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( QUI TUTTI I RIASSUNTI ) RIASSUNTO ANNO 1922 (4)
DISCORSI E SCRITTI DEL CAPO DEL FASCISMO (MUSSOLINI)
NEL CORSO DELL'ANNO 1922
VERSO L'EPILOGO - (Il Popolo d'Italia, N. 44) (21 febbraio 1922)
L'INDIRIZZO POLITICO DEL PNF - (Il Popolo d'Italia, N. 80) (5 aprile 1922)
POLITICA INTERNA - DOPO LA VISITA - (Il Popolo d'Italia, N. 9) (16 aprile 1922)
PASSATO E AVVENIRE - (Il Popolo d'Italia, N. 95) - ( 21 aprile 1922)
L'ULTIMO DISCORSO DAL BANCO DI DEPUTATO - (19 luglio 1922)
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Nel corso della crisi ministeriale, dopo le dimissioni del Governo Bonomi, Mussolini indignato, parla esplicitamente dell’eventualità di una dittatura militare come unico mezzo idoneo per porre rimedio all’”acuto senso di disgusto che l’attuale regime parlamentare provoca” ….
“ VERSO L'EPILOGO ”
(Il Popolo d'Italia, N. 44)
(21 febbraio 1922)
"La crisi ministeriale sta rapidamente volgendo al suo termine per sboccare in un ministero di coalizione - altri ministeri non sono possibili e pensabili data la situazione - ministero che avrà a capo uno di questi due uomini: Giolitti od Orlando, o, terza ipotesi, tutti e due.
Diciamo subito che questo non è il nostro ministero, non è il Governo migliore in senso assoluto; lo è in senso relativo, molto relativo nel senso, cioè, del meno peggio. Bisognerà, per giudicare su elementi concreti di fatto, attendere il programma. Comunque questo ministero relega fra le eventualità dell'avvenire una reincarnazione di Nitti. A questo obiettivo e non altro tendeva la manovra congegnata dal Basilisco, in tenero accordo con quella faccia ed anima ripugnante che risponde al nome del demagogo nero Miglioli e con lo stratega (fama usurpata!) del pussismo montecitoriale Modigliani. Pronubo o mezzano l'on. Celli, uno zittellone del riformismo più inacidito, grand'uomo oramai irreparabilmente mancato, sfruttatore del fascismo e segnato perciò nella lista nera del fascismo abruzzese, che ricorderà e farà giustizia.
Alla mattina intanto l'on. Turati aveva avuto al Viminale un lungo colloquio con l'on. Bonomi, non più « rinnegato e assassino », ma ridivenuto, attraverso gli incredibili acrobatismi morali e politici del Pus, il buon compagno, traviato ma pentito, della vigilia riformista. L'ordine del giorno Celli doveva provocare una reincarnazione Bonomi: ecco perché costui - con le orecchie ancora ronzanti dalle sollecitazioni turatiane - puntò, nel suo discorso del pomeriggio, risolutamente il timone della sua barca verso l'estrema sinistra. Ma il ministero Bonomi reincarnato non era, non doveva essere che la passerella per un ministero Nitti-Modigliani da approntarsi fra sei mesi. Tutte queste manovre dovevano naufragare davanti non tanto alla contromanovra di Mussolini, come alla cristallina evidenza dei fatti.
La mia non fu una « manovra » nel senso obliquo che si può dare alla parola entro e fuori Montecitorio. Il dubbio che il mio intervento nella discussione potesse apparire come dettato dalla necessità tattica della discussione mi rendeva esitante; ma le insistenze di tutti i colleghi fascisti, e in particolare dell'on. Federzoni (e ciò valga a smentire le stolide insinuazioni del foglio cagoiano) e dell'on. Oviglio, vinsero le mie riluttanze. Non di una manovra si trattava, ma di una sincera rivendicazione di idee, che poteva sembrare strana e paradossale solo a coloro che non conoscono il fascismo.
L'ordine del giorno Celli non era un rospo per il fascismo, bensì un rospo in proporzioni piramidali per il socialismo italiano, quello nato a Genova nel 1892 e morto l'altra sera nell'atmosfera asfittica di Montecitorio. Vi si parla di una ,« pacifica convivenza delle classi ». Non più di due classi, secondo il semplicismo delle dottrine socialiste, ma venti o duecento classi. Non più la lotta tra queste classi, la lotta condotta fino all'annullamento della classe borghese da parte della classe proletaria, ma la « pacifica convivenza tra le classi ».
Il fascismo non tende forse a questo? Non tende forse a conciliare il capitale e il lavoro nell'interesse superiore della produzione e della nazione? Libertà di lavoro e di organizzazione? Ma se è per questo che il fascismo lotta da due anni nel tentativo oramai riuscito di infrangere i tirannici monopoli socialisti dalla Valle Padana al porto di Napoli.
Il fascismo, che fin dal suo nascere ebbe in programma la costituzione dei Consigli tecnici nazionali, non può respingere l'idea di un « concorso delle rappresentanze lavoratrici nello sviluppo della legislazione sociale », come sta scritto nell'ordine del giorno Celli. Dire che esiste in Europa una specie di unità di interessi economici è ricalcare uno scritto di Mussolini che reca la data del 10 gennaio 1921 (quattordici mesi fa). E quanto agli egoismi e alle sperequazioni, quale nazione più dell'Italia ne ha sofferti? Pare che i sinistri di nome e di fatto non pensassero all'Italia. Questo rivela ancora una volta la loro immutabile psicologia di lavoratori dello straniero.
Di crudeli egoismi e sperequazioni non soffrono soltanto Germania, Austria e Russia, ma soprattutto l'Italia vittoriosa. Questi crudeli egoismi mutilarono a Rapallo la nostra pace adriatica; questi crudeli egoismi delle nazioni plutocratiche ci hanno negato ogni modesta partecipazione al bottino coloniale, salvo la cosiddetta « gocciola del Giuba »; e, attraverso l'accaparramento esoso delle materie prime, ci hanno insidiato la necessaria autonomia della nostra vita economica.
Che il signor Celli pensasse ad altro quando stillava il suo ordine del giorno può darsi e poco ci importa: l'essenziale è di stabilire, di documentare che esso non contrasta affatto collo spirito programmatico dell'azione fascista. La quale si adegua alle circostanze e agli ambienti. E’ di piazza o di Parlamento, a seconda dei casi. Non è mai pigra farneticazione di impotenti contemplativi, ma dura fatica quotidiana, aspro ed incessante travaglio. Poiché non è questo il tempo per le attese ed i rinvii. Quando la casa brucia non si discutono le cause dell'incendio si corre a spegnerlo. Quando la nave pericola non si disserta sulla rotta, ma si azionano le pompe. Quando la nazione soffre e si tortura nella faticosa crisi del dopoguerra bisogna agire giorno per giorno fino a che il pericolo ancora incombente di una catastrofe sia definitivamente passato.A questi criteri generali, non ad obiettivi di ordine puramente parlamentare obbedirono i deputati fascisti quando sventarono la manovra di Modigliani, quando svergognarono il Pus col costringerlo a rinnegare nella maniera più scandalosa se stesso e la sua tradizione nei suoi programmi, quando impedirono la risurrezione di Nitti.
Si comprende che i sinistri avessero, a seduta finita, l'aria di cani sonoramente legnati. Si erano sconciamente esibiti senza successo. Come i pifferi di montagna, anzi della montagna...- MUSSOLINI
------------------------------------------------" L'INDIRIZZO POLITICO DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA "
(Il Popolo d'Italia, No. 80)
(4, 5 aprile 1922)
Come vi dicevo ieri, questa discussione in un certo senso è inutile, se si tratta di arrivare attraverso a questa discussione ad una modificazione programmatica, che non può essere fatta che da un congresso nazionale. Ma è utile in quanto la situazione politica, economica, morale e nazionale del fascismo, muta di giorno in giorno; ragione per cui necessita di quando in quando prospettarci tutti gli elementi della situazione per vedere quale tattica noi dobbiamo seguire di fronte alla nuova situazione di fatto.
Dopo l'articolo di Grandi, che tutti avrete letto, il dibattito ha esaurito gran parte del suo interesse perché Grandi ha fissato chiaramente i termini di questo preteso dissidio. In gran parte tutti i dissidi sono dissidi di temperamento e di mentalità e di stato d'animo. Vi sarebbero, insomma, due concezioni: quella del colpo di Stato, e della marcia su Roma, e l'altra, che è la mia da due anni a questa parte. Ora bisogna sappiate che in un certo periodo di tempo non ho escluso dai calcoli delle probabilità la rivoluzione violenta, come non la escludo in modo assoluto per il domani. Non si può ipotecare l'avvenire.
Oggi si tratta, come dice Grandi nel suo articolo, di inserire, sempre più intimamente e profondamente, il fascismo nella vita totale della nazione italiana. Bisogna intanto porsi dinanzi agli occhi tutti gli elementi della situazione, assai complessa: la situazione economica accenna a migliorare; i cambi sono stabilizzati e c'è un sintomo di ripresa industriale. Gli operai hanno superata l'ondata di pigrizia ed hanno una manifesta riluttanza a scioperare. Evidentemente, per dirla in volgare, gli operai non vogliono rinunziare all'uovo oggi per la ipotetica gallina social-comunista di domani.
Quanto alla situazione politica, ecco alcuni elementi degni di rilievo; spuntano da ogni parte giornali nittiani; l'Epoca, il Mondo, il Paese, ed a Milano il Secolo ed altri minori. Alcuni di questi giornali nittiani, sembra tendano a circuire elementi che vivono in margine al fascismo. E’sintomatico che taluni legionari, dopo avere inclinato al comunismo, trovano larga ospitalità sul Mondo, organo di quei nittiani che una volta sputarono tutto il veleno della loro anima obliqua contro D'Annunzio e l'impresa di Fiume. Quando io parlo di dittatura militare non bisogna intendere che essa sarebbe esercitata necessariamente e soltanto come forza di reazione contro gli operai e i contadini. Niente affatto. I primi ad essere puniti sarebbero qualche dozzina di bolscevichi borghesi, più o meno « democratici », che hanno fatto all'Italia certamente tanto male quanto ne hanno fatto gli incoscienti e fanatici del Pus.
La tendenza di molte forze politiche di sinistra e del centro è chiara. Si cerca di isolare moralmente e materialmente il fascismo. Il voto della Camera non ha molta importanza: 82 contro 71. Si dirà che è un voto raccattato all'ultima ora. Dovete però considerare che all'estero la vita politica di una nazione appare attraverso le discussioni parlamentari.
In Europa si è constatato che il Parlamento italiano ha isolato il fascismo. La nostra situazione oggi non è dunque brillante. Ed è per questo che mi piace lottare. Quando il vento è in poppa, tutti sono capaci di tenere il timone. Traccio la situazione colla freddezza di un clinico. Quell'alone di simpatia che ci seguì nel 1921 si è attenuato. Popolari, repubblicani, socialisti, comunisti, democratici, ci sono contro. Non faremo più assolutamente blocchi. I democratici che hanno utilizzato i nostri giovani deputati per presentarsi alle folle ed oggi li abbandonano, dovranno pagare la loro truffa. Il fascismo nelle prossime elezioni cercherà di determinare la massima ecatombe dei deputati appartenenti all'equivoca sinistroide plutocratica democrazia parlamentare.
Chi sono i nostri amici? I liberali sono ancora quelli che non ci fanno la forca. Questi liberali in fondo sono innocui: hanno una simpatia per noi come in genere i vecchi hanno simpatia per i giovani. Ma io comincio a diffidare energicamente delle attestazioni di simpatia dei nazionalisti. Non vorrei che essi fossero i pescicani del fascismo; che ci sfruttassero e si arricchissero alle nostre spalle. Intanto non faremo più il loro gioco parlamentare, che consiste nel farci fare le parti di forza. L'on. Misuri, che continua a rivolgermi delle epistole chilometriche, dopo essere stato convalidato dal fascismo, passa al nazionalismo e il nazionalismo lo accoglie. Riassumendo noi non abbiamo amici. Le simpatie del vasto pubblico si sono attenuate e sono in ogni caso mutevoli.
Dobbiamo contare solo sulle nostre forze; sulla nostra saggezza e sulla nostra fede. Perché accanto ai pericoli esterni del fascismo, vi sono anche i pericoli interni. Bisogna che la Direzione del Partito sia straordinariamente severa nel soffocare tutti quei tentativi di secessionismo automatico, alcuni dei quali possono spiegarsi per ragioni passionali (come a Firenze), ma altri hanno un carattere grottesco, come a Taranto.
Un altro fatto sul quale richiamo la vostra attenzione è quello di un possibile contrasto o meglio della possibilità che gli elementi squadristi possano ad un dato momento imporre la loro volontà agli elementi dirigenti politici del fascismo. Questo pericolo è stato sempre chiaro agli occhi dei dirigenti. Ora bisogna dire due cose: prima di tutto che bisogna mantenere in assoluta efficienza tutto il nostro esercito, il suo inquadramento, il suo attrezzamento. Non bisogna farsi illusioni che la bestia social-comunista abbia rinunziato alla lotta, malgrado i suoi pianti e le sue false lamentazioni.
D'altra parte però bisogna evitare il pericolo che questi elementi diventino materia malleabile per tutti quelli che vogliano figurare per poco o per molto come i capitani di ventura del fascismo.
Poiché di blocchi non si parlerà più, bisognerà affrontare il problema dell'elezionismo. Bisogna sapere se siamo parlamentari o antielezionisti. Ed in questo caso saremo con gli anarchici o con. i mazziniani puri.
Gli uni e gli altri non contano affatto come forza politica. Bisogna che il fascismo dichiari nettamente che è elezionista e cioè che partecipa coscientemente alla lotta elettorale. La volta scorsa abbiamo fatto i blocchi; la prossima volta non li faremo più. Ma tutti i partiti sono elezionisti: i comunisti ed i nazionalisti stessi. E nessuno mai ha avuto paura che il parlamentarismo sia l'infangatore di tutte le coscienze. Nello stesso Parlamento italiano vi sono stati uomini e ve ne sono ancora che in trenta anni di vita parlamentare si sono mantenuti onesti e illibati. Se uno è corruttore e corrompibile, lo sarà anche fuori del Parlamento. E soprattutto bisogna dire che è ora di non tenere i deputati nello stesso conto nel quale erano tenuti dai socialisti: di farne la testa di turco ad ogni occasione. Non deve essere permesso diffamare uomini come quelli che siedono sui nostri banchi. Non è permesso chiamarli complici della delinquenza nazionale. E soprattutto non bisogna credere che noi siamo là per tramare, per fare la politica di corridoio. E non bisogna credere che questi corridoi siano una specie di misteriose catacombe dove si va a cospirare. Il fascismo fa parte della maggioranza: benissimo. Deve forse imitare il Partito del Rinnovamento, che alla fine si è sbandato senza nulla avere combinato?
Non bisogna nemmeno escludere l'eventualità di una partecipazione dei fascisti al potere dello Stato. Bisogna affermare che se domani sarà necessario ai fini supremi della nazione, i fascisti non esiteranno a dare i loro uomini al governo dello Stato.
Si dice: ritorniamo alle origini ! Alle origini non si ritorna. Il grido ritornare alle origini applicato nella vita e nella storia è di una imbecillità perfetta: è il preciso sintomo della impotenza senile. Il fascismo è grande perché è nato da un piccolo gruppo e da una immensa passione; ma oggi è grande anche perché si è sviluppato e non è rimasto una conventicola di impotenti. Se uno resta alle origini resta bambino. La forza è di non ritornare alle origini. Non è possibile storicamente e moralmente tale ritorno. D'altra parte non c'è da attendere. A Milano, l'on. Grandi disse due cose importanti: che il fascismo doveva considerarsi come una sintesi eretica e di tre movimenti a loro volta eretici; e disse anche che il fascismo non doveva rimanere sulla montagna, ma scendere sulla pianura della realtà. E ciò perché il mondo oggi va in fretta. Noi oggi siamo già dei veterani. La nazione oggi non può attendere: essa è malata moralmente ed economicamente. Sarebbe ridicolo, bestiale e criminoso che noi in questo momento eccezionale imitassimo il gesto prudente di Ponzio Pilato.
E veniamo alla violenza. Bisogna avere il coraggio di dire che c'è una violenza fascista legittima e sacrosanta. Ma mettersi dietro una siepe, andare nelle case, non è fascista. Non è umano e non è italiano. Anche la cronaca delle bastonature deve finire. A poco a poco si determina uno stato d'animo negativo nei nostri confronti. A poco a poco la opinione pubblica si allontana da noi. Bisogna ridurre la violenza alla legittima difesa.
La conclusione è questa: permettere al fascismo parlamentare di agire e non vessarlo, con un pignolismo critico, deprimente e intollerabile; mantenere in efficienza le nostre squadre perché sono una garanzia del nostro movimento e delle nostre idee; imporre assolutamente l'egemonia del pensiero politico fascista; e, soprattutto, mantenersi fedeli al nostro statuto e al nostro programma.
Bisogna avere uno spirito un po' largo di tolleranza. Non possiamo essere tutti uguali: appunto in questa varietà è la forza e la bellezza della vita.
Ho fiducia nel movimento fascista soprattutto ora. Perché credo che a poco a poco tutti questi elementi venuti a noi da tante parti finiranno per amalgamarsi. E un'opera un po' difficile, ma non impossibile.
Il Partito Fascista deve essere Partito di azione politica, non frammentaria o caotica e profittatrice per certi individui e per certe categorie. Deve essere un movimento di realizzazione in cui ognuno, capo e gregario, si affatica giorno per giorno con l'animo e la volontà tesa verso la meta: il benessere e la grandezza della nazione italiana. – Mussolini.
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Alla visita del Re a Milano, i fascisti non hanno partecipato alla manifestazione" POLITICA INTERNA - DOPO LA VISITA "
(Il Popolo d'Italia, N. 9)
(16 aprile 1922)
"Mentre i giornali monarchici milanesi - non esclusa la molto vecchia, ma sempre rispettabile Perseveranza - non trovano niente da ridire sul contegno tenuto dai fascisti in occasione delle tre giornate regali, salta in cattedra il Giornale d'Italia ad impartirci una lezione e a definire come « balorda » la decisione dei fascisti milanesi.
Di balordo, come spesso accade, non c'è che una cosa sola: il commento del giornale romano, il quale si è foggiato un fascismo suo speciale, che dovrebbe essere più realista del re. Né vale citare l'atteggiamento del Fascio fiorentino, perché i fascisti che acclamarono il principe ereditario appartengono al gruppo autonomo recentemente costituitosi in quella città e per motivi d'ordine puramente personale. Comunque, il Giornale d'Italia, colle sue arie di padre nobile censore, dovrebbe sapere che i partiti hanno una ragion d'essere e possono ripetere titoli di probità, e pretendere il rispetto del pubblico, soltanto quando seguono la loro intima e sostanziale linea di coerenza. Altrimenti sono turbe di saltimbanchi. Il Giornale d'Italia, prima di sputare le sue sentenze, avrebbe dovuto ricordarsi che se il suo fascismo non è repubblicano, non è
nemmeno monarchico. La posizione di fronte ai regimi e alle loro vicende è stata chiaramente fissata nelle sue tavole programmatiche fondamentali:
« Il Partito Nazionale Fascista subordina il proprio atteggiamento di fronte alle forme delle singole istituzioni politiche, agli interessi materiali e morali della nazione, intesa nella sua realtà e nel suo divenire storico».
Così sta scritto nel nostro statuto e finché tale statuto non sia cambiato, il fascismo in genere non può seguire altra tattica all'infuori di quella adottata - con unanimità piena - dai fascisti milanesi. I quali - anche nella recente occasione - hanno dato prova della più squisita maturità politica seguendo a puntino - dal primo all'ultimo - le prescrizioni del Direttorio. Dal primo all'ultimo, dico, poiché l'incontro personale e occasionale di Mussolini col Sovrano non poteva avere e non ha avuto carattere politico che impegnasse in qualsiasi modo il fascismo milanese e di ciò tutti i fascisti e il Direttorio stesso si sono resi facilmente e perfettamente conto. Certo, una sfilata dei fascisti milanesi avrebbe porto al re e agli altri dignitari che lo circondavano l'occasione di vederci e conoscerci un po' da vicino e data l'idea della nostra invincibile potenza. Ma questo non si poteva né si doveva fare poiché si sarebbero violate le norme programmatiche che reggono la milizia fascista. Tutto ciò è chiaro, anche per le oche del Campidoglio e dovrebbe esserlo anche per i paperi che, ai piedi dei ruderi capitolini, scrivono sui giornali e la fanno da padri eterni.
Del resto il fascismo milanese era il grande assente ed era il grande presente. La sua presenza era nell'aria e nell'anima e sulle bocche di tutti.
Assai complessi sono i motivi per i quali il popolo di Milano ha accolto così festosamente Vittorio Emanuele III. L'Avanti! può bofonchiare finché vuole, ma la realtà è superiore alle sue stolide freddure. La realtà è che il popolo milanese ha salutato il re con grandi manifestazioni di simpatia. Anche la curiosità era in gioco, ma la curiosità è già una forma iniziale di simpatia. Comunque è difficile stabilire e dosare gli elementi di ordine psicologico - quindi imponderabile - che hanno sospinto verso il re masse imponenti di popolo, ed è anche superfluo. Ma quello che bisogna dire e ripetere - in verità questa constatazione circolava fra la moltitudine - è che il merito di questa situazione fortemente cambiata spetta in massima parte ai fascisti. Non solo a quello milanese, che si batteva esattamente tre anni fa, ma al fascismo italiano. E il fascismo che ha spezzato - lo vogliano o non lo vogliano i profittatori della sesta giornata o i facili dimenticoni - la tirannia rossa; è il fascismo che ha smantellato i fortilizi rossi, fatto crollare gli idoli di creta, disperso gli eroi della Rivoluzione; è il fascismo soprattutto che ha tenuto vivo lo spirito della vittoria; che ha ridicoleggiato le buffe favole sociali del collettivismo, gabellate agli occhi degli imbecilli come intangibili verità scientifiche; è il fascismo che ha messo o rimesso nella circolazione dell'intelligenza italiana certi concetti che il secolo democratico e demagogo pareva avesse banditi per sempre: i concetti, cioè, di ordine, di tradizione, di disciplina, di gerarchia, di responsabilità. Da questa rinnovazione di valori, trae vantaggio anche l'istituto monarchico e non siamo così ingenui da non riconoscerlo, ma il maggiore vantaggio ricade sulla nazione, che a poco a poco va formandosi una sua ossatura morale, che la tiene egualmente lontana dalle incrostazioni statiche, come dagli acrobatismi avveniristici.
Le prime per non perdere il passato rinunciano all'avvenire; gli altri per anticipare l'avvenire rinnegano il passato. La saggezza umana e la fortuna dei popoli consiste nell'equilibrare i due principi opposti, ognuno dei quali è vitale, purché non sia assoluto. Questi sono i principi dell'etica fascista e questi principi hanno ispirato l'atteggiamento del fascismo milanese.
Che i nazionalisti, i quali sono pregiudizialmente monarchici, abbiano reso omaggio al re, non può meravigliare nessuno, mentre avrebbe meravigliato precisamente il contrario; ma i fascisti, che « non » sono pregiudizialmente monarchici, non potevano confondersi con i nazionalisti.
Nei giorni scorsi, come quelli che furono o che verranno, i fascisti - pure assistendo con rispettosa discrezione e riserbo alle manifestazioni degli altri - rappresentarono e rappresenteranno la forza e la riserva suprema, sulla quale - al disopra delle forme politiche più o meno effimere - la nazione può sicuramente contare. – MUSSOLINI
---------------------------------------------------------------------------------------Per la celebrazione della fascista “Festa del Lavoro” e “Fondazione di Roma”
(10 giorni prima del 1° maggio festa dei lavoratori dei sindacati di sinistra)“ PASSATO E AVVENIRE ”
(Il Popolo d'Italia, N. 95)
( 21 aprile 1922)
"Il fascismo italiano si raccoglie oggi attorno ai suoi mille e mille gagliardetti, per celebrare la sua festa e quella del lavoro nell'annuale della fondazione di Roma. La manifestazione riuscirà severa e imponente, anche nei centri dove è stata vietata dalla polizia dietro ordine di un Governo che non sa e non vuole scegliere tra forze nazionali e forze antinazionali e finirà per morire di sua lacrimevole ambiguità.
La proposta di scegliere quale giornata del fascismo il 21 aprile, partì da chi traccia queste linee e fu accolta dovunque con entusiasmo. I fascisti intuirono il significato profondo di questa data.
Celebrare il natale di Roma significa celebrare il nostro tipo di civiltà, significa esaltare la nostra storia e la nostra razza, significa poggiare fermamente sul passato per meglio slanciarsi verso l'avvenire. Roma e Italia sono infatti due termini inscindibili. Nelle epoche grigie o tristi della nostra storia, Roma è il faro dei naviganti e degli aspettanti. Dal 1821, dall'anno in cui la coscienza nazionale si sveglia e da Nola a Torino, il fremito unitario prorompe nell'insurrezione, Roma appare come la mèta suprema. Il grido mazziniano e garibaldino di « Roma o morte! » non era soltanto un grido di battaglia, ma la testimonianza solenne che senza Roma capitale, non ci sarebbe stata unità italiana, poiché solo Roma, e per il fascino della sua stessa posizione geografica, poteva assolvere il compito delicato e necessario di fondere a poco a poco le diverse regioni della nazione.
Certo, la Roma che noi onoriamo, non è soltanto la Roma dei monumenti e dei ruderi, la Roma dalle gloriose rovine fra le quali nessun uomo civile si aggira senza provare un fremito di trepida venerazione. Certo la Roma che noi onoriamo non ha nulla a vedere con certa trionfante mediocrità modernistica e coi casermoni dai quali sciama l'esercito innumerevole della travetteria dicasteriale. Consideriamo tutto ciò alla stregua di certi funghi che crescono ai piedi delle gigantesche quercie.
La Roma che noi onoriamo, ma soprattutto la Roma che noi vagheggiamo e prepariamo, è un'altra: non si tratta di pietre insigni, ma di anime vive; non è contemplazione nostalgica del passato, ma dura preparazione dell'avvenire.
Roma è il nostro punto di partenza e di riferimento; è il nostro simbolo o, se si vuole, il nostro mito. Noi sogniamo l'Italia romana, cioè saggia e forte, disciplinata e imperiale. Molto di quel che fu lo spirito immortale di Roma risorge nel fascismo: romano è il Littorio, romana è la nostra organizzazione di combattimento, romano è il nostro orgoglio e il nostro coraggio: « Civis romanus sum ».
Bisogna, ora, che la storia di domani, quella che noi vogliamo assiduamente creare, non sia il contrasto o la parodia della storia di ieri. I romani non erano soltanto dei combattenti, ma dei costruttori formidabili che potevano sfidare, come hanno sfidato, il tempo.
L'Italia è stata romana, per la prima volta dopo quindici secoli, nella guerra e nella vittoria. Dev'essere ora romana nella pace; e questa romanità rinnovata e rinnovatrice ha questi nomi: disciplina e lavoro. Con questi pensieri, i fascisti italiani ricordano oggi il giorno in cui 2757 anni fa - secondo la leggenda - fu tracciato il primo solco della città quadrata, destinata dopo pochi secoli a dominare il mondo. – MUSSOLINI
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Alla caduta del 2° governo (per i fatti di Cremona) Facta chiede al Parlamento misure eccezionali (che non saranno per nulla adottate). Mussolini pronuncia l’ultimo suo discorso da parlamentare." L'ULTIMO DISCORSO DAL BANCO DI DEPUTATO "
(19 luglio 1922)"Onorevoli colleghi !
La Direzione del Partito Nazionale Fascista ha invitato il Gruppo parlamentare fascista a passare all'opposizione, cioè a votare contro il ministero Facta. Io sono sicuro che tutti i miei colleghi deputati fascisti ottempereranno a questo ordine tassativo.
Le ragioni che ci spingono a questa decisione, la quale può avere anche delle ripercussioni in seno a quella che si costuma chiamare la destra nazionale, sono ragioni d'ordine squisitamente politico e che prescindono, in un certo senso, dalla situazione prettamente parlamentare.
In fondo, onorevoli colleghi, mi pare che sia l'ora di diradare tutti gli equivoci, e in questa Camera di equivoci, a mio avviso, ce ne sono quattro: l'equivoco collaborazionista, l'equivoco popolare, l'equivoco Facta e l'equivoco fascista.
Cominciamo dall'equivoco collaborazionista. Si tratta di vedere se questa famosa collaborazione sia una vescica piena di vento o un apporto concreto al governo di domani. Dalle statistiche parlamentari, da quel che già si vede, si può arguire che la collaborazione socialista, oramai, può essere definita le nozze con i fichi secchi.
Non sono più di sessanta i deputati socialisti disposti a votare per un ministero che nasca con programmi di antifascismo. Ma questo ministero, onorevoli colleghi, si troverebbe domani di fronte non solo alla opposizione fascista, ma anche alla opposizione di quel terzo partito socialista, che sorgerebbe inevitabilmente dalle assisi di Roma, quando i collaborazionisti si presentassero col fatto compiuto.
Ora vi dico brutalmente che abbiamo tutto l'interesse, giacché oramai il corso delle cose è fatale e inevitabile, che il socialismo si divida sempre più, che ne sorgano tre o trenta di partiti socialisti, perché dopo essere stato religione, dopo essere divenuto chiesa e setta e bottega, sarà
più facile batterlo diviso che non unito.
Bisogna anche chiarire la posizione del Partito Popolare, il quale è travagliato da una crisi che ha già avuto delle manifestazioni significative, anche se non importanti dal punto di vista numerico.
Io non credo che tutto il Partito Popolare italiano possa seguire il comunismo, che è stato definito nero, dall'onorevole Miglioli. Io non credo che il mondo cattolico italiano, da distinguersi dal Partito Popolare, che è massone (interventi al centro;« Questa è malafede; non ne avete quattordici dei massoni? possa abbracciarsi con quei socialisti che sino a ieri, e anche oggi, avevano sulla loro bandiera: né Dio, né padrone!
E poi il Partito Popolare non può rimanere continuamente nella posizione di fortuna in cui si è trovato fino ad oggi. Il Partito Popolare fa delle pressioni continue sul Governo, che si possono chiamare ricatti.
Non ama il Partito Popolare, non ha mai amato, e non ha mai sostenuto efficacemente il Gabinetto Facta. Scusate se l'immagine è un poco ordinaria: voi siete dei topi dai denti aguzzi, che state nel formaggio ministeriale per divorarvelo.
Quanto alla democrazia, altro equivoco, che ho incontrato per la strada, si deve dire che anch'essa non è animata dai più accesi entusiasmi per il Governo dell'onorevole Facta.
Finalmente, onorevole Facta! io vi dico che il vostro ministero non può vivere, perché ciò è indecoroso anche dal semplice punto di vista umano; il vostro ministero non può vivere, o meglio vegetare, o meglio ancora trascinare la sua vita, in grazia della elemosina di tutti coloro che vi sostengono, come la tradizionale corda sostiene il non meno tradizionale impiccato.
Del resto, le vostre origini sono là ad attestare il carattere del vostro ministero. Io scommetto che il primo ad essere sorpreso di diventare presidente del Consiglio, siete stato precisamente voi.
Tutti ricordano che alla vigilia della conferenza di Genova occorreva che l'Italia avesse un governo qualsiasi: così è sorto il Gabinetto Facta, il quale si è messo in una situazione di necessità. Ma noi, on. Facta, almeno teoricamente, abbiamo cercato di superare la contraddizione che ci tormenta tra il volere l'autorità dello Stato e il compiere spesso delle azioni che certamente non aumentano la forza di questa autorità.
Ed io deploro, on. Facta, le misure che avete prese contro i funzionari che rappresentavano il Governo a Cremona; perché quei funzionari hanno seguito le vostre direttive. Se non hanno ordinato di fare fuoco contro i dimostranti fascisti, evidentemente è perché voi, e giustamente, siete contrario ad ogni effusione di sangue.
Non dovevate soprattutto punire il rappresentante del potere giudiziario a Cremona, quando quei funzionari meritavano il vostro plauso.
Ed anche il vostro discorso non può piacere agli uomini che siedono da questa parte della Camera.
Il punto centrale del vostro discorso è stato un aspro richiamo alla magistratura, un aspro richiamo ai funzionari in genere; con ciò avete dato l'impressione che gli organi esecutivi dell'autorità dello Stato siano insufficienti, deficienti o complici di una delle fazioni che lottano attualmente nel paese.
Io devo dire invece che la magistratura italiana è ancora una delle poche gerarchie statali contro le quali sia assai difficile elevare critiche fondate, e che non partano da presupposti di ordine personale o di partito. E poi il Governo ha l'obbligo di coprire i suoi funzionari, di assumere esso le sue responsabilità. Il generale non punisce l'ultimo caporale. Ci sono altri elementi di critica contro il Governo Facta, da parte nostra, e per la politica finanziaria e per la politica estera.
D'altra parte la Camera deve prendere atto che il fascismo parlamentare, uscendo, come fa in questo momento, dalla maggioranza, compie un gesto di alto pudore politico e morale. Non si può essere parte della maggioranza, e nello stesso tempo agire nel paese come il fascismo è costretto per ora ad agire.
Il fascismo risolverà questo suo intimo tormento, dirà forse fra poco se vuole essere un Partito legalitario, cioè un Partito di governo, o se vorrà invece essere un Partito insurrezionale, nel qual caso non potrà più far parte di una qualsiasi maggioranza di governo, ma probabilmente non avrà neppure l'obbligo di sedere in questa Camera.
Questo che io ho chiamato equivoco fascista, sarà risolto dagli organi competenti del nostro Partito.
Ora, date queste mie dichiarazioni, voi comprendete subito che il problema della successione ci preoccupa fino ad un certo punto.
Io vi dichiaro con molta schiettezza che nessun governo si potrà reggere in Italia quando abbia nel suo programma le mitragliatrici contro il fascismo. Io non so neanche se questo sarà possibile, perché potrebbe darsi, anche per uno di quei paradossi assai frequenti nella politica e nella storia, che il Gabinetto il quale sorgesse sotto auspici e con origini nettamente antifasciste, fosse costretta a fare verso di noi una politica di grande liberalismo, perché il non farla gli procurerebbe assai maggiori noie.
D'altra parte, noi nel paese abbiamo forze molto numerose, molto disciplinate, molto organizzate. Se da questa crisi uscirà un governo che risolva il problema assillante, angoscioso nell'ora attuale, cioè il problema della pacificazione, inteso come una normalizzazione dei rapporti fra i diversi partiti, noi lo accetteremo con animo lieto, e cercheremo di adeguare tutti i nostri gregari alla necessità, sentita, del resto, intimamente da parte della nazione, alla necessità di ordine, di lavoro e di disciplina. Ma se, per avventura, da questa crisi che ormai è in atto, dovesse uscire un governo di violenta reazione antifascista, prendete atto, onorevoli colleghi, che noi reagiremo con la massima energia e con la massima inflessibilità. Noi, alla reazione, risponderemo insorgendo.
"Io debbo, per debito di lealtà, dirvi che dei due casi che vi ho testé prospettati, preferisco il primo, e per ragioni nazionali e per ragioni umane. Preferisco cioè che il fascismo, che è una forza, o socialisti, che non dovete più ignorare, e non dovete nemmeno pensare di distruggere, arrivi a partecipare alla vita dello Stato attraverso una saturazione legale, attraverso una preparazione alla conquista legale. Ma è anche l'altra eventualità, che io dovevo, per obbligo di coscienza, prospettare, perché ognuno di voi, nella crisi di domani, discutendo nei gruppi, preparando la soluzione della crisi, tenga conto di queste mie dichiarazioni, che affido alla vostra meditazione e alla vostra coscienza. Ho finito". Mussolini
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Fonti, citazioni, testi,
bibliografia
ALBERTO
CONSIGLIO - V.E. III, il Re silenzioso. 11 puntate su Oggi, 1950
CONTEMPORANEA
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MUSSOLINI, Scritti Politici. Feltrinelli
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PETACCO, Storia del Fascismo (6 vol.) Curcio
ZEEV STERNHELL, Nascita dell'ideologia fascista, Baldini & Castoldi, 1989
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