HOME PAGE
CRONOLOGIA
DA 20 MILIARDI
ALL' 1 A.C.
DALL'1 D.C. AL 2000
ANNO X ANNO
PERIODI STORICI
E TEMATICI
PERSONAGGI
E PAESI

65. L'ANTICO POPOLO - L'ETA' SEMISTORICA

La più antica carta manoscritta del Giappone in Occidente, del Cosmografo portoghese
FernaoVaz Dourado del 1568. Particolare del foglio 8 dell'Atlante conservato al Palacio de Liria di Madrid
.

 

Dal mezzogiorno del Giappone fino al settentrione, si contano migliaia di luoghi, dove da mucchi di conchiglie, ecc. furono scavati oggetti appartenenti all'età della pietra, come strumenti litici e di osso, punte di frecce, vasi e figure umane di terra cotta.

Come artefice di questi resti delle età litiche e come abitatrice primitiva di tutte le isole giapponesi è considerata una popolazione di discendenza caucasoide, dimorante in capanne di terra e paglia, i cui scarsi resti oggi sono rappresentati dagli odierni Ainu. Una popolazione di origine preistorica ancora oggi vivente.


Questi - ormai pochi migliaia - appaiono come la popolazione più antica del Giappone e anche la più capelluta del mondo. Gli uomini nel loro aspetto somatico offrono una somiglianza sorprendente con dei contadini russi o della Siberia.

Questi primi abitanti si erano stabiliti su una delle isole, e nel corso dei millenni si erano del tutto isolati; anche con i successivi insediamenti, che avevano dato origine in seguito a un vero e proprio regno e l'inizio di una lunga serie di imperatori, essi rifiutarono sempre di assoggettarsi, nè - ribellandosi- vollero mai essere soggetti a tributi. Fin quando l'esercito imperiale nell'anno 812 riuscì a sottomettere questa singolare e sempre ribelle popolazione, che rifiutava ogni tipo di incivilimento; gli Ainu furono sottomessi ma non si integreranno mai con i giapponesi, neppure nel corso dei successivi 1200 anni, tanto da essere ancora oggi una piccolo popolo che ha le stesse caratteristiche dei tempi remoti. E secondo alcuni studiosi oggi dovrebbe essere all'incirca lo stesso numero allora presenti. Viventi di caccia e pesca in "riserve" come alcune tribù di Indiani d'America, pur essendo vicinissimi alle grandi città.

Preistoricità confermata anche dal linguaggio: il loro vocabolario (i più anziani non conoscono ancora la scrittura) non supera le 1000 parole, e sono quasi tutte composte unicamente da facili bisillabe palatali e dentali. Con queste non riescono a esprimere né il passato né il futuro, non conoscono verbi e sostantivi, indifferenti al numero e alla persona usano un solo pronome. Non conoscono i numeri oltre le dita della mano, come arnese usano ancora le lance per cacciare e la fiocina per pescare, si vestono con pelli o con tessuti d'ortica intrecciata, la struttura sociale è matrilineare, adorano come divinità il Sole e la Luna e vivono in capanne, anche se a pochi chilometri ci sono palazzi e grattacieli. Questo popolo così descritto non è nel cuore dell'Africa né in Amazzonia ma vive in Giappone nella grande isola di Hokkaido a pochi chilometri da Sapporo. Sono circa 15.000 individui, quasi emarginati dai giapponesi, perchè d'origine europide, pelle bianca, capelli neri ondulati, occhi bruni non orientali, statura piccola, pelosità corporea molto sviluppata in uomini e donne (più d'ogni altro gruppo umano conosciuto). Sono i parenti stretti - quindi senza evoluzione culturale - di popolazioni antichissime, forse della famiglia paleoeuroasiatica del Cro-Magnon, il prototipo della razza bianca. Dallo studio di alcuni vocaboli (lo studio è del linguista Tailleur) sembra sia emigrata questa popolazione dal Caucaso, quando dall'Africa e nello stesso periodo emigrarono - come vediamo sotto nell'immagine - nell'opposta direzione, verso la Spagna anche i Baschi (uno dei popoli più antichi d'Europa - circa 20.000 anni).
Come arrivarono in quest'isola giapponese non lo sappiamo, ma quando arrivarono, ne siamo quasi certi: 20.000-15.000 anni fa. Gli studi genetici oggi ne danno piena conferma.


L'occupazione umana dei giapponesi è avvenuta dunque attraverso vicende complesse e non ancora ben chiare. Secondo vari studiosi, le genti giapponesi derivano dalla fusione dei già citati gruppi autoctoni Ainu con immigrati cinesi e malesi; secondo altri, da genti paleo-siberiane fusesi con gruppi tungusi, coreani e cinesi; alcuni ritengono che l'origine dei Giapponesi sia da ricollegarsi alle migrazioni dei più antichi gruppi asiatici del NE dai quali derivano gli Amerindoidi e i Polinesiani. E' certo, comunque, che nel VI sec. si erano caratterizzati due gruppi fondamentali, uno affine al tipo sinico (dolicocefalo ad alta statura) e l'altro al tipo sudmongolico (brachicefalo a bassa statura).
Per quanto riguarda invece i processi inerenti all'acculturazione del Paese, sono state individuate correnti culturali e di popolamento provenienti non solo dalla Cina (attraverso il "ponte" della Corea) ma anche dall'Insulindia. La cultura neolitica di Jómon ha posto le prime basi dell'organizzazione umana, che si configurò in forme più precise con la successiva cultura di Yayoi, cui si connette l'ultima (e più volte citata - e riportata con la cartina sopra) grande ondata immigratoria di genti del continente, quelle che poi hanno definito i caratteri del popolo giapponese. E in vari periodi anche tutto l'estremo oriente.

Da questi primi abitanti dell'età della pietra nei giorni più remoti dell'antichità , studiate solo ultimamente perchè ancora oggi viventi sul pianeta, si formò dunque un duplice popolo di conquistatori stranieri, venuti dal continente asiatico. Questo si divideva in una razza mongolo malese, che pose la sua sede originaria in Hyuga, nell'isola Kiushu a sud ovest (che ben presto divenne il bacino di Nara) , e in una razza manciù coreana, che fondò l'impero preistorico d'Idzumo, situato nel nord ovest dell'isola principale, di fronte alla Corea. Da questi due elementi, soltanto con una piccola miscela di sangue Ainu, si compone (presa in blocco) l'odierna popolazione giapponese.

Naturalmente, dati elementi così differenti della stirpe, l'aspetto esteriore dei Giapponesi non é minimamente uniforme, presenta anzi grandi differenze nei vari individui e poi molteplici somiglianze con gli abitanti del vicino continente. In generale si possono tuttavia riassumere in breve come caratteri somatici presso a poco le seguenti proprietà: persona piccola (statura media dei maschi 158 cm., delle femmine 145 cm.), colore della pelle giallastro, capelli di un nero cupo, rigidi, spesso lucenti, barba scarsa, occhi di colore cupo, diretti obliquamente, come pure tronco relativamente lungo con gambe e piedi corti.

Ma la diffusa e globalizzata scienza alimentare - come del resto in tutti i popoli che si sono per secoli isolati - negli ultimi tempi ha cambiato molto queste caratteristiche somatiche, e in parallelo anche quelli caratteriali. Soprattutto nella classe alta, medio-alta, creatasi con l'industria e il commercio nell'ultimo secolo, e in particolare a partire dalla sua seconda metà. Fino a diventare oggi il Paese una delle prime potenze economiche mondiali, la terza dopo quella americana e sovietica. E piuttosto intensi sono anche i viaggi di giapponesi in Occidente.
E sembra poco probabile che il Giappone come terza potenza economica si lasci scappare questo primato, soprattutto con il grande potenziale mercato che gli sta di fronte, e di cui sono lontani cugini: i Cinesi; che sono una popolazione dieci volte superiore a quella giapponese, e che è da alcuni anni sono all'alba del libero mercato e in parallelo muove e corre lo sviluppo del consumismo interno.

Ritornando all'acculturazione. Dalle dottrine buddista e confuciana i Giapponesi hanno certamente assorbito non solo il rispetto e l'amore per la natura, ma anche il rispetto e l'amore per la cultura. Accentuato dall'evoluzione moderna del Paese, uscito da poco più di un secolo dal suo secolare isolamento, ha contribuito al desiderio, vivissimo in ogni strato della popolazione, di accostare il proprio pensiero con le esperienze di altre civiltà, di penetrare, attraverso la cultura, i segreti della scienza e della tecnica. Ricercatissime sono le pubblicazioni di carattere divulgativo, enorme la diffusione dei periodici e dei quotidiani. Nessun Paese del mondo può vantare le tirature dei giornali giapponesi: si stampano a Tokyo, ed escono ogni giorno milioni di copie.
Si potrebbe affermare che il Giapponese vive di riso, di pesce ... e di carta stampata! Anche l'istruzione è molto curata. Da quella primaria, a quella media a quella superiore; nella sola Tokyo esistono ben trenta istituti universitari.
Io stesso autore di "Cronologia" sono sbalordito nel vedermi in rete in un loro prestigioso sito, con tradotto interamente in giapponese il contenuto del mio!
E non sono rare le e-mail a me indirizzate per sapere qualcosa di più, su alcuni fatti, su alcuni personaggi, su alcune città italiane. Sembra che le conoscono tutte, fin dai primi tempi storici, e sanno chi sono i nostri maggiori personaggi della cultura, scienza, arte, musica, letteratura. Spesso faccio fatica a rispondere, anche se ho con me circa 60 enciclopedie, e circa 30.000 volumi nella mia biblioteca.

Quanto alla religione, ho scoperto che lo riconoscono gli stessi giapponesi, che tracciare un panorama della situazione religiosa del Giappone è cosa piuttosto ardua. Se si guarda al numero dei templi, delle cerimonie, delle ricorrenze si direbbe che quello giapponese è il popolo più religioso del mondo. La realtà è, sotto certi aspetti, diversa.
Le due massime religioni giapponesi sono religioni in un senso molto diverso da quello che noi intendiamo. L'una, il Buddismo, è piuttosto un atteggiamento dello spirito, che non si affida solo alla "fede" e alla "preghiera" (norito), ma soprattutto alla meditazione del pensiero di Budda per raggiungere la propria elevazione spirituale. L'altra, il Confucianesimo, si presenta come una nobile filosofia morale, volta non all'aldilà, bensì al raggiungimento dell'equilibrio, della saggezza, della responsabilità nella vita individuale e in quella sociale.
Tuttavia le manifestazioni esteriori del culto, i riti, le suggestioni dell'ambiente e dei fatti liturgici derivano piuttosto dallo Shinto, l'antica religione naturalistica, autoctona, quindi preesistente alla introduzione delle due superiori dottrine venute dal continente. In tempi recenti, dallo Shinto è derivato infine lo Shintoismo, il culto degli antenati, della patria e dell'imperatore che, oltre alla sua origine divina, incarna la continuità e l'unità storica dei Paese.

Ognuna di queste "religioni" ha influito profondamente sullo spirito e sul costume giapponese. Si può dire che tali dottrine coesistono in una forma di sintesi nella psicologia e nell'atteggiamento religioso del Giapponese medio.
Infatti la maggior parte dei Giapponesi si considerano oggi senza problemi alcuno sia devoti dello Shintoismo sia, contemporaneamente, Buddhisti, Confuciani o altre religioni.

Lo Shintoismo odierno ufficialmente conta circa 22.000 sacerdoti officianti negli 80.000 templi e oltre 145 scuole in parte riconosciute dallo Stato. Questo perchè lo Shintoismo come religione di Stato cessò dopo la resa del Giappone, al termine della Seconda guerra mondiale, quando l'imperatore Hirohito salito al trono il 24 dicembre 1924 come centoventitreesimo "tenno" dovette rinnegare la propria origine divina, rinunciando a considerarsi un "kami" vivente. Inoltre l'imperatore perse i suoi poteri politici in seguito all'adozione della Costituzione del 1947.
Ma il "Kami" non è di sicuro scomparso come forma religiosa La base del "Kami" ("ente supremo", "divinità") è una categoria assai singolare che comprende divinità celesti e anche spiriti, animali, piante, montagne, mari e lo stesso imperatore del Giappone.
Moltissime sono le divinità popolari dello Shintoismo venerate dai Giapponesi (circa 800). Fra queste, il dio del riso Inari accompagnato dalla volpe protettrice delle risaie; Mosubi no kami, dio della fertilità; Kane no kami, dio dei metalli; Hachiman, dio della guerra e molti altri. Si aggiungono poi come oggetto di culto le varie divinità dei villaggi e delle città con ognuna i propri templi al "protettore" dedicati. Ovviamente numerosissime - oltre quelle nazionali - sono le festività locali, nei singoli paesetti, città e villaggi in ogni angolo del Giappone.

Se riflettiamo, queste espressioni di devozione, non sono poi molto diverse da quelle dei vari santi nelle città, paesetti e villaggi occidentali di religione cristiana, ognuno ha il suo santo protettore a cui gli abitanti hanno dedicato un tempio e gli si rivolge con le sue preghiere e da lui attende i miracoli. E le stesse festività, sagre, feste (spesso anche con proprio nulla di sacro semmai molto profano) - dopo averle il cristianesimo modificate e adattate - hanno avuto proprio origine dal "pago", cioè dai "villaggi" (da qui lo sbrigativo "paganesimo"). Abbiamo visto così che la "Festa di Bacco" o "Dionisiaca" è diventata la festa di San Martino (meno in Alto Adige dove esiste ancora tuttora la "Festa del turculem" di origine Romana (vedi Trimalcione) e che significa "primo assaggio del vino nuovo", un baccanale insomma.
Lo stesso Natale prende origine dalla Festa del Sole (sole invictus di antica memoria); e che la stessa "giornata del Signore" la Domenica non è altro che il "giorno del sole". Che in inglese e in germanico si è ancora conservato nel suo significato etimologico, Sontag in tedesco, e Sunday in inglese.
Dunque nessuna meraviglia se i Giapponesi hanno 800 protettori; in Italia ne abbiamo molto molto di più. Basta insomma affidarsi a loro ed è tutto risolto con i miracoli. Miracoli e statue piangenti c'erano del resto nella stessa Roma sia repubblicana che imperiale. Le cronache sono piene di prodigi delle dee e dei dei.

L'ETÀ SEMISTORICA
( Fonti.- Kogiki, Nihonghi, Nachod )


Col nome di semistorica intendiamo indicare quella parte dell'antichità giapponese, della quale ci mancano notizie contemporanee, per quanto ve ne siano anche delle antiche e importanti. Trascorse difatti una serie intera di secoli prima che gli avvenimenti fossero (anzi potessero essere) annotati, poiché, la diffusione della scrittura non avvenne nel Giap
pone non prima del secolo V d. C.; tutto quello che si conosce di anteriore a quest'epoca riposa perciò sopra una tradizione orale, soggetta quindi a influssi più o meno arbitrari, integrata da aggiunte posteriori, per lo più secondo modelli cinesi.

Due cronache del secolo VIII a noi conservate, il «Kogiki» (cioè cronaca dell'antichità) e il «Nihonghi» (cioè cronaca del Giappone), sono quelle che formano la base di quanto conosciamo del più remoto passato del popolo giapponese, fino al secolo VII d. C.
Ad un esame critico accurato, specialmente per l'età semistorica, la loro credibilità non regge molto in troppe parti, almeno in quanto a supposti avvenimenti e personaggi o alla loro determinazione cronologica.

Tutto quel primo millennio, che comincia con la fondazione dell'impero, collocata nell'anno 660 a. C. e compiuta da Gimmu, primo imperatore terrestre, venerato come rampollo della dea del sole e come capostipite della dinastia regnante fino al secolo scorso, deve essere relegato nel campo nebuloso della leggenda.

Per quello che concerne le condizioni sociali, il modo di vivere e di pensare, le istituzioni e il grado di sviluppo del popolo giapponese in quel lontano passato, i due antichi scritti concordono in molti punti d'appoggio, non sospetti e degni di considerazione, per una descrizione abbastanza credibile, per quanto piena di lacune, alla quale contribuiscono oggi con qualche notizia parallela anche gli annali delle dinastie contemporanee della Cina e della Corea, anch'essi però tutt'altro che immuni da obiezioni, ma soprattutto con i numerosi e importanti risultati degli scavi archeologici.

Sta all'inizio delle due antiche cronache citate una cosmogonia e mitologia ampia e spesso abbastanza confusa, adattata in molti luoghi a modelli cinesi e ordinariamente chiamata "età degli dei" o dei «Kami». Questa espressione di «Kami» (già descritta nel precedente capitolo) noi la dobbiamo intendere con Dio, Dea o Divinità, e corrisponde in realtà alla nostra idea di «elevazione», però non accenna minimamente a un abisso così insormontabile fra Dio e l'uomo, come nelle religioni occidentali.

Questa la nota mitologia:

In un tempo infinitamente lontano si formano il cielo e la terra e una folla di divinità simboliche. Due di esse, le sorelle Izanaghi e Izanami, producono le diverse parti insulari del Giappone, come pure un gran numero di divinità di essenza più umana. Importanti per tutto lo sviluppo ulteriore divengono soprattutto due fra queste, Amaterasu la dea del sole, e suo fratello Susanouo, che simboleggia ogni mala azione.
I suoi nefasti brutti tiri, che certo sono il simbolo di fenomeni naturali devastatori del Giappone, come terremoti, cicloni, maremoti ecc. inducono la dea del sole profondamente offesa a ritirarsi in una tenebrosa caverna. Soltanto con l'astuzia la casta degli dei, radunatsi riesce a tirare fuori Amaterasu dalle tenebre. Il maligno Susanouo è poi punito con l'esilio nel mondo sotterraneo, non prima di aver lui compiuto notevoli avventure sulla terra ed avere affidato ad uno dei suoi discendenti il dominio d'Idzumo, ma pare prima che fosse costituito il Giappone.

Ma anche la dea del sole promette ad uno dei suoi discendenti la signoria del paese terrestre. Tuttavia soltanto dopo tre inutili ambasciate dal cielo al sovrano d'Idzumo con la richiesta di sottomettersi al rampollo della dea del sole, questo piano riesce ad attuarsi.
Il nuovo sovrano discende sulla terra, però (cosa strana) non ad Idzumo, ma ad Hyuga in Kiushu. Sebbene ormai il teatro degli eventi resti limitato alla sola terra, pure non cessa minimamente il leggendario.

I due avvenimenti più importanti dell'età semistorica, a noi trasmessi dalle antiche cronache, sono prima il viaggio di scoperta e di conquista che Gimmu, discendente del rampollo solare disceso sopra Hyuga, intraprende da sud-ovest, dall'isola di Kiushu, coi suoi compagni di stirpe verso Yamato, territorio centrale dell'isola di Hondo, occupato dagli antenati degli Ainu, dove egli ora fonda l'impero giapponese; segue poi la spedizione di conquista in Corea da parte dell'imperatrice vedova GINGO, che lei si annette all'inizio del secolo III d. C.
Ma questa conquista sembra del tutto leggendaria, anche se nel regno insulare ha effettivamente regnato a quel tempo una principessa energica, inoltre prima e dopo di allora hanno avuto luogo numerosi attacchi ostili, ma non sempre vittoriosi dei Giapponesi in Corea.

LO STATO.
Il territorio delle tre province leggendarie d'Idzumo, Hyuga e Yamato forma il nocciolo dell'impero, che all'inizio comprende soltanto la metà più piccola a sud ovest dell'isola principale (Hondo) con le due isole meridionali di Kyushu e di Scikoku.

Per quanto ristretto questo primo spazio abitato, non mancano resti e testimonianze di "dolmen" giganteschi, semplici grosse pietre non scalpellate. E modeste e semplici appaiono anche le abitazioni dei viventi; anche il cosiddetto "palazzo" dell'imperatore in realtà non è altro che una capanna di legno, un poco più grande delle altre attorno, poggiante su grossi tronchi di legno, al centro del villaggio.


Le grezze vesti che usano sono di tessuti o meglio grossolani intrecci di canapa, di colore verde o di una materia bianca preparata con la corteccia del gelso. L'ornamento preferito sono le pietre preziose in forma di virgola («magatama») o di tubicino («cudatama»), infilzate in fili disposti in matasse.

Una parte notevole, quale altrove non ci si aspetterebbe, hanno nella vita degli antichi giapponesi le armi, soprattutto la spada di ferro, che già in tempo remotissimo ha sostituito quella precedente di bronzo. Dobbiamo inoltre registrare archi e frecce, lance, scudi, elmi e armature. Fra gli attrezzi sono da notare gli specchi di bronzo o di ferro; mancano ancora invece gli aghi metallici.
L'arte di tessere si trova soltanto in modestissimi lavori, mentre la ceramica raggiunge risultati piuttosto notevoli, come appare dalle figure in terra cotta ritrovate nelle tombe.

L'alimentazione. - I cibi più importanti, oltre che dalla coltivazione del riso, promossa già da tempo immemorabili con validi sistemi d'irrigazione, provengono soprattutto dalla pesca e dalla caccia; del resto l'uso delle carni non era per nulla escluso nel periodo buddistico. Già conosciuta in un lontano passato il «sake», la bevanda alcolica inebriante, preparata col riso fermentato, rallegra quotidianamente il pasto del Giapponese.

Ma quelle cose, che più tardi caratterizzano il Giappone, come il te, la porcellana, la lacca, i ventagli, mancano ancora del tutto, al pari del denaro e di strumenti utili in qualsiasi modo alla misura del tempo; perfino l'allevamento del baco da seta (una delle future grandi risorse locali) fu introdotto probabilmente soltanto nel secolo IV o nel V secolo dalla Cina, con la quale ebbe le prime relazioni commerciali.

Relazioni con altri Popoli.
Di popoli affini possibili, dimoranti nelle sedi già occupati sul continente dagli antenati dei Giapponesi, non ci è dato alcun ricordo storicamente apprezzabile. Fin dalla più lontana antichità risalgono tuttavia le relazioni con gli Stati della vicina penisola coreana e con la Cina.


Sono tre gli Stati autonomi e indipendenti, che intorno all'inizio dell'epoca, di cui ci occupiamo, emergono dal numero delle tribù presenti in Corea e spesso nemiche fra loro. Pekce al sud e Kokuryo al nord, verso il golfo di Corea, occupano la parte occidentale della snella penisola, quella che guarda verso il Mar Giallo ed è variamente articolata e ricca di porti.
Sulla metà orientale, rivolta al Giappone, che cade ripida nel mare con pochi approdi, si stendeva il regno di Silla, che gradatamente si allargava andando verso il nord. Inoltre a sud ovest della penisola, nell'isola di Tsuscima, immediatamente vicina al Giappone, dobbiamo ricordare il piccolo Stato di Mimana.

Uno sguardo inerenti le prime relazioni con i Giapponesi ci permette di riconoscere che si tratta prevalentemente di fatti d'arme non sempre vittoriosi per il Giappone e di una sua tendenza impulsiva a stabilire sulla vicina penisola una specie di supremazia; pur allora non molto importante per il suo sviluppo e per il suo benessere, mentre soltanto più tardi e in casi isolati il traffico arrecò risultati preziosi e durevoli per la civiltà.
Principalmente il regno Silla con poche interruzioni ebbe a soffrire per i continui assalti ostili dei Giapponesi, che veramente non furono sempre vittoriosi. Il piccolo regno di Mimama sembra essere stata devota e alleata e servita come base di operazione per i loro assalti all'interno.

Le relazioni con Pekce hanno per lo più un'impronta amichevole, anzi pare che questo Stato abbia aumentato il suo territorio con l'aiuto delle armi giapponesi e abbia riconosciuta temporaneamente sul suo territorio la supremazia del Giappone.
Questa amicizia si manifesta in occasione di non rare contese interne per la corona e con preziosi donativi fatti al Giappone, o i così detti tributi, o compensi per l'aiuto fornito ad una delle fazioni in lotta, come cavalli, seta colorata, armi, sbarre di ferro e specchi metallici.
Avevano però un valore molto maggiore i portatori di notizie, che venivano dalla vicina Cina nella stessa Pekce e che quindi trasmettevano al Giappone le conquiste della civiltà cinese da poco introdotte nel loro unificato grande paese.

Le relazioni reciproche con Kokuryó ricevono un significato speciale da un reperto contemporaneo, che e il più antico documento visibile e inoppugnabile delle imprese guerresche del Giappone contro la vicina penisola. E' un monumento commemorativo con una lunga iscrizione ritrovato da alcuni anni presso il corso superiore dello Yalu, in vicinanza dell'antica capitale del Kokuryó e fu eretto nel 414 d. C. in onore di un re, che vi regnò dal 392 al 413. Tra le numerose sue imprese di guerra, celebrate dal monumento, si trova anche una serie di luoghi, che si riferiscono ai «predoni giapponesi», ai quali nel 404 lui inflisse una grande disfatta.
Ma anche questo documento, che non è certo benevolo nei confronti dei giapponesi, conferma chiaramente alcune campagne militari degli stessi e quindi una - anche se temporanei notevole presenza in quel tempo su i diversi regni della Corea.

Le relazioni con la Cina, anche come ce le figurano le fonti, piene di lacune su molti particolari e per lo più malsicure, appaiono amichevoli, ma ancora poco sviluppate, sono solo estemporanee e piuttosto irregolari. Nemmeno una volta, anche da parte dei Cinesi, si approfitta della via marittima, relativamente breve, tra Kyushu e la costa opposta del continente, così ricca di porti.
Eppure con una facile navigazione, si va tranquillamente dal Giappone alla Corea e di là o per la via terra o con navi anche di piccolo cabotaggio lungo il sinuoso litorale si raggiunge la meta non lontana, Tientsin (poco lontano dove sorge oggi Pechino) allora uno dei centri più pulsanti di vita cinese.

Solo nell'anno 57 d. C., gli annali della più recente dinastia degli Han ( orientali - 25-220 d.C.) narrano della prima effettiva ambasciata, proveniente dal Giappone ma non da Yamato (che ha il regno a Hondo), ma dal mezzogiorno (cioè dal regno di Idzumo oppure di Hyuga che hanno il regno a Kyushu e Scikoku), la quale secondo il consueto uso di Corte cinese ricevette fra le altre cose un sigillo ufficiale, appeso ad un nastro di seta.

Questo racconto, non ricavato da fonti giapponesi, ottiene una specie di conferma da un sigillo d'oro, scavato nel 1784 nell'isola di Kyushu, con l'iscrizione «Han» (ossia la dinastia degli Han) «al re del paese d'Ido». Ido è il nome antico di quel territorio di Kyushu (provincia di Cikuzen), dove fu trovato il sigillo, che però non contiene alcuna indicazione di tempo.

Si crede, e certo non del tutto a torto, di poter riconoscere in quest'oggetto il sigillo dell'ambasceria dell'anno 57 e di possedere in esso la più antica testimonianza visibile della prima relazione fra il Giappone e la Cina.
Anche se dovesse provenire da uno dei secoli posteriori, non sarebbe diminuito il valore storico e la forza dimostrativa di questo aureo documento delle antiche relazioni dei due paesi.
Di una seconda ambasceria, avvenuta dal Giappone nel 107, si dà una notizia molto simile a quella sopra, ma sempre e soltanto negli annali cinesi.

Tuttavia oggetti di metallo e tessuti di gran valore, provenienti dalla Cina, sembrano penetrare più frequentemente nel Giappone soltanto col traffico più vivace del secolo III e del IV, forse come preziosi donativi.
Fra tutti i progressi fatti dalla civiltà cinese ormai già adulta, sono introdotte nel Giappone inizialmente soltanto le arti del cucire e del tessere. Seguirà poi - come vedremo nel prossimo capitolo- la scrittura, la fabbricazione della seta, molte colture come il The, ma soprattutto viene mutuata, introdotta e fatta nascere anche in Giappone, l'organizzazione dello Stato, che prende origine dalla potenza politica di alcuni capi famiglia; all'inizio si forma uno Stato "gentilizio" modellato dalle varie caste; in seguito si forma quello imperiale "burocratico", ancora più rigoroso e più "levantino" di quello cinese.

Nel prossimo capitolo parleremo del primo,
seguirà poi il secondo

LO STATO GENTILIZIO - GLI UGI > >

PAGINA INIZIO - PAGINA INDICE