RELAZIONE DEL GENERALE GEORGE C. MARSHALL
Capo di Stato Maggiore dell'Esercito degli Stati Uniti




LA QUINTA FASE


LE ISOLE SALOMONE

Le operazioni contro Guadalcanal inaugurarono una serie di azioni offensive nel Pacifico, che sono continuate fino ad oggi. L'occupazione delle Isole Salomone permise al nemico di usare basi avanzate aeree e navali, da cui attaccare la nostra lunga linea di rifornimento, attraverso il Pacifico e la costa settentrionale dell'Australia. Il 7 agosto 1942, pertanto, forze navali e reparti di fanteria di marina si impadronirono di alcuni punti lungo le spiaggie delle Isole di Guadalcanal e di Florida ed occuparono Tulagi. II preziosissimo campo d'aviazione a Guadalcanal fu difeso da reparti di fanteria di marina contro una lunga serie di attacchi nemici dall'aria, dal mare, e da terra. La meravigliosa resistenza di questi reparti al comando del maggior generale (ora tenente generale) Alexander A. Vandergrift e l'eroismo delle nostre forze navali segnarono la svolta decisiva nella guerra del Pacifico.
Unità dell'esercito di terra cominciarono a rinforzare la fanteria di marina il 13 ottobre. Il 9 dicembre la regione di Guadalcanal e Tulagi passò all'esercito, e ne ebbe il comando il maggior generale Alexander M. Patch. Ai primi del 1943 una serie di operazioni ardite e perfettamente eseguite da divisioni dell'esercito e da un reggimento di fanteria di marina, appoggiate da azioni aeree offensive e difensive, dapprima ridussero, e poi annientarono la resistenza nemica nell'Isola.

LA PAPUASIA

Mentre il nemico cercava di fermare la nostra offensiva nelle Salomone durante l'estate e l'autunno del 1942, era evidente che esso intendeva anche sfruttare i suoi precedenti successi. Infatti arrivavano continue relazioni di movimenti nemici nelle Bismarck, nelle Salomone Settentrionale, ed in Nuova Guinea. Si vide più tardi che si trattava di preparativi per un'avanzata che, partendo da Buna, attraverso le Montagne Open Stanley, si proponeva come immediato obiettivo Port Moresby, la nostra base avanzata difesa sulla costa meridionale della Nuova Guinea.

Il 12 settembre i Giapponesi avevano respinto le forze di terra alleate fino a 48 km. da Port Moresby in un'avanzata, in cui il nemico diede prova di grande abilita nella guerra di giungla e di montagna. Alla fine però, grazie a nuovi rinforzi terrestri e ad una efficace protezione aerea, riuscimmo ad allontanare questa minaccia. Alla fine di novembre le truppe americane ed australiane, eseguendo attacchi convergenti, erano riuscite a chiudere il nemico in sacche lungo la costa settentrionale. Nella fase finale dell'offensiva alleata le forze dell'aviazione, al comando del tenente generale George C. Kenney, mentre distruggevano tutto il naviglio nemico che tentava di portar rifornimenti alle sue truppe, trasportò in volo un'intera unità di combattimento -cioè truppe, equipaggiamento e vettovaglie- da Port Moresby attraverso la catena delle Montagne Owen Stanley a Buna, utilizzando bombardieri ed apparecchi da trasporto.
La nostra offensiva aerea obbligò in ultimo i Giapponesi ad impiegare paracadutisti e sottomarini per rifornire le loro forze, che stavano resistendo con fanatica tenacia agli assalti delle nostre truppe terrestri.

Ai primi del 1943 truppe americane ed australiane, al comando del tenente generale Robert L. Eichelberg, cacciarono gli ultimi residui nemici dalla costa nord-orientale dalla Nuova Guinea, fino a Buna, lo costrinsero ad abbandonare le trincee lungo le spiagge, e lo distrussero con vigorosi attacchi. Il successo di questa campagna è tanto più notevole in quanto, durante tutta la durata dell'operazione, il generale MacArthar non potè disporre in quantità sufficiente nè di naviglio leggero, nè di aeroplani da trasporto, nè di speciale equipaggiamento da giungla in un clima deleterio ai soldati bianchi.

Le Nazioni Unite ormai si erano assicurate nel teatro del Pacifico posizioni più solide per contrattaccare eventuali azioni offensive dei Giapponesi. Oltre a ciò, i comandanti e le truppe avevano aquistato un'esperienza preziosa sul campo di battaglia. Grazie al comando unificato, stavamo coordinando le truppe di terra, di mare, e d'aria e forgiandole in ottime unità da combattimento. La nostra superiorità aerea era provata dal fatto che perdevamo in media un aeroplano su quattro apparecchi nemici abbattuti; e riuscivamo anche a controllare meglio l'oceano, grazie alla tattica dei bombardamenti "a bomba balzante" (skip bombing) perfezionata nel Pacifico sud-occidentale dagli aviatori del generale Kenney. Per non citare che un esempio, un convoglio che attraverso lo stretto di Vitiaz era diretto verso il Golfo di Huon fu completamente distrutto da un attacco di questo genere. In questa Battaglia nel Mare di Bismarck, gli alleati perdettero un apparecchio da bombardamento, tre caccia e 13 uomini, mentre i Giapponesi perdettero 61 aeroplani, 22 navi, nonchè probabilmente una intera divisione di 15.000 uomini.

Le sempre maggiori risorse di cui possiamo disporre nel Pacifico ci permettono ora una considerevole libertà d'azione. La particolare natura di quel teatro di guerra, quasi tutto oceanico, richiede una perfetta collaborazione delle nostre forze navali, aeree, e terrestri. Non si possono fare le cose a mezzo, per raggiungere gli ardui obbiettivi che abbiamo dinanzi. I successi fin qui riportati nel penetrare lo sbarramento protettivo data dalla catena di fortezze insulari nemiche sono prova evidente della bontà della nostra tattica, che consiste nello sferrare contemporaneamente attacchi con sottomarini e con navi da superfice contro le linee di comunicazione nemiche, di adoperare strategicamente i nostri bombardieri a lunga autonomia di volo contro le basi nemiche di rifornimento e di concentramento di truppe, e di coordinare gli attacchi da parte di tutti i vari elementi successivamente contro i vari obiettivi.

IL TEATRO DI GUERRA EUROPEO

Prima della nostra entrata in guerra, gli Stati Uniti, in base alla legge di Prestito e Affitto, avevano appoggiato l'economia di guerra britannica ed avevano preso gli opportuni provvedimenti perchè i rifornimenti ed i materiali venissero effettivamente consegnati all'Inghilterra. Quando ci trovammo coinvolti anche noi nella lotta, la protezione ed il controllo dell'Atlantico divennero assolutamente indispensabili. Si trattava perciò anzitutto di rafforzare le nostre vie di comunicazione aeree e terrestri e conseguentemente di sviluppare le basi di Terranova, della Groenlandia, dell'Islanda e della Gran Bretagna.

Quando entrammo in guerra, la Germania, pur essendo impegnata sul fronte orientale, aveva un numero sufficiente di divisioni nell'Europa nord-occidentale per minacciare l'invasione dell'Inghilterra attraverso la Manica o una possibile mossa offensiva contro l'Islanda, situata in posizione strategica e fianco della linea di comunicazione tra gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, e la Russia. Un contingente di truppe americane, abbastanza considerevole da scoraggiare una simile impresa, era già stato inviato a rafforzare la guarnigione britannica in Islanda, che nell'estate del 1942 fu interamente sostituita da truppe americane.

DISLOCAMENTO IN GRAN BRETAGNA DI TRUPPE AMERICANE

Benchè a quell'epoca l'iniziativa fosse ancora interamente nelle mani dell'Asse, tuttavia i nostri preparativi erano tutti diretti a progettare future azioni. Il fattore tempo diveniva sempre più importante: occorreva del tempo per istituire le nuove truppe, fornire il naviglio e le munizioni, organizzare le lunghe linee di comunicazione; e intanto bisognava tenere a bada il nemico. Ma stavamo già studiando piani dettagliati per future operazioni offensive, in base alla strategia precedentemente stabilita.

Appena entrammo in guerra, si imponeva la necessità di mandare al più presto possibile truppe americane in Inghilterra, sia per rafforzare le difese britanniche, che erano state seriamente indebolite dall'invio di truppe in Levante ed Estremo Oriente, sia dal punto di vista dell'effetto psicologico sul popolo inglese. Tuttavia, in quel momento, la situazione in Australia appariva così minacciosa, che tutto il naviglio disponibile nell'Atlantico in gennaio dovette essere impiegato per trasportare 25.000 uomini nel Pacifico sud-occidentale, soprattutto per rafforzare le guarnigioni della Nuova Caledonia. Non fu possibile pertanto fino all'estate seguente inviare in Irlanda più di una divisione.

Iniziammo subito i preparativi per creare in Gran Bretagna una potente flotta aerea americana, costituita soprattutto di bombardieri di precisione. Queste unità avrebbero anche potuto assistere gl'Inglesi nella difesa della Isole Britanniche nel caso di una eventuale invasione.
Il movimento di truppe americane verso la Gran Bretagna utilizzava le nostre linee di comunicazione più brevi ed effettuava un concentramento di truppe britanniche, canadesi ed americane, che, appoggiate dalla potentissima RAF obbligò il nemico a tenere impegnate un maggior numero di truppe nella Francia settentrionale; riducendo così le forze che avrebbe potuto impegnare altrove.
Alla fine di gennaio 1942 giunse nel Nord dell'Irlanda il nostro primo convoglio di truppe. I complicati problemi di trasporto, di costruzione e di amministrazione furono risolti in istretta collaborazione con tutti gli uffici britannici interessati.

In giugno il contingente di forze americane concentrate in Gran Bretagna consigliò l'istituzione di un Quartier Generale e di una speciale organizzazione per il teatro di guerra europeo. A ciò si provvede, affidando il comando al maggior generale (ora generale) Dwight D. Eisenhower.

L'attacco dell'aviazione americana contro il continente europeo fu sferrato il 4 luglio 1942, quando sei apparecchi degli Stati Uniti, coi relativi equipaggi americani, parteciparono ad una incursione della RAF su obbiettivi in Olanda. L'azione offensiva dei bombardieri anglo-americani contro il continente europeo promette oggi di divenire un elemento decisivo nella distruzione finale della fortezza germanica. Essa si propone di ridurre all'impotenza la forza aerea tedesca; di disorganizzare gli elementi vitali delle linee di comunicazione nemiche; di distruggere sistematicamente e di sovvertire l'intero sistema economico, militare ed industriale della Germania; ed infine, contando sui risultati psicologici provocati da questi attacchi sul popolo tedesco, di indebolirne il morale e di fiaccarne lo.spirito di resistenza. Questa offensiva aerea ha dunque il doppio scopo di distruggere allo stesso tempo la capacità e la volontà tedesche di continuare la guerra.

GLI ATTACCHI AEREI ALLA FORTEZZA EUROPEA

I reparti di bombardieri pesanti britannici furono organizzati allo scopo di eseguire missioni notturne, mentre le Fortezze Volanti ed i Liberator americani erano destinati ad operazioni diurne. Negli apparecchi britannici la velocità e l'armamento erano limitati, per permettere una maggiore autonomia di volo ed un maggior carico di bombe. Questo tipo di apparecchi è particolarmente efficace per operazione notturne su zone industriali, dove non è assolutamente necessaria una grande precisione di bombardamento. Dall'altra parte, i bombardieri americani sono apparecchi velocissimi, corazzati, costruiti per grandi altitudini e muniti di armamento pesante. Il loro carico di bombe più limitato è compensato dalla precisione del bombardamento, che permette di individuare e distruggere piccoli obbiettivi speciali. La violenza con cui i caccia tedeschi rispondono ai nostri attacchi diurni sono prova evidente dei disastrosi risultati dei nostri bombardamenti di precisione. Il nemico deve trovare un mezzo di reagire a questa tecnica o rassegnarsi alla distruzione delle sue industrie e dei suoi apparecchi da caccia.

Le operazioni alleate nel tener testa all'azione dei sottomarini tedeschi costituisce un ottimo esempio di cooperazione angloamericana, destinata a raggiungere i migliori risultati. Esistono tre tipi di azioni offensive contro i sottomarini, cioè affondarli in mare, distruggere le fabbriche dove essi vengono costruiti ed equipaggiati, ed infine attaccare le basi da cui essi operano. Si possono danneggiare le fabbriche, e le basi possono essere messe fuori combattimento sia per mezzo di un attacco aereo notturno in massa, diretto a distruggere tutta la zona di produzione, sia per mezzo di attacchi diurni di precisione contro centri vitali, quali centrali elettriche, istallazioni, depositi di carburante ed officine specializzate di riparazione.

Durante questi ultimi mesi abbiamo avuto notizie di attacchi sempre più frequenti a Lorient, St. Nazaire, Brest e La Pallice, che sono tutte basi di sommergibili sulla costa occidentale francese. Gli attacchi di precisione sono stati diretti contro punti vitali, la cui distruzione aveva per risultato di rendere inutilizzabile l'intera base; sistema particolarmente necessario dove i bacini e altre istallazioni vitali erano protette da potenti opere in calcestruzzo. Durante gli attacchi notturni eseguiti dagl'Inglesi, sono state lanciate fino a 1000 tonnellate di bombe in una sola incursione, con il risultato di sconvolgere tutto l'andamento della base e di recare un colpo disastroso al morale ed alla capacità lavorativa del personale addetto. Durante le stesso periodo sono stati eseguiti attacchi diurni e notturni in forza contro i cantieri di sommergibili di Vegesàck (presso Brema) e di Wilhelmshaven, e contro le zone industriali di Essere, Dusseldorf, Mannheim, Carlsruhe ed altre, che fabbricano parti essenziali di sottomarini.

Queste operazioni aeree, insieme con l'azione dei reparti antisommergibili e dei cacciatorpediniere alleati, stanno a poco a poco eliminando i sottomarini dalle vie oceaniche.
L'esperienza acquistata nella guerra europea ha dimostrato la bontà dei metodi tattici della nostra aviazione e dei principali modelli di apparecchi. Tra gli esempi di incursioni coronate da successo possono citarsi gli attacchi contro Vegesack e Wilhelmshaven del marzo 1943, in cui dei nostri bombardieri pesanti distrussero più di 80 caccia tedeschi, perdendo soli cinque apparecchi. Tali incursioni riuscirono a mettere fuori combattimento per molti mesi lo stabilimento di Vegesack ed arrecarono ingenti danni alle installazioni navali di Wilhelmshaven.

I nostri attacchi aerei contro la Germania e l'Europa nordoccidentale sono divenuti sempre più violenti, via via che cresceva la forza dell'Ottava Armata Aerea di base in Inghilterra. In questi ultimi tempi è stato possibile coordinare questi attacchi con operazioni di apparecchi di base in Nord Africa. Il fatto che i tedeschi erano stati costretti a concentrare nell'Europa nord-occidentale i Ioro migliori piloti da caccia ha avuto certamente una considerevole influenza sulle operazioni aeree nell'ultima fase della campagna tunisina e sulla situazione in Russia.

Per la creazione di depositi, campi d'aviazione e servizi amministrativi in Gran Bretagna è stato necessario provvedere una enorme quantità di navi, attuare un ingente programma di costruzioni e far funzionare importanti servizi logistici. L'organizzazione di questi elementi vitali nella guerra moderna richiede molto tempo ed impone un onere gravissimo ai nostri mezzi di trasporto oceanici ed aerei, ma al tempo stesso crea una base fermamente stabilita, che è il requisito indispensabile per la guerra tecnica e specializzata di oggigiorno.

Il 10 maggio 1943, in seguito al doloroso incidente d'aviazione che costò la vita al tenente generale Frank M. Andrews, il comando delle operazioni nel teatro de guerra europeo fu affidato al tenente generale Jacob L. Devers.

IL TEATRO DI GUERRA NORD-AFRICANO

Nel gennaio 1942, durante la permanenza a Washington del primo ministro Churchill e del suo Stato Maggiore, furono discusse in dettaglio le operazioni nell'Africa nord-occidentale, nel Marocco ed in Algeria. I mezzi limitati di cui disponevamo a quell'epoca rendevano però impossibile la spedizione. Le discussioni furono proseguite durante la nuova visita del ministro Churchill a Washington nel giugno seguente, ed in luglio si decise di preparare una spedizione nell'Africa nord-occidentale, in congiunzione con una avanzata della Ottava Armata Britannica, che allora si stava riorganizzando sulla linea di El Almein. L'apertura del Mediterraneo avrebbe facilitato le operazioni globali alleate, e l'eliminazione della costante minaccia di attività tedesche nel Marocco ed a Dakar avrebbe contribuito immensamente alla sicurezza della posizione alleata, permettendoci intanto di raccogliere le forze per l'attacco finale. Oltre a ciò, qualora si fosse riusciti ad occupare il Nord Africa senza inasprire troppo le truppe e le autorità francesi in quella regione, la nostra occupazione avrebbe potuto gettare la base per la ricostituzione dell'esercito francese prima del suo ritorno in forza sul suolo della patria. L'effetto psicologico della conquista del Nord-Africa sarebbe stato enorme.

I piani definitivamente approvati prevedevano che forze specializzate britanniche ed americane attaccassero contemporaneamente ad Algeri, a Orario ed a Casablanca. Sarebbe stato molto desiderabile fare degli sbarchi iniziali ad est di Algeri a Bona, Philippeville, e possibilmente a Tunisi, ma la scarsità di piroscafi, di naviglio da sbarco e di navi porta-aerei rendevano tali sbarchi impossibili. Avremmo voluto eseguire l'operazione al principio dell'autunno, ma fu necessario rimandare fino a novembre, per poter ricevere abbondante naviglio dai cantieri e addestrare gli equipaggi destinati a quelle navi. Alcuni dei piroscafi più grossi furono messi a nostra disposizione appena una settimana prima della partenza dei convogli.
Il successo dell'operazione dipendeva dallo studio accurato e dalla perfetta esecuzione di tutti i dettagli, dall'allenamento e dallo spirito combattivo delle truppe, e soprattutto dall'assoluta segretezza di tutti i preparativi.

Il generale Eisenhower, che era stato nominato comandante delle forze alleate destinate a prender parte all'operazione, organizzo a Londra uno Stato Maggior anglo-americano e diresse tutti i preparativi. Furono creati tre corpi destinati all'operazione: uno, composto esclusivamente di Americani partì direttamente dagli Stati Uniti ed eseguì gli sbarchi lungo la costa occidentale del Marocco; un altro, di truppe americane scortate dalla marina britannica, partì dalla Gran Bretagna e sbarcò presso Orano; il terzo, composto di truppe di terra anglo-americane, scortate dalla marina britannica, partì dalle Isole Britanniche e sbarcò ad Algeri. Le forze navali incaricate del servizio di copertura erano in parte inglesi ed in parte americane. Le forze aeree dei due paesi, eccetto gli apparecchi trasportati dalle navi porta-aerei, alcuni bombardieri pesanti e gli aerei da trasporto, dovettero passare tutti dal piccolo campo d'aviazione di Gibilterra, che avrebbe potuto essere messo fuori combattimento in meno di un'ora. Ma non c'era altro alternativa che acccettare questo rischio.

Come evitare di combattere contro le truppe francesi? II problema non era facile. Anzitutto, c'era un fattore della massima importanza. Nella scelta dei metodo da seguire bisognava stare attenti a non compromettere la segretezza con cui, a tutti,i costi, l'azione doveva essere preparata ed eseguita. Sarebbe bastato un accenno ad un solo Francese che non fosse simpatizzante con la nostra causa, ed avremmo rischiato la decimazione dei nostri soldati sulle rive africane e gravi perdite di naviglio. L'effetto psicologico di una simile disfatta, in quella fase particolare della guerra, avrebbe rasentato la catastrofe ed avrebbe potuto avere conseguenze gravissime. Era necessario, tuttavia, accettare il rischio, almeno fino ad un certo punto. Tuttavia, nelle conversazioni riferentisi all'operazione di sbarco, ci limitammo ad accenni vaghi circa l'epoca delle operazioni.

Quei pochi Francesi che avevamo messo al corrente dei nostri progetti furono informati soltanto quattro giorni prima dall'arrivo dei convogli sulle spiagge di Algeri, Orario e Casablanca. Fu perciò assai difficile, ed in certi casi impossibile, per i funzionari francesi di prendere tutte le misure necessarie a facilitare i nostri sbarchi. Eppure, il rischio che avremmo corso, se il nostro proposito fosse stato rivelato anzi tempo al nemico, sarebbe stato troppo grave, per giustificare informazioni più precise ai Francesi.
Il generale Eisenhower si trovava a dover affrontare un problema politico estremente complesso. Da una parte c'erano da considerare i peculiari rapporti esistenti tra il governo di Vichy e Berlino, e tra il governo di Vichy e le provincie francesi del Nord-Africa; dall'altra parte bisognava tener conto delle differenze di religione e di razza e dei profondi dissensi tra le varie popolazioni eterogenee dell'Algeria e del Marocco. Ma in quel momento il generale Eisenhower, avendo a disposizione non più di 107.000 uomini, doveva concentrare i suoi sforzi nella penetrazione di una linea costiera di circa 1300 km. e di un vasto retroterra. Per complicare anche più la situazione, il Generale Eisenhower doveva stare in guardia contro la possibilità di un colpo di mano dell'Asse attraverso la Spagna, che avrebbe potuto bloccare la nostra via di comunicazione attraverso lo Stretto di Gibilterra e tagliare, per mezzo di bombardamenti aerei, l'unica linea ferroviaria da Casablanca a Orano attraverso Fez.

Mentre in Gran Bretagna si stavano preparando due corpi di spedizione, uno tutto americano, che doveva sbarcare ad Orano ed uno misto anglo-americano, destinato a sbarcare ad Algeri, un terzo corpo veniva allestito negli Stati Uniti al comando del maggiore generale (ora tenente generale) George S. Patton Jr. Esso era composto della Terza Divisione di Fanteria e della Seconda Divisione Corazzata, più una gran parte della Nona Divisione di Fanteria, con annessi i relativi servizi e reparti di armi specializzate. II quartier generale di questo corpo venne temporaneamente aggregato al Reparto Operazioni dello Stato Maggiore Generale a Washington, che divenne l'anello di congiunzione tra il generale Eisenhower ed il generale Patton. Il contrammiraglio (ora vice ammiraglio) H. K. Hewitt, che comandò la spedizione fino al momento dello sbarco in Africa, radunò in mare le sue forze il 24 ottobre e partì per Casablanca. Questo corpo di spedizione aveva il preciso ordine di congiungersi con le forze del maggiore generale (ora tenente generale) Lloyd Fredendall, che dovevano sbarcare presso Orano.

Gli effettivi al comando del generale Fredendall consistevano della Prima Divisione di fanteria, più metà della Prima Divisione corazzata, rinforzata da truppe di corpo d'armata. Oltre ad impadronirsi di Orano e dei campi di aviazione adiacenti ed a congiungersi con le forze del generale Patton in vicinanza di Fez, questo corpo di spedizione aveva anche il compito di congiungersi con il corpo di spedizione orientale, che doveva occupare Algeri. Quest'ultimo corpo di spedizione al comando del tenente generale K. A. N. Anderson dell'esercito britannico, consisteva di unità da sbarco e di fanteria inglesi, di due gruppi reggimentali da combattimento americani, provenienti uno dalla Nona ed uno dalla 34.ma Divisione di Fanteria, e di un battaglione di truppe d'assalto. Il primo sbarco doveva essere effettuato sotto la direzione del maggiore generale Charles W. Ryder dell'esercito americano. Il generale Anderson assunse il comando, quando le truppe americane ebbero stabilito le prime teste di ponte.

I due corpi di spedizione partirono dalle Isole Britanniche il 25 ottobre, scortate da navi inglesi. Tre gruppi navali di copertura, uno dei quali americano, furono assegnati ai tre corpi di spedizione.
Per facilitare la conquista dei campi d'aviazione di Orano, i nostri apparecchi da trasporto di truppe effettuarono un volo di 2400 km. con paracadutisti americani.
Fu stabilito che i tre corpi di spedizione lanciassero contemporaneamente i loro attacchi l'8 novembre. Tre giorni prima, il generale Eisenhower aveva stabilito il suo posto di comando a Gibilterra; è interessante rilevare, per mostrare l'unità di proposito degli Alleati nel presente conflitto, che in quella circostanza fu lui ad assumere il comando della Fortezza di Gibilterra. Poco prima della sua partenza da Londra il generale Eisenhower mi indirizzò per radio il seguente messaggio:

"Non voglio lasciare la Gran Bretagna senza esprimere ancora una volta a Lei, ed a tutti i Suoi collaboratori del Ministero della Guerra, la mia profonda gratitudine per l'assistenza e l'appoggio a noi largiti. Se Ella lo riterrà opportuno e se l'occasione se ne presenterà, La prego di porgere i miei ossequi al Presidente ed al Ministero della Guerra e di dire loro che noi tutti siamo decisi a effettuare con successo la presente operazione".

GLI SBARCHI

Nonostante le trattative intavolate con alcuni funzionari francesi, la misura della resistenza che avremmo incontrata rimaneva ancora problematica. Il generale Eisenhower radiodiffuse un proclama, in cui dichiarava le nostre buone intenzioni verso le provincie del Nord-Africa e dava istruzioni alle truppe francesi, invitandole a mettere in mostra determinati segnali, per indicare che non avrebbero resistito. Comunque, tutti e tre i corpi di spedizione agirono nella supposizione che avrebbero incontrato resistenza. Avevano ordine di non sparare, fino a che non fosse stato aperto il fuoco contro di loro. Ma, al primo atto ostile da parte dei Francesi, a tutte le truppe doveva essere comunicata per radio la parola d'ordine "Giocate a pallone," che doveva essere il segnale di una vigorosa azione offensiva.

Al momento in cui cominciarono i primi sbarchi in Algeria, all'una antimeridiana dell'8 novembre, il presidente Roosevelt diede assicurazioni per radio al popolo francese che gli Alleati non aspiravano a conquiste territorali e chiedevano la cooperazione francese. Anche il governo spagnolo fu informato che l'occupazione non era diretta contro il Marocco spagnolo, nè contro nessun altro possedimento spagnolo nel Nord-Africa.
Gli sbarchi furono effettuati puntualmente, con un ardire ed una efficienza, che ci permisero, nel termine di 48 ore, di raggiungere i primi obiettivi, cioè la conquista dei maggiori campi d'aviazione e dei porti del Nord-Africa.

TRATTATIVE DIPLOMATICHE

Tutte queste operazioni militari andavano di pari passo con trattative diplomatiche, intese a far cessare rapidamente la resistenza francese.
Tanto il generale Charles de Gaulle, capo dei francesi combattenti, quanto il generale Henry Giraud, che era scappato dalla Germania in Francia e poi dalla Francia a Gibilterra, trasmisero degli appelli alla radio, appena le nostre operazioni ebbero inizio, chiamando i Francesi a collaborare con noi.
Il generale Eisenhower aveva dichiarato che il generale Giraud
sarebbe stato a capo degli affari civili e militari nel Nord-Africa, ma si trovò che i funzionari francesi sul posto rimanevano invece fedeli al governo del maresciallo Pétain. La nota del presidente Roosevelt diretta al capo del governo francese assicurava il maresciallo Pétain che noi non avevamo altro desiderio che la liberazione della Francia, ma la risposta del capo del governo francese non fu quella che si desiderava.

Il 9 novembre il governo di Vichy consegnò il passaporto al nostro ambasciatore e diede ordine alle unità francesi nel Nord-Africa di resistere alle nostre forze, che a quell'epoca avevano ormai eseguito tutto il loro compito, eccetto sul fronte di Casablanca.
Inaspettatamente l'ammiraglio Jean Darlan, che era stato designato come successore di Pétain ed era il comandante in capo di tutte le forze francesi, si trovava in Algeri, a far visita ad un figliuolo ammalato, quando sbarcarono le nostre truppe. Egli fu tratto in arresto protettivo e, quando apparve evidente che i capi francesi rimanevano fedeli al governo di Vichy, si diede immediatamente inizio ad una serie di conversazioni, intese ad eliminare la resistenza francese contro il corpo di spedizione del generale Patton nei pressi di Casablanca.

Quando, la mattina dell'11 novembre, i tedeschi invasero la zona della Francia non occupata, Darlan rinnegò il governo pseudo-indipendente di Vichy, assunse il comando nel Nord-Africa in nome del maresciallo Pétain e diramò un ordine a tutti i comandanti francesi del Nord-Africa di cessare le ostilità. Tale ordine giunse a Casablanca pochi minuti prima di un attacco, che avrebbe dovute essere lanciato contro la città nelle prime ore del mattino dell'11 novembre.

Il governo del Nord-Africa cambiò atteggiamento ed entrò in stretta collaborazione con le Nazioni Unite, sotto un governo provvisorio avente a capo l'ammiraglio Darlan, col generale Giraud quale comandante in capo delle unità terrestri ed aeree francesi. Successivamente anche l'Africa occidentale Francese, sotto il governatore generale Pierre Boisson, dichiarò la sua adesione al governo di Darlan, mettendo a disposizione della causa alleata ulteriori unità navali e reparti militari allenati e rendendo possibile l'immediato uso di una breve rotta aerea dagli Stati Uniti ai campi di battaglia nord-africani. Furono immediatamente stabiliti cordiali rapporti col Sultano del Marocco; e più tardi, si riuscì a convincere il generale Horgaz, Alto Commissario del Marocco spagnolo, che le forze americane non contemplavano alcuna azione contro il territorio spagnolo.

Appena cessate le ostilità, le forze del generale Eisenhower si trovavano di fronte molti ed urgenti problemi da risolvere. Bisognava sgombrare dai porti le navi affondate, riparare moli e banchine, sviluppare le poche e trasandate linee ferroviarie, mettendole in condizione di far fronte ad un ingente traffico, organizzare pattuglie anti-sommergilibi per proteggere le nostre linee marittime nel Mediterraneo, provvedere alle necessità della popolazione civile ed instradare l'economia verso la ricostruzione. Bisognava inoltre equipaggiare le forze francesi del Nord-Africa e disporre le nostre truppe per esser pronti a parare un eventuale colpo di mano tedesco attraverso la Spagna; bisognava infine -ed era il compito più importante- far prendere alle nostre truppe contatto col nemico, in modo da distruggerlo nel Nord-Africa.

LA LOTTA PER LA TUNISIA

La rapida estensione della nostra offensiva verso oriente fu facilitata dal rapido sbarco in Algeri, reso possibile dalla collaborazione francese. Le nostre forze subirono relativamente poche perdite in questa operazione e, appena potè essere organizzato il necessario appoggio logistico, erano già in marcia verso la Tunisia.
Era evidente che avevamo effettuato una sorpresa strategica. La Tunisia era lievemente difesa dai Francesi. Ad oriente ' "Africa Korps" tedesco e le forze italiane che lo accompagnavano erano stati cacciati dalle posizioni di El Alamein per opera dell'armata del generale Sir Bernard Montgomery, pochi giorni prima dei nostri sbarchi.

Nonostante le evidenti difficoltà di approvvigionamento, l'immediata occupazione della Tunisia appariva indispensabile. Appena ci fummo assicurati la collaborazione francese, gli elementi d'avanguardia della Prima Armata inglese, e poche delle unità americane che erano sbarcate ad Algeri, furono nuovamente imbarcati per una mossa verso Bougie, più all'est, dove infatti giunsero l'11 novembre. Iniziarono subito la marcia, ed il giorno seguente Bona fu occupata da due compagnie di paracadutisti inglesi e da una unità da sbarco arrivata per mare. Il 15 novembre fu dato ordine che le truppe francesi, che si trovavano ad Algeri ed a Costantina, proteggessero il fianco meridionale delle unità britanniche ed americane, che stavano avanzando verso la Tunisia attraverso la zona costiera. Le unità francesi vennero rinforzate da truppe americane, comprese alcune unità anti-carro, ed una delle missioni a loro assegnate era la protezione dai campi d'aviazione avanzati nella zona di Tebessa e Gafsa.

Intanto le nostre unità aeree si erano portate nell'Algeria orientale ad appoggiavano le nostre colonne, operando da campi d'aviazione insufficienti od improvvisati, nonostante la scarsità di benzina e la gran difficoltà di approvviggionamenti.

Subito dopo i nostri sbarchi in Nord-Africa, forze dell'Asse furono spedite a gran velocità in Tunisia per via marittima ed aerea. Già il 16 novembre le nostre truppe avanzanti incontrarono delle pattuglie tedesche circa 100 km. ad occidente di Tunisi. I reparti avanzati della Prima Armata britannica, con rinforzi americani, raggiunsero il 25 novembre Megiez-el-Bab, circa 50 km. a sud-ovest di Tunisi, ed il 28 novembre si impadronirono del campo di aviazione di Gedeida. Più a sud, unità alleate raggiunsero Pont du Fahs, mentre paracadutisti americani operavano nella zona di Sbeitla-Gafsa. La resistenza dell'Asse andava aumentando, con intensificata attività delle forze meccanizzate e di artiglieria. La nostra avanzata verso la stazione di Jefna, 53 km. a sud-ovest di Biserta, fu respinta il 30 novembre. Forti contrattacchi dell'Asse, appoggiati da carri armati, costrinsero gli Alleati a ritirarsi da Teburba, ma riuscimmo a resistere a simili contrattacchi diretti contro Megiez-el-Bab.

Le linee di comunicazione marittime ed aeree tra la Sicilia e la Tunisia, brevi e facili a proteggere, permisero il rapido accrescersi delle forze dell'Asse. I porti più vicini in mano agli Alleati, cioè Bone e Philippeville, avevano capacità molto limitata. Ma il massimo vantaggio del nemico era dato dal fatto che egli possedeva tutti gli aeroporti attrezzati per funzionare con qualsiasi tempo. Infatti, la stagione delle pioggie per un po' di tempo impedì ai nostri caccia di dare il necessario appoggio alle truppe d'avanguardia. Le difficoltà di approvvigionamento divenivano sempre maggiori, tanto che ai primi di dicembre fu praticamente sospesa qualsiasi azione offensiva. Intanto il nemico rinforzava rapidamente le sue posizioni, che avevano assunto il carattere di una testa di ponte intesa a proteggere la linea Biserta-Tunisi e che si estendevano a sud, fino a raggiungere le basi situate nella pianura costiera verso Susa, Sfax e Gabes. Megiez-el-Bab rimaneva la chiave di volta delle posizioni alleate.
Nel bel mezzo di questa campagna, l'assassinio dell'ammiraglio Darlan suscitò una crisi politica, che fu seguita dalla nomina del generale Giraud a successore di Darlan, da parte dei governatori dell'Africa settentrionale francese.

LA CADUTA DELLA TUNISIA

All'inizio dell'anno nuovo, gli avversari in Tunisia stavano saggiando le loro rispettive forze lungo la linea parzialmente stabilita, lottando per la supremazia aerea, concentrando gli uni e gli altri le loro forze contro i porti e le linee di comunicazione.
In Libia, l' "Africa Korps" di Rommel col suo complemento di truppe italiane, abbandonò una serie disposizioni difensive, ritirandosi finalmente in Tripolitania. In febbraio le sue truppe si erano fermate sulla linea del Mareth nella Tunisia sud-orientale.

Intanto le forze del generale Eisenhower stavano riorganizzandosi sul fronte tunisiano, e preparandosi a riprendere l'offensiva contro le posizioni dell'Asse. Le truppe erano al comando tattico del generale Anderson, che comandava la Prima Armata britannica. In tutti i casi possibili, le unità americane furono concentrate e le unità francesi organizzate in unità da combattimento. Attacchi tedeschi contro posizioni debolmente presidiate da truppe francesi consigliarono tuttavia di fondere maggiormente le varie unità alleate.

Durante tutta la campagna in Africa e fino a quest'epoca, il generale Eisenhower era rimasto il Comandante in Capo delle forze americane di terra e di mare nelle Isole Britanniche. Questa disposizione, presa originariamente, fu mantenuta per dargli mano libera nel disporre delle risorse da noi stabilite in Gran Bretagna. Prima di lanciare la campagna africana era stato deciso di effettuare in febbraio una separazione; questa infatti ebbe luogo il 4 febbraio, quando il generale Andrews, un ufficiale d'aviazione specializzato, che era stato inviato in Medio Oriente per acquistare esperienza di combattimento e per prender contatto coi nostri alleati, fu nominato comandante delle forze americane nella zona di operazioni europee, col suo Quartier Generale a Londra. Parallelamente fu istituita una cosiddetta zona di guerra nord-africana, al comando del generale Eisenhower.

Quando l'Ottava Armata britannica arrivò alla linea dei Mareth, anch'essa passò al comando dei generale Eisenhower. Il generale Sir Harold Alexander dell'esercito britannico fu nominato comandante in seconda e gli fu affidato il comando diretto del 18.mo Gruppo d'Armata, che consisteva della Prima Armata britannica, dell'Ottava Armata britannica e del Secondo Corpo d'Armata americano e delle unità francesi sul fronte tunisino. Le unità aeree nord-africane furono organizzate nel Reparto aereo mediterraneo (Mediterranean Air Command) al comando del maresciallo dell'aria Sir Arthur Tedder, col maggiore generale (ora tenente generale) Carl Spaatz dell'esercito americano come comandante delle forze aeree di base nell'Africa nord-occidentale.

Tutti i bombardieri pesanti, insieme col loro appoggio di caccia, furono raggruppati dal generale Spaatz nella cosiddetta Squadra Aerea Strategica (Strategie Air Force) al comando dei generale Doolittle. Il generale Spaatz gettò anche le basi e fece a quel tempo i primi passi per l'unificazione dei comando di bombardieri leggeri e medi, coi relativi caccia di appoggio, in un'unica squadra, detta Squadra Aerea Tattica (Tactical Air Force), intesa ad appoggiare direttamente le operazioni terrestri e marittime. L'ammiraglio della flotta, Sir Andrew Cunningham, divenne Comandante in Capo nel Mediterraneo alle dipendenze del generale Eisenhower. Questa riorganizzazione dei comandi alleati ebbe come conseguenza le vittorie che ben presto dovevano seguire, cioè la battaglia della Tunisia e la conquista della Sicilia.

Il congiungimento dell' "Africa Korps," formato di tutti veterani, con le truppe comandate dal generale Von Arnim in Tunisia permise ai nemico di lanciare un'offensiva contro le posizioni meno difese nella lunga linea alleata. Il 14 febbraio, unità corazzate nemiche, con rinforzi di artiglieria e fanterie e appoggiate da aeroplani da picchiata, lanciarono l'offensiva da Faid verso occidente e riuscirono a forzare il Passo Kasserine. II pomeriggio del 21 feb
braio le forze dell'Asse avevano effettuato un'avanzata da tre parti, arrivando fino a 35 km. al di là del passo ed in tal modo minacciando le posizioni alleate nella Tunisia centrale. Il generale Eisenhower trasmise per radio i seguenti commenti riguardo a queste operazioni:
"Le nostre presenti difficoltà tattiche derivano dal fatto che forse ho voluto tentare troppo, mentre la resistenza delle nostre truppe nella zona centrale montuosa aveva cominciato a indebolirsi fin dal 17 gennaio. La necessità di sostenere tale resistenza, ha assorbito la maggior parte della Prima e della 34ma Divisione americana, che originariamente erano state mandate avanti quali riserve, e per permetterci di attaccare dalla linea che allora tenevamo.
"Se Lei avesse potuto vedere il magnifico spirito delle truppe americane in tutte le parti del fronte, ne sarebbe rimasto certamente impressionato. Le assicuro che i soldati che usciranno da questa campagna avranno acquistato una grande esperienza di battaglia e daranno prova di efficienza tattica"
.

Le perdite di carri armati furono considerevoli da entrambe le parti. Il nemico riuscì a tenere le sue posizioni avanzate soltanto per due giorni, prima di retrocedere dinanzi all'attacco concentrato delle nostre forze di terra, appoggiate da tutta l'aviazione alleata di base in Nord-Africa. Impiegammo perfino i bombardieri pesanti contro le colonne nemiche, che si ritiravano. Durante la ritirata, il nemico tentò di sfruttare possibili movimenti di rinforzo alleati verso sud, sferrando potenti attacchi contro la regione di Megiezel-Bob. Ma tali attacchi furono respinti e fermati dopo qualche lieve successo iniziale. Questi furono gli ultimi tentativi nemici di effettuare azioni offensive in Tunisia.

Le pioggie erano cessate; le strade erano state migliorate; le comunicazioni ferroviarie erano state modernizzate con sistemi e materiali americani; ed erano stati costruiti più di dieci oleodotti, tra cui i più importanti erano quello da Bona a Ferriana e quello da Philippeville a Uled Ramoun. Con l'aggiunta di questi nuovi mezzi era più facile trasportare ulteriori contingenti di truppe americane in Tunisia. Era giunto il momento di
iniziare lo sforzo collettivo alleato, per liberare il continente africano dalle forze dell'Asse. Il nostro piano strategico è indicato in succinto dal seguente radiogramma del generale Eisenhower in data 11 marzo:
"Il nostro piano contempla una serie di azioni offensive sempre in aumento. Al Secondo Corpo d'Armata sarà assegnato il compito di attirare il maggior numero possibile di forze nemiche dal sud, per facilitare all'Ottava Armata del generale Montgomery il passaggio del Mareth.
"Quando l'Ottava Armata avrà varcato questa strettoia, la nostra campagna assumerà subito un carattere definito e continueremo a premere e ad incalzare il nemico in tutta la regione".

L'ultima fase della battaglia della Tunisia ebbe inizio la sera del 20 marzo, quando la Squadra Aerea del Deserto Occidentale (Western Desert Air Force) operando alle spalle dell'Ottava Armata britannica (compreso il Nono reparto aereo americano al comando del generale Brereton) lanciò un'offensiva aerea, e bombardò incessantemente per 24 ore le posizioni dell'Asse e gl'impianti della zona del Mareth, sorpassando in intensità qualsiasi operazione precedente, della vittoria di El Alamein in poi. L'Ottava Armata attaccò e conquistò una testa di ponte attraverso i campi minati della zona settentrionale, mentre le truppe neo-zelandesi fiancheggiavano dal sud la linea del Mareth. La pressione esercitata contemporaneamente dalla Prima Armata britannica, dai Francesi, e dal Secondo Corpo d'Armata al comando del generale Patton contro la testa di ponte nemica, contribuì a distogliere lo sforzo nemico dal sud. La sua posizione andò gradualmente indebolendosi, e finalmente, il 7 aprile, alcune pattuglie della Nona Divisione, avanzando verso sud-est da Gafsa, riuscirono a prender contatto con unità dell'Ottava Armata a 32 km. dalla costa.

Sfax fu conquistata il 10 aprile dalle forze del generale Montgomery. Le colonne di Rommel non riuscirono a resistere a Susa, perchè gli Alleati avevano sfondato la linea nemica a Fonduk ed avevano successivamente conquistato Kairuan e Pichon. Rommel si ritirò quindi sulle sue posizioni preordinate per l'ultima resistenza al di là di Enfideville.

L'ANNIENTAMENTO DELLA FORZA AEREA NEMICA

Gli attacchi aerei di questo periodo offrirono un esempio classico dell'uso strategico e tattico della forza aerea. L'aviazione alleata per molto tempo aveva studiato ogni aspetto dell'attività aerea nemica per i trasporti attraverso il Canale di Sicilia. Si aspettava il momento di cogliere il massimo concentramento di apparecchi da trasporto sui campi d'aviazione siciliani ed africani, e di attaccare quando il nemico aveva urgentissimo bisogno di trasporti aerei. Il 5 aprile si presentò una buona occasione e furono sferrati attacchi aerei di notevole intensità sugli aerodromi della Sicilia e della Tunisia; furono distrutti più di 150 apparecchi nemici sul terreno, ed altri 50 furono abbattuti in area; furono anche sferrati potenti attacchi contro porti e navi nemiche. Durante un periodo di due settimane furono complessivamente danneggiati o distrutti, 147 aerei da trasporto e 31 navi tra grandi e piccole. La subitanea c violenta interruzione così provocata delle comunicazioni dell'Asse tra la Sicilia e le forze in Tunisia sorprese indubbiamente il nemico, sconvolse i suoi piani intesi ad affettuare azioni di temporeggiamento e a difendere la penisola di Capo Bon, precipitando così il collasso delle forze tedesche ed italiane.

L'avanzata dell'Ottava Armata lungo la costa terminò il compito del Secondo Corpo d'Armata, che fu ritirato da quel fronte ed iniziò invece una difficile manovra, passando a tergo della Prima Armata britannica e ricomparendo sul fianco sinistro delle forze alleate. Il generale Patton, che aveva comandato il Corpo d'Armata durante l'operazione destinata ad infrangere la linea del Mareth, fu richiamato, per permettergli di completare i piani per l'invasione della Sicilia; in sua vece assunse il comando il maggiore generale (ora tenente generale) Omar N. Bradley, che era stato comandante in seconda.
Rendendosi conto della difficoltà di difendere tutte le larghe vallate comprese nel perimetro della testa di ponte; il generale Von Arnim minò tutte le vie di possibile approccio da parte delle nostre forze meccanizzate. Il 20 aprile, il Secondo Corpo d'Armata attaccava nel terreno montuoso a nord di Megiez-el-Bab, aprendo così la via per una puntata offensiva verso la vallata del Tine, che finì poi per infrangere la posizione dell'Asse. Il 3 maggio la Prima Divisione Corazzata riuscì a sfondare la linea nemica con un'azione potentissima, che le permise di raggiunger Mateur, a soli 30 km. in linea d'aria da Biserta. Era giunto il momento di assestare il colpo finale.

II 5 maggio il generale Eisenhower inviava la seguente comunicazione:
"Domani mattina inizieremo la grande offensiva, che speriamo e crediamo ci porterà a Tunisi entro uno o due giorni. Credo che riusciremo a superare molto presto la punta di Biserta, ma la conquista della Penisola di Bon potrebbe presentare serie difficoltà".

Unità corazzate britanniche si erano concentrate tra Megiez-elBab e Pont du Fahs, preparandosi per l'offensiva lungo il Corridoio della Megierda. Dopo due giorni di aspri combattimenti di fanteria, e precisamente il 7 maggio, queste forze corazzate, appoggiate da un concentramento di unità aeree senza precedenti, riuscirono a sfondare le brecce aperte dall'artiglieria e dalla fanteria britanniche e giunsero senza incontrare resistenza fino nei sobborghi di Tunisi.
Una volta intaccate, le posizioni della difesa nemica crollarono completamente. II Secondo Corpo d'Armata sfruttò i suoi successi iniziali, avanzando a nord, entrando a Biserta il 7 maggio e circondando le forze dell'Asse a nord di Garaet Achkel e del Lago di Biserta. Una parte delle truppe poi si diresse ad oriente, per bloccare la minaccia nemica a nord delle linee dell'Asse nella pianura di Megierda.

Nel frattempo, le forze britanniche si riversavano in gran numero attraverso la loro breccia iniziale, allargando il cuneo tra le forze dell'Asse, che difendevano la penisola di Capo Bon e quelle accerchiate tra Tunisi e Biserta. Queste ultime si arresero il 9 maggio. Altre truppe nemiche più a sud avevano ripiegato verso il malsicuro riparo di Capo Bon, costrettevi dalla crescente pressione dell'Ottava Armata britannica e del 19.mo Corpo d'Armata francese al comando dei generale Louis Marie Koelts. Due divisioni corazzate britanniche eliminarono i resti delle forze motorizzate dell'Asse a sud di Tunisi ed il 10 maggio puntarono direttamente sulla penisola di Capo Bon, annientando l'ultima resistenza nemica.

Durante questo periodo l'azione navale eseguita agli ordini dell'ammiraglio Cunningham, nonchè la completa distruzione di ogni trasporto aereo che si dirigesse verso la Tunisia, avevano isolato il nemico, tagliandogli i rifornimenti e facendo sì che neppure lo Stato Maggiore tedesco avesse più la possibilità di fuggire. Il dominio dell'aria da parte degli Alleati era in diretto rapporto con le decisive sconfitte inflitte agli apparecchi da caccia nemici nei nostri bombardamenti diurni di precisione l'Europa nordoccidentale. Il nemico infatti si era trovato nell'impossibilità di concentrare sul fronte africano apparecchi e piloti esperti in numero sufficiente a far fronte alla schiacciante superiorità degli apparecchi britannici ed americani.

Si arresero 252.415 uomini, tra Tedeschi ed Italiani, e fu catturata una gran quantità di materiale. Era così compiuta la conquista del continente africano, e le Nazioni Unite si trovavano ormai in condizione di lanciare attacchi più diretti contro il lato meridionale della fortezza europea.* Ma questo costituiva soltanto un aspetto della vittoria. Il Mediterraneo era di nuovo aperto al naviglio alleato, ciò che, accorciando il tempo necessario alle navi per un viaggio di andata e ritorno, voleva dire un immediato aumento di navi disponibili equivalente a circa 240 navi. Era risorto l'esercito francese, che, penetrando in profondità nelle linee nemiche, aveva celebrato l'occasione con la cattura di 48.719 prigionieri. Le truppe americane avevano dimostrato le loro qualità combattive ed avevano acquistato una esperienza preziosa, che poteva essere messa a profitto in tutto l'esercito.

Le forze aeree alleate avevano dimostrato il successo di una tecnica basata sull'efficace collaborazione con le truppe di terra e sull'impiego strategico della potenza aerea. Infine, l'unità dello sforzo alleato e la cooperazione dei comandanti e degli Stati Maggiori, erano apparse a tutto il mondo nella maniera più convincente, promettendo un concentramento di forze anche maggiore, che finirà per eliminare il nemico dal continente europeo.


IL LEVANTE

In base alla Legge di Prestito e Affitto, nei mesi che precedettero immediatamente l'attacco di Pearl Harbor, spedimmo grandi quantità di equipaggiamento americano in Oriente. Inviammo inoltre del personale tecnico, in gran parte borghese, per provvedere alla manutenzione di aeroplani, autocarri, e carri armati ed assistere così gl'Inglesi nella manutenzione di equipaggiamento americano ceduto a loro (20). Furono istituite in Egitto e nell'Iran missioni americane, per coordinare e sorvegliare le attività connesse alla Legge di Prestito e Affitto e per stabilire le necessarie rotte aeree, lungo le quali gli apparecchi americani potessero essere spediti in Levante, in Russia, in India, ed in Cina.
Dopo la nostra entrata in guerra, queste missioni, composte in gran parte di tecnici borghesi, passarono sotto il controllo delle autorità militari. Nel giugno 1942 si impose la necessità di designare un comandante delle forze armate americane in Levante, affidandogli il comando non solo delle missioni in Nord Africa e nell'Iran, ma anche di tutto il personale militare di quella zone. Contemporaneamente, fu istituito anche un comando simile per il controllo delle forze armate americane in tutta l'Africa Equatoriale, unificando così il comando di tutta l'aviazione lungo la rotta aerea africana.

La crisi sviluppatasi nel giugno 1942, con il ripiegamento della Ottava Armata britannica sulla linea di El Alamein, minacciava non soltanto il Canale di Suez, ma anche la rotta dei nostri trasporti aerei verso la Russia, e l'Asia. Per conseguenza, tutti gli apparecchi di cui si poteva fare a meno in altre zone di operazione, furono concentrati nel Levante, per attaccare le linee di comunicazione dell'"Afrika Korps" in Libia ed attraverso il Mediterraneo. Ci affrettammo ad inviare, su treni e navi, all'Ottava Armata britannica carri armati medi e cannoni da 105, mm. autoportati; furono prese inoltre tutte le misure compatibili con la situazione militare in altre parti del mondo, per aiutare l'Ottava Armata a mantenere le sue posizioni, mentre essa si riorganizzava e si preparava per la marcia trionfale che doveva condurla attraverso tutta la Libia.

Nei mesi successivi, i nostri bombardieri pesanti estesero la loro attività a tutto il Mediterraneo, attaccando i porti dell'Asse situati sulla costa meridionale europea. Le perdite inflitte al nemico furono così gravi, che esso si trovò costretto a provvedere uno potente scorta per i suoi convogli, riducendo considerevolmente il volume del carico trasportabile. Bombardieri medi americani destinati al Levante partirono dagli Stati Uniti ed attraversarono l'Africa in volo; numerosissimi apparecchi da caccia giunsero al Cairo; alcuni di essi decollavano da navi porta-aerei, che facevano servizio nell'Atlantico; altri, spediti in casse a Takoradi sulla costa occidentale africana, venivano quivi montati e giungevano in volo a destinazione.

In ottobre, grazie al miglioramento della situazione quanto a truppe, equipaggiamento ed organizzazione logistica, il generale Montgomery riusciva a sfondare la linea di El Alamein e ad inseguire il nemico per 2400 km. fino in Tunisia. La nostra aviazione, composta di bombardieri pesanti e medi e di apparecchi da caccia, ed organizzata come Nona Armata Aerea al comando del generale Brereton, participò ai preparativi che precedettero l'attacco alle posizioni nemiche a El Alamein e diede un efficace contributo al successivo inseguimento, colpendo ripetutamente apparecchi da trasporto tedeschi nel Canale di Sicilia nell'ultima fase della battaglia per la Tunisia. Più tardi la Nona Armata Aerea fu impiegata nel bombardamento di posizioni dell'Asse nel Mediterraneo, tra cui Pantelleria e la Sicilia, nonché in efficaci incursioni contro Napoli, Messina, Reggio ed altri centri italiani, che contribuirono tutti potentemente ad indebolire il morale dei popolo italiano. (*)

(*) Il 1° agosto i bombardieri pesanti dell'Ottavo e Nono Reparto Aereo sferrarono un attacco potentissimo contro gl'impianti di petrolio e benzina tedeschi, distruggendo con una singola incursione circa il 75 percento delle raffinerie di petrolio a Ploesti in Romania. La lunghezza del volo, l'ammirevole precisione del bombardamento e l'ardire dell'impresa diedero un meraviglioso esempio della qualità degli apparecchi americani e del valore dei loro piloti.

TEATRO DI GUERRA ASIATICO

Nel gennaio 1941 lo stabilimento Curtiss, completando un contratto con l'Inghilterra per la costruzione di apparecchi da caccia P-40, dichiarò che, qualora ricevesse un ordine entro dieci giorni, sarebbe stato in grado di fornire altri 300 apparecchi P-40 entro il giugno dello stesso anno. Secondo le clausole dei contratti stipulati con l'Inghilterra, le autorità militari americane controllavano le assegnazioni di ulteriori apparecchi. I Cinesi si trovavano a quel tempo in una condizione gravissima per mancanza di apparecchi da caccia. Io feci perciò la proposta che, se gl'Inglesi s'impegnavano a cedere immediatamente 50 P-40 al governo cinese, seguiti da 25 in febbraio e 25 in marzo (imputandoli ai loro contratti preesistenti), il governo degli Stati Uniti avrebbe permesso l'assegnazione dei 300 suddetti apparecchi all'Inghilterra entro giugno.
La proposta fu accettata, ed i cento aeroplani arrivarono in Cina al principio dell'estate del 1941, fornendo l'equippaggiamento per la famosa squadriglia conosciuta: col nome di "Tigri Volanti" e formata di piloti volontari al comando del colonnello (ora maggiore generale) Claire Chennault, ex-ufficiale dell'esercito americano allora al servizio del governo cinese.

Grazie alla Legge di Prestito e Affitto, vari tipi di materiale giungevano in Cina attraverso la strada della Birmania. Con l'entrata in guerra del Giappone, l'importanza della Cina come teatro di guerra crebbe immensamente, perchè c'era la possibilità che gli areoporti cinesi fossero impiegati come basi di operazioni contro il Giappone propriamente detto. Data la gravità della situazione in quella zona, il maggiore generale (ora tenente generale) Stilwell fu designato a rappresentare gli Stati Uniti in tutte le attività connesse coi nostri interessi militari, in particolare: piloti, aeroplani, servizi di trasporti aerei, materiale da fornire alle forze di terra cinesi e istruzione tecnica e tattica di tali forze.

Nel gennaio 1942 l'offensiva giapponese in Malesia si era estesa alla Birmania Meridionale. Con la caduta di Singapore in febbraio, i Giapponesi furono in condizione di lanciare un'offensiva coronata da successo contro le truppe inglesi e quelle di rinforzo cinesi in Birmania; questi successi furono seguiti ben presto dalla conquista di Lashio, capolinea occidentale della strada della Birmania. In questa disgraziata operazione alleata il generale Stilwell comandava due piccoli corpi d'armata cinesi, il cui spirito combattivo era molto ostacolato dalla quasi assoluta mancanza di aviazione, artiglieria, e adeguati rifornimenti.
Essendo stata ormai tagliata la strada della Birmania, il Generale Stilwell gettò immediatamente le basi per un servizio aereo regolare attraverso l'Himalaia, utilizzando personale e materiale dell'esercito, oltre ad un piccolo reparto aereo da combattimento, il cui nucleo era costituito da apparecchi da bombardamento e da caccia e da reparti servizi mandati dall'Australia in India agli ultimi di febbraio.

Il rafforzamento della potenza aerea americana in India, intesa a tenere a bada la minaccia nemica dall'altra parte della Baia del Bengala, permise, il 2 aprile, l'inizio di bombardamenti contro le unità della flotta giapponese nelle Isole Andaman. Il primo volo del Reparto di Trasporto Aereo (Air Ferry Command) in Cina attraverso l'Himalaia fu portato a termine sei giorni più tardi. La necessità di trasportare personale, equipaggiamenti, benzina e altri rifornimenti in Cina attraverso le montagne, dopo che tutto era stato trasportato per mare da un emisfero all'altro, imponeva dei problemi logistici senza precedenti. L'attività delle nostre forze aeree in India, Birmania, e Cina obbligò i Giapponesi a mantenere in quelle regioni degli aeroplani, che avrebbero potuto essère impiegati altrove; gravi danni furono inflitti all'aviazione nemica, ai suoi depositi e ad alle sue linee di comunicazione; oltre a ciò, c'era un fatto anche più importante: la dimostrazione offerta dall'America di voler appoggiare la Cina in tutti i modi rialzò grandemente il morale cinese.

Dall'estate 1942 sono andati aumentando di numero e d'intensità gli attacchi di bombardieri sulla Birmania e quelli effettuati da basi in Cina contro obbiettivi che vanno da Hopei all'Indocina francese, compresa l'Isola di Hainan.* Gli attacchi di rappresaglia nemici sono stati generalmente respinti con gravissime perdite inflitte agli avversari. La potenza della nostra offensiva aerea in questa zona aumenta di giorno in giorno, ed obbliga i Giapponesi a disperdere le loro forze lungo il fronte meridionale, che si estende dalla Birmania, per 8800 km., fino alle Isole Salomone; ed i nostri stanno infliggendo loro delle perdite così disastrose, che i Giapponesi vedono minacciata la loro potenza aerea e l'efficienza delle loro forze navali.
( * ) La forza morale dimostrata dal popolo cinese sotto la guida del generalissimo Chiang Kai-Shek ha servito da esempio alle Nazioni Unite. Per sei anni questo popolo valoroso ha resistito agli attacchi nemici, nonostante la mancanza di armi e di equipaggiamento e senza protezione alcuna contro gli apparecchi da bombardamento e da caccia avversari.

Nell'estate del 1942 era stata accumulata in India una gran quantità di equipaggiamento, che non poteva esser trasportato in Cina, date le limitazioni imposte dal traffico aereo. Si decise pertanto di spostare le truppe cinesi verso le basi di rifornimento, anziché seguire il sistema normale di inviare l'equipaggiamento alle truppe. Un considerevole contingente di soldati cinesi si era ritirato in India al momento del ripiegamento dalla Birmania: era questo il nucleo, intorno al quale il generale Stilwell organizzò un centro modernissimo di addestramento per la fanteria, l'artiglieria e le armi ed i servizi supplementari. Tale progetto ha avuto risultati oltremodo soddisfacenti, preparando delle complete unità tattiche, perfettamente allenate per ciò che riguarda gli usi tecnici e tattici delle armi messe a loro disposizione e fornendo i quadri per l'istruzione delle divisioni cinesi al di là delle montagne, nella Cina propriamente detta.
Un programma simile a questo è stato attuato per l'istruzione degli allievi aviatori cinesi negli Stati Uniti e presso la nostra Decima Armata Aerea in India.

LE OPERAZIONE IN ALASKA

La minaccia alla sicurezza della nostra costa dei Pacifico raggiunse il culmine quando, nel giugno 1942, un grande complesso di forze giapponese si avvicinava alle Midway, ed un altro alle Aleutine. L'uno e l'altro furono respinti con gravissime perdite. Pareva che l'immediato obiettivo dei giapponesi fosse Dutch Harbor nelle Aleutine. Apparecchi da ricognizione nemici erano stati avvistati sulle Aleutine Occidentali; si diceva che sottomarini nemici si trovassero in vicinanza di Umnak e Unalaska ed il nostro servizio d'informazioni aveva segnalato la presenza di una formazione navale diretta verso le acque dell'Alaska.

Il 4 giugno, dopo che il giorno precedente bombardieri nemici avevano compiuto un attacco a Dutch Harbor, i nostri aviatori dell'esercito e della marina avvistarono a 260 km. a sud-ovest, una squadra nemica consistente di almeno due navi porta-aerei, due incrociatori ed otto cacciatorpediniere. Nonostante la nebbia, la pioggia, e le infami condizioni atmosferiche, la nostra aviazione, con ripetuti attacchi, affondò un incrociatore nemico, ne danneggiò
un altro ed obbligò l'avversario a ritirarsi. Dieci giorni dopo, una formazione di incrociatori e di navi da trasporto fu avvistata all'l'sola di Kiska, facendo supporre che il nemico, dopo essersi ritirato fuori della portata dei nostri apparecchi, avesse occupato Kiska con le truppe originariamente destinate ad un assalto contro Dutch Harbor. Si venne a sapere che il nemico aveva occupato anche le isole di Attu e Agattu.

Dal punto di vista strategico, l'occupazione di queste isole deserte aveva relativamente poca importanza, salvo per la possibilità di infiltrazioni lungo la catena di isole, che avrebbe potuto offrire al Giappone la possibilità di attaccare le rotte marittime lungo la costa dell'Alaska. Ma dal punto di vista psicologico, l'occupazione delle isole da parte del nemico ebbe gravi ripercussioni nel Pacifico nord-occidentle. Tuttavia, data la nostra quasi disastrosa scarsità di navi, aeroplani e truppe allenate in relazione al mantenimento delle nostre posizioni nel Pacifico centrale, meridionale e sud-occidentale, si decise di non fare nulla, per il momento, per riprendere Kiska e Attu. Ci limitammo a prendere dei provvedimenti per mettere queste isole alla portata della nostra forza aerea. A questo scopo facemmo ingrandire dei campi d'aviazione avanzati da truppe sbarcate il 31 agosto 1942, a Adak, donde il 14 settembre fu lanciato il primo attacco aereo in forza contro Kiska. Le forze aeree giapponesi nella regione di Kiska furono rapidamente distrutte ed i tentativi avversari di rinforzare la guarnigione furono . efficacemente ostacolati dai nostri bombardamenti contro naviglio nemico diretto a Kiska.

Occorrevano però delle basi anche più ad occidente, per rafforzare le nostre posizioni nelle Aleutine. Perciò un corpo di spedizione americano sbarcò nel gennaio 1943 ad Amchitka, 110 km. ad est di Kiska, senza incontrare resistenza. In meno di un mese il campo d'aviazione era stato allargato e la nostra aviazione operava da questa base avanzata contro Kiska e Attu.
Alla fine della primavera avemmo finalmente a disposizione navi e materiali in quantità sufficiente, se pure limitata, per contrattaccare il nemico nelle Aleutine. L' 11 maggio un corpo di spedizione composto di una parte della Settima Divisione di Fanteria, adeguatamente rinforzata ed appoggiata dalla sua scorta navale, sbarcò ad Attu, l'isola più distante dalle nostre basi di tutta la catena delle
Aleutine. Una fitta nebbia limitava l'attività aerea. Nonostante il carattere montuoso del terreno, la neve fonda, e la mancanza di strade, le truppe, usufruendo, fin dove le condizioni metereologiche lo permettevano, dell'appoggio della marina e dell'aviazione, si spinsero combattendo fino al lato opposto dell'isola, per accerchiare le forze giapponesi che difendevano Chicago Harbor. Il 31 maggio l'operazione fu portata a termine con successo, con la perdita di 512 soldati americani e con il completo annientamento di 2350 Giapponesi.

La conquista di Attu evidentemente prese alla sprovvista il nemico, che si aspettava un attacco a Kiska; questa invece si trovava ora presa in mezzo tra le nostre forze aeree e navali operanti da Amchitka e quelle di Attu, dato che un campo d'aviazione ad Attu era stato completato in soli 12 giorni.*
( * ) (Con l'occupazione di Attu da parte delle nostre forze la posizione nemica a Kiska diveniva insostenibile. Il 15 agosto un, reparto di sbarco prese terra a Quisling Cove, sulla costa occidentale di Kiska, senza incontrare resistenza. Il nemico aveva evacuato la posizione, per evitare ulteriori perdite).

RIASSUNTO - CONCLUSIONE > >


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