ANNO 1945

ALESSANDRO DE FELICE

L’ASSASSINIO DI MUSSOLINI
ED IL GIOCO DELLE OMBRE

(Gentilmente concesso a Cronologia dall'Autore )

 

Oltremodo interessanti e rivelatrici sono, benché del tutto ignorate in Italia da una storiografia provinciale quanto proterva, le intercettazioni radio-telefoniche relative ad una conversazione telefonica transoceanica tra Roosevelt e Churchill del 29 luglio 1943. Esse sono state messe a disposizione da Heinrich Müller, Generale SS (per essere più precisi, Obergruppenführer-SS, cioè Generale di Corpo d’Armata), Capo della Gestapo dal 1939 al 1945, scomparso da Berlino il 29 aprile 1945.
Secondo una tesi costruita ad arte, Mueller sarebbe entrato nei servizi segreti sovietici sino alla presunta morte avvenuta a Mosca nel 1949. In realtà, come vedremo, la sua destinazione sono gli Usa dove lavora per la CIA dal 1948 al 1952.
Presumibilmente la sua affiliazione al Cremlino è completamente inventata forse perché messa in relazione al fatto che Müller, Ispettore di Polizia dal 1933, è, all’epoca, un profondo studioso della Rivoluzione bolscevica e dei sistemi investigativi della NKVD russa.

Riproducendo di seguito la citata conversazione transatlantica radiotelefonica del 29/07/1943 intercettata dagli esperti dell’intelligence germanica tra il Presidente statunitense ed il Premier britannico, indicando il primo con la iniziale R, ed il secondo con la C, premettiamo che essa prende in esami vari argomenti e vari personaggi, e che è stata pubblicata negli Stati Uniti nel 1995[1], ed è da noi tradotta per la prima volta in Italia. Le trascrizioni originali della conversazione tra Churchill e Roosevelt sono fatte dall’intelligence tedesca in lingua inglese e poi tradotte in tedesco. Non mancano numerosi errori di ortografia.
Ho riportato questa intercettazione integralmente nel mio cd.rom intitolato Il gioco delle ombre (reperibile sul web all’indirizzo www.alessandrodefelice.it):

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<<R. Ho alcuni pensieri supplementari sulla situazione italiana che ho voluto discutere con te. Ho pensato alle nostre azioni concernenti Mussolini ed il suo destino finale. Dopo che egli si sia arreso a noi.

 

C. Tu devi catturare il pesce prima di cucinarlo. Non ho alcun dubbio che finirà nostro prigioniero a meno che, naturalmente, essi (gli italiani N.d.R.) lo uccidano o egli si sottragga alla sua esatta ricompensa suicidandosi.

 

R. C’è anche la possibilità che i Nazisti possano giungere a lui? Dov’è adesso?

 

C. Gli italiani ci hanno avvertito che lui è attualmente al quartier generale della polizia a Roma. Essi lo vogliono trasferire direttamente perché sembra che i tedeschi potrebbero improvvisamente decidere di rafforzare i loro effettivi in Italia e Roma diventerebbe il loro bersaglio logico. Essi (gli italiani N.d.R.) lo sposteranno.

 

R. Ma essi non lo vorranno mollare, e mi riferisco ai tedeschi? Per quale genere di quid pro quo?

 

C. Io penso di no. Gli italiani odiano i tedeschi ed il circolo reale è molto saldamente nella nostra tasca. Noi possiamo essere ragionevolmente certi che Mussolini finirà nostro prigioniero.

 

R. Sarebbe una mossa saggia, Winston? Saremmo costretti ad istruire una specie di megaprocesso che si potrebbe trascinare per mesi e anche se lo controllassimo, ci arrecherebbe problemi con il popolo. E io devo osservare che molti italiani qui sono almeno suoi segreti ammiratori (lett.<<secret admirers of the creature>>). Il che porterebbe problemi qui se noi lo processassimo. Naturalmente l’esito del processo non sarebbe mai in dubbio ed egli morirebbe appeso ad una corda. Ma nel frattempo, questi processi, e sto presumendo che noi avremmo un sacco di penosi amiconi anche disponibili per il processo e l’esecuzione, potrebbero trascinarsi all’infinito. Io posso prevedere vari aspetti negativi per questo affare.

 

C. Naturalmente ci sono aspetti negativi in ogni affare, Franklin. Allora ritieni che egli (Mussolini N.d.R.) non si debba processare? Cosa penserebbero i nostri amici in Italia della nostra malposta generosità? Io ho ottime relazioni con certi elementi in Italia e quanto all’uomo, essi vogliono l’umiliazione pubblica e la morte di Mussolini. Sicuramente noi non siamo in un momento in cui qualche generosità è possibile. La sua morte avrebbe un salutare effetto sui nazisti.

 

R. Io non dissento da questa tesi, ma, dal mio proprio punto di vista, un processo pubblico potrebbe avere connotazioni negative sulla situazione in questo Paese. Come ti ho detto c’è qualche solidarietà con la creatura (Mussolini N.d.R.) all’interno della (locale) comunità italiana (negli Usa) e la domanda sarebbe che tipo di reazione avrebbe un tale processo su di essi (italiani N.d.R.)? Io sto pensando essenzialmente alle prossime elezioni qui. Il processo certamente non finirebbe in una settimana e la chiusura coinciderebbe col periodo della presentazione delle candidature e, alla fine con le elezioni, ed il maggior pericolo sarebbe l’alienazione (delle simpatie N.d.R.) degli italiani che hanno, io sento, un certo significativo peso nella bilancia (dei voti N.d.R.).

 

C. Non posso accettare che liberare Mussolini potrebbe favorire qualcuno dei nostri comuni scopi. A questo punto della storia, io credo che sia stato oltrepassato lo spartiacque ed è giunto per noi il momento adesso. Non ritengo che la guerra finirà subito, ma la percezione è che noi siamo sulla via Triumphalis ora, non sulla via Dolorosa come siamo stati per così tanto tempo.

 

R. Io non volevo dire che dovremmo rilasciare il diavolo. Niente affatto. Mi riferivo al processo pubblico. Se Mussolini morisse prima che un processo potesse aver luogo, penso che noi staremmo meglio in tutti i sensi.

 

C. Tu suggerisci che noi semplicemente dobbiamo fucilarlo[2] quando gli italiani lo consegneranno a noi? Quale tipo di Corte Marziale per quest’affare? Celebrato a porte chiuse naturalmente. Potrebbe avere un salutare effetto sui fascisti duri a morire ancora attivi e forse perfino un effetto più grande sugli Hitleriti.

 

R. No. Ho pensato in proposito e credo che se Mussolini morisse mentre è ancora agli arresti in Italia (<<in Italian custody>>), ciò potrebbe servirci assai più che se noi avviassimo un processo.

 

C. Non credo che anche se io chiedessi un simile favore agli italiani essi lo asseconderebbero. È mia convinzione che essi vogliano avere la loro vendetta su lui in un modo prolungato e pubblico per quanto è possibile. Tu sai quanto gli italiani amino urlare e gorgheggiare[3] intorno alla vendetta nelle loro opere. Puoi immaginarti loro rinunciare all’opportunità di gesticolare e parlare in pubblico?

 

R. Io avevo in mente che, dopo che noi stessi troveremmo un accordo qui, potremmo eliminarlo mentre è ancora nella loro custodia (italiana N.d.R.). Allo stesso tempo potremmo fare pubbliche richieste per la sua consegna per un processo. Ciò sarebbe (un’evoluzione N.d.R.) un po’ più dolce rispetto all’affare Darlan..[4].

 

C. Non posso ma faccio un’obiezione a quell’allusione, Franklin. Quello è tutto finito e non ha niente a che vedere adesso (<<That’s over and done with now>>) e la nostra gente non è per nulla interessata al destino ben giustificato di un ben noto leccapiedi dei Nazisti[5]>>.

 

Interrompiamo momentaneamente la conversazione tra Roosevelt e Churchill intercettata dallo spionaggio nazionalsocialista tedesco; è opportuno, infatti, chiarire qualcosa sul personaggio Darlan. Jean François Darlan, Ammiraglio e uomo politico francese, nasce a Nérac, Lot e Garonna nel 1881. Partecipa al primo conflitto mondiale e nel 1929 è nominato Contrammiraglio. Capo di gabinetto del Ministro della Marina Georges Leygues negli anni 1926-1928 e 1929-1934, Darlan collabora alla riorganizzazione della flotta navale francese. Comandante della squadra dell’Atlantico dal 1934 al ’36, quindi Capo di S.M.G. della Marina nel 1939-1940, è nominato Comandante in capo della Marina Mercantile e Militare nel governo Pétain, e, dopo il licenziamento di Laval (dicembre 1940), assume la anche la carica di Vicepresidente del Consiglio dei ministri e di Ministro degli esteri (febbraio 1941). Assertore di una politica di collaborazione con la Germania, successore designato di Pétain, Darlan incontra Hitler due volte, il 25-12-1940 a Beauvais ed il 10-5-1941 a Berchtesgaden; dopo quest’ultimo firma a Parigi il 28 maggio 1941 il protocollo Darlan-Warlimont, poi respinto dal governo di Vichy, che mette a disposizione dei tedeschi alcuni porti francesi in Africa. Il 10-12-1941 incontra Ciano a Torino.

Al ritorno di Laval al governo nell’aprile 1942 Darlan si dimette da tutti gli incarichi ministeriali, ma rimane Comandante in capo delle forze armate francesi. Si trova ad Algeri al momento dello sbarco alleato dell’8 novembre 1942 e, con repentino giro di valzer politico-militare, il 10 novembre successivo conclude un armistizio col comando statunitense; addirittura il 13 novembre seguente ordina alle truppe francesi di battersi contro le forze dell’Asse.
Quindi Darlan si autoproclama il giorno successivo (14-11-1942) Alto Commissario francese dell’Africa del Nord in nome di Pétain, il quale ultimo però lo sconfessa. Darlan regola col Generale Clark i rapporti fra autorità francesi e statunitensi in Africa (22-11-1942).

Il 24 dicembre 1942 Darlan viene ucciso ad Algeri da un giovane agente di De Gaulle, Bonnier de La Chapelle. Più precisamente, Roosevelt sostiene l’utilizzazione pragmatica degli amministratori di Vichy per i territori da poco occupati dagli Alleati, ma Churchill sostiene fortemente De Gaulle che si oppone all’uso della classe dirigente di Vichy. La lotta tra Roosevelt e Churchill culmina nell’uccisione di Darlan da parte di un giovane agente francese, Bonnier de La Chapelle appunto, che era stato addestrato dal Soe (Special Operations Executive) britannico. L’arma dell’assassinio, una pistola Welrod di fabbricazione inglese con silenziatore, finisce nelle mani degli Usa e fu conosciuta per essere alla Aberdeen Proving Grounds nel Maryland.

Lo scrivente Alessandro De Felice intende riferire adesso un episodio che ha sempre omesso da 18 anni a questa parte e che ha riferito alcuni giorni addietro ad Alberto Bertotto ed Elena Curti. Mi riferisco ad un breve colloquio 'casuale' che ebbi a Milano alla Fondazione Feltrinelli nel 1989-1990, non ricordo bene la datazione esatta, con l’allora ottuagenario Leo Valiani. Io ho frequentato la Fondazione in oggetto, per quasi un anno (forse 1 anno e mezzo), per analizzare testi introvabili sul socialismo in relazione alla mia tesi di laurea sulla politica internazionale e la scissione socialdemocratica di Palazzo Barberini.
Devo dire che venivo guardato a vista dal personale, abbastanza rigido, e venivo dissuaso spesso dal chiedere determinati volumi e documenti, presumibilmente insospettito dal mio cognome. Ma dopo varie insistenze, riuscivo ad ottenere in parte il materiale richiesto.

Ciò nonostante, ebbi modo di poter avvicinare il Valiani, già vegliardo ma ancora molto sveglio all’epoca. Egli si trovava lì nella sala consultazione della biblioteca della fondazione per compulsare dei volumi. Lo vidi per una decina di volte. Pur essendo già Senatore a vita, nominato da Sandro Pertini nel 1980, il Valiani arrivava in Fondazione Feltrinelli senza scorta. Non sarebbe difficile, se la fondazione avesse conservato dei registri di presenze, risalire al periodo esatto. Si firmava sempre per poter entrare e consultare o richiedere fotocopie. Era un tipo schivo, come lo scrivente. Dopo aver rotto il ghiaccio ed essendoci scrutati a distanza per varie volte, un giorno, dopo essermi presentato scientificamente, Gli parlai, in un momento in cui rimanemmo noi due soli nella sala stessa, chiedendo possibili ulteriori lumi, del ruolo estero nell’assassinio del Duce e degli altri gerarchi e la Petacci. Il Valiani, sibillinamente, mi rispose testualmente come riporto: <<La morte di Mussolini deve rimanere un mistero. Ed è meglio che sia così….., - mi disse -. Quindi aggiunse, dopo una breve pausa, come a voler gelare la situazione: <<Londra ha suonato la musica, ed il PCI è andato a tempo!>>. Circa un’ora dopo, quando stavo per andare via dalla sala, mentre gli passavo accanto per uscire, mi fermò con un segnale invitandomi ad accostarmi sbrigativamente alla sedia e mi disse quasi all'orecchio: <<De Felice, Le consiglio di non parlare ad alcuno di quanto dettoLe oggi>>. Da allora, accennai ad una sola persona di questa conversazione col Valiani: Renzo De Felice. Ne parlai con lui, cugino di mio padre, nel 1991. E questa è la prima volta che ne parlo pubblicamente.

ALESSANDRO DE FELICE

[1] Gregory Douglas (by), Gestapo Chief. The 1948 Interrogation of Heinrich Müller. From Secret U.S. Intelligence Files, vol. 1, R. James Bender Publishing, San Jose, California, 1995, pp. 56-62.

[2] L’espressione usata testualmente è <<shoot>>, verbo (to shoot) che significa uccidere, fucilare (ibid., p. 58).

[3] Letteralmente <<to wail and warble>>.

[4] Ibid., pp. 56-58.

[5] Ibid., p. 58.

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