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( QUI TUTTI I RIASSUNTI ) RIASSUNTO ANNO 1922 (5)
DISCORSI E SCRITTI DEL CAPO DEL FASCISMO (MUSSOLINI)
NEL CORSO DELL'ANNO 1922
NOI E IL PARTITO POPOLARE - (Il Popolo d'Italia, N. 178) - (27 luglio 1922)
LA SITUAZIONE POLITICA IN ITALIA - (Il Popolo d’Italia” - (27 luglio 1922)
CREPUSCOLI - (Il Popolo d'Italia, N. 181) - (30 luglio 1922)
LA FU ALLEANZA DEL LAVORO - (Il Popolo d'Italia, N. 199) - (20 agosto 1922)
LA FIUMANA - (Il Popolo d'Italia, N. 204) - (26 agosto 1922)
DISCIPLINA ASSOLUTA! - (Il Popolo d'Italia, N. 214) - (7 settembre 1922)
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Mussolini interviene duramente sulle ambiguità di Don Sturzo e del suo Partito PPI....
“ NOI E IL PARTITO POPOLARE ”
(Il Popolo d'Italia, N. 178)
(27 luglio 1922)
Gli ultimi avvenimenti di carattere non soltanto parlamentare hanno posto nettamente sul tappeto il problema dei nostri rapporti col Partito Popolare Italiano. Giova a tal uopo precisare le nostre posizioni mentali e pratiche. Fu detto e ripetuto a sazietà che il fascismo non è un movimento antireligioso. Esso non si propone di bandire, come pretendevano orgogliosamente e stupidamente insieme, talune parole materialistiche, « Dio dal cielo e le religioni dalla terra ». Il fascismo non conidera la religione come una invenzione dei preti o un trucco dei potenti a scopo di dominazione sulla povera gente. Tali idiote spiegazioni del fenomeno religioso appartengono all'epoca del più degradante anticlericalismo.
Non antireligioso in genere, il fascismo non è anticristiano o anticattolico in particolare. Il fascismo vede nel cattolicismo lo sfogo gigantesco e riuscito di adattare ad un popolo come il nostro una religione nata in Oriente fra uomini di altra razza e di altra mentalità. Il cattolicesimo è la sintesi fra la Giudea e Roma, fra Cristo e Quirino. E la religione praticata da secoli e secoli dall'enorme maggioranza delle popolazioni italiane. Universale, perché creato sull'armatura di un impero universale, il cattolicismo fa di Roma uno dei centri più potenti della vita dello spirito religioso nel mondo. Come si vede, la posizione del fascismo di fronte al cattolicesimo è ben diversa da quell'anticlericalismo in voga nell'Italia mediocre dell'anteguerra.
Eppure, ciò malgrado, il Partito Popolare Italiano, che si vanta di essere cristiano e cattolico, fa combutta coi socialisti e coi democratici atei e massoni ed assume atteggiamenti di ostilità contro il fascismo. Il Partito Popolare, che poteva mantenersi amico e neutrale, si è invece palesato nemico acerrimo e subdolo del fascismo. E naturale che il fascismo raccolga il guanto di sfida. L'antifascismo del Partito Popolare non è che un aspetto della concorrenza di bottega fra Partito Popolare e Pus e bassamente demagogico.
Il Partito Popolare ha un'ala sinistra, che potrebbe militare benissimo nelle file del Pus ed un'ala destra, che si fa rimorchiare. L'antifascismo è destinato a dividere il Partito Popolare. L'episodio Boncompagni è un sintomo rivelatore. Il Partito Popolare è infatti il Partito ambiguo per eccellenza. Per reclutare le sue masse elettorali si è certamente giovato delle parrocchie, di un fattore religioso quindi; per mantenere queste masse si abbandona ad un mimetismo teorico e pratico delle dottrine e dei metodi del socialismo il Partito Popolare è religioso e profano ad un tempo. Comincia con Cristo e finisce col diavolo. Don Sturzo, si dice, celebra ancora la messa, cioè il sacrificio, la rinunzia, l'accettazione di questa valle di lacrime e Miglioli pratica la lotta di classe come il più esasperato dei socialisti.
Come si concilia il cristiano « amore del prossimo » con la predicazione dell'odio contro talune categorie di uomini? Il materialismo senza scrupoli, veramente «mammonico » del Partito Popolare è documentato dalle cronache parlamentari del dopoguerra. La disinvoltura del Partito Popolare è già stata bollata da uno dei maggiorenti della sezione milanese, il quale ha definito il Partito Popolare come la « vedova allegra della politica italiana »: definizione scarnificante, ma esattissima.
Il Partito dei Cristiano-Cattolici si è rivelato come un Partito di grassatori che dell'anima e dei suoi futuri destini altamente si infischiano, mentre pensano a riempire il sacco e a svaligiare la nazione. Nell'azione disordinata, ricattatoria e arruffona del Partito Popolare manca una qualsiasi linea di dignità e di nobiltà. Quando si pensi che il leader di questo Gruppo è il trentino De Gasperi, che fu suddito sempre fedele di Francesco Giuseppe, che fu redattore della Reichpost, il foglio più ignobilmente italofobo di Vienna, un De Gasperi le cui polemiche contro l'irredentismo di Battisti nessuno a Trento ha ancora dimenticato; quando si pensi, dicevo, che De Gasperi viene presentato come la espressione più alta del Trentino redento, si ha subito quanto occorre per definire il patriottismo e la dignità del Partito Popolare.
Con i suoi ultimi gesti parlamentari, con i suoi « veti » ridicoli, con i suoi non meno ridicoli tentativi di combinare un ministero di estrema sinistra, il Partito Popolare ha smorzato le ultime superstiti illusioni: siamo dinanzi ad un Partito infetto di socialismo, quindi anticattolico, quindi anticristiano. Il Partito Popolare dichiara guerra al fascismo e guerra avrà. I modi di questa guerra dipendono dalle circostanze locali; gli sviluppi ulteriori di questa guerra non sono prevedibili, ma non ci sarebbe da stupirsi se la lotta contro l'insopportabile tirannia dei pescicani del Partito Popolare sboccasse in una insurrezione anticlericale, molto meno vacua delle campagne anticlericali di altri tempi.
Nelle alte sfere del Vaticano v'è chi si domanda se la nascita e l'origine del Partito Popolare non si risolveranno in un danno enorme per la Chiesa. Prodotti certo di queste sempre più acute apprensioni sono i comunicati con i quali la Santa Sede dichiara di non avere nulla di comune con l'azione del Partito Popolare. Sta bene. Ma, alla fine, qualcuno potrebbe domandare se questa distinzione fra popolari e cattolici non sia troppo comoda. Il Vaticano non ha giurisdizione sui popolari in quanto Partito? E sia! Ma la deve avere però sui popolari in quanto si professano cristiani e cattolici. Qui è il ponte dell'asino! Qui si palesa la falsità intima di una situazione per cui il popolare, come partitante, fa il comodaccio suo o il comodo di don Sturzo, e, come credente, deve obbedire alla suprema ed unica autorità della Chiesa: il papa.
Ci sono, insomma, due papi in Italia: il primo, don Sturzo, ha la cura della carne; il secondo, Pio XI, ha la cura delle anime. Non sarebbe, per caso, don Sturzo l'antipapa ed uno strumento di satana? Da mille sintomi appare ormai evidente che grosse tempeste sorgeranno all'orizzonte della Chiesa se il Partito Popolare continuerà a incanaglirsi nella sua politica materialistica, tirannica e anticristiana. – MUSSOLINI
-------------------------------------------------------------Commento del giornale all’intervento di sopra
“ LA SITUAZIONE POLITICA IN ITALIA ”
(Il Popolo d’Italia”
(27 luglio 1922)Non bisogna esagerare -ha detto il deputato fascista - l'estensione della guerra civile che infierisce. Colui che percorre l'Italia nota presto che si tratta di avvenimenti parziali, che in molti luoghi si limitano a risse domenicali: Vi sono delle regioni intere in Italia dove la vita continua normalmente e dove la tranquillità regna e questo è particolarmente il caso delle grandi città come Roma e Napoli; tutto questo va notato. Certo, accanto a incidenti trascurabili, ne avvengono altri di una gravità incontestabile, in cui lo stato di spirito dei fascisti e dei socialisti comunisti si manifesta con molto ardore.
La pacificazione appare tuttavia possibile - ha continuano con grande sicurezza l'on. Mussolini. - Credo che si possa arrivare alla pacificazione, ma non mediante trattati o tregue simili a quelli che si videro l'anno passato e che non hanno dato nessun risultato.
Quello che occorre è che il ministro dell'Interno si presenti dinanzi al Parlamento e abbia il coraggio di mantenere questo semplice linguaggio: « Lo Stato rappresenta la generalità ed è al disopra di tutti e si eleva contro chiunque attenti alla sua sovranità assoluta ». Se non si arriva a questo lo Stato abdica e una forza deve sorgere a prendere il suo posto. In generale il popolo italiano non domanda che di obbedire a uno Stato che sia degno del paese. Forse questo Stato sorgerà sia grazie alla partecipazione diretta dei fascisti, sia attraverso una coalizione simile a quella che avevo intravisto un anno fa, coalizione che si baserebbe sui tre grandi Partiti di masse esistenti attualmente in Italia: Popolare, Socialdemocratico e Fascista.
O la crisi attuale si incammina verso questa soluzione o si avrà un ministero qualunque con un decreto di scioglimento in tasca. Io prevedo che le prossime elezioni raddoppieranno per lo meno il numero dei deputati fascisti, di modo che saremo circa settanta alla Camera. Queste elezioni si impongono, poiché vi è un fatto nuovo nélla politica italiana, cioè la formazione del Partito Socialdemocratico, il quale ha il dovere di consultare il paese per constatare esattamente quello che rappresenta e per sapere se il suo collaborazionismo tanto vantato è l'espressione di una forza reale oppure una mistificazione d'ordine puramente parlamentare.
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Nella grave crisi di governo di fine luglio, il Sovrano ha contattato invano l'on. ORLANDO per costituire un Gabinetto pacificatore; ha poi tentato senza risultati con BONOMI, DE NAVA, MEDA e ha fatto salire al Quirinale pure TURATI (Allarmando i fascisti).
Nello stesso giorno l’Alleanza del Lavoro decideva lo sciopero nazionale. Forse Turati sperava che messo con gli scioperi sotto pressione il Paese, sarebbe nato un governo antifascista ospitando alcuni ministri socialisti. In questo scritto che segue, dello sciopero Mussolini non sa ancora nulla. Lo apprenderà dopo poche ore dopo aver scritto il pezzo (vedi poi il successivo articolo)
“ CREPUSCOLI ”
(Il Popolo d'Italia, N. 181)
(30 luglio 1922)
Filippo Turati è salito al Quirinale. E stato consultato dal re. Il leader riformista ed il socialismo collaborazionista hanno, con questo gesto, varcato il Rubicone, gesto atteso, ormai, specie dopo la votazione dell'ordine del giorno del Gruppo socialista; ma tuttavia gesto di una innegabile importanza e significato politico. Anche il giorno contribuisce a porre in maggior rilievo l'avvenimento: il giorno in cui Turati varca le soglie della reggia è l'anniversario dell'uccisione di Umberto I. Dopo ventidue anni, quale formidabile cambiamento nelle cose e negli spiriti! Ci fu, dopo l'assassinio di Umberto I, un caso De Marinis. Il povero Enrico De Marinis fu processato ed espulso dal Partito perché, nella sua qualità di funzionario della Camera, aveva seguito i funerali del re. Non scherzava il socialismo di allora, in fatto di regime e di gesti di adesione al regime! Dopo ventidue anni - tempo breve, ma straordinariamente carico di destino! - ecco l'on. Turati che entra alla reggia invitato dal re e vi entra consenziente una cospicua parte del socialismo e del proletariato italiano. La posizione odierna di Turati non è paragonabile - se non limitatamente - a quella di Bissolati. Questi andò al Quirinale come una sentinella sperduta, come un generale senza soldati, perché il Partito Riformista nel paese non esiste. L'on. Turati è più fortunato del suo amico e precursore: egli dispone già di una forte solidarietà di ordine parlamentare, confederale e socialista.
Non vi è dubbio che questo clamoroso ralliement di una parte del socialismo - la migliore dal punto di vista intellettuale - alla monarchia è stato accelerato dall'azione del fascismo. Senza il fascismo è certo che il proletariato italiano non si sarebbe riscattato così rapidamente dall'ubriacatura bolscevica, né i riformisti si sarebbero precipitati a reclamare attraverso le istituzioni attuali la restaurazione dell'imperio della legge.
Non vi è dubbio che i socialisti ora agiscono in stato di necessità: non potendo innalzare le barricate, vanno al Quirinale.
Bisogna certamente tenere il dovuto conto dei moventi che iniziarono le azioni degli uomini, ma è soprattutto importante vedere quali conseguenze scaturiscono da determinate azioni. Dal punto di vista, che chiamerò interno, del socialismo italiano, è evidente che il gesto odierno di Turati crea l'irreparabile. La scissione è un fatto compiuto. Il congresso socialista imminente di Roma appare già svuotato di ogni interesse, perché dovrà limitarsi a prender atto di avvenimenti che si sono già svolti. Da oggi il Partito che si frazionò a Livorno torna a dividersi in due. E nata la social-democrazia. Partito di governo o partito di masse? Si può rispondere in senso affermativo anche a questo interrogativo. Alcune zone del proletariato italiano sono già mature per questo: non si scandalizzeranno. Del resto i riformisti difenderanno strenuamente le loro posizioni. Altra conseguenza di ordine assai importante: la Confederazione generale del lavoro dovrà decidersi: dovrà cioè ritornare un organismo egregiamente e squisitamente operaio, sottratto alle egemonie infauste dei partiti socialisti o non socialisti. I quali partiti si compongono in massima parte di borghesi falliti, che mangiano sul proletariato e si arrogano l'aria di rappresentarlo, di difenderlo e di indirizzarlo nell'attuazione delle loro più o meno assurde costruzioni mentali.
Il gesto di Turati avrà le immancabili conseguenze di ordine ministeriale; non è il caso di anticipare giudizi. E evidente che i socialisti hanno capito che non si poteva restare eternamente sospesi e che, dal bacio platonico del semplice voto di maggioranza, valeva la pena di passare alla concessione della loro oramai stagionata verginità, offrendo la diretta partecipazione al Governo. Ma, ecco che un Gabinetto con la partecipazione dei socialisti, e cioè sinistro, anzi sinistrissimo, non è più possibile, perché Parlamento e paese lo considererebbero non un ministero di pacificazione, ma di reazione e di guerra.
Ora il paese, cioè la nazione, cioè i trentanove milioni di italiani che non fanno la politica militante, hanno bisogno assoluto di tranquillità, di ordine, di disciplina. O si ottiene questo, o l'Italia perde la sua indipendenza economica e così la sua stessa unità nazionale. Un ministero in cui entrino direttamente i socialisti provoca la necessità di un controllo e contrappeso di destra.
Anche fascista? Non precipitiamo. Un anno fa esattamente il 23 luglio 1921, io prospettai alla Camera un governo di coalizione fra i tre partiti rappresentanti di masse. Varrebbe la pena di riferire interamente il brano di quel discorso, che parve paradossale, mentre era il risultato di quel « presbitismo », che è il privilegio ed il travaglio del mio spirito. Resta a vedere se oggi esistano le condizioni in base alle quali io facevo quella previsione.
Ciò richiede una fredda meditazione su tutti gli elementi. Bisogna tenere conto dell'interesse del fascismo e dell'interesse della nazione. La nazione è ad una svolta della sua storia: o ritrova un minimo di pacificazione, o decade. Noi, invece, la vogliamo prosperosa e grande. – MUSSOLINI
----------------------------------------------Il giorno dopo, fu proclamato dall’Alleanza del lavoro lo sciopero generale, detto “sciopero legalitario”. Che fu un colossale fallimento. M. interviene.
“LA FU ALLEANZA DEL LAVORO ”
(Il Popolo d'Italia, N. 199)
(20 agosto 1922)
"Schiantata in pieno dalla trionfale controffensiva del fascismo, l'Alleanza del lavoro - mostruosa creazione di una paura collettiva - è stata sepolta ieri dal padre che l'aveva messa alla luce: il Comitato centrale del Sindacato ferrovieri italiani. Sepolta con un funerale di quarta classe. Il Comitato centrale del predetto Sindacato riunitosi ieri a Bologna ha diramato a mezzo dell'Agenzia Stefani un laconicissimo comunicato per far sapere che è stato deliberato « l'immediato ritiro del Sindacato ferrovieri italiani dall'Alleanza del lavoro ». Nient'altro. Ma ci sono delle « laconicità » più eloquenti di qualunque discorso. Il Sindacato ferrovieri deve avere capito che l'aver assunta l'iniziativa e la responsabilità della costituzione dell'Alleanza del lavoro è stata una di quelle gaffes che tutta una vita non basta a scontare; in secondo luogo il Sindacato ferrovieri riconosce col suo gesto odierno che lo sciopero inscenato dall'Alleanza del lavoro è stato semplicemente pazzesco.
Il Sindacato ferrovieri si ritira in buon ordine, mentre cinquantamila ferrovieri che hanno seguito - per debolezza, incoscienza o fanatismo - l'ordine di sciopero, stanno per essere più o meno severamente puniti. Chi si aspettava ulteriori novità da parte dell'Alleanza dei lavoro ora può starsene tranquillo. L'Alleanza del lavoro, questa istituzione irresponsabile e oscura che ha regalato al proletariato italiano la più grande disfatta, è oggi morta per sempre; ben morta, ben schiacciata sotto la greve mole del suo delitto contro la nazione e contro la stessa massa operaia. I repubblicani, accusati di tradimento, si sono già - di fatto - staccati dall'ibrido organismo; i confederali che si sono lasciati rimorchiare nella più miserevole delle maniere non potranno tardare ad imitarli, ora che il gesto dei ferrovieri consacra lo sfacelo definitivo di quell'organismo che doveva - niente po' po' di meno - abbattere - poverini! - il fascismo italiano.
Dinanzi al gesto del Sindacato ferrovieri, coloro che devono rimaner assai male, sono i quattro comunisti italiani, i quali, con quello specifico senso di inattualità che li distingue, non più tardi di ieri proclamavano in uno dei troppi loro prolissi e sbrodolati manifesti che l'Alleanza del lavoro doveva vivere, lottare, vincere ancora e sempre!
No. L'Alleanza del lavoro, stroncata dal fascismo, è morta; tutto quello che accade in questi giorni appartiene al genere « pompe funebri »; nessuno in Italia riuscirà mai a risuscitare questo clamoroso e decomposto cadavere. C'è una nuova situazione. Dopo tre anni la Confederazione generale del lavoro, compulsando i suoi melanconici bilanci, si accorge del terribile errore commesso quando si sono consegnate le masse operaie inquadrate nelle leghe alle esercitazioni rivoltose e uterine delle diverse congreghe socialiste.
Ora la Confederazione generale del lavoro si staccherà dal Pus, il quale Pus tornerà a dividersi. Comunque, questa seconda eventualità poco ci interessa. Per noi sarebbe meglio che restassero insieme: si pesterebbero i calli a vicenda e non darebbero a noi la noia di scendere a troppe sottili distinzioni. Più importante - anche ai fini nazionali - è la rivendicazione dell'autonomia confederale. La Confederazione generale del lavoro è nel suo pieno diritto. Finché c'era un partito socialista solo, il quale poteva passare per l'unico interprete politico delle masse sindacate, il patto di Stoccarda e Firenze poteva essere accettato, subito o giustificato. Ma adesso di partiti socialisti ce ne sono almeno tre, anche in Italia, senza voler contare il riformista bonomiano. Davanti a questo frantumamento, alla Confederazione generale del lavoro, se vuol salvarsi dall'estrema rovina, non resta che una decisione da prendere: quella di fare da sé.
Noi ripetiamo qui quello che abbiamo detto mille volte, e questo toglie alle nostre parole ogni significato di lusinga o di ricatto: il fascismo deve modificare e modificherà immediatamente il suo atteggiamento di fronte a un organismo confederale che abbia nettamente e irreparabilmente tagliato tutti i ponti coi diversi partiti socialisti, ognuno dei quali crede ridicolmente e grottescamente di possedere la ricetta dell'autentico e infallibile socialismo.
Noi attendiamo questo evento da tre anni. Se i confederali fossero stati intelligenti, il corso della loro e della nostra storia avrebbe potuto forse essere diverso. Non tardino a riparare il loro errore. Essi sentono e sanno che il socialismo - teologia di una società futura- è cosa morta oramai nelle cose e negli spiriti; mentre il sindacalismo vive, in quanto è condizionato dallo stesso tipo della nostra civiltà. Grande industria e sindacalismo sono termini inscindibili dello stesso binomio. Ma non è detto che il sindacalismo sboccherà in uno dei tanti tipi di società socialista, quali ci sono descritti dai diversi teorici o ciarlatani del socialismo. Il sindacalismo è, prima di tutto, una difesa, poi una selezione, poi una elevazione. Noi non gli attribuiamo virtù taumaturgiche, ma sentiamo che nella foresta morta del cosiddetto « sovversivismo » esso è l'albero in cui scorre ancora qualche linfa di vita. - MUSSOLINI
-------------------------------------------------La clamorosa fine dello sciopero, affrettò il crollo della sinistra e fece un grosso favore al Fascismo. A confermarlo è la stessa Kuliscioff scrivendo a Turati pochi giorni dopo - il 14 agosto: "...anche qui pare che ci sia un gran esodo degli operai dalla Camera del Lavoro con numerosi passaggi, con armi e bagagli, al fascismo..." (Turati-Kuliscioff, Carteggio, p.558).
“ LA FIUMANA ”
(Il Popolo d'Italia, N. 204)
(26 agosto 1922)
"Il fenomeno del proselitismo fascista, che invece di illanguidire aumenta in proporzioni sempre maggiori col passare-del tempo, dà l'idea di qualche cosa di fatale che è oramai superiore alla volontà degli uomini. Il fiume del fascismo continua ad alzare il livello delle sue acque, che hanno già abbattuto parecchi argini e strariperanno fra poco dovunque. Ora ecco i nostri nemici che fingono di rallegrarsi di questo imponente e rapido crescere delle nostre forze e sperano di vederle, colla stessa rapidità, disperdersi e morire.
Non escludiamo in assoluto questa eventualità. Noi non siamo degli « scientifici » come i furfanti cantastorie del socialismo. Noi non mettiamo ipoteche sul futuro. Può darsi che la previsione, la quale allieta segretamente i nostri nemici, si avveri; ma può anche darsi che le cose prendano corso diverso.
Tra l'accrescimento del Pus nel 1919-'20 e l'attuale irrompente proselitismo fascista, le differenze sono parecchie e di molti rilievi. Anzitutto, noi non promettiamo nulla e non cerchiamo nessuno. Il fascismo nasce da sé. Spontaneamente, senza preliminari dissodamenti programmatici. Il fascismo non fa propaganda: non ha molti uomini ed ha scarse simpatie per l'attività parolaia. I fascisti, quando parlano, non promettono alle folle i paradisi incantati, come facevano i propagandisti bolscevichi nel biennio infausto. I fascisti non dicono: « Volete la salute? Bevete questa o quella droga; fate il leninismo », come gridavano i socialcomunisti nell'epoca della loro acuta «ubriacatura». No. I fascisti non vendono fumo. Parlano dell'Italia, del suo avvenire. Hanno il coraggio di esaltare l'intervento e rivendicare la guerra. Non rinunciano, spesso, ad affermazioni di carattere imperialistico. Non aprono, dunque, bottega.
Ora il troppo rapido ingrossamento delle file costituiva e costituisce un serio pericolo per i partiti combinati alla moda antica; per i partiti, cioè, che possono essere considerati come vaste assemblee diffuse su tutto il territorio; assemblee di disputanti, i quali, disputando, finiscono naturalmente per differenziarsi e detestarsi; da cui le innumerevoli « tendenze » e relative scissioni. Il fascismo è tutt'altra cosa. I suoi iscritti sono, prima di tutto, soldati. La tessera equivale al piastrino di riconoscimento. Le gerarchie d'ordine politico-militare sono oramai ferreamente costituite. La disciplina d'ordine militare comprende quella d'ordine politico. Le reclute del fascismo vengono inquadrate, selezionate. Il discutere troppo è segno infallibile di decadenza. Dato questo nostro tipo di organizzazione i pericoli del proselitismo sono infinitamente attenuati. Siamo troppo conoscitori del mondo e dei suoi poco simpatici abitatori, per ritenere che tutte le reclute del fascismo siano animate da motivi soltanto ideali. C'è anche fra di noi la zavorra. Ci sono anche fra noi gli arrivisti. Ci sono anche fra noi quelli che si giovano del fascismo per camuffare altri impulsi e altri interessi.
Ma come si fa a leggere nelle anime? Ogni aggregato umano ha di questi detriti. Il fascismo, però, li seleziona e li elimina energicamente. Esso deve continuamente preoccuparsi delle qualità e deve rendere la quantità qualitativa. Non siamo, dunque, eccessivamente preoccupati del rapido e continuo svilupparsi del proselitismo fascista d'ordine politico. Il fascismo ha energie sufficienti per controllare, dominare, eliminare gli elementi infidi o sospetti.
Ma il proselitismo fascista ha un altro aspetto: l'aspetto sindacale. Masse d'operai passano ai nostri sindacati. I socialpussisti, davanti al fatto, hanno sentito l'estremo pudore di ritirare dalla circolazione la storiella dei « prigionieri » del fascismo. I prigionieri sono oramai in numero così imponente che potrebbero avere ragione dei loro « carcerieri ». Inoltre questi passaggi sono accompagnati da manifestazioni clamorose e mortificanti di pentimento, come la consegna dei simboli e delle bandiere. Ora i nostri avversari sogghignano e aspettano. Voi dovrete, facendo dell'organizzazione economica, fare del monopolio. E noi rispondiamo che un conto è il monopolio, risultato ultimo di un processo naturale di solidarietà, e un conto è il monopolio, atto di coazione, gesto di prepotenza, accompagnato da quelle sanzioni punitive di cui furono piene le cronache delle baronie rosse.
Voi dovrete, ora, che avete dei sindacati, continuano i nostri avversari, fare della lotta di classe. Ma sì. Ma sì. Anche questo è possibile. Nessuno ha mai pensato di bandire dalla storia il fenomeno della lotta delle classi. C'è sempre stato e ci sarà sempre. Noi aggiungiamo, però, che nel corso della storia, altre forze che non sono precisamente di ordine economico giocano parti talora decisive. Per noi la lotta delle classi è un episodio. Siamo, di regola, collaborazionisti, specie in un periodo di miseria come l'attuale. Non si può lottare per la spartizione o migliore ripartizione di un bottino che oggi non c'è. Fare della lotta di classe oggi, significa suicidarsi; significa, cioè, rinunciare per il domani a qualsiasi anche legittima lotta, perché, assassinata l'economia di una nazione, non resta che l'universale miseria con forme di lotta che non hanno nulla di comune con l'organizzata, cosciente, razionale lotta marxistica delle classi. Insomma, per noi, la collaborazione è la regola; la lotta delle classi è l'eccezione.
I « modi » di questa eccezione non hanno che un'importanza secondaria, anche se per avventura fossero apparentemente poco difformi da quelli adottati dai socialisti.
A questi criteri, solennemente confermati, in manifestazioni teoriche e pratiche, si inspira il sindacalismo fascista. Esso non commercia la felicità. Non permette che si tolga alle maestranze tutto ciò che, nel campo morale, fu da solo conquistato. Se è necessario per salvare l'industria acconciarsi a sacrifici, il sindacalismo fascista, che non fa della demagogia, avrà il coraggio di tenere analogo linguaggio agli operai, salvo a chiedere la reciprocità e la proporzionalità del sacrificio da parte anche dei datori di lavoro.
Nell'organizzazione economica come in quella politica il sindacalismo fascista segue criteri più qualitativi che quantitativi. Il compito del sindacalismo fascista è certamente formidabile. Molti sono curiosi. Molti inquieti. C'è chi attende nell'ombra l'esito della prova. Ebbene noi sentiamo che la prova riuscirà. La mente degli operai è oramai sgombra dalle fumisterie avveniristiche e sta prendendo contatto colla semplice e umana realtà della nazione e della produzione.
Le nostre migliori speranze poggiano su quella cambiata situazione. – MUSSOLINI
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M. interviene invitando misure radicali contro alcune squadracce che disonorano il fascismo e che stanno sfuggendo al suo controllo" DISCIPLINA ASSOLUTA! ”
(Il Popolo d'Italia, N. 214)
(7 settembre 1922)
I severi provvedimenti adottati a Torino e a Ferrara contro elementi faziosi o indisciplinati, che pretendevano - evidentemente! - servirsi del fascismo, non già servire il fascismo, hanno la nostra piena e incondizionata approvazione. Li commentiamo, per meglio segnalarli a tutti i fascisti d'Italia, perché dovunque sia necessario, si proceda nello stesso modo, senza esitazioni e senza colpevoli indulgenze. Sempre, in ogni fase passata del nostro movimento, la disciplina fu indispensabile, ma oggi lo è ancora di più e le ragioni di ciò sono evidenti. Il fascismo continua a diffondersi in ogni angolo d'Italia. Le domande di iscrizione affluiscono in quantità impressionante. Siamo una massa. Non abbiamo potuto evitare di diventare una massa. Non si doveva evitare di diventare una massa.
Questo è il caso di tutte le idee vitali; delle idee, cioè, che a un dato momento diventano sostanza essenziale di una data società. Le altre idee vivono e muoiono nel chiuso delle conventicole. Ma appunto perché non abbiamo potuto evitare di diventare moltitudine, è necessario che le gerarchie del fascismo si fortifichino, funzionino per coordinare i movimenti di questa massa, per selezionare i componenti di questa massa, per colpire inesorabilmente quanti non sono degni di restare all'ombra del Littorio romano.
Solo in questo modo la quantità diverrà qualitativa e la qualità non si corromperà diventando quantitativa. Ma c'è un'altra ragione ancora più forte, che impone la più rigida disciplina. Il fascismo è destinato fra poco ad assumere tremende responsabilità: quelle inerenti al Governo della nazione. Per la democrazia fatua, imbecille e criminale, il Governo è una specie di pratica, fra amministrativa e parlamentare, alla quale tutti i 156 campioni del dèmmos si ritengono egregiamente preparati; per il fascismo, invece, governare la nazione, specie in questo calamitoso periodo della storia europea, è prospettiva che fa tremare le vene e i polsi.
Per la via legale o per quella illegale - il dilemma più che da volontà di uomini sarà risolto dal peso di circostanze - il fascismo avrà domani la responsabilità del Governo della nazione. Ora deve prepararsi a questo formidabile dovere. Deve adeguare se stesso a questa non lontana eventualità. Deve, quindi, imporsi il più duro cilicio della disciplina, se vuole, domani, imporre una disciplina a tutta la nazione. Il Partito, in siffatta materia, dev'essere rapido ed inflessibile. Dove c'è una situazione malata, bisogna curarla col ferro e col fuoco. Quando diciamo «ferro e fuoco» non si deve credere a un'amplificazione rettorica. Intendiamo parlare di ferro nel senso di arma che ferisce e di fuoco nel senso più specificamente cauterizzatore della parola. Le deplorazioni e le espulsioni sono bagattelle d'indole democratica, da applicarsi nei casi leggeri. Ma ci sono casi in cui deplorazioni ed espulsioni non bastano più. Anche qui bisogna considerare due elementi di fatto:
Primo: la costituzione del nostro Partito a base militare, ragione per cui tutto deve essere in relazione con questo punto di partenza. Ora un esercito non può limitarsi ad espellere un traditore o un disertore. Misure assai più radicali s'impongono. Secondo: i sacrifici dei nostri militi, l'olocausto dei nostri morti. Gli altri partiti non conoscono questo calvario. Essi quindi possono essere leggiadri nel comminare e nell'applicare le pene. Noi, no. Chi disonora il fascismo, chi lo infanga, disonora ed infanga le centinaia e centinaia dei nostri morti. Bisogna dunque colpire con fredda inesorabilità disertori, traditori o indegni. Né la disciplina fascista deve fermare le sue sanzioni, se per avventura il « caso » avesse un contorno di principi, di idee, se, insomma, si volesse far credere che si tratta di tendenze.
E tempo di dire che il fascismo non conosce tendenze, nel senso che a questa parola viene data nei bagolatori degli altri partiti. Il fascismo ha un programma stampato, uno statuto stampato, un regolamento stampato. E ogni due anni un congresso, che può rivedere o abolire tutto ciò. Chiediamo che la Direzione del Partito, suprema depositaria dei nostri poteri, agisca senza indugio, senza incertezze e senza preoccupazioni. Non c'importa di ritornare un pugno d'uomini, come nel marzo del 1919. – MUSSOLINI
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bibliografia
ALBERTO
CONSIGLIO - V.E. III, il Re silenzioso. 11 puntate su Oggi, 1950
CONTEMPORANEA
- Cento anni di giornali italiani
PUBBLICAZIONE NAZIONALE
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MUSSOLINI, Diario della Volontà (1914-1922) - Quaderni Fascisti, Ed.
Bemporad 1927
MUSSOLINI, Scritti Politici. Feltrinelli
MUSSOLINI, Scritti e Discorsi, La Fenice, 1983
RENZO DE FELICE, Mussolini il fascista, Einaudi, 1966
A.
PETACCO, Storia del Fascismo (6 vol.) Curcio
ZEEV STERNHELL, Nascita dell'ideologia fascista, Baldini & Castoldi, 1989
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