenando nelle paludi di mille proposte diverse, i manifestanti entrarono nei giardini dove aveva sede l'assemblea. Chiedevano cosa si dovesse fare. L'unico a prendere l'iniziativa fu Kerenskij, che urlò alla folla: "Arrestate i ministri! Occupate le poste, i telegrafi, i telefoni! Occupate le stazioni e tutti gli edifici pubblici".
Ma la rivoluzione, che sembrava affondare come una lama nel burro delle asfittiche istituzioni imperiali, continuava ad essere priva di una centro organizzativo e di obiettivi concreti. Un gruppo di fuoriusciti politici appena liberati dalle prigioni e alcuni esponenti menscevichi, socialdemocratici e internazionalisti decisero allora di costituire un soviet degli operai e dei soldati. Uno sparuto drappello di bolscevichi, tra i quali il giovane Molotov, si aggiunsero più tardi. L'obiettivo primario, in quelle ore di confusione, era quello di appurare la consistenza dell'appoggio militare alla rivoluzione e di organizzare le difese contro un eventuale tentativo di restaurazione. Tuttavia, non era estranea al nuovo soviet anche l'ambizione di fornire un indirizzo politico agli sviluppi della rivoluzione. Fu decisa la creazione di milizie operaie, la pubblicazione di un foglio rivoluzionario e venne lanciata la proposta di una Assemblea costituente.
Di fronte alla presa di posizione del soviet, e nel timore di farsi scavalcare, la Duma ruppe gli indugi e decise un balzo in avanti. Messi da parte i timori istituzionali, accantonati gli appelli allo zar per un ministero di transizione, a tarda serata la Duma dichiarò di avere assunto l'autorità sul Paese: l'intento non era tanto quello di consolidare la rivoluzione bensì di mettervi un freno. Nella capitale russa coabitavano ormai tre diversi centri di potere: il governo zarista, formalmente ancora in carica, la Duma e il soviet degli operai, che si contendevano il diritto alla successione.
Nei due giorni successivi, 28 febbraio (13 marzo) e 1° marzo (14 marzo), la città cadde nelle mani degli insorti. Furono occupati la fortezza di Pietro e Paolo, l'Ammiragliato e il Palazzo d'Inverno. Si contarono diverse esecuzioni sommarie e saccheggi, ma non una vera e propria resa dei conti e tanto meno un bagno di sangue. La rivoluzione di febbraio, più che con la violenza si stava affermando grazie al disfacimento della vecchia struttura burocratica zarista.
Lo zar, che in quelle ore stava tentando di rientrare in treno a Pietrogrado, telegrafò all'imperatrice Alessandra: "Spero che tutto vada bene. Tempo splendido. Numerosi rinforzi arrivano dal fronte. Ti amo teneramente. Niki." Ma i rinforzi stavano invece giungendo tra le fila degli insorti, che ormai potevano contare, dopo le poche centinaia di soldati in rivolta dei primi giorni, sugli oltre 170.000 del 1° marzo.
La legittimità del potere assunto dalla Duma fu ratificato anche dal soviet, che tuttavia dichiarò il suo appoggio a un futuro governo soltanto "nella misura in cui avrebbe applicato un programma che avrebbe avuto il suo accordo". In pratica né la Duma né il soviet volevano scoprire troppo in anticipo le proprie carte. Entrambi gli istituti sapevano di essere completamente impotenti di fronte agli eventi, di non essere in grado di controllare minimamente gli sviluppi di una rivoluzione dall'inequivocabile carattere spontaneo e popolare. Tuttavia, gli uni non volevano rivelare agli altri il vuoto in cui si trovavano a dover agire. "In quel momento - ha scritto Marc Ferro - la Duma sognava di governare con l'esercito come spada ed il soviet come scudo; il soviet di mettere la Duma al timone con una rivoltella sulla tempia per poterla manovrare secondo la sua volontà; senza tuttavia ben sapere dove voleva andare".
Il 2 marzo (15 marzo) Duma e soviet si accordarono per la costituzione di un governo provvisorio presieduto da un liberale moderato, il principe Georgy Yevgenevich Lvov. Attorno al suo nome fecero quadrato una parte consistente dei rivoluzionari, compresa la frazione menscevica del soviet di Pietrogrado. Agli Esteri fu posto Miljukov, leader del partito dei cadetti, di tendenza liberale e costituzional-democratica, e alla Giustizia Kerenskij. Presentando il nuovo governo alla folla stipata nel salone dell'Imperatrice Caterina, in neoministro degli Esteri disse:
"Soltanto tre giorni or sono eravamo appena una modesta opposizione ed il governo russo sembrava onnipotente... Ed ora siamo noi ed i nostri amici dell'ala sinistra che la rivoluzione, l'esercito ed il popolo russo hanno condotto a questo posto d'onore quali membri del primo governo che rappresenti il popolo... Mi si domanda: Chi vi ha eletti? - Nessuno... Perché se ci fossimo messi ad aspettare un'elezione, nel frattempo saremmo stati spazzati via. Siamo stati eletti dalla rivoluzione".
Il discorso fece il suo effetto, raccogliendo le ovazioni del pubblico, che tuttavia avrebbe voluto avere qualche rassicurazione in più sullo sviluppo in senso repubblicano delle istituzioni del Paese. In realtà il fragile equilibrio sul quale si reggeva l'accordo Duma-soviet era basato sull'ambiguità. La forma del nuovo regime sarebbe stata infatti stabilita in seguito da una Assemblea costituente: ma era ormai chiaro che una buona parte della Duma avrebbe preferito mantenere sul trono i Romanov, mentre il soviet puntava a un ordinamento di tipo socialista.
In quelle stesse ore, colui che sarebbe diventato l'artefice del colpo di stato dell'ottobre 1917, venne finalmente a conoscenza della rivolta di Pietrogrado. Secondo una accurata ricostruzione fattane da Solzenicyn, la notizia colse Lenin alla sprovvista, seduto a tavola davanti a un piatto di bollito nel suo appartamentino di Zurigo, dove da qualche tempo si trovava in esilio. Consapevole dell'arretratezza politica delle masse russe, Lenin aveva completamente abbandonato la speranza di suscitare una sollevazione in patria. Da alcuni mesi stava infatti lavorando alla scissione del partito socialista svizzero, in modo da preparare il terreno a una (improbabile) rivoluzione proletaria che dalla Svizzera avrebbe dovuto contagiare tutta l'Europa. Fu un suo stretto collaboratore a informarlo, all'ora di pranzo, che a Pietrogrado pochi giorni prima era scoppiata la rivoluzione. I moti popolari, la Duma, i ministri arrestati e nessuna parola sulla sorte dello Zar. Queste le notizie ridotte all'osso che poco dopo Lenin lesse, tra l'incredulo e lo stupito, sui giornali svizzeri.
(vedi qui l'interessante pagina del "raro" opuscolo di Lenin, "Stato e Rivoluzione", scritto un mese prima ma non ancora pubblicato. Da scrittore divenne poi attore)
Paradossalmente, ancora una volta il partito ultrarivoluzionario di Lenin giungeva in ritardo all'appuntamento con la storia. Già era successo nel 1905, quando i bolscevichi si erano uniti alla "piccola rivoluzione" guidata dal prete Gapon. Ora, la rivoluzione russa li coglieva di sorpresa per la seconda volta. La pattuglia bolscevica a Pietrogrado sembrava infatti essere completamente fuori dai giochi e in posizione nettamente minoritaria. I suoi attivisti presenti in città in quelle convulse giornate erano completamente disorientati e privi di direttive.
La sera di quello stesso 2 marzo, Nicola II non riuscì ad arrivare nella capitale, ormai isolata dagli scioperi.
Nei giorni precedenti era stato raggiunto da notizie frammentarie e discordanti, ma, nonostante gli inviti a individuare una soluzione politica alla rivolta, lo zar si era ostinatamente arroccato su una intransigente difesa dell'ordine costituito e aveva disposto la repressione dei moti insurrezionali. Bloccato nella località di Pskov, a più di 200 chilometri da Pietrogrado, decise infine di sospendere l'invio di truppe verso la capitale e di abdicare a favore del fratello, il granduca Michele. I testimoni presenti all'evento raccontano della calma e dell'apparente indifferenza dello zar: "Si era dimesso dal suo impero come un capitano rinunzia al suo squadrone". Ma sul suo diario Nicola II scrisse: "Parto da Pskov con l'animo oppresso da quanto vi ho vissuto. Attorno a me, tutto è soltanto tradimento, viltà, furfanteria".
Poche ore dopo, la pressione popolare e il timore di nuovi tumulti indussero anche Michele a farsi da parte. L'antica dinastia dei Romanov, che regnava su tutte le Russie dal 1613, era stata scalzata dal trono in pochi giorni e quasi senza colpo ferire.
La rivoluzione di febbraio si era formalmente conclusa. Ma, scomparso dalla scena Nicola II, il conflitto di potere tra il governo provvisorio e i soviet, specialmente su chi avesse dovuto controllare l'esercito, era solo all'inizio. Intanto una sola cosa era certa, la guerra continuava.
A fine marzo il barone von Romberg, ambasciatore della Germania a Berna, comunicava al suo ministero degli esteri un messaggio segretissimo: "Gli esponenti rivoluzionari più in vista di qui vorrebbero ritornare in Russia attraverso la Germania…". La risposta giungeva di lì a poco: "Poiché è nostro interesse che in Russia prevalga la frazione radicale dei rivoluzionari, mi sembra opportuno autorizzare il transito". Il famoso vagone piombato di Lenin sarebbe partito da lì a pochi giorni. Dopo l'iniziale disorientamento il capo dei bolscevichi aveva abbandonato l'idea della rivoluzione svizzera e si preparava a tornare in Russia per scardinare il giovane governo provvisorio.
Poco prima di partire Lenin tenne un'infuocata conferenza alla Casa del popolo di Zurigo. Spiegò che la vera rivoluzione russa non era ancora avvenuta. I soviet, disse, si stavano preparando per l'insurrezione definitiva contro la borghesia.
Aveva ragione. Il carattere provvisorio della rivoluzione di febbraio era ormai sempre più evidente. I governi di Lvov e i due successivi di Kerenskij non riusciranno ad offrire al popolo russo, oltre all'abdicazione dei Romanov, nulla di concreto. Ai contadini non verranno concesse le terre, agli operai non sarà consentito il controllo sulla produzione e ai soldati verrà chiesto di continuare la guerra contro gli imperi centrali. Per un rivoluzionario come Lenin sarebbe stato poco più di un gioco da ragazzi trionfare sulla stanchezza e l'apatia di un popolo allo stremo.
Bibliografia
Storia della Russia nel Novecento. Dall'Impero russo alla Comunità di
stati indipendenti (1900-1999), di N. Werth, il Mulino, 2000
La Russia pre-rivoluzionaria (1881-1917), di H. Rogger, il Mulino, 1992
La rivoluzione del 1917. La caduta dello zarismo e le origini della rivoluzione
d'ottobre, di M. Ferro, Sansoni, 1974
Storia della Russia sovietica. La rivoluzione bolscevica (1917-1923), di E.
Carr, Einaudi, 1971
La rivoluzione russa, di R. Pipes, Mondadori, 1994
Memorie. La Russia alla svolta della storia, di A. Kerenskij, Garzanti, 1967
Storia della rivoluzione russa, di L. Trotzki, Mondadori, 1972
Lenin a Zurigo, di A. Solzenicyn, 1976
Quest'ultima pagina
(concessa solo a Cronologia)
è stata offerta da Franco Gianola
direttore di http://www.storiain.net
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