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( QUI TUTTI I RIASSUNTI ) RIASSUNTO ANNO 1922 (7)
DISCORSI E SCRITTI DEL CAPO DEL FASCISMO (MUSSOLINI)
NEL CORSO DELL'ANNO 1922
DISCORSO ADUNATA DI MILANO - (4 ottobre 1922)
CIRCOLO VIZIOSO - (Il Popolo d'Italia, N. 240) - (7 ottobre 1922)
ESERCITO E FASCISMO - (Il Popolo d'Italia, N. 246) - (14 ottobre 1922)
DISCORSO ADUNATA DI NAPOLI ” - (24 ottobre 1922)
LA SITUAZIONE - (Il Popolo d'Italia, N. 259) - (29 ottobre 1922)
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Dopo i discorsi di Udine e di Cremona, ecco quello di Milano,
Mussolini parla della violenza, di Monarchia, dell’Alto Adige, e della nuova Italia.
DAL MALINCONICO TRAMONTO LIBERALE
ALL'AURORA FASCISTA DELLA NUOVA ITALIA
(4 ottobre 1922)
"Ho accettato di venire a parlare questa sera al gruppo Sciesa per un triplice ordine di motivi: un motivo sentimentale, un motivo personale ed un motivo politico. Un motivo sentimentale, perché volevo tributare il mio attestato di ammirazione e di devozione profonda ai nostri indimenticabili magnifici caduti, Melloni, Tonoli e Crespi; i primi due della vostra squadra, il terzo della Sauro. Io li ricordo perfettamente. Poi ho accettato di parlare per il carattere che il gruppo ha voluto dare a questa celebrazione. Finalmente, data l'attesa generale che tiene sospesi gli animi di tutti gli italiani nel presagio di qualche avvenimento che dovrà arrivare, non volevo mancare l'occasione di precisare alcuni punti di vista; precisazione necessaria nel tormentoso periodo che attraversiamo.
Voi sentite, a giudicare dal vostro atteggiamento austero e silenzioso, che se la materia è corrompibile, lo spirito è immortale.
Voi sentite, stasera, che in questo piccolo ambiente aleggia ancora lo spirito dei nostri caduti. Sono presenti. Noi sentiamo la loro presenza. Poiché l'anima non può morire. E sono caduti nell'azione più eroica compiuta dal fascismo italiano nei quattro anni della sua storia.
Poiché molte volte, quando i fascisti si sono precipitati a distruggere col ferro e col fuoco i covi della ribalda e vile delinquenza socialcomunista, non hanno visto che schiene in fuga; ma gli squadristi della Sciesa ed i due caduti che qui ricordiamo e tutti gli squadristi del Fascio Milanese sono andati all'assalto dell'Avanti! come sarebbero andati all'assalto di una trincea austriaca. Hanno dovuto varcare dei muri, spezzare dei reticolati, sfondare delle porte, affrontare del piombo rovente che gli assaliti gettavano con le loro armi.
Questo è eroismo. Questa è violenza. Questa è la violenza che io approvo, che io esalto. Questa è la violenza del fascismo milanese. Ed il fascismo italiano - io parlo al fascisti di tutta Italia - dovrebbe farla sua.
Non la piccola violenza individuale, sporadica, spesso inutile, ma la grande, la bella, la inesorabile violenza delle ore decisive.
E’ necessario, quando il momento arriva, di colpir con la massima decisione e con la massima inesorabilità. Non dovete credere che qui mi facciano velo i sentimenti di simpatia fortissima che io ho per il fascismo milanese: ma è soprattutto l'amore che io porto alla nostra causa.
Quando una causa è santificata da tanto sangue purissimo di giovani, questa causa non deve venire in nessun modo ed a nessun costo infangata.
Eroi sono stati i nostri amici ! La loro gesta è stata guerriera. La loro violenza santa e morale. Noi li esaltiamo. Noi li ricordiamo. Noi li vendicheremo. Non possiamo accettare la morale umanitaria, la morale tolstoiana, la morale degli schiavi. Noi, in tempi di guerra, adottiamo la formula socratica: «Superare nel bene gli amici, superare nel male i nemici ! ».
La nostra linea di condotta è correttissima. Chi ci fa del bene, avrà del bene; chi ci fa del male, avrà del male. I nostri nemici non potranno lagnarsi se, essendo nemici, saranno trattati duramente, come duramente devono essere trattati i nemici. Siamo in un periodo storico di crisi che accelera ogni giorno i suoi tempi. Lo sciopero generale, che fu stroncato dal sacrificio di sangue dei fascisti, è un episodio che si inquadra nella crisi generale.
Il dissidio è fra nazione e Stato. L'Italia è una nazione. L'Italia non è uno Stato. L'Italia è una nazione, poiché, dalle Alpi alla Sicilia, c'è una unità fondamentale dei nostri costumi; c'è una unità fondamentale del nostro linguaggio, della nostra religione. La guerra combattuta dal '15 al '18 consacra tutte queste unità e se queste unità formidabili bastano a caratterizzare la nazione, la nazione italiana esiste: piena di risorse, potentissima, lanciata verso un glorioso destino.
Ma alla nazione deve darsi lo Stato. E lo Stato non c'è. Oggi il giornale che rappresenta il liberalismo in Italia - il giornale più diffuso in Italia, e che perciò qualche volta ha fatto molto male agli italiani sostenendo tesi assurde - constatava che in Italia ci sono due governi e quando ce ne sono due, ce n'è uno di più. Lo Stato di ieri e lo Stato di domani. «Occorre un governo», diceva oggi il Corriere della Sera. Siamo d'accordo. Occorre un governo!
Ma ci sono in questi giorni due episodi, sintomatici che dimostrano che lo Stato fascista è infinitamente migliore dello Stato liberale e che perciò lo Stato fascista è degno di ricevere l'eredità dello Stato liberale. Due episodi: uno in cui entra la pietà ed un altro in cui entra la legge.
A San Terenzio di Spezia, se i morti sono stati sepolti tutti, se i feriti sono stati portati tutti all'ospedale, se il paese è stato ripulito dalle macerie, se i mobili ed i beni sono stati salvaguardati dagli sciacalli umani, se San Terenzio potrà rivivere, se il rancio è stato distribuito ai soldati in tempo utile, lo si deve allo Stato fascista. Ed il sindaco di Lerici - che non risulta essere fascista - non manda un telegramma a Facta, ma ne manda uno, traboccante di riconoscenza, a Mussolini, come avrete appreso dal Popolo d'Italia.
Qui siamo nel campo della pietà, della solidarietà nazionale ed umana.
Saltiamo a Bolzano. Siamo nel campo della legge e del diritto italiano. Chi li ha tutelati? Il fascismo. Chi ha imposto l'italianità in una città che deve essere italiana? Il fascismo! Chi ha bandito quel Perathoner che per quattro anni ha tenuto in scacco cinque ministeri italiani? È stato il fascismo, che ha dato una scuola agli italiani, una chiesa agli italiani, un senso di dignità agli italiani nell'Alto Adige! Chi ha collocato il busto del re nell'aula consiliare? (Il re, passando da Bolzano, se n'era dimenticato: evidentemente non ci teneva!). Il fascismo!
I tedeschi sono meravigliati e stupiti di vedersi dinanzi la gioventù fascista, che è bella fisicamente ed è magnifica moralmente. Hanno l'aria di domandarsi, questi tedeschi che popolano abusivamente il territorio italiano: « Che Italia è questa? ». Noi rispondiamo: « Voi, tedeschi, attraverso i ministeri della disfatta e della mala pace, eravate -abituati all'Italia di Abba Garima: dovete famigliarizzarvi con l'Italia di Vittorio Veneto, che è una Italia di qualità, di forza, di energia, che dice Al Brennero ci siamo e ci resteremo! Non vogliamo andare ad Innsbruck; ma non pensate affatto che Germania ed Austria possano ritornare mai più a Bolzano! ».
Questo è lo Stato fascista quale si rivela agli occhi degli italiani in due momenti tipici della cronaca attuale: il disastro di San Terenzio e la occupazione fascista di Bolzano.
I cittadini si domandano: « Quale Stato finirà per dettare la sua legge agli italiani? ». Noi non abbiamo nessun dubbio a rispondere « Lo Stato fascista! ».
Il Corriere della Sera dice: « Bisogna far presto! ». Siamo d'accordo! Una nazione non può vivere tenendo nel suo seno due Stati, due governi, uno in atto, uno in potenza. Ma quali sono le vie per arrivare a dare un governo alla nazione? Diciamo governo; ma quando noi diciamo Stato intendiamo qualche cosa di più. Intendiamo lo spirito, non soltanto la materia inerte ed effimera! Ci sono due mezzi, o signori: se a Roma non sono diventati tutti rammolliti, dovrebbero convocare la Camera ai primi di novembre, far votare la legge elettorale riformata, convocare il popolo a comizio entro dicembre. Poiché la crisi Facta, come invoca il Corriere, non potrebbe spostare la situazione.
Fate trenta crisi al Parlamento italiano, così come è oggi, ed avrete trenta reincarnazioni del signor Facta. Se il Governo, o signori, non accetta questa strada, allora noi siamo costretti ad imboccare l'altra. Vedete che il nostro gioco ormai è chiaro. D'altra parte non è pensabile più, quando si tratta di dare l'assalto ad uno Stato, la piccola congiura che rimane segreta sì e no fino al momento dell'attacco. Noi dobbiamo dare degli ordini a centinaia di migliaia di persone, e pretendere di conservare il segreto sarebbe la più assurda delle pretese e delle speranze. Noi giochiamo a carte scoperte fino al punto in cui è necessario di tenerle scoperte. E diciamo: «C'è un'Italia che voi, governanti liberali, non comprendete più. Non la comprendete per la vostra mentalità arretrata, non la comprendete per il vostro temperamento statico, non la comprendete perché la politica parlamentare vi ha inaridito lo spirito. L'Italia che è venuta dalle trincee è un'Italia forte, un'Italia piena di impulsi, di vita».
E’ un'Italia che vuole iniziare un nuovo periodo di storia. Il contrasto è quindi plastico,drammatico, fra l'Italia di ieri e la nostra Italia di oggi.
L'urto appare inevitabile. Si tratta ora di elaborare le nostre forze, i nostri valori, di preparare le nostre energie, di coordinare i nostri sforzi perché l'urto sia vittorioso per noi. E del resto su di ciò non può esservi dubbio.
Ormai lo Stato liberale è una maschera dietro la quale non c'è nessuna faccia. E una impalcatura; ma dietro non c'è nessun edificio. Ci sono delle forze; ma dietro di esse non c'è più lo spirito. Tutti quelli che dovrebbero essere a sostegno di questo Stato, sentono che esso sta toccando gli estremi limiti della vergogna, della impotenza e del ridicolo.
D'altra parte, come dissi ad Udine, noi non vogliamo mettere tutto in gioco, perché non ci presentiamo come i redentori del genere umano, né promettiamo niente di speciale agli italiani. Anzi, può essere che noi imporremo una più dura disciplina agli italiani e dei sacrifici. Può darsi che noi li imporremo tanto alla borghesia quanto al proletariato, perché c'è un proletariato infetto, come c'è una borghesia più infetta ancora.
C'è un proletariato che merita di essere castigato per poi dargli la possibilità di redenzione, e c'è una borghesia che ci detesta, che tenta di gettare la confusione nelle nostre file, che paga tutti i fogli che fanno opera di calunnia antifascista; una borghesia che si è gettata fino a ieri ignobilmente ai piedi delle forze antinazionali; una borghesia verso la quale noi non avremo un brivido di pietà.
Siamo circondati da nemici: ci sono i nemici palesi e quelli occulti. I nemici palesi vivono nei cosiddetti partiti sovversivi, che ormai si sono specializzati nell'agguato e nella imboscata assassina.
Ma ci sono dei nemici ambigui, che, sotto il tricolore e sotto bandiere analoghe, cercano di ferire il movimento fascista, di insinuarsi nelle nostre file, di creare dei simulacri di organismi per indebolire il movimento nostro proprio nella fase in cui è necessario di tenerlo maggiormente compatto ed unito.
Ora bisogna dire che se non avremo remissione per coloro che ci attaccano dietro le siepi, non avremo nemmeno remissione per coloro che ci attaccano con ambiguità. Quando al quadrante della storia battono le grandi ore, bisogna parlare da contadini: semplicemente, duramente, schiettamente e lealmente.
Non abbiamo grandi ostacoli da superare, perché la nazione attende, la nazione spera in noi. La nazione si sente rappresentata da noi. Certamente non possiamo promettere l'albero della libertà sulle pubbliche piazze; non possiamo dare la libertà a coloro che ne profitterebbero per assassinarci. Qui è la stoltezza dello Stato liberale: che dà la libertà a tutti, anche a coloro che se ne servono per abbatterlo.
Noi non daremo questa libertà. Nemmeno se la richiesta di questa libertà fosse avvolta nella vecchia carta stinta degli immortali principi !
Infine, quello che ci divide dalla democrazia non sono gli ammennicoli elettorali. La gente vuole votare? Ma voti! Votiamo tutti fino alla noia e fino alla imbecillità! Nessuno vuol sopprimere il suffragio universale. Ma faremo una politica di severità e reazione. Questi termini non ci fanno paura. Se si dirà dagli organi rappresentativi della democrazia che noi siamo reazionari, non ci adonteremo affatto. Perché quel che ci divide dalla democrazia è la mentalità, è lo spirito. La storia non è un itinerario obbligato: la storia è tutta contrasti, è tutta vicende; non ci sono secoli di tutta luce e secoli di tutte tenebre. Non si può trasportare il fascismo fuori d'Italia, come non si è potuto trasportare il bolscevismo fuori dalla Russia.
Dividiamo gli italiani in tre categorie: gli italiani « indifferenti », che rimarranno nelle loro case ad attendere; i « simpatizzanti », che potranno circolare; e finalmente gli italiani « nemici », e questi non circoleranno.
Non prometteremo nulla di speciale. Non assumeremo atteggiamenti di missionari che portano la verità rivelata. Non credo che i nemici ci opporranno ostacoli seri. Il sovversivismo è a terra. Voi vedete il congresso di Roma. Quale cosa pietosa è stata! Quando leader di un congresso diventa un Buffoni qualunque, come quel avvocato di Busto o di altro paese che sia, voi capite che siamo già all'ultimo gradino della scala. C'era un socialismo. Oggi ce ne sono quattro, con tendenza ad aumentare. E quel che più conta, ognuno di costoro intende essere il rappresentante dell'autentico socialismo. Il proletariato non può che sbandarsi. E sfiduciato, schifato dal contegno dei socialisti. Ho già detto, del resto, che il socialismo non è soltanto tramontato nel partito è tramontato nella filosofia e nella dottrina. Ci vogliono gli italiani ed in genere gli occidentali a bucare con gli spilli della loro logica le grottesche vesciche del socialismo internazionale.
Forse, vista la cosa sotto l'aspetto storico, è una lotta fra l'Oriente e l'Occidente: fra l'Oriente famoso, caotico, rassegnato (vedi la Russia) e noi, popolo occidentale, che non ci lasciamo trasportare eccessivamente dai voli della metafisica e che siamo assetati di concrete, dure realtà.
Gli italiani non possono essere a lungo mistificati da dottrine asiatiche, assurde e criminose nella loro applicazione pratica e concreta. Questo è il senso del fascismo italiano, il quale rappresenta una reazione all'andazzo democratico per cui tutto doveva essere grigio, mediocre, uniforme, livellatore; in cui, dal capo supremo dello Stato all'ultimo usciere di Pretura, si faceva di tutto per attenuare, nascondere, rendere fugace e transitoria l'autorità dello Stato.
Dal Re, troppo democratico, all'ultimo funzionario, noi abbiamo subìto le conseguenze di questa concezione falsa della vita.
La democrazia credeva di rendersi preziosa presso le masse popolari e non comprendeva che le masse popolari disprezzano coloro che non hanno il coraggio di essere quello che devono essere. Tutto questo la democrazia non ha capito. La democrazia ha tolto lo « stile » alla vita del popolo. Il fascismo riporta lo « stile » nella vita del popolo: cioè una linea di condotta; cioè il colore, la forza, il pittoresco, l'inaspettato, il mistico; insomma, tutto quello che conta nell'animo delle moltitudini.
Noi suoniamo la lira su tutte le corde: da quella della violenza a quella della religione, da quella dell'arte a quella della politica. Siamo politici e siamo guerrieri. Facciamo del sindacalismo e facciamo anche delle battaglie nelle piazze e nelle strade. Questo è il fascismo così come fu concepito e come fu attuato e come è attuato, soprattutto, a Milano.
Bisogna, o amici, mantenere questo privilegio. Tenere sempre il fascismo magnifico in questa linea meravigliosa di forza e di saggezza. Non abbandonarsi alla imitazione; poiché quello che è possibile in una data plaga agricola, in un dato momento, in un dato ambiente, non è possibile a Milano. Qui la situazione è stata capovolta più per maturazione spontanea di eventi che per violenza di uomini o di cose. Qui il nostro dominio si afferma sempre più solido, sicuro, effettivo. Ed allora, o amici, noi dobbiamo prepararci con animo puro, forte, sgombro di preoccupazioni ai compiti che ci aspettano. Domani, è assai probabile, è quasi certo, tutta la impalcatura formidabile di uno Stato moderno sarà sulle nostre spalle. Non sarà soltanto sulle spalle di pochi uomini: sarà sulle spalle di tutto il fascismo italiano.
E milioni di occhi, spesso malevoli, e milioni di uomini, anche oltre le frontiere, ci guarderanno. E vorranno vedere come funzionano le nostre gerarchie; vorranno vedere come si amministrerà la giustizia nello Stato fascista, come si tutelano i galantuomini, come si fa la politica estera, come si risolvono i problemi della scuola, della espansione, dell'esercito. Ed ognuno che sia colto in fallo riverbererà il suo fallo e la sua vergogna su tutta la gerarchia dello Stato e, necessariamente, del fascismo.
Avete voi, o amici, la sensazione esatta di questo compito formidabile che ci attende? Siete voi preparati spiritualmente a questo trapasso? Credete voi che basti soltanto l'entusiasmo?
Non basta! E' necessario però, perché l'entusiasmo è una forza primitiva e fondamentale dello spirito umano. Non si può compiere nulla di grande se non si è in stato di amorosa passione, in stato di misticismo religioso. Ma non basta. Accanto al sentimento ci sono le forze raziocinanti del cervello. Io credo che il fascismo, nella crisi generale di tutte le forze della nazione, abbia i requisiti necessari per imporsi e per governare. Non secondo la demagogia, ma secondo la giustizia.
Ed allora, governando bene la nazione, indirizzandola verso i suoi destini gloriosi, conciliando gli interessi delle classi senza esasperare gli odii degli uni e gli egoismi degli altri, proiettando gli italiani come una forza unica verso i compiti mondiali, facendo del Mediterraneo il lago nostro, alleandoci, cioè, con quelli che nel Mediterraneo vivono, ed espellendo coloro che del Mediterraneo sono i parassiti; compiendo questa opera dura, paziente, di linee ciclopiche, noi inaugureremo veramente un periodo grandioso della storia italiana.
Così ricorderemo i nostri morti; così onoreremo i nostri morti; così li iscriveremo nel libro d'oro dell'aristocrazia fascista.
Indicheremo i loro nomi alle nuove generazioni, ai bambini che vengono su e rappresentano la primavera eterna della vita che si rinnova. Diremo: «Grande fu lo sforzo, duro il sacrificio e purissimo il sangue che fu versato; e non fu versato per salvaguardare interessi di individui o di caste o di classi; non fu versato in nome della materia; ma fu versato in nome di una idea, in nome dello spirito, in nome di quanto di più nobile, di più bello, di più generoso, di più folgorante può contenere un'anima umana. Vi domandiamo di ricordare ogni giorno, con l'esempio, i nostri morti; di essere degni del loro sacrificio; di compiere quotidianamente il vostro esame di coscienza ».
Amici, io ho fiducia in voi! Voi avete fiducia in me! In questo mutuo leale patto è la garanzia, è la certezza della nostra vittoria! Viva l'Italia! Viva il fascismo! Onore e gloria ai nostri martiri!
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Quattro giorni dopo: “Così non si può andare avanti!”“ CIRCOLO VIZIOSO ”
(Il Popolo d'Italia, N. 240)
(7 ottobre 1922)"Da ogni parte si grida. con una concitazione che rivela la innegabile gravità del momento: « Così non si può andare avanti! La nazione non può ospitare due governi, anzi due Stati. Bisogna dare un solo governo alla nazione ».
Perfettamente. Il postulato ci trova pienamente consenzienti. Anche noi, con maggiore diritto di tutti gli altri, ci uniamo al coro e diciamo occorre un governo per la nazione. Ma questo universale riconoscimento di una necessità che moltiplica la sua urgenza di giorno in giorno, e si potrebbe dire d'ora in ora, non basta. L'importante è di stabilire come si fa a dare un nuovo, un unico, un forte governo alla nazione. Qui nasce il disaccordo. Due mentalità stanno di fronte; l'una che guarda al paese, l'altra che tiene precipuamente conto delle forze parlamentari. Si vuole una crisi, perché Facta ha dimostrato la sua insufficienza.
Povero Facta ! Io che ho scritto parole acerbe su di lui, sarei, ora, tentato di tesserne l'apologia. Quest'uomo che si vuole defenestrare, non è un vanitoso, non è un procacciante, non ha voluto il potere, non ha fatto nulla per ottenerlo.
Lo hanno messo al Viminale a viva forza. Poiché tutti rifiutavano, egli ha dovuto fare il Cireneo. Un Governo che reca fin dalla nascita queste stigmate, non può essere, non sarà mai forte, anche se per avventura lo componessero uomini di una tempra assai più dura.
Al posto di Facta ci doveva essere Meda. Ma il pingue deputato lombardo ha fatto per viltade il gran rifiuto. Non è il fascismo, sebbene l'ignobile Parlamento italiano che - abbattendolo e quindi resuscitandolo - ha esautorato in maniera irreparabile e sin dal bel principio il ministero Facta.
Il ministero Facta e l'attuale Camera si condizionano a vicenda. Ragione per cui l'attuale Camera non potrà dare che un ministero Facta, anche se si cambierà la persona del presidente del Consiglio. L'on. Giolitti, malgrado la sua lunga esperienza di uomini e di cose, non potrebbe fare, nei confronti del fascismo, che una politica « factiana ». Ci sono dei precedenti. Quando nel giugno-luglio dell'anno scorso i socialisti tentarono a Montecitorio di imporre al Governo una linea di condotta antifascista, fu proprio l'on. Giolitti a dichiarare che non si poteva pensare a provvedimenti di polizia contro un movimento che annoverava allora 156 mila iscritti, mentre oggi ne ha almeno tre volte tanti.
Un nuovo ministero, sia pure presieduto da Giolitti, non può fare una politica di antifascismo. Vero è che gli zelatori della crisi non la chiedono questa reazione, anche perché ne avvertono, oltre gli enormi pericoli, la pratica impossibilità. Si pensa allora di girare l'ostacolo proponendo questa soluzione: Giolitti con una rappresentanza del fascismo. Questa soluzione, anche parlamentarmente, si presenta di assai difficile attuazione.
Un ministero Giolitti più i fascisti, quale base avrebbe a Montecitorio? Ad ogni modo è inutile perdersi in queste indagini per il semplice motivo che il fascismo non intende di vendere la sua primogenitura ideale per il famoso piatto di lenticchie, che potrebbe consistere in un portafoglio e in un paio di sottoportafogli. (Parlamentarmente, con trentacinque deputati e dovendo accogliere nel ministero, com'è naturale, anche i delegati degli altri gruppi, il fascismo non potrebbe avere una più numerosa rappresentanza).
Date le forze di cui dispone nel paese, il fascismo non può andare al potere dalla porta di servizio. Per uscire dalla crisi, per risolvere il problema e non soltanto per mettere una ridicola pezza sopra una falla che si allarga ogni giorno di più, bisogna incamminarsi su una strada diversa. Tutti i pretesti per non convocare la Camera ai primi di novembre sono inconsistenti. Tre o quattro giorni di discussione bastano per riformare la legge, anche perché su taluni punti c'è già l'unanimità di tutti i partiti. Dopo di che si scioglie la Camera e si convocano i comizi elettorali entro il dicembre.
La divisione del Pus è un altro fatto da aggiungere ai precedenti, che denunciano una situazione politica profondamente cambiata. Il Gruppo di destra del Pus allinea ben settanta deputati; ma che cosa e chi rappresentano costoro? Ci troviamo di fronte a quattro partiti socialcomunisti, ognuno dei quali pretende di rappresentare il proletariato; è necessario di vedere, di constatare quale dei quattro abbia maggiore titolo per rivendicare questo diritto.
Il Partito Popolare è scosso da una crisi profonda, che trapela oramai da mille sintomi, i quali vanno dal voto dell'onorevole Boncompagni Ludovisi alla recente lettera dei senatori tesserati nel Partito Popolare.
Situazione cambiata, dunque, e qua e là assolutamente capovolta. Con questo la convocazione dei comizi è pienamente giustificata. Ora, poiché bisogna dare un governo solo alla nazione; poiché questo governo non può essere dato dalla Camera attuale, la conclusione che ne segue è logica. Il dilemma del fascismo è di un'attualità sempre più bruciante. Esso rappresenta un'esigenza improrogabile della coscienza nazionale. – MUSSOLINI
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Mussolini attacca Badoglio, ostile al “fascismo” e per aver detto “al primo fuoco si sfascia”
“ ESERCITO E FASCISMO ”
(Il Popolo d'Italia, N. 246)
(14 ottobre 1922)
"In una riunione tenutasi a Roma fra alcuni borghesi - borghesi del giornalismo, borghesi della finanza, borghesi della politica, quei borghesi, insomma, che hanno molte ragioni per odiare il fascismo, perché il fascismo si propone di eliminarli e li eliminerà! - è intervenuto anche il generale Badoglio.
Il generale Badoglio si sarebbe espresso, in questi precisi termini: « Al primo fuoco, tutto il fascismo crollerà ».
Noi non chiediamo al generale Badoglio la conferma o la smentita di questa frase, perché sappiamo da fonte ineccepibile che è stata pronunciata.
Del resto, altre notizie la rendono attendibile. Il generale Badoglio, insomma, si sarebbe assunto il compito di affogare nel sangue il fascismo italiano. Questo l'incarico che gli ha dato Taddei. A tale uopo, il generale Badoglio - che non ricopre oggi gradi definiti nella gerarchia militare essendo egli «a disposizione del ministero» - ha cominciato con l'ordinare il richiamo di ufficiali, specialmente del Mezzogiorno e delle Isole, sul cui lealismo il generale crede di potere assolutamente contare.
Inoltre si è iniziata una propaganda fra gli ufficiali, intesa a dimostrare che il fascismo minaccia la monarchia e quindi obbligo degli ufficiali è di sparare sui fascisti, anche se, lasciando da parte la dinastia, si trattasse solo di spazzare la miserabile genia politica che ha rovinato la nazione.
Tutta questa preparazione dovrebbe rendere possibile l'esecuzione del massacro in grande stile.
Il generale Badoglio s'inganna. Si è già fatto fuoco sui fascisti. A Sarzana ne caddero quattordici, a Modena otto. Ora, nella zona di Sarzana, il fascismo è così formidabilmente inquadrato, che dispone di regolari reparti di cavalleria, come documentiamo in questa stessa pagina. Quanto a Modena, il dominio del fascismo è incontrastato.
Noi crediamo che i torbidi propositi del generale Badoglio non avranno mai una realizzazione. L'esercito nazionale non verrà contro l'esercito delle « camicie nere » per la semplicissima ragione che i fascisti non andranno mai contro l'esercito nazionale, verso il quale nutrono il più alto rispetto e ammirazione infinita. Gli ufficiali non dimenticheranno che se la loro divisa non è oggi sputacchiata come lo fu nel biennio 1919-'20; che se possono circolare in divisa liberamente e non già travestiti in borghese, come furono costretti a fare ai tempi del nefando Cagoia; se c'è, insomma, un'atmosfera cambiata nei riguardi dell'esercito nazionale, lo si deve esclusivamente al fascismo.
Malgrado tutto, noi crediamo che il generale Badoglio si rifiuterà al tentativo inutile di fare il carnefice del fascismo italiano. – MUSSOLINI
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Prova generale per la Marcia su Roma. Mussolini al Teatro San Carlo, interviene con un discorso, preannunciando “O ci daranno il governo o lo prenderemo calando su Roma”
“ IL DISCORSO DI NAPOLI ” - (24 ottobre 1922)
(Il Popolo d'Italia, N. 255)
(25 ottobre 1922)
"Fascisti! Cittadini! - Può darsi, anzi è quasi certo, che il mio genere di eloquenza determini in voi un senso di delusione, in voi che siete abituati alla foga immaginosa e ricca della vostra oratoria. Ma io, da quando mi sono accorto che era impossibile torcere il collo alla eloquenza, mi sono detto che era necessario ridurla alle sue linee schematiche ed essenziali.
Siamo venuti a Napoli da ogni parte d'Italia a compiere un rito di fraternità e di amore. Sono qui con noi i fratelli della sponda dalmatica tradita, ma che non intende arrendersi; sono qui i fascisti di Trieste, dell'Istria, della Venezia Tridentina, di tutta l'Italia settentrionale; sono qui anche i fascisti delle isole, della Sicilia e della Sardegna, tutti qui ad affermare serenamente, categoricamente, la nostra indistruttibile fede unitaria che intende respingere ogni più o meno larvato tentativo di autonomismo e di separatismo.
Quattro anni fa le fanterie d'Italia, maturata a grandezza in un ventennio di travaglio faticoso, le fanterie d'Italia, fra le quali erano vastamente rappresentati i figli delle vostre terre, scattavano dal Piave dopo avere battuto gli austriaci, con l'ausilio assolutamente irrisorio di altre forze, si slanciavano verso l'Isonzo; e solo la concezione assurdamente e falsamente democratica della guerra poté impedire che i nostri battaglioni vittoriosi sfilassero sul ring di Vienna per le vie di Budapest!
Un anno fa, a Roma, ci siamo trovati in un momento avviluppati da un'ostilità sorda e sotterranea, che traeva le sue origini dagli equivoci dalle infamie che caratterizzano l'indeterminato mondo politico della capitale. Noi non abbiamo dimenticato tutto ciò. Oggi siamo lieti che tutta Napoli, questa città che io chiamo la grande riserva di salvezza della nazione, ci accolga con un entusiasmo fresco, schietto, sincero, che fa bene al nostro cuore di uomini e di italiani; ragione per cui esigo che nessun incidente, neppure minimo, turbi la nostra adunata, poiché, oltre che delittuosa, sarebbe anche enormemente stupido: esigo che, ad adunata finita, tutti i fascisti che non sono di Napoli abbandonino in ordine perfetto la città.
L'Italia intera guarda a questo nostro convegno perché - lasciatemelo dire senza quella vana modestia che qualche volta è il paravento degli imbecilli - non c'è nel dopoguerra europeo e mondiale un fenomeno più interessante, più originale, più potente del fascismo italiano.
Voi certamente non potete pretendere da me quello che si costuma chiamare il grande discorso politico. Ne ho fatto uno a Udine, un altro a Cremona, un terzo a Milano. Ho quasi vergogna di parlare ancora.
Ma data la situazione straordinariamente grave in cui ci troviamo, ritengo opportuno fissare con la massima precisione i termini del problema perché siano altrettanto nettamente chiarite le singole responsabilità.
Insomma noi siamo al punto in cui la freccia si parte dall'arco, o la corda troppo tesa dell'arco si spezza!
Voi ricordate che alla Camera italiana il mio amico Lupi ed io ponemmo i termini del dilemma, che non è soltanto fascista, ma italiano: legalità o illegalità? Conquiste parlamentari o insurrezione? Attraverso quali strade il fascismo diventerà Stato? Perché noi vogliamo diventare Stato ! Perché il giorno 3 ottobre io avevo già risolto il dilemma.
Quando io chiedo le elezioni, quando le chiedo a breve scadenza, quando le chiedo con una legge elettorale riformata, è evidente a chiunque che io ho già scelto una strada. La stessa urgenza della mia richiesta denota che il travaglio del mio spirito è giunto al suo estremo possibile. Avere capito questo, significava avere o non avere la chiave in mano per risolvere tutta la crisi politica italiana.
La richiesta partiva da me, ma partiva anche da un Partito che ha masse organizzate in modo formidabile e che raccoglie tutte le generazioni nuove dell'Italia, tutti i giovani più belli fisicamente e spiritualmente, che ha un vasto seguito nella vaga ed indeterminata opinione pubblica.
Ma c'è di più, o signori. Questa richiesta avveniva all'indomani dei fatti di Bolzano e di Trento, che avevano svelato ad oculos la paralisi completa dello Stato italiano, e che avevano rivelato, d'altra parte, la efficienza non meno completa dello Stato fascista. Occorreva, o signori, affrettarsi verso di me, perché io non fossi più ancora agitato dal dilemma interno.
Ebbene: con tutto ciò il deficiente Governo che siede a Roma, ove accanto al galantomismo bonario ed inutile dell'ora. Facta stanno tre anime nere della reazione antifascista – alludo ai signori Taddei, Amendola ed Alessio - questo Governo mette il problema sul terreno della pubblica sicurezza e dell'ordine pubblico!
L'impostazione del problema è fatalmente errata. Degli uomini politici domandano che cosa desideriamo. Noi non siamo degli spiriti tortuosi e concitati. Noi parliamo schiettamente: facciamo del bene a chi ci fa del bene, del male a chi ci fa del male. Che cosa volete, o fascisti? Noi abbiamo risposto molto semplicemente: lo scioglimento di questa Camera, la riforma elettorale, le elezioni a breve scadenza. Abbiamo chiesto che lo Stato esca dalla sua neutralità grottesca, conservata tra le forze della nazione e le forze dell'antinazione. Abbiamo chiesto dei severi provvedimenti di indole finanziaria, abbiamo chiesto un rinvio dello sgombero della zona dalmata ed abbiamo chiesto cinque portafogli più il Commissariato dell'aviazione.
Abbiamo chiesto precisamente il ministero degli Esteri, quello della Guerra, quello della Marina, quello del Lavoro e quello dei lavori pubblici. Io sono sicuro che nessuno di voi troverà eccessive queste nostre richieste. Ed a completarvi il quadro aggiungerò che in questa soluzione legalitaria era esclusa la mia diretta partecipazione al Governo; e dirò anche le ragioni che sono chiare alla mente quando pensiate che per mantenere ancora nel pugno il fascismo io debbo avere una vasta elasticità di movimenti anche ai fini, dirò così, giornalistici e polemici.
Che cosa si è risposto? Nulla! Peggio ancora, si è risposto in un modo ridicolo. Malgrado tutto, nessuno degli uomini politici d'Italia ha saputo varcare le soglie di Montecitorio per vedere il problema del paese. Si è fatto un computo meschino delle nostre forze, si è parlato di ministri senza portafogli, come se ciò, dopo le prove più o meno miserevoli della guerra, non fosse il colmo di ogni umano e politico assurdo. Si è parlato di sottoportafogli: ma tutto ciò è irrisorio.
Noi fascisti non intendiamo andare al potere per la porta di servizio; noi fascisti non intendiamo rinunciare alla nostra formidabile primogenitura ideale per un piatto miserevole di lenticchie ministeriali!
Perché noi abbiamo la visione, che si può chiamare storica, del problema, di fronte all'altra visione, che si può chiamare politica e parlamentare.
Non si tratta dì combinare ancora un governo purchessia, più o meno vitale: si tratta di immettere nello Stato liberale - che ha assolti i suoi compiti che sono stati grandiosi e che noi non dimentichiamo di immettere nello Stato liberale tutta la forza delle nuove generazioni italiane che sono uscite dalla guerra e dalla vittoria. Questo è essenziale ai fini dello Stato, non solo, ma ai fini della storia della nazione. Ed allora?
Allora, o signori, il problema, non compreso nei suoi termini storici, si imposta e diventa un problema di forza. Del resto, tutte le volte che nella storia si determinano dei forti contrasti d'interessi e d'idee, è la forza che all'ultimo decide. Ecco perché noi abbiamo raccolte e potentemente inquadrate e ferreamente disciplinate le nostre legioni perché se l'urto dovesse decidersi sul terreno della forza, la vittoria tocchi a noi. Noi ne siamo degni, tocca al popolo italiano che ne ha il diritto, che ne ha il dovere, di liberare la sua vita politica e spirituale da tutte quelle incrostazioni parassitarie del passato, che non può prolungarsi perennemente nel presente perché ucciderebbe l'avvenire.
E allora si comprende perfettamente che i governanti di Roma cerchino di creare degli equivoci e dei diversivi; che cerchino di turbare la compagine del fascismo e cerchino di formare una soluzione di continuità tra l'anima del fascismo e l'anima nazionale; che ci pongano di fronte a dei problemi. Questi problemi hanno il nome di monarchia, di esercito, di pacificazione.
Credetemi, non è per rendere un omaggio al lealismo assai quadrato del popolo meridionale, se io torno a precisare ancora una volta la posizione storica e politica del fascismo nei confronti della monarchia.
Ho già detto che discutere sulla bontà o sulla malvagità in assoluto ed in astratto, è perfettamente assurdo. Ogni popolo, in ogni epoca della sua storia, in determinate condizioni di tempo, di luogo e di ambiente, ha il suo regime.
Nessun dubbio che il regime unitario della vita italiana si appoggia saldamente alla monarchia di Savoia. Nessun dubbio, anche, che la monarchia italiana, per le sue origini, per gli sviluppi della sua storia, non può opporsi a quelle che sono le tendenze della nuova forza nazionale. Non si oppose quando concesse lo Statuto, non si oppose quando il popolo italiano - sia pure in minoranza, una minoranza intelligente e volitiva - chiese e volle la guerra.
Avrebbe ragione di opporsi oggi che il fascismo non intende di attaccare il regime nelle sue manifestazioni immanenti, ma piuttosto intende liberarlo da tutte le superstrutture che aduggiano la posizione storica di questo istituto e nello stesso tempo comprimono tutte le tendenze del nostro animo?
Inutilmente i nostri avversari cercane di perpetuare l'equivoco.
Il Parlamento, o signori, e tutto l'armamentario della democrazia, non hanno niente a che vedere con l'istituto monarchico. Non solo, ma si aggiunga che noi non vogliamo togliere al popolo il suo giocattolo (il Parlamento). Diciamo « giocattolo » perché gran parte del popolo italiano lo stima per tale. Mi sapete voi dire, per esempio, perché su undici milioni di elettori ce ne sono sei che se ne infischiano di votare? Potrebbe darsi, però, che se domani si strappasse loro il giocattolo, se ne mostrassero dispiacenti. Ma noi non lo strapperemo. In fondo ciò che ci divide dalla democrazia è la nostra mentalità, è il nostro metodo. La democrazia crede che i principi siano immutabili in quanto siano applicabili in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni evenienza.
Noi non crediamo che la storia si ripeta, noi non crediamo che la storia sia un itinerario obbligato, noi non crediamo che dopo la democrazia debba venire la superdemocrazia!
Se la democrazia è stata utile ed efficace per la nazione nel secolo XIX, può darsi che nel secolo XX sia qualche altra forma politica che potenzi di più la comunione della società nazionale. Nemmeno dunque, lo spauracchio della nostra antidemocrazia può giovare a determinare quella soluzione di continuità, di cui vi parlavo dianzi.
Quanto poi alle altre istituzioni in cui si impersona il regime, in cui si esalta la nazione - parlo dell'esercito - l'esercito sappia che noi, manipolo di pochi e di audaci, lo abbiamo difeso quando i ministri consigliavano gli ufficiali di andare in borghese per evitare conflitti!
Noi abbiamo creato il nostro mito. Il mito è una fede, è una passione. Non è necessario che sia una realtà. E una realtà nel fatto che è un pungolo, che è una speranza, che è fede, che è coraggio. Il nostro mito è la nazione, il nostro mito è la grandezza della nazione! E a questo mito, a questa grandezza, che noi vogliamo tradurre in una realtà completa, noi subordiniamo tutto il resto.
Per noi la nazione è soprattutto spirito e non è soltanto territorio. Ci sono Stati che hanno avuto immensi territori e che non lasciarono traccia alcuna nella storia umana. Non è soltanto numero, perché si ebbero nella storia degli Stati piccolissimi, microscopici, che hanno lasciato documenti memorabili, imperituri nell'arte e nella filosofia.
La grandezza della nazione è il complesso di tutte queste virtù, di tutte queste condizioni. Una nazione è grande quando traduce nella realtà la forza del suo spirito. Roma è grande quando da piccola democrazia rurale a poco a poco allaga del ritmo del suo spirito tutta l'Italia, poi si incontra con i guerrieri di Cartagine e deve battersi contro di loro. E’ la prima guerra della storia, una delle prime. Poi, a poco a poco, porta le aquile agli estremi confini della terra, ma ancora e sempre l'Impero Romano è una creazione dello spirito, poiché le armi, prima che dalle braccia, erano puntate dallo spirito dei legionari romani. Ora, dunque, noi vogliamo la grandezza della nazione nel senso materiale e spirituale. Ecco perché noi facciamo del sindacalismo.
Noi non lo facciamo perché crediamo che la massa, in quanto numero, in quanto quantità, possa creare qualche cosa di duraturo nella storia. Questa mitologia della bassa letteratura socialista noi la respingiamo. Ma le masse laboriose esistono nella nazione. Sono gran parte della nazione, sono necessarie alla vita della nazione ed in pace ed in guerra. Respingerle non si può e non si deve. Educarle si può e si deve; proteggere i loro giusti interessi si può e si deve!
Si dice: « Volete dunque perpetuare questo stato di guerriglia civile che travaglia la nazione? ». No. In fondo, i primi a soffrire di questo stillicidio rissoso, domenicale, con morti e feriti, siamo noi. Io sono stato il primo a tentare di buttare delle passerelle pacificatrici tra noi ed il cosiddetto mondo sovversivo italiano.
Anzi, ultimamente ho firmato un concordato con lieto animo: prima di tutto, perché mi veniva richiesto da Gabriele d'Annunzio; in secondo luogo, perché era un'altra tappa, o ritengo che sia un'altra tappa, verso la pacificazione nazionale.
Ma noi non siamo, d'altra parte, delle piccole femmine isteriche che sogliono ad ogni minuto allarmarsi di quello che succede.
Noi non abbiamo una visione apocalittica, catastrofica della storia. Il problema finanziario dello Stato, di cui molto si parla, è un problema di volontà politica. I milioni e i miliardi li risparmierete se avrete al Governo degli uomini che abbiano il coraggio di dire no ad ogni richiesta. Ma finché non porterete sul terreno politico anche il problema finanziario, il problema non potrà essere risolto.
Così per la pacificazione. Noi siamo per la pacificazione, noi vorremmo vedere tutti gli italiani adottare il minimo comune denominatore che rende possibile la convivenza civile; ma d'altra parte non possiamo sacrificare i nostri diritti, gli interessi della nazione, l'avvenire della nazione a dei criteri soltanto di pacificazione che noi proponiamo con lealtà, ma che non sono accettati con altrettanta lealtà dalla parte avversa. Pace con coloro che vogliono veramente pace; ma con coloro che insidiano noi, e, soprattutto, insidiano la nazione, non ci può essere pace se non dopo la vittoria !
Ed ora, fascisti e cittadini di Napoli, io vi ringrazio dell'attenzione con la quale avete seguito questo mio discorso. Napoli dà un bello e forte spettacolo di forza, di disciplina, di austerità. E bene che siamo venuti da tutte le parti a conoscervi, a vedervi come siete, a vedere il vostro popolo, il popolo coraggioso che affronta romanamente la lotta per la vita, che non crea un argine per il fiume, ed il fiume per un argine, ma vuole rifarsi la vita per conquistare la ricchezza lavorando e sudando, e portando sempre nell'animo accorato la potente nostalgia di questa vostra meravigliosa terra, che è destinata ad un grande avvenire, specialmente se il fascismo non tralignerà.
Né dicano i democratici che il fascismo non ha ragione di essere qui, perché non c'è stato il bolscevismo. Qui vi sono altri fenomeni di tristizia politica che non sono meno pericolosi del bolscevismo, meno nocivi allo sviluppo della coscienza politica della nazione.
Io vedo la grandissima Napoli futura, la vera metropoli del Mediterraneo nostro - il Mediterraneo ai mediterranei - e la vedo insieme con Bari (che aveva sedicimila abitanti nel 1805 e ne ha centocinquantamila attualmente) e con Palermo costituire un triangolo potente di forza, di energia, di capacità; e vedo il fascismo che raccoglie e coordina tutte queste energie, che disinfetta certi ambienti, che toglie dalla circolazione certi uomini, che ne raccoglie altri sotto i suoi gagliardetti.
Ebbene, o alfieri di tutti i Fasci d'Italia, alzate i vostri gagliardetti e salutate Napoli, metropoli del Mezzogiorno, regina del Mediterraneo!
(Il capitano Padovani, segretario provinciale politico, bacia Mussolini, poi grida ad alta voce:
“Bacio Mussolini, duce di oggi e di domani, e formulo l'augurio che i due vertici dei grigioverdi e delle camicie nere possano ricongiungersi sulla medesima strada per raggiungere gli scopi comuni”.
“Oggi, senza colpo ferire, - continuò Mussolini - abbiamo conquistata l'anima vibrante di Napoli, l'anima di tutto il Mezzogiorno d' Italia. La dimostrazione è fine a se stessa e non può tramutarsi in una battaglia, ma io vi dico con tutta la solennità che il momento impone: o ci daranno il Governo o lo prenderemo calando su Roma. Oramai si tratta di giorni e forse di ore. È necessario per l'azione che dovrà essere simultanea e che dovrà in ogni parte d' Italia prendere per la gola la miserabile politica dominante, che voi riguadagniate sollecitamente le vostre sedi”.
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L’ultimo articolo scritto da Mussolini poche ore prima dell'invito del Re a Roma
per formare il governo“ LA SITUAZIONE ”
(Il Popolo d'Italia, N. 259)
(29 ottobre 1922)
La situazione è questa: gran parte dell'Italia settentrionale è in pieno potere dei fascisti. Tutta l'Italia centrale, Toscana, Umbria, Marche, Alto Lazio, è tutta occupata dalle « Camicie Nere ». Dove non sono state prese d'assalto le questure e le prefetture, i fascisti hanno occupato stazioni e poste, cioè i gangli nervosi della vita della nazione.
L'autorità politica - un poco sorpresa e molto sgomentata - non è stata capace di fronteggiare il movimento, perché un movimento di questo genere non si contiene e meno ancora si schiaccia. La vittoria si delinea vastissima, tra il consenso quasi unanime della nazione.
Ma la vittoria non può essere mutilata da combinazioni dell'ultima ora. Per arrivare a una transazione Salandra non valeva la pena di mobilitare. Il Governo deve essere nettamente fascista.
II fascismo non abuserà della sua vittoria, ma intende che non venga diminuita. Ciò sia ben chiaro a tutti. Niente deve turbare la bellezza e la foga del nostro gesto. I fascisti sono stati e sono meravigliosi. Il loro sacrificio è grande e deve essere coronato da una pura vittoria.
Ogni altra soluzione è da respingersi. Comprendano gli uomini di Roma che è ora di finirla con i vieti formalismi, mille volte, e in occasioni meno gravi, calpestati. Comprendano che sino a questo momento la soluzione della crisi può ottenersi rimanendo ancora nell'ambito della più ortodossa costituzionalità, ma che domani sarà forse troppo tardi. L'incoscienza di certi politici di Roma oscilla tra il grottesco e la fatalità. Si decidano! Il fascismo vuole il potere e lo avrà! – MUSSOLINI"
Mussolini 24 ore
dopo era a Roma, a formare il nuovo governo. A godersi il trionfo.
E ci fu subito dopo, in Italia, la corsa a tesserarsi al PNF.
Nell'ottobre 1922 il PNF aveva 300.000 iscritti,
Alla fine del 1923 erano diventati 783.000.
Nel successivo 1924 alle elezioni politiche il listone fascista fu votato da
4.305.936 italiani.
IL 1923 (LA CRONOLOGIA
DELL'ANNO) > > >
1923 - SCRITTI - L'ITALIA FASCISTA > > >
Fonti, citazioni, testi,
bibliografia
ALBERTO
CONSIGLIO - V.E. III, il Re silenzioso. 11 puntate su Oggi, 1950
CONTEMPORANEA
- Cento anni di giornali italiani
PUBBLICAZIONE NAZIONALE
UFFICIALE, (con l'assenzo del capo del governo), Vallecchi, 1928
MUSSOLINI, Diario della Volontà (1914-1922) - Quaderni Fascisti, Ed.
Bemporad 1927
MUSSOLINI, Scritti Politici. Feltrinelli
MUSSOLINI, Scritti e Discorsi, La Fenice, 1983
RENZO DE FELICE, Mussolini il fascista, Einaudi, 1966
A.
PETACCO, Storia del Fascismo (6 vol.) Curcio
ZEEV STERNHELL, Nascita dell'ideologia fascista, Baldini & Castoldi, 1989
+ AUTORI VARI DALLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE