HOME PAGE
CRONOLOGIA

DA 20 MILIARDI
ALL' 1  A.C.
DA 1 D.C. AL 2000
ANNO x  ANNO
PERIODI STORICI
E TEMATICI
PERSONAGGI
E PAESI

ANNO 346 d.C.

 

QUI riassunto del PERIODO di GIULIANO dal 337 al 363 d.C.


L'ANNO 346
*** A ROMA ARRIVA IL RISTAGNO ADDIO AI COMMERCI,
ALL'ARTE, ALLA MUSICA, ALLA CULTURA, ADDIO ALLE SCIENZE
E ALLA BELLEZZA


*** INIZIA UN MONDO GRIGIO - BANDIERA NERA SUL MEDITERRANEO
-------------------
*** LE PRIME CELLULE NEL NORD EUROPA
FRANCIA-GERMANIA-INGHILTERRA


Quello dello scorso anno era lo scenario e anche la cartina tornasole dopo i 600 anni di "civilta' romana". Una cultura e una economia romana, che diremmo oggi "globalizzata", che aveva toccato in questi ultimi tre secoli ogni Provincia della costa Mediterranea. Purtroppo negli ultimi anni l'economia "mondiale" era cambiata, ma nonostante molte difficolt�, Roma conservava un livello di benessere molto alto, opulento; ed era questa la prima causa delle tante crisi economiche e politiche che cominciavano a sfumare sul grigio.
Alcuni soggetti vivevano perfino ad un livello superiore ai propri mezzi. Un'economia che si stava sempre di pi� avviando verso quella che oggi chiameremmo "un boom sostenuto dal debito" (situazione Italia 1972- vedi). Un'economia assistita che operava in grande, ma era al di fuori della realt� e delle necessit� del Paese. Un Paese che non produceva pi� nulla, e se produceva mirava solo ai beni opulenti pur ricorrendo spesso agli incentivi dello Stato. Come spesso accade, (e accadde anche in Italia negli anni Settanta -Vedi 1972) quest'assistenza economica statale che era nata, e mirava ad aiutare una miriade di piccole imprese, andava invece come solito a quelle grandi, ai potenti, agli speculatori, ad azienda con grandi concentrazioni di capitali, cio�, permetteva di far diventare pi� ricchi i ricchi. Che puntavano su prodotti ad alto valore aggiunto o sulle importazioni ed esportazioni che conveniva a loro ma non alla comunit�. (i vari Cefis e i vari Agnelli c'erano anche allora).

A Roma per evitare fughe dall'artigianato, dall'agricoltura - lo abbiamo letto - si erano studiati incentivi per i latifondisti, mentre per i poveri con delle leggi particolari furono legati per tutta la vita (e per ereditariet� ai figli, e ai figli dei figli) ai mestieri umili.

Per l'inflazione si corse ai ripari, svalutando prima la moneta vile - che perse del tutto il reale potere d'acquisto nelle tasche dei poveri - e si coni� una moneta aurea oro fino (convinti che i ricchi avrebbero pagato le tasse con quelle), che caus� ancora pi� danno perch� furono tesaurizzate. Se a rimetterci con la prima fase furono i poveri lavoratori, la seconda tocc� anche gli imprenditori che si vennero a trovare magari con l'oro in tasca ma senza una liquidit� circolante. Lo Stato intervenne aiutando la produzione in un modo singolare, non tassando i produttori con moneta vile contante (che perdeva valore giorno su giorno), ma prendendosi un decimo in natura della produzione. Ma fu un palliativo di breve durata, perch� i restanti nove decimi non si vendevano pi�, perch� non vi era pi� una circolazione monetaria. Nei piccoli centri si era ritornati allo scambio in natura. Del resto proprio lo Stato aveva dato l'esempio. E se questo sistema poteva andare bene nelle zone rurali, in quelle urbane, le merci, quelle e soprattutto di prima necessit�, erano scomparse, si producevano ma si trovavano solo a borsa nera e a costi impossibili.

I benefici andavano solo ai pochi commercianti che acquistavano all'estero, alle grandi catene distributive e agli importatori, che monopolizzavano ormai tutto il mercato. Questi avevano le navi, i magazzini di stoccaggio e soprattutto avevano in mano la distribuzione. L'economia locale iniziava a dipendere da loro, era condizionata dai grandi trust.

Inizialmente le cose andarono bene, i prezzi calarono per le grandi quantit� di merci che arrivavano dall'estero prodotte a basso prezzo. Ma presto sulle importazioni ci si buttarono in molti, i soliti, quelli che possedevano grandi capitali, tutti attratti dai guadagni facili. Gli uffici import si moltiplicarono, e i magazzini presto si riempirono di merci, con l'effetto positivo di far calare i prezzi, ma con l'effetto distruttivo di scoraggiare tutta la produzione locale, quella che assorbiva manodopera e che riceveva in cambio una corrispettiva mercede in denaro da spendere.

Ora non era pi� il prezzo alto che bloccava l'economia, ma era la mancanza di liquidit�. Non circolava pi� denaro perch� pi� nessuno riceveva una mercede dalla produzione locale e dall'indotto che questa andava a creare.

Oggi, nell'anno 2000 questa crisi la chiamiamo "deflazione da eccessiva produttivit� all'estero a costi bassi". Gli imprenditori e gli investitori se ne vanno dal proprio Paese, per il motivo che le monete fluttuano con i cambi, i prezzi crollano, il tutto per un'eccessiva capacit� produttiva dell'estero a basso costo di manodopera che poi invade il mercato e blocca la produzione locale non pi� competitiva, che ovviamente abbandona le attivit� e lascia a monte a spasso, inizialmente operai e braccianti, poi a valle colpisce tutte le attivit� collaterali e infine gli stessi produttori.

Insomma come sappiamo c'� il rovescio della medaglia con queste scelte economiche. Se la dislocazione e quindi la produzione avviene all'estero e si fanno entrare grandi quantit� di merci a basso costo, per un momento le importazioni di queste merci sono gradite e fanno abbassare i prezzi, ma a lungo andare se pi� nessuno � stimolato dai profitti e quindi cessa di produrre, non gli rimane che chiudere l'azienda e trasferirsi pure lui all'estero a produrre a basso costo. Poi dall'estero far giungere in Italia i suoi prodotti.

Una fuga non indolore perch� fa entrare il Paese in una diabolica spirale. Contribuisce a produrre fuori tante merci a basso costo, ma causa a sua volta la chiusura di altre aziende locali, con la conseguenza di non distribuire uno stipendio. Risultato: i cittadini non hanno nemmeno pi� i pochissimi soldi per acquistare quelle convenienti merci che a buon mercato vengono dall'estero. Se l'intera nazione non produce, ma importa solo, i cittadini dove prelevano i soldi?

Nelle aziende nazionali, la tanta offerta estera fa sempre di pi� abbassare la domanda della loro produzione, e calano quindi i profitti che impediscono investimenti. Nei primi tempi per rimanere a galla ci s'indebita, ma il denaro ha un costo, fa aumentare ulteriormente il prezzo del prodotto, e questo va fuori mercato. Alla fine di un breve percorso si fallisce e si chiude e gli operai senza stipendi e con le tasche vuote restano a guardare sconsolati le abbondanti merci (estere) che pur a buon mercato non possono acquistare.

Nel Mediterraneo di questi anni era accaduto proprio questo. Non convenendo produrre in Italia (per le troppe tasse) le imprese si riversarono nei paesi vicini, che diventarono i paradisi fiscali dell'era romana. In tutta la costa Mediterranea sorsero industrie, colture, produzioni alimentari ad altra produttivit� e a costi bassissimi. Il governo imperiale del resto aveva da alcuni anni preso storiche decisioni, non conveniva aiutare e sovvenzionare l'agricoltura locale, ma conveniva semmai comprare dai paesi vicini dove le merci costavano meno. Il grano egiziano della migliore qualit�, costava la met� di quello umbro o siciliano, e a comprarlo paradossalmente era lo stesso Stato.

Erano merci - quelle provenienti dall'estero - prodotte da svegli imprenditori, che appena avvertirono il vento contrario, come la crisi da recessione, avevano fatto a Roma le valige ed erano sbarcati nei paesi a costi di manodopera quasi zero e si erano subito dedicati alle grandi produzioni da esportare. Il fisco locale non era come quello della capitale, e pur vigente la stessa legge fiscale di Roma, la corruzione dei governatori del luogo permetteva di evitare severi controlli amministrativi. E se gi� le "bustarelle" erano a Roma molte diffuse, nelle province erano diventate una calamit�.

Come abbiamo letto in precedenza, negli ultimi decenni il "consumismo" diffuso aveva portato all'inflazione. La domanda di beni da una decina d'anni era sempre stata superiore alla produzione e quindi con prezzi sempre in ascesa questi beni erano ormai appannaggio solo dei ricchi. Se poi queste merci erano addirittura importate da paesi lontani la bilancia dei pagamenti ne soffriva, prendeva quella discesa che prima o poi porta diritto al tracollo, alla bancarotta.

Ad aggiungere crisi a crisi, quelle di largo consumo non vendute perch� ritenute inadeguate come qualit� oppure semplicemente snobbate dai gusti della popolazione ormai abituata ad acquistare quelli del bacino mediterraneo molto migliori e a minor costo, non solo non si esportavano pi� ma non venivano nemmeno pi� prodotte. Il tracollo fu ancora pi� gravoso. Per correre ai ripari si favorirono ulteriori importazioni ma - come abbiamo letto sopra - fu il colpo di grazia a tutta l'economia locale.

Quest'anno 346 ha dei connotati economici particolari, e tre sono le cause che coincidono a mettere in crisi l'economia locale che era poi quella che procurava ricchezza a chi era addetto alla produzione e chi questa produzione la commercializzava, alimentando tutta l'economia dell'indotto sia a monte sia a valle.
La prima causa � la mancanza di manodopera a buon mercato. Negli ultimi decenni mancando gli schiavi gli imprenditori non potevano pi� sfruttare questa categoria che non costava a loro nulla in termini economici ma produceva solo.

La seconda causa, le aziende. La produzione ormai si era trasferita nei luoghi di conquista tramite imprenditori intraprendenti. Quest'ultima causa non � di poco conto se si pensa che gi� in Gallia, Britannia, Germania, Marocco, Libia, Algeria, Egitto, i nuovi e vecchi imprenditori con le loro industrie artigianali e le grandi aziende agricole, stanno facendo affari d'oro, sia nel soddisfare il mercato locale che ora non dipende pi� da Roma, sia perch� questi neo-imprenditori dopo un periodo di rodaggio sono riusciti a produrre un surplus tale che permette loro addirittura di esportare a Roma, dove i produttori locali non possono certo competere con gli alti costi di produzione che hanno.

In Britannia, Germania e Gallia, tenendo fede a quel consiglio-ordine-obbligo che aveva dato alle popolazioni COSTANTE (ma non c'era bisogno), queste avevano iniziato le pi� svariate attivit� nel campo agricolo, industriale, artigianale, metallurgico, della pesca; tali da rendersi indipendenti non solo dalle importazioni ma riuscirono loro stessi ad esportare nei paesi vicini e lontani togliendo cos� vaste aree di mercato ai romani (Altro colpo basso). Gi� in questo 346, a Londra (dai reperti) circolavano monete di cinquanta paesi diversi. Monete di Londra di questo periodo sono state trovate ultimamente addirittura a Canton in Cina. Monete coniate proprio da MAGNEZIO.

LONDRA era diventata da poco una citt� commerciale. Nata da un accampamento romano (ma per quasi tre secoli di l� del Tamigi) fu in questo periodo scelto l'altra sponda proprio in funzione delle imbarcazioni, nel punto dove il grande fiume cessa d'essere navigabile per le grandi navi, ma abbastanza addentro nel retroterra per essere, con le piccole barche, un centro di traffici verso ogni direzione. N� Cesare n� quelli che seguirono attraversarono mai il Tamigi nel punto dove sorge Londra oggi. Infatti, per i romani prima di Caracalla, questo luogo era una regione disabitata, selvaggia, e non per nulla fu chiamata londinium, dove l'etimo indicava una regione lond, lone = appunto solitaria e selvaggia.

E' da questo periodo che Londra diventa una grande citt�; ma non ebbe mai la giurisdizione territoriale. Pur sede del governo, non fu mai centro amministrativo del proprio territorio, n� colonia o municipio romano, e neppure capitale dei popoli britanni. Semmai, ma solo in seguito degli Angli, ma intesa come "centro" e non come "polis".

Furono, infatti, gli Angli, d'origine germanica (affini ai Sassoni) a partire da questo periodo a iniziare a infiltrarsi sull'isola nella zona del Tamigi. Gli Angli contribuiranno in modo determinante alla configurazione etnica, linguistica, culturale della nazione. Fra breve in massa (nel 407 i romani abbandoneranno l'isola) occuperanno gran parte del territorio cacciando o sterminando la maggioranza degli indigeni. Diventeranno cos� tanti che si us� (fino all'avvento dei Danesi) indicare l'antica Britannia con il nome di Anglia, gli abitanti angleis, indi il territorio Angland, il moderno England.

Londra era sorta unicamente come base; il centro dei commerci. Questa era la vocazione degli Angli e questa in seguito rimase alla citt�. Essere solo un grande centro in funzione del commercio, e paradossalmente pur essendo una megalopoli - che per� sorse su grandi spazi verdi - la popolazione era ed � ancora "inurbana", con una tendenza agreste, che il romanizzamento non modific� per nulla; anzi i signori romani trapiantati sull'isola, si adeguarono, e le lunghe permanenze erano quelle in campagna: a Londra per la season, ma  per il resto dell'anno nei loro possessi. Cio� l'incontrario dei romani, che invece sceglievano la residenza agreste per piccoli periodi, e il resto dell'anno in citt�, dove persisteva l'amore per le folle che � elemento fondamentale della civilt� romana.

In questo 346 le attivit� commerciali fra Gallia e Britannia diventano frenetiche; fra Calais (ma anche dai mari del nord, dallo Schleswig) e la nuova Londinium (Londra) s'incrociano ogni giorno centinaia di navi colme di merci che fanno spola dall'isola al continente. In pochi decenni la nuova Londinium si trasforma in una capitale del commercio. Gli Angli diventano i Fenici del nord, con capacit� imprenditoriali che porteranno questo paese ad avere, nei secoli seguenti, la supremazia dei mari, dei cantieri navali, dei magazzini, dei commerci, delle banche, dei cambi, delle corporazioni (Compagnie), delle assicurazioni.

Punteranno fra l'altro non poco sull'insegnamento, per inculcare tali capacit� imprenditoriali, navali, economiche (grandi scuole, grandi Universit�) che li porter� come i Fenici ad essere pratici, pragmatici, lungimiranti, apolitici negli scambi; fino a creare quel liberismo economico che poi fra qualche secolo diventer� il modello di tutte le economie negli altri paesi sparsi sul pianeta. Nessun altro popolo nel mondo � cos� affarista, imperialista, colonialista e conservatore come quello britannico, e cos� convinto di poter dominare tutti gli altri.
(vedi perfino l'adesione all'Euro moneta, dove il paradosso tocca il culmine. Nel maggio del 1998, la Gran Bretagna presiede la commissione che decide l'introduzione della nuova moneta in Europa, i maggiori scambi per i cambi avverranno alla Borsa di Londra, ma l'Inghilterra non ne fa parte)

Non sottovalutiamo proprio quest'apporto culturale germanico da dove escono le forze creative e intuitive che andranno a sviluppare sull'isola quelle tecnologie che porteranno poi alla nascita delle prime industrie manifatturiere, in continua crescita, maturazione, trasformazione, fino alla grande avventura economica-industriale del 1600, dove le sue leggi della produzione modificheranno l'intera Europa, ancora ferma con le sue economie arretrate, autarchiche, d'autosufficienza esistenziale e con tanta carenza di "spirito" hegeliano.

In seguito con le sue dottrine industriali rivoluzionarie butter� le basi della nuova societ� capitalistica occidentale. Poi fonder� il primo impero coloniale moderno (!?) che riunir� paesi e popoli di varie etnie, culture, lingue, anche se deborderanno nello sfruttamento.  Un percorso lunghissimo ma che sta iniziando ora in questi anni. Col nazionalismo "affaristico".

Tutto questo fu possibile in un modo cos� strepitoso perch� l'England era un'isola, ma non di meno accaddero questi stessi eventi rapidi ed eccezionali, nell'area Renana, nella Senna Gallica, nella Saar, nella Danubiana, nella Rurh, e con alcuni benefici riflessi anche su tutta l'area settentrionale italica (la Lombardia).

Risorse minerali, territori fertili e tecnologie sempre in continua evoluzione con questa gente "barbara" ora diventata libera di operare (vedi 343 e 342), la fisionomia dei luoghi cambiarono rapidissimamente. In pochi anni le citt� nelle vicinanze di Londra diventarono, una dozzina grandi e una cinquantina piccole; come Colchester, York, Gloucester, Lincoln, Exeter; mentre Londra che conta ora 15.000 anime, a fine secolo raggiunger� le 200.000. Altrettanto le citt� sul Reno e sulla Senna, in pochi anni i villaggi di poche centinaia d'anime si trasformano in grandi citt� produttive, mercantili, commerciali.

Il tutto parte in questi pochi anni. Tutto quello che venne dopo inizia ora, e diventa inarrestabile.

Ricordiamoci cosa dissero gli abitanti a quel COSTANTE che aveva dato il la maggiore alle loro richieste? "Lasciateci lavorare in pace". Proprio COSTANTE invi� una relazione quest'anno a Roma. Affermava, giustificando le liberali scelte pacifiche e i reciproci compromessi (e che i romani avrebbero potuto fare tre secoli prima): 
"E gente cos� dinamica che sarebbe la pi� cattiva e la pi� crudele delle punizioni lasciare nell'inattivit�. E' laboriosa e disciplinata. Non ubbidisce e abbassa la testa davanti ad un capo, anzi la alzano la testa, orgogliosi di avere un capo". Tacito aveva pressappoco descritto cos� i Germani duecentocinquant'anni prima. Nessuno volle capire, un costume, un carattere, la natura di un popolo.

La diagnosi era esatta, la "malattia" che questa popolazione aveva addosso era proprio quella: aveva "il morbo" della produttivi� e dell'efficienza. In questi anni dopo un paio di generazioni, la popolazione si quadruplica, e i grandi porti di Copenaghen, Londra, Rotterdam, Amsterdam, Anversa, Amburgo (e altri oggi sostituiti con caratteristiche divenute pi� adatte ai mercantili d'oggi) hanno gi� volumi di lavoro e numero di navi pari a quelle di Roma. Sta insomma cambiando l'Europa!

L'esperienza in pochi anni diventa tale che nascono subito i monopoli della navigazione, quelli che si sono poi accompagnati nei secoli fino ad oggi dominando i mari e la distribuzione delle merci su tutta l'Europa.

(Basti pensare che ancora oggi giungono ad Amsterdam, Londra, Rotterdam, l'Aia, Amburgo, Anversa, le merci Orientali e poi da li' vengono via terra, trasferite nella bassa Europa, in citt�, paradossalmente quasi vicino alle coste (Sicilia) dove quelle mercanzie sono state prodotte: lana, seta, alcali, petrolio, silicati, minerali, estratti profumi, diamanti, oro, oggetti orientali, spezie, ecc.
I Paesi del Mediterraneo, con duemila e pi� anni di tradizione marinara (Roma in questo 346 ne aveva gi� mille alle spalle) tutti a guardare!

Ma siamo appunto in questo 346, e purtroppo dentro questo Mediterraneo, nel cuore dell'impero, a Roma e a Costantinopoli sta formandosi la prima cellula del medioevo, una potenza mondana, con una sua autoritaria gerarchia teocratica, che si moltiplicher�, fino a diventare un organismo capace di fagocitare e oscurare i precedenti 1000 anni di civilt�, di progresso, di cultura. Chiuder� le strade agli scambi, alle sinergie economiche culturali e politiche. Inizia insomma l'autarchia e iniziano pure i 13 secoli bui per tutta la civilt� mediterranea.

Si seppelliscono nella polvere dei conventi e dei monasteri, milioni di codici; si elimina l'arte, la musica, lo sport, la scienza, le tradizioni popolari. Di tutto si fa tabula rasa. Davanti alle necessit�, alle sventure, si predica lo stoicismo, la rassegnazione, l'umilt�. La miseria � un dono e la predisposizione all'ignoranza una predestinazione della volont� di un Dio onnipotente. Sei nato plebeo e contadino, e plebeo e contadino sar� tuo figlio, tuo nipote e tutta la tua discendenza; noi invece siamo aristocratici, cos� nostro figlio, nostro nipote e tutta la nostra discendenza.... per volont� divina; � scritto nella Bibbia!

Si banchetta, si fanno templi, aumenta lo sfarzo, e insieme i soprusi (le chiamano leggi) per conservare questi privilegi. Costantino ha messo il seme, Teodosio fra poco pi� di quarant'anni, dalla rigogliosa pianta della creativit� dell'uomo inizia a togliere i frutti di 1000 anni di civilt�, poi impedisce ad ogni gemma che spunta di dare altri frutti, poi la casta che lascia nella sua scia, non ancora contenta, si mette a potare tutti i rami, e taglia anche il tronco. Per 1500 anni i "campi" del sapere rimarranno aridi e sterili, fino alla linea dell'orizzonte, dove c'� il buio e dove una nuova alba stenter� sempre a sorgere.

Addio ad Aristotele. Addio a Prassitele, Fidia, Democrito, Euclide. Addio Olimpiadi, Filosofi, Astronomi, Scienziati, Medici. Addio alla Musica, all'Arte. Inizia un mondo opaco, triste, fatto di silenzi, senza colori, sempre pi� grigio, infine nero, buio; alcune volte viene rischiarato da una luce, da bagliori: ma sono i fal�, i roghi.

Troveremo ancora per secoli e secoli alcune di queste filosofie della predestinazione e una negazione della volont�, radicate nella vita civile. Dove si predica il disprezzo generalizzato della ricchezza, della bellezza e della creativit�. Si predica l'accettazione della povert� come un segno della volont� divina. Si invita alla rassegnazione per chiss� quali colpe da espiare. Purtroppo il popolo minuto, soffocato nella miseria e nell'ignoranza, che di colpe non ne aveva nessuna, le dovette pagare tutte. Solo lui, il poveraccio aveva il peccato originale cucito addosso, gli altri, gli opulenti, no.

Spencer nel 1880 poteva esprimersi ancora cos� "Non deve intervenire lo Stato a favore dei bisognosi, l'istruzione, compresa la sanit� pubblica, ha l'effetto di far sopravvivere i soggetti pi� incapaci. E' la natura e la provvidenza, da sola, che assicura il buon sviluppo e la parte migliore della razza umana"- Rockefeller pieno di s� non fu da meno: "Lo sviluppo tanto fiorente � il frutto della sopravvivenza dei pi� capaci, non � una tendenza perversa, non � che la manifestazione di una legge divina" (ma intanto sfruttava i deboli) - e Owen che voleva applicare nelle sue filande "principi umani", gli industriali dissero "Se cominciamo ad essere umani finiremo tutti sul lastrico, dobbiamo forse sostituirci a Dio?".

PROSEGUI NELL'ANNO 347 >