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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1916 (9)

ULTIMI gg. DEL 1916 - VAGHE TRATTATIVE DI PACE - DISCUSSIONI

APPROCCI DEL GOVERNO TEDESCO PER LA PACE - MORTE DI FRANCESCO GIUSEPPE - LA RIAPERTURA DELLA CAMERA: DISCORSO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO - LA DISCUSSIONE PARLAMENTARE - RINVIO DELLA MOZIONE SOCIALISTA - MANOVRE AUSTRO-TEDESCHE - LA RELAZIONE DEL MINISTRO COREANO SULLA SITUAZIONE FINANZIARIA - UN DISCORSO DELL'ON. TURATI - DICHIARAZIONI DEL MINISTRO DE NAVA - UN DISCORSO DI INNOCENZO CAMPA. - DICHIARAZIONI DEL MINISTRO SONNINO - IL VOTO DI FIDUCIA, LA DISCUSSIONE IN SENATO: I DISCORSI DEI MINISTRI MORRONE, MEDA, RAINERI, ORLANDO E BOSELLI
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Nidi di "Aquile" (gli Alpini) sul Lagazuoi

DICEMBRE 1916: APPROCCI TEDESCHI PER LA PACE
MORTE DI FRANCESCO GIUSEPPE
LA MOZIONE DEI SOCIALISTI ITALIANI PER LA PACE

BISSOLATI - e non solo lui come abbiamo letto nella precedente puntata- tuonava contro la pace non accompagnata dalla fine dell'impero austroungarico, ma molti in Italia e fuori pensavano seriamente alla pace. Fuori, oltre ad alcune potenze neutrali, era principalmente la Germania che desiderava la fine della guerra (e questo prima ancora della dichiarazione di guerra dell'Italia in agosto).
Il Governo tedesco, dopo la sconfitta della Marna, aveva cercato di indurre gli Stati Uniti e il Vaticano a farsi mediatori di pace. Poi, dopo gli inutili sforzi contro Verdun (un attacco che avrebbe dovuto avere un grande valore strategico indebolendo le truppe francesi al punto di indurle alla resa, ma che non ebbe esiti di rilievo, nonostante l'enorme dispendio di vite umane - I due eserciti lasciarono sul campo circa 600.000 morti), la Germania tentò di avviare trattative dirette e separate con la Francia, con il Belgio e con la Russia.
Alla Francia prima fece intravedere, ove si ritirasse dall'Intesa, vantaggiose concessioni dei confini dell'Alsazia-Lorena, poi, ove si alleasse con gli Imperi centrali contro l'Inghilterra e l'Italia, il risarcimento dei danni e la restituzione di tutta l'Alsazia-Lorena; al Belgio offrì ottimi patti commerciali e larghe indennità; più serie furono le trattative con la Russia, ma fallirono specialmente per le difficoltà incontrate nel risolvere la questione polacca e costarono il portafoglio a due ministri russi degli Esteri, il Sazovoff e lo Starner.

Nel secondo semestre del 1916, il Governo tedesco ritentò di spingere gli Stati Uniti ad interporsi tra i belligeranti e pregò insistentemente il presidente WILSON di dettare una proposta di pace. Più tardi, come vedremo, il cancelliere tedesco BETHMANN, spintovi dal contegno piuttosto dubbioso di Wilson e da quello, nettamente favorevole alla pace del nuovo imperatore austriaco CARLO l°, successo al decrepito FRANCESCO GIUSEPPE, morto il 21 novembre del 1916 nel castello di Schonbrunn, decise che la Germania si mobilitasse come iniziatrice della pace.
(Quelli dell'Intesa affermarono che era una mossa propagandistica, che dava per scontato la loro risposta negativa, e che era stata avanzata solo per permettere agli Imperi Centrali di declinare qualsiasi responsabilità "dinanzi all'umanità e alla storia", e per riorganizzarsi).

Anche in Italia però pensavano alla pace, ed era naturale, fra coloro che erano stati gli irriducibili neutralisti, vale a dire i socialisti ufficiali, il cui gruppo parlamentare presentò alla Camera la seguente mozione:
"La Camera, costatato che dalle ultime solenni dichiarazioni dei Capi di Governo responsabili dei principali Paesi belligeranti, Inghilterra e Germania, emerge il consenso sostanziale sui principi e sui propositi, in base ai quali una pace onorevole e conveniente per tutti potrebbe stipularsi, e cioè:
1° la rinuncia, esplicitamente affermata, ad annessioni forzate e da egemonie violatrici del diritto delle genti;
2° la necessità, ugualmente proclamata da ambo le parti, di una libera e tranquilla convivenza in Europa di tutti gli Stati, grandi e piccoli, sulla base delle rispettate nazionalità;
3° il dichiarato comune proposito di antivenire il riprodursi di conflitti violenti fra i popoli grazie all'organizzazione dell'arbitrato internazionale e di una stabile Lega di Stati che ponga la pace al coperto d'improvvise aggressioni; ritenuto che un così lucido ed eloquente consenso pone evidentemente le condizioni necessarie e sufficienti per l'inizio, fra tutti gli Stati interessati, di trattative d'accordo che, lealmente indette e proseguite, non potrebbero non riuscire feconde e risolutive;
invita il Governo a farsi autorevole interprete presso i Governi Alleati dell'urgente necessità di provocare- con la mediazione della Confederazione Nord-Americana e degli altri Stati neutrali - la convocazione di un Congresso di rappresentanti plenipotenziari dei Paesi belligeranti, con l'incarico - sospese le ostilità - di vegliare, al lume di quei principi concordemente conclamati, gli obiettivi e le rivendicazioni concrete delle parti in contesa, per una prossima soluzione del conflitto e per la salvezza d'Europa".

LA RIAPERTURA DELLA CAMERA - DISCORSO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
LA DISCUSSIONE PARLAMENTARE
RINVIO DELLA MOZIONE - MANOVRE AUSTRO-TEDESCHE - LA RELAZIONE DEL MINISTRO CARCANO SULLA SITUAZIONE FINANZIARIA - UN DISCORSO DELL'ON. TURATI - DICHIARAZIONI DEL MINISTRO DE NAVA - UN DISCORSO DI INNOCENZO CAPPA - DICHIARAZIONI DEL MINISTRO

La Camera si riaprì il 5 dicembre e BOSELLI pronunciò un importante discorso, che qui vogliamo riportare per intero:

"Il Ministero - egli disse - sorto in nome della concordia nazionale, secondo la patriottica ispirazione dell'ora fatidica in cui tanta storia si rinnova, rivolse massimamente le opere sue ad assicurare e ad affrettare la vittoria dell'Italia e, insieme, della civiltà. Tale fu la consegna che con larga e pronta fiducia il Parlamento ci diede. Così interpretammo il sentimento del Paese che tutto vive, pensa, palpita coi suoi figli e per i suoi figli, i quali strenuamente combattono, gloriosamente vincono ed eroicamente muoiono; del Paese che guarda con orgoglio al Re, sempre vigile fra le armi e pronto sempre a rincuorarle; del Paese che alieno dalle politiche schermaglie e dalle divagazioni infeconde, chiede a gran voce il compimento delle rivendicazioni italiane, la restaurazione del diritto delle genti e la riconsacrazione dei principi dell'umano consorzio, oggi barbaramente violati.

Dei suoi figli combattenti l'Italia può essere fiera, fiera della sua guerra, fiera del contributo che le sue armi portano alla causa comune. I nemici nostri con la formidabile offensiva nel Trentino quasi contemporanea di quella di Vérdun - nome oramai sacro al valore francese s'illudevano di conseguire la vittoriosa decisione della guerra; ma il valore dei nostri soldati, la grande e serena energia del comandante supremo che segnò una pagina memorabile nella classica arte della guerra, frustarono il tentativo austriaco. Il nemico fu dai nostri prodi trattenuto e a sua volta attaccato e respinto; oggi è ancora affacciato alle porte d'Italia; ma gli stanno a guardia i nostri intrepidi soldati, e le salde difese apprestate di contro l'invasore debelleranno in pieno, se ritentata, la tracotante impresa.

Non erano trascorsi due mesi dal fallito assalto del nemico, quando le nostre armate dell'Isonzo furono con fulminea rapidità lanciate ad affrontarlo arditamente. Allora si superarono quelle che parevano insormontabili difese, e si strappò allora alla lunga usurpazione degli Absburgo, Gorizia, la città delle loro predilezioni superbe, la bellissima italica gemma. In altre vittoriose battaglie il nemico era ributtato più oltre sul Carso. Intanto le armi nostre muovevano della penisola balcanica da Valona e da Santi-Quaranta e tutelare dalle insidie il fianco e le spalle dell'esercito alleato, insieme col quale combattono - per liberare la Serbia e sostenere la Romania sempre valorosa - i nostri veterani del Carso, che oggi ancora onorarono a Monastir splendidamente il nome d'Italia.

La nostra marina militare, infaticabile, asseconda questa vasta e complessa opera di guerra; essa si accresce di nuove unità atte a ben combattere e a vigilare: acquista nuove armi a difesa delle coste, delle città, delle industrie, che si elevano sul litorale e a tutela delle navi mercantili. Il nemico non osa affrontarla in aperto scontro: intanto essa insegue e caccia i sommergibili che, con le disumane insidie, infestano i mari; essa ordina avvedutamente e ininterrottamente, scorta e protegge con meritata fortuna le nostre spedizioni militari a Valona e a Salonicco; ed avanza con frequenti e ardite incursioni offensive fino alle coste nemiche. La nostra gloriosa marina da guerra recò bandiera italiana a Porto Palermo, all'isola Merlera, a Santi-Quaranta; essa penetrò fin dentro alle opere della rada di Durazzo e mostrò, una volta di più, col fulgido episodio del canale di Fasana, di che cosa sia capace la virtù della nostra gente.

A provvedere di armi e munizioni i combattenti e a fornire gli eserciti alleati, ad apprestare idrovolanti per le visite agli arsenali nemici, a popolare i cieli di nuove fogge di velivoli che assecondino le prodezze degli arditi nostri aviatori, a munire di nuovi strumenti la difesa antiaerea, ferve in 2700 stabilimenti, tra governativi e ausiliari, l'opera di un popolo di lavoratori che la mobilitazione industriale, rapidamente creata ed estesa, sprona con mirabile alacrità. Alti, alcune volte altissimi i salari; ed a evitare lo sperpero, gioverà la previdente educazione del risparmio.
All'incirca il quinto degli operai (proporzione per verità ancora troppo scarsa) è formato dalle donne, la cui opera riesce abile, diligente, proficua, onde così nell'industria come nell'agricoltura il lavoro femminile aumenta considerevolmente la nostra efficacia produttrice; e noi dovremo sempre più, con riforme molteplici e varie tutelarlo e favorirlo.

Migliorarono progressivamente i servizi sanitari dell'esercito grazie all'avvicendamento dei medici al fronte e la loro destinazione secondo le attitudini e la diversa cultura. Grazie alle nuove ambulanze chirurgiche e la creazione di speciali istituti, l'alimentazione del soldato fu regolata con più rigorosi criteri scientifici ed è ottima sotto ogni riguardo. Innovazioni opportune furono introdotte nel giudizio sull'idoneità ai servizi militari; furono ordinati gli ospedali di riserva, e sempre migliorati i servizi della Croce Rossa, nei quali tanto possono le cure salutari e i conforti che diffonde la gentile pietà. Provvidenze speciali furono escogitate per i malati di tubercolosi nell'esercito, anche in ordine della prevenzione antitubercolare del Paese; ecco in compendio l'opera compiuta e disegnata in questo frattempo.

Per gli orfani ed i mutilati ed invalidi a cagione della guerra sovvennero pronte ed ammirevoli le elargizioni e gli istituti della privata generosità. Il Parlamento vorrà senza indugio integrare convenientemente le disposizioni proposte dal Governo e già in parte recate ad effetto. Si procurò di ottenere più esatte garanzie per una sempre più giusta distribuzione dei sussidi alle famiglie dei richiamati. Al riparo degli apprezzamenti difformi e delle parzialità proprie dei partiti e delle clientele locali, si affrancarono dalla tassa di successione le minori eredità dei caduti in campo. Le pensioni di guerra, già più benefiche che in altri Paesi, divennero meglio favorevoli alle vedove e alle famiglie più numerose e sempre più soccorrevoli ai figli e ai genitori privati del necessario e principale sostegno. Si tolsero esclusioni e decadenze che la pietà umana non consentiva. Si sostituì al rigore la benevolenza riparatrice. Si agevolò e protesse il riconoscimento della prole; fu ammesso che nel fatale sopravvenire di bisogni non mancasse l'aiuto; fu allargato il provvido istituto dell'accorato e le pratiche formali avviate a più spedita soluzione in riordinati uffici.

Notevoli eventi si sono succeduti dopo le ultime dichiarazioni del Governo sulla politica estera. II loro ineluttabile corso segna e riafferma la via dall'Italia liberamente intrapresa e che noi manterremo, nella sicura fiducia che giungeremo alla vittoria. Il 27 agosto la nobile nazione romena ha preso le armi per la liberazione dei fratelli soggetti allo straniero e per il compimento dei suoi ideali nazionali e si è volontariamente unita alle Potenze che combattono la fiera lotta della libertà e della giustizia. Al valoroso popolo romeno, che con animo invitto affronta le più dure prove, i più gravi sacrifici, al suo Re, al suo esercito invio un fervido augurale saluto, cui sono certo si associa calorosamente il Parlamento.

Negli stessi giorni l'Italia ha dichiarato la guerra alla Germania. Le motivazioni del nostro atto sono a sufficienza illustrate nel testo della dichiarazione. Voglio solamente aggiungere come fin dalla nostra entrata in guerra contro l'Austria si prevedesse chiaramente anche da parte del Governo germanico che il prolungarsi del conflitto europeo avrebbe inevitabilmente condotto allo stato di guerra tra Italia e Germania. N'è prova, la dichiarazione fattaci verbalmente circa la presenza di truppe tedesche frammiste a quelle austriache ed il fatto che l'accordo italo-germanico del 21 maggio fu concluso, appunto nella previsione dello stato di guerra, dietro iniziativa del Governo germanico, per quanto l'accordo stesso per la poca sincerità messa dall'altro contraente nella sua anticipata attuazione, non abbia potuto reggere nemmeno fino al giorno della dichiarazione delle ostilità.

Il governo italiano ha prolungato per più di un anno, di fronte agli incessanti aiuti militari della Germania a sostegno dell'Austria, di fronte a numerosi atti ostili del Governo imperiale, uno stato di diritto che era in contrasto con lo stato di fatto; ma quando tale contrasto divenne troppo stridente abbiamo ritenuto che la nostra dignità, la necessità delle cose e i nostri doveri di Alleati c'imponessero di troncare l'equivoco e l'indugio.
Nella stampa estera ed italiana si è molto discusso circa il futuro assetto dell'Adriatico, anche per effetto di una viva propaganda, le cui origini rimontano a spiegabili manovre nemiche. Ma per noi e per i nostri Alleati, tale questione è fuori discussione. L'auspicata vittoria finale ci assicura il dominio dell'Adriatico, che per l'Italia significa difesa legittima e necessaria e che senza le giuste esigenze delle vicine nazionalità slave e le necessità del loro sviluppo economico, assicurerà parimenti i diritti imprescrittibili della nostra nazionalità sull'opposta sponda. Noi prevediamo un'avvenire d'operosa fiducia e cordiale collaborazione dell'Italia con la Serbia e con il Montenegro nel campo politico e in quello economico. La restaurazione di quelle valorose Nazioni, insieme a quella del Belgio, costituisce uno scopo nobile quanto essenziale della nostra guerra.

Con l'invio di un contingente di nostre truppe a partecipare all'impresa di Salonicco rispondemmo al concordato programma della perfetta unità d'azione con i nostri Alleati. Abbiamo in tal modo recato pure alla Romania quest'aiuto fraterno, che era in poter nostro di darle e, in pari tempo, con questa spedizione l'Italia ha manifestato e confermato il suo proposito di tenersi sempre presente allo svolgimento ed alla soluzione di quei problemi balcanici e mediterranei da cui dipendono vitali suoi interessi politici ed economici, e che sono connessi con gli eventi militari in quella regione.
Gli interessi mediterranei dell'Italia furono sempre oggetto della vigilante nostra attenzione. L'Italia è potenza essenzialmente mediterranea: nel mare è la sua strada e il suo avvenire. Non cerchiamo predominio ma solo l'equilibrio delle forze, condizione necessaria, di pace, di prosperità. L'Italia forma sempre un elemento di sicurezza e di stabilità ed abbiamo ferma fiducia che l'assetto internazionale, che risulterà dalla vittoria, assicurerà quell'equilibrio del Mediterraneo orientale che costituisce uno dei capisaldi della politica italiana.

Le medesime supreme necessità politiche ed economiche dell'avvenire nostro hanno motivato l'estensione data alle operazioni militari sul fronte di Valona, la quale rimarrà sicuro baluardo della nostra situazione strategica dell'Adriatico e sarà punto di partenza alla nostra operosa futura espansione commerciale nella penisola balcanica. Ma principalmente, grazie alle nostre occupazioni nell'Albania meridionale, abbiamo potuto efficacemente collaborare con i nostri Alleati con l'impedire il contrabbando di guerra, che era esercitato dai nemici attraverso la frontiera greca; e mediante collegamento operato dalle nostre truppe con quelle alleate provenienti da Salonicco, si è chiuso contro i nemici quella parte del fronte balcanico.
L'azione spiegata in Grecia dagli Alleati fu anche diretta ad impedire i conflitti interni cui poteva dare origine il movimento venizelista. Misure efficaci furono adottate a tal fine dagli Alleati, le cui direttive politiche sono aliene dal fomentare o favorire aleatori movimenti antidinastici in Grecia. Dopo che, in seguito all'azione ferma degli Alleati, pareva si fosse finalmente trovato in Grecia un accomodamento dai partiti contendenti, abbiamo dovuto assistere negli ultimi giorni a dolorosi conflitti ed agitazioni in Atene, in occasione della richiesta consegna agli Alleati delle artiglierie che le truppe greche temevano dovessero essere rimesse alle milizie venizeliste; il conflitto è stato composto e confidiamo che si abbiano ad evitare in avvenire maggiori complicazioni. Non è nelle nostre vedute e nei nostri sistemi - ed in ciò siamo di perfetto accordo con gli alleati - costringere alla guerra popolazioni che dalla guerra rifuggono, ma possiamo esigere che sia materialmente precluso il modo di portare aiuto diretto o indiretto ai nostri nemici.

Nella primavera del 1915, prima della nostra entrata in guerra, la Francia e l'Inghilterra manifestarono a Pietrogrado il loro pieno assenso a che nel futuro trattato di pace fosse alla Russia attribuita Costantinopoli con le dovute garanzie di libertà degli stretti. Noi abbiamo in seguito aderito a tale dichiarazione di intesa al concorde riconoscimento delle secolari aspirazioni della nostra valorosa alleata.
Antiche tradizioni di pensiero e d'armi impugnate a schermo della civiltà, e ricordi imperituri del nostro Rinascimento e del nostro Risorgimento nazionale spinsero insieme l'anima italiana e l'anima della Polonia, sempre idealmente luminosa, sempre fervidamente invitta nella fede della propria risurrezione; onde l'Italia, concorde con gli Alleati, plaudì al Sovrano della Russia quando egli confermò le guarentigie dell'unità e dell'autonomia a tutte le popolazioni della Polonia. Di contro gli Imperi centrali ne riconfermarono lo smembramento e, in contrasto col diritto delle genti, mutarono la pura occupazione militare in un trasferimento di sovranità. Costringono così, con incredibile prepotenza, popoli polacchi a combattere contro lo Stato del quale, di diritto, fanno parte. Per simili fatti il Governo italiano, unitamente agli Alleati, fece formale protesta presso i Governi degli Stati neutrali.

Né basta. Con arbitrarie, inumane oppressioni, l'Impero che occupa materialmente il Belgio, fa nuovo strazio di quel popolo con le violente deportazioni in massa e col lavoro forzoso imposto dai vincitori ai vinti fuori dal loro territorio. Il Governo belga ci denunziò simili ritorni ai remoti tempi barbari. L'Italia nostra leva alto il grido della riprovazione e dello sdegno, che è un grido universale, ed augura prossima alla nobile Nazione belga la restaurazione della sua indipendenza, il premio dovuto al suo sacrificio sublime.
In mezzo a tanta ira di violenti oppressori e di eccessi inumani, l'Italia non scordò la temperanza generosa e la santità delle sue tradizioni; non scordò di esser la patria del diritto internazionale e la primogenita della civiltà. Offesi sui mari e dall'aria con la più assoluta assenza di scrupoli nella scelta dei mezzi, le nostre rappresaglie si attennero ai dettami della giustizia, al sentimento inviolabile della nostra dignità. E fu italianamente ispirata e storicamente inoppugnabile la rivendicazione del Palazzo di Venezia senza offendere alcuna di quelle leggi fondamentali che lo stato italiano scrupolosamente osserva anche tra le difficoltà delle presenti circostanze ed intende immutabilmente di osservare.

Né per avvenimenti di così grande momento furono trascurate le sorti delle nostre Colonie. Nella Colonia Eritrea la tranquillità non fu turbata dalla recente rivoluzione abissina e, del resto, eravamo in grado di far fronte a qualsiasi evento. E giova rammentare che là si prepara con successo un fiorente avvenire. Anche le energie della Somalia italiana, dopo le compiute occupazioni si svolgono con promessa di notevole prosperità. In Italia il Governo segue una politica di pacificazione senza adagiarsi in essa troppo fiduciosamente. Gran parte dei nostri prigionieri fu restituita e si spera che anche gli altri saranno prossimamente liberati. La Convenzione italo-inglese significa la cooperazione delle due Nazioni del nord dell'Africa, ed il concorde proposito di tendere ad un fine comune. Nella Libia il Governo italiano, mantenendo fede ad un impegno solenne, farà partecipare con opportuni provvedimenti i notabili indigeni all'ulteriore studio degli ordinamenti civili e amministrativi, informati a criteri più liberali e al rispetto degli usi e dei costumi di quelle contrade.

Mentre tanto strepito di battaglie risuona e commuove e tanta mole di eventi sconvolge gli Stati ed incombe sui popoli tutti, il Paese nostro dà specchiato esempio di quella nobile, ferma, operosa disciplina, che è la disciplina della vittoria. L'assistenza civile - missione di patriottismo e di sociale fraternità - trova vivi gli spiriti, solleva i cuori, soccorre dove il bisogno e la sventura la chiami; e ormai la rinfranca, se così vogliono i comuni, il concorso di un moderato tributo. Per verità, come soldati e marinai d'ogni parte d'Italia e d'ogni ceto -qualunque sia la loro fede, la loro idealità politica formano un'anima sola per l'Italia e per la vittoria e danno con pari eroismo se stessi alle magnanime gesta, e i credenti in Dio, e i ministri del Signore e gli uomini votati solamente al dovere e alla religione verso la Patria, così nell'apostolato dell'assistenza civile gareggiano e beneficano le diverse classi sociali e i cittadini maggiori a fianco dei giovani ardenti e le donne elette e pie a fianco dei più impazienti novatori. La parola ispiratrice ed incitatrice, muove da oratori e da sodalizi in molte altre cose discordi; muove dalle cattedre della fede e dalle cattedre della scienza e di tal maniera si accende e si propaga quella, che io direi l'odierna spiritualità patriottica dell'Italia risorta.

La pubblica finanza, nonostante le ingentissime spese, sta salda e sicura; alto è il credito dello Stato e la fiducia del Paese continuamente lo rafforza. I buoni del tesoro - fonte quotidiana e continua, onde il risparmio ristora le necessità della Patria- oltrepassavano al 30 novembre la somma di lire 4.290.000.000. I capitali che affluiscono alle banche, alla Cassa di Risparmio e l'esodo dei pegni di Monte di Pietà sono in generale buon indice delle nostre condizioni economiche. Perseverando nella via di quella finanza austera, ma salutare, che pone a riscontro dei nuovi debiti i mezzi sufficienti per soddisfare gli interessi, fu dovere chiedere al popolo italiano nuovi sacrifici, che esso sopporta con la mirabile perfezione del suo patriottismo; poiché l'Italia sa che solamente con la costanza dei sacrifici si manterrà il credito pubblico fino alla compiuta vittoria. Verrà dopo la guerra, dinanzi al Parlamento quella riforma, argomento oggi di ponderati studi, che riponga la Finanza sopra una base bene accettata e bene ripartita contribuzione dei redditi effettivi.

Nei provvedimenti da noi deliberati si mirò a contemperare le esigenze dell'erario con i principi supremi della giustizia sociale. Non si aggravarono i consumi necessari; non si turbò lo svolgimento della vita economica interna; si elevarono i minimi delle esigenze; si offrì qualche beneficio alle finanze comunali e si scansò di creare nuovi uffici e nuovi impiegati in servizio della cresciuta azione tributaria. Reputammo giusto l'elevare la ragione del tributo, istituito nel nostro come negli altri Stati che sono in guerra, sopra quei profitti repentini ed eccezionali che la guerra suscita nelle varie produzioni e nei traffici. Intanto la pubblica Finanza fu tratta a nuove, inevitabili, ingenti spese.
Ci affrettammo a restaurare adeguatamente i danni che i terremoti sparsero nelle province di Forlì e di Pesaro; convenienti ed opportuni aiuti sostennero i desolati agricoltori delle Puglie; agevolazioni amministrative furono consentite per i territori direttamente e indirettamente danneggiati dalla guerra e, in particolare, per Venezia. Né verranno meno le sollecitazioni verso quelle popolazioni, incomparabilmente patriottiche, sulle quali il turbine della guerra più si addensa e freme; sempre e con esse il cuore di tutta la nazione, commossa e riconoscente.

Si assegnò, per la durata della guerra, un'indennità agli impiegati di ruolo dello Stato il cui stipendio è più scarso e a coloro che sono meno retribuiti nel personale delle Ferrovie dello Stato, le quali, in così smisurato incalzare di movimento e di opere, danno singolare prova di ordine, di zelo, di energia. Si provvide a coloro che, con minime retribuzioni, appartengono ai servizi della Polizia, del Telegrafo e dei Telefoni dello Stato; e questi avranno fra breve assetto definitivo accanto all'industria privata. Simili servizi si svolgono pronti e agevoli nella zona di guerra e palesano un impulso progressivo con genialità di studi, con nuova efficacia tecnica, con nuovi provvedimenti di previdenza sociale e (segnatamente a favore dei nostri emigranti d'oltremare) con il proposito d'innalzare nel nostro paese le sorti della radiotelegrafia, che è meraviglia dell'ingegno italiano.

Le profonde ed ampie riforme giuridiche, amministrative, economiche e scolastiche oltrepassano i poteri che ci avete delegati. Noi prepariamo gli elementi per le proposte che si presenteranno in seguito alle Camere legislative. Il Governo italiano partecipò alla Conferenza economica di Parigi e ne adottò le risoluzioni per quella che io direi la politica economica nei tempi di guerra, onde si vietò il commercio con i sudditi dei Paesi nemici ovunque residenti; e furono sottoposti a sindacato od a sequestro le aziende commerciali in cui fosse prevalente l'interesse di sudditi dei Paesi nemici. A questa politica economica di guerra appartiene la materia degli approvvigionamenti di generi alimentari e di merce di comune e largo consumo, onde si è provveduto a costituire uno speciale organo di Stato, al quale furono date ampie e complesse facoltà così per provvedere alle merci di cui siamo difettosi, come per regolare la distribuzione nel Paese. E vi appartiene altresì la materia delle esportazioni nei paesi neutrali ed anche alleati, materia ardua e complessa quant'altra mai, dominata com'essa è fatalmente dai criteri divergenti e anzi contrastanti della politica generale e dell'economia, della produzione e dei consumi. Appartengono ad essa pure le eccezionali disposizioni intese a limitare i dividendi delle società commerciali, rispetto alle quali ci studiammo di rimuovere dubbi e di favorire i nuovi impianti che ricordassero inutilità generale, salvo, sempre, in ragionevole proporzione, l'obbligo delle riserve destinate ad affrontare l'avvenire. Ma fedeli alle assicurazioni già date e che ora riconfermiamo al Parlamento, ci asteniamo dal vincolarci ad alcune delle risoluzioni toccanti la politica commerciale del dopo-guerra, rispetto alle quali pertanto il Parlamento non troverà pregiudicate le sue future deliberazioni, anzi provvederemo affinché abbiano termine col 1917 tutte le convenzioni commerciali dell'Italia con gli altri Stati.
Si preparano intanto, col Consiglio delle Camere di commercio, delle associazioni che promuovono l'industria e il commercio, e di uomini competenti anche al di fuori dell'amministrazione dello Stato, gli studi opportuni per suscitare fin d'ora nuova attività nei nostri traffici. S'inviò in Russia una missione commerciale e delegazioni commerciali andarono in Spagna e a Salonicco.

Dal Parlamento emaneranno le essenziali riforme sociali. Frattanto risolveremo che il contributo alla Cassa Nazionale di previdenza degli operai chiamati alle armi sia a carico dello Stato e che abbiano soccorso gli operai nostri ai quali i nemici sospesero i pagamenti delle rendite loro assicurate per infortunio. Ci parve equo intervenire a mitigare l'esercizio dei contratti agrari di lavoro, turbato fuori di ogni previsione da così fortunosi eventi, e di regolare, con norme che la faciliteranno, l'affrancazione consensuale degli usi civici; di propagare nella provincia di Roma le condizioni di fatto che concernono buon numero di contadini, e pensiamo che senza altro ritardo debba essere ordinata l'assicurazione obbligatoria per gl'infortuni sul lavoro dei contadini.

Vi sono argomenti che, per una parte, si estendono a ciò che avverrà dopo la guerra e che, per l'altra parte, richiedono immediatamente vi si provveda subito. Noi confidiamo che le due Camere vorranno senza indugio deliberare intorno alle derivazioni delle acque pubbliche, né occorre rammentare la lunga preparazione che ebbe già questa riforma e come essa recherà nuove fortune all'economia nazionale. Sono in corso le proposte intese a dare maggiore vigore e più pratici atteggiamenti alla scuola popolare e quelle altre importantissime, urgenti, onde deve originarsi la vera, effettiva, tanto invocata istruzione professionale di ogni grado, che è palesemente necessaria per l'avvenire e per l'indipendenza economica del nostro Paese.

Urge provvedere al presente, urge provvedere al futuro rispetto alla costituzione del naviglio mercantile che ogni giorno la feroce insidia nemica assottiglia e disperde. S'intende, perciò, a ridestare ed a rinfrancare l'industria delle costruzioni e dell'armamento navale con esenzione da imposte, compensi e opportune agevolazioni e, sopra valido fondamento, si aprì l'adito a convenienti operazioni di credito navale, auspicando così alla creazione di un forte istituto che venga ad accelerare il grande risorgimento marittimo dell'Italia nostra, per gli ardimenti del suo genio di navigatrice gloriosa. Oggidì il trasporto di ogni tonnellata costa almeno cinque volte più che nei tempi normali.

Accordi con il Governo dell'amica Inghilterra abbiamo potuto stabilire per il trasporto dei grani, del carbone, dello zucchero, dei materiali di ferro; ma non dobbiamo dissimularci, malgrado ciò, le difficoltà che nascono dalla deficienza mondiale delle navi. Di qui la necessità di regolare e restringere i consumi, in specie i più consueti ed estesi. Il grano non ci deve mancare e non mancherà se tutti si conformeranno effettivamente alle norme fissate per i cereali, le farine, la composizione del pane. Il Governo avvisò frattanto, con premi e con altri impulsi, ad accrescere la produzione granaria del nostro paese; e molto si è procurato di facilitare quando fu possibile le licenze ai militari agricoltori. È necessario bandire la superfluità nel consumo dello zucchero. Con il ridurre il riscaldamento e la luce e con ogni altro ragionevole freno occorre si ripari alla disastrosa deficienza del carbone. Altri consumi è d'uopo disciplinare e ridurre.

Ma non bastano gli ordinamenti particolari; tutto il tenore della vita quotidiana deve conferire a renderli compiuti ed efficaci, e poco approdano le leggi contro il lusso, ma vale invece la spontanea austerità del pubblico costume. Scompaia del tutto ciò che è delizia e prodigalità dalle abitudini di ogni ceto sociale; scompaia tutto ciò che contrasta con la presente, eroica vocazione del popolo italiano, con l'esempio di coloro che combattono fra le asperità delle trincee e le perfidie del nemico; scompaia tutto ciò che contrasta con i sacrifici onde le famiglie dei combattenti santificano l'epopea della Patria.
La via dei sacrifici perseveranti e volenterosi, idealizzati dal genio della Patria, educati dalla scuola immortale dei nostri martiri ci condurrà alla bene auspicata vittoria. Ci ispiri e ci fortifichi sempre la visione dell'Italia vendicatrice delle sue genti, delle sue terre, del suo mare. Sventolarono le insegne di San Marco dove daremo ai venti il tricolore italiano, nel nome dell'Italia, nel nome di Venezia, che le presenti sventure rendono ogni giorno più santamente gloriosa. Saluteremo, insieme con gli Alleati, ai quali la più intima unione ci stringe, la restaurazione della libertà nel mondo delle Nazioni. Allora rifulgerà la pace della vittoria e della giustizia, la sola pace che si possa in questa Roma invocare. Allora sarà compiuta l'impresa nazionale, cominciata dai padri nostri. Allora si apriranno per i nostri figli i secoli nuovi che saranno secoli di luce intellettuale, di prosperità, di alta dignità civile per l'Italia, alla quale si rivelano oggi i nuovi destini grazie il valore delle armi, la sapienza del Parlamento e il volere di tutta la Nazione".

Apertasi la discussione sul discorso del presidente del Consiglio, prese la parola l'on. ENRICO FERRI, il quale, fra l'altro, affermò "...essere, fra le alterne vicende di due anni di guerra, tramontata l'egemonia militare della Germania con la diminuzione della civiltà latina e della libertà d'Europa, ed annunciò una grande verità, che cioè era assurdo pretendere di annientare una nazione come la Germania:
"Parlare di annientamento tedesco come mèta ultima del conflitto europeo è evidentemente lasciare alla fantasia dominio assoluto di fronte alla realtà positiva delle cose. Un popolo di 70 milioni di abitanti non si può annientare; e se l'Europa civile dovesse mettere come programma del proprio conflitto sanguinoso uno scopo di questo genere, essa annebbierebbe i titoli di gloria civile, che i secoli le ha dato diritto di affermare nel mondo".
Pur affermando l'impossibilità per l'Italia di una pace separata, l'on. Ferri disse esser generale il desiderio che quella immane strage finisse, ma perché finisse "è necessario che si abbandoni l'idea, solamente proclamata dai Capi di Governo, di volere schiacciare la nazione tedesca".
"Noi crediamo che non solo dal punto di vista italiano ...., ma dal punto di vista europeo ed umano bisogna impedire che una guerra, la quale si iniziò come difesa di libertà e di indipendenza ed è poi divenuta un gigantesco duello imperialistico fra Inghilterra e Germania, si trasformi, in una guerra di sterminio, a beneficio del Nord-America e del Giappone. L'Europa si dissanguerà e finirà per suicidarsi se non interviene la luce di un proposito più umano e più riflessivo".

A Ferri tenne dietro MODIGLIANI, socialista ufficiale, che chiese che:
"qualcuno di nostra gente si levasse, per la salvezza della stirpe e dell'umanità, a chiedere quelle trattative di pace, la sola soluzione logica ormai della guerra�"; ma non era di questo avviso BOSELLI, che, dopo aver letto la mozione socialista, sopra riferita, pregò i proponenti affinché acconsentissero che la mozione fosse rinviata a sei mesi.
"La mozione - egli disse - implica uno speciale voto intorno all'iniziativa che il Governo italiano dovrebbe prendere a tale proposito .... In questo momento un voto, come ci è domandato, la Camera non può esprimerlo. La Camera non può votare per una pace incerta, infida, prematura; la Camera non può neppure votare genericamente e vagamente contro la pace .... Può volere la Camera che in questo argomento della pace l'Italia prenda delle iniziative che non siano ispirate, ponderate, trattate in ogni loro parte di pieno accordo con i nostri alleati? In sostanza, da questa Camera non deve uscire voto alcuno il quale possa far credere che noi non siamo in piena concordia con i nostri Alleati .... Volete nel vostro patriottismo un voto qualsiasi che non corrisponda al favore con il quale si combatte nelle trincee e sui mari? Volete che esca da questa Camera un voto il quale rinvigorisca le energie dell'esercito e del Paese in questo momento supremo?...

Non deve dunque uscire da questa Camera voto alcuno che possa svigorire in qualsiasi modo l'energia del Paese, e pensiamo che il mantenere ardente, più che mai, ed efficace questa energia significa affrettare la vittoria il che vale quanto dire affrettare la pace. Perché la pace non può consistere in un voto che sgorghi dalle anime nostre e corrisponda ai migliori nostri ideali, ma deve essere un fatto che tragga origine dalla vittoria delle armi, da quella vittoria che conduca non ad una pace passeggera, ma ad una pace duratura, a quella pace, che assicuri all'Italia la rivendicazione di tutte le sue terre e del suo mare, e che non è un sogno, non è poesia, ma una realtà necessaria della nostra storia e della nostra esistenza politica. La quale pace per essere duratura, dovrà sostituire all'antico equilibrio dei trattati, instabili per quanto famosi, l'equilibrio che unico può dare al mondo la stabilità della giustizia e della civiltà, sul diritto delle nazionalità. E questa pace se, com'è a sperare, la storia umana non abbia sempre a continuare con le stesse tristezze e con le stesse violenze, non deve essere la pace di un giorno, ma quella dei secoli nuovi.

Non possiamo perciò votare oggi per la pace, ma neppure contro la pace. Il voto che emergerà da questa Camera dovrà significare il sospiro di tutti perché con la vittoria, ma solo con e dopo la vittoria, si giunga a quella pace che è il più grande beneficio dell'umana civiltà".

Presa la parola l'on. TURATI, disse che la mozione non domandava "un voto per la pace o contro la pace, per la pace immediata o per una pace separata; ma soltanto, costatando la sempre crescente gravità delle conseguenze della guerra e l'accordo che, per effetto di questa crescente gravità, si "veniva" fatalmente da varie vie sempre più determinando nelle espressioni dei più autorevoli leaders dei maggiori Stati belligeranti, e domandava semplicemente che il Governo italiano si facesse interprete del desiderio di pace che era a tutti comune, per spingere i Governi alleati a precisare nettamente le loro rivendicazioni, di modo che, anche per mezzo dei buoni uffici delle Potenze neutrali, si potesse, senza nulla compromettere, iniziare una discussione che, ispirata a criteri di ragione e di umanità, ci avvicinasse in qualche modo alla cessazione del disastro della guerra".
Disse inoltre che "...nulla, eleverebbe e rafforzerebbe tanto il Parlamento, il Governo e l'Italia quanto il coraggio di affrontare apertamente .... i problemi concreti della guerra con intendimenti di umanità, con criteri di ragione, con un alto sentimento del diritto. Nulla ci avvalorerebbe tanto, come Nazione e come Stato, anche per l'influenza, che dovremo spiegare più tardi nell'assestamento della nuova Europa". Fatto sapere quindi che in un'infinità di gente, in un'infinità di anime si era destata, alla presentazione della mozione dei socialisti, "...come una nuova luce, dopo un incubo lungo, la speranza di un principio, di un avviamento alla ragione, di un ritorno possibile alla ragione della vita civile", e prospettata l'enorme impressione che il diniego del Governo di discutere la mozione avrebbe prodotta su tutte queste anime in attesa, affermò che persistendo nel proposito di seppellire la mozione, il Governo avrebbe impedito "in tutta quanta l'Europa, e chissà per quanto tempo ancora, l'auspicato risveglio della ragione e della civiltà".

Concluse, rispondendo così all'asserzione dell'on. Boselli che un voto tendente ad ovviare trattative di pace, avrebbe svigorito il valore dei nostri combattenti: "Se dopo così lungo periodo di guerra, un senso di stanchezza e di disperazione potesse mai invadere i combattenti della nostra come di qualunque altra nazione, sotto qualunque bandiera, non vi potrebbe essere altro e migliore cordiale, altro e migliore restauratore delle forze, della speranza, della fede che li sorregge, quanto il pensiero e la certezza che il Governo e il Parlamento del loro Paese non si lasciano andare alla deriva, non attendono passivi la fine della guerra dall'esaurimento e dal logoramento estremo, vigilano, meditano e provvedono alla ricerca incessante delle condizioni di una pace dignitosa e generale, che alla furia devastatrice della guerra imponga, tosto che sia possibile, il "basta!" della ragione. Io sento che nessuna maggiore buona novella potreste portare nelle trincee, se mai un senso di sconforto potesse là arrivare".

Dopo il Turati parlò l'on. MARCHESANO; quindi l'on. TREVES, fra l'altro, dichiarò: "La nazione tende a porre di fronte all'Europa i Governi, a cimentare alla realtà dei fatti le loro parole. E se si dimenticasse quello che voi tutti, onorevoli colleghi, intuite, una diversità fra gli atti e le parole, fra le promesse e gli incitamenti che si fanno ai popoli e i segreti intendimenti dei Governi, ah, voi ben comprendereste che allora la sollevazione dei popoli sarebbe sacrosanta! E si se potessero colpire tutti i Governi di tradire la verità dietro il manto dei supremi principi voi comprendereste che nessuna ribellione sarebbe più santa! Orbene, il partito socialista, al di là dei due imperialismi che si combattono, tende a mettere i due imperialismi a cimento con le parole e i loro atti, per stabilire che cosa è, che divide da una parte tutti i Governi e unisce dall'altra tutti i popoli".

Messa ai voti, la proposta del Governo di rinviare a sei mesi la mozione fu approvata con 294 voti contro 47. Nei giorni successivi la Camera discusse sulla politica estera ed interna e su tutti i problemi connessi alla guerra, e, dopo un invito di Boselli alla concordia, il 9 dicembre accordò la fiducia al Ministero.
Tre giorni dopo, il cancelliere BETHMANN, a nome della Germania e delle alleate Austria-Ungheria, Turchia e Bulgaria, consegnava agli ambasciatori della Spagna, degli Stati Uniti, dell'Olanda e della Svizzera una nota con preghiera che la trasmettessero allo Stato belligerante presso cui ciascuno dei suddetti Stati tutelava gl'interessi tedeschi. La nota, con la quale si proponeva d'entrare subito in negoziati di pace, fu comunicata agli altri neutri. Nota eguale consegnarono ai rappresentanti delle quattro potenze suddette i ministri degli Esteri dell'Austria, dell'impero ottomano e della Bulgaria.

Il 13 dicembre, ad un'interrogazione sulla nota rivolta al Governo da un deputato ministeriale, il ministro SONNINO rispondeva così: "Sta di fatto che non è stato presentato dal ministro svizzero una nota del Governo germanico per proporre in nome proprio e delle tre Potenze sue alleate trattative e veri negoziati di pace. Il ministro svizzero ha soggiunto che faceva questa comunicazione nella sua qualità di rappresentante degli interessi germanici in Italia ed italiani in Germania durante la guerra, e che non intendeva fare alcuna funzione di mediazione, ma semplicemente di trasmissione. Ho risposto prendendo atto e ringraziandolo. Per rispondere al quesito dell'onorevole interrogante posso subito dichiarare che nella nota, non vi è nessuna indicazione precisa delle condizioni su cui si proporrebbe di intavolare negoziati di pace .... Nel testo originale della nota le parole, che accennano alle condizioni di pace, sono le seguenti: "Los quatre Puissances alliées proposent d'entrer dès à présent en négociations de paix. Elles sont persuadées que les propositions qu'elles y apporterient, et qui viseraient à assurer l'existence, l'honneur et le libre dévoloppement de leurs peuples, seraient propres à servir de base au rétablissement d'une paix durable".
Ecco tutto. Il resto sono ragionamenti sulla guerra. Ho risposto al ministro svizzero che mi sarei concertato, dopo aver sentito i miei colleghi, con gli altri Governi alleati riguardo alla proposta a tale nota, che era stata essa pure concertata tra le quattro potenze nemiche. Pregherei l'onorevole interrogante ed altri colleghi, se ne avessero l'intenzione, di non prolungare questa discussione. In una materia così delicata importa moltissimo che gli Alleati procedano pienamente all'unisono non solo nella sostanza, direi, e nel merito (che questo va da sé), ma persino nelle sfumature di forma. E questo sarebbe impossibile se ognuno volesse subito e a priori manifestare le proprie particolari impressioni".

Il 14 dicembre, alle interrogazioni sulla proposta degli imperi centrali fatta nei parlamenti inglese e francese, risposero il BONAR LAW e il BRIAND. Il primo dichiarò che gli Alleati, i quali non si erano ancora accordati per una comune risposta, reclamavano riparazioni per il passato e garanzie per l'avvenire; il secondo chiamò il passo tedesco "una manovra, un tranello grossolano, un astuto tentativo di dividere gli alleati", e fu assecondato da una vasta campagna giornalistica, la quale sostenne essere "...la mossa nemica un trucco, con il quale la Germania voleva mascherare le sue vere intenzioni, traviare l'opinione pubblica, rallentare negli alleati il desiderio e il proposito di resistere e di vincere, guadagnar tempo e poi riprendere la lotta con maggiore accanimento".

Il 14 dicembre, intanto, alla Camera italiana il ministro del Tesoro on. CARCANO faceva un'ampia relazione sulla situazione finanziaria, considerando le vicende dell'anno che moriva, la situazione attuale e le pressioni del prossimo avvenire e mettendo in chiara luce le condizioni della finanza dello Stato e quelle dell'economia del Paese. Il Carcano concludeva la sua relazione così:

"Onorevoli colleghi, ora è tempo di chiudere. Voi già conoscete quanto e quali vicende abbiano reso aspro per tutti, il cammino, in questo anno di guerra feroce; e vorrete fare equo apprezzamento delle sorte difficoltà gravi e frequenti e dell'opera data, più che dal Governo dal Paese, per superarle. Mi sia lecito aggiungere soltanto che anche dalle cifre e dalle cose oggi esposte, con intera schiettezza, riesce confermata con ripetuta prova una lieta ed alta verità, che si può fare sicuro assegnamento su le virtù generose della massa dei contribuenti e di tutte le genti italiane, virtù che non sono immeritevoli di essere confrontate con quelle, più sublimi, delle falangi combattenti per la salute e la grandezza della Patria. Dalle trincee insanguinate, dai campi di battaglia parla vigile ed eloquente un altissimo esempio e tutta la Nazione, concorde e tenace, comprende i suoi doveri della cooperazione militare e civile, mentre riconosce la necessità presente che tutti lavorino - uomini e donne, poveri e ricchi - per mandare al fronte incessantemente armi e munizioni, viveri e denari, al supremo intento di finire più presto la guerra con la vittoria!".

Il 18 dicembre si tornò a discutere della pace e della proposta tedesca. L'on TURATI disse che la nazione socialista aveva prevenuto la proposta germanica; e sostenne che "�lasciando alla sola Germania l'iniziativa, sia pure intenzionale e furbesca, di propositi di remissività e di ragionevolezza, si sarebbe fatto mirabilmente ed esclusivamente il giuoco della Germania", la quale, nel suo passo, mirava a rianimare le energie del suo popolo e a porre "il Governo imperiale, agli occhi della sua gente, nella luce moralmente più simpatica, proiettando per converso, sugli Stati nemici, l'ombra sinistra di un'eventuale ripulsa"; espresse il parere che gli alleati dovessero discutere la richiesta del Governo tedesco, ch'egli credeva sincera date le gravissime difficoltà in cui si trovava la Germania, difficoltà politiche ed economiche interne, di ordine internazionale e di ordine militare"; asserì che la conciliazione era in cammino, perché il mondo era stanco di orrore; ritenne necessario che il Parlamento sedesse in permanenza e, infine, propose che l'esercizio provvisorio si concedesse per un tempo brevissimo, non oltre il bimestre.

Dopo il discorso dell'on. Turati, la Camera ascoltò le dichiarazioni dell'on. DE NAVA, ministro dell'Industria, del Commercio e del Lavoro, sul convegno di Pallanza, sull'accordo italo-inglese per il rifornimento di carbone, sulla questione dei noli e dei trasporti, sulla disciplina del consumo, sull'impiego e sull'intensificazione della produzione delle ligniti. Dopo avere risposto ad alcuni oratori che avevano fatto dei rilievi, di natura economica De Nava concluse: "Io presenterò oggi stesso alla Camera un disegno di legge di provvedimenti per l'incremento dell'istruzione industriale e professionale .... Dalle nuove scuole, dagli opifici, dalle nuove stazioni sperimentali, dai laboratori, dai politecnici con corsi specializzati per le industrie, sorgeranno, noi ne abbiamo piena fede, i capitani e i soldati del nuovo esercito di industriali, di commercianti e di lavoratori, il quale, dopo la pace sarà destinato ad affermare le fattive e vitali energie del rinnovato popolo italiano".

Parlarono quindi su questioni finanziarie, economiche e tecnico-militari gli onorevoli BERNARDI, SIGHIERI, LO RUSSO, RAGGIO e CHIESA e si tornò sulla questione della pace con un discorso di FRANCESCO CAPPA, il quale, fra l'altro, disse: "Io credo che il Paese pensi che, se sia possibile ancora, con la dignità, con l'onore, con la provata lealtà verso i nostri Alleati che l'on. Sonnino dimostrò nella prudenza delle sue dichiarazioni più che forse non sia stato dimostrato da altri, che se, con la prudenza e con la dignità e con l'onore e con la lealtà, sia possibile mostrare, non ai gaudenti o ai rumorosi esteti della guerra che vivono nelle città, ma ai combattenti che stanno alla frontiera, e ai dolenti che seguono con ansia, sia pure orgogliosa, le vicende della guerra, se sia possibile ad essi dimostrare e al mondo e alla storia che offerte di pace non furono che un'insidia, che nessuno spirito di giustizia le assisteva, che nessun, non dico pentimento ché non si può chieder tra il fragore delle armi il pentimento ai combattenti, ma nessun dubbio di avere errato le nobilitava, ciò si può, si deve fare. Noi non fummo i carnefici che vollero continuata la strage, ma i nemici furono, quelli i quali la strage imponevano, e intanto tentavano di respingere le necessità della nostra resistenza".
E, concludendo, disse: "Se la pace deve essere un componimento come negli scioperi ricordatelo, o infaticabili organizzatori del popolo lavoratore, o credenti nello sciopero di ieri ne udiste la condanna senza protesta, la condanna ideale, ricordatelo che anche quando le vostre masse sono in sciopero, se pure sia possibile tentare di comporre il dissidio, voi non solete recarvi dal nemico dicendo: Gli operai sono tutti stanchi, non vogliono più resistere, non hanno più pane, non hanno più carbone, non capi, non fede! Dovete ammettere che non direste mai questo né ai capitalisti nemici, né ai vostri operai scioperanti! Ebbene, questo non si può dire ai vostri soldati che non fanno lo sciopero del lavoro, ma fanno lotta di morte per la difesa nazionale. Noi sappiamo che il Governo nostro non è costituito di imprudenti, di sognatori romantici, pensiamo che ancora per questa volta il silenzio dell'on. Sonnino voglia dire - Attendete, prudenti ! - Intanto con fierezza serena ciò che è possibile di fare, secondo i dettami dell'onore, sarà fatto. A noi, che viviamo tra il popolo, tocca un altro compito. Dobbiamo rincuorare il Paese e dirgli: - Raccogli le tue energie, stringiti in tutti i manipoli, credi in te stesso, nella tua causa! Non siamo noi i violenti, non aggrediamo noi l'Europa, non cerchiamo l'altrui suolo. Andiamo verso i nostri confini la cui rettificazione è riconosciuta giusta da tutti. E la nostra guerra non ha giovato soltanto a noi se, prima con neutralità, abbiamo consentito che la battaglia della Marna salvasse la Francia, e se ora, resistendo in armi ove sia necessario, impediremo che la Germania raccolga il frutto del suo delitto imperiale. Amare per credere, credere per resistere bisogna; non come voluttuosi della strage e della morte, ma come italiani che sentono il dovere in quest'ora nazionale".

Presa la parola il ministro SONNINO, e spesso interrotto da prolungati applausi fece le seguenti dichiarazioni:

"La maggior parte delle mozioni, che toccano della pace e del passo fatto dalle potenze nemiche per apertura di negoziati, sembra partire dal presupposto che il Governo abbia o stia per avere dinnanzi a sé proposte concrete e più o meno precise intorno alle basi su cui dovrebbero rivestire i negoziati stessi. Così la mozione presentata e svolta con tanta eloquenza dall'on. Cappa, così quella dell'on. Berenini, così quella dell'on. Paolo Bonomi, degli onorevoli Raimondo, Rubini, Dello Sbarba ecc. Ora, come già dissi l'altro giorno alla Camera, questo supposto non ha rispondenza nei fatti; e nella nota delle quattro Potenze nemiche manca qualsiasi indicazione di condizioni o basi di trattative. Da più parti si sentì, invero, con fare misterioso ripetere che taluno che ha relazioni con i circoli diplomatici, o tal altro che conosce il cugino di una persona che bazzica nel Vaticano, oppure un uomo politico bene informato ma che cela le fonti da cui deriva le sue notizie, affermano che le condizioni che debbono formare la base degli accordi sono già note e consegnate; e l'uno vi accenna sottovoce al Trentino, l'altro al Belgio indipendente ed integro, il terzo all'Alsazia-Lorena, il quarto a Trieste o alla Polonia o alla Lituania, o ad una confederazione balcanica, e così di seguito.

Torno ad affermare che al Regio Governo nulla, assolutamente nulla, risulta di tutto questo, né di nessun'altra condizione specifica .... Proposte non vi sono, all'infuori di quella generica di aprire negoziati .... Se venissero avviseremo e insieme vedremo cosa fare; non sarebbe pratico né serio discutere oggi. Del resto occorre pure imprimersi bene in mente, e giova proclamarlo alto, che nessuno degli Alleati potrebbe pretendere in qualsivoglia considerazione qualsiasi condizione, che per ipotesi, venisse loro eventualmente offerta in forma separata. Non posso, nell'interesse della cosa pubblica e nei riguardi dovuti ai Governi alleati, comunicarvi nulla intorno al tenore della risposta che daremo al passo delle quattro potenze nemiche; risposta che sarà resa di pubblica ragione appena sarà stata concertata. Tutti siamo desiderosi di pace e di pace durevole; ma intendiamo per la pace durevole un assetto ordinato la cui durata non dipenda dalla saldezza con cui siano state ribadite le catene che sottomettano un popolo all'altro; bensì da un giusto equilibrio tra gli Stati, dal rispetto del principio di nazionalità, delle norme del diritto delle genti, e delle ragioni dell'umanità e della civiltà.

Pur proponendoci di intensificare, come di dovere, allo scopo di debellare il nemico, ogni nostro maggiore sforzo, ma con la più scrupolosa osservanza delle buone regole di guerra, non aspiriamo affatto a conseguire alcun assetto internazionale di servitù o di prepotenza, o che implichi annientamento di popoli e di Nazioni. Di fronte ad una seria proposta di basi concrete di negoziati, di basi tali da poter soddisfare ai postulati generali di giustizia e di civiltà che ho accennato, nessuno opporrebbe un aprioristico rifiuto di trattare. Ma nulla finora accenna lontanamente a che si verificano nel caso attuale le condizioni suddette; anzi molte cose stanno a indicare il contrario.
A me ripugna adoperare parole grosse; ma il tono di vanteria e d'insincerità che caratterizza il proemio delle note nemiche non ispira certo alcuna fiducia che quelle tali misteriose condizioni di pace, che gl'Imperi centrali dicono di avere in animo di esporre più tardi, nell'intento di garantire - sono parole loro - l'esistenza, l'onore e il libero sviluppo dei loro popoli, rispondono ai postulati richiesti. Si afferma nel proemio che le quattro Potenze nemiche furono costrette a prendere le armi per la difesa della propria esistenza e della libertà del loro sviluppo nazionale; il che è contrario a verità per tutte quattro le Potenze in questione, Germania, Austria-Ungheria, Turchia e Bulgaria, collettivamente o singolarmente considerate, così per quanto riguardi l'esistenza, come per la libertà di sviluppo pacifico; a meno ché per la libertà di sviluppo nazionale non si debba intendere il puro desiderio di prepotere sugli altri.

Ho detto tutto quello che oggi posso dirvi sull'argomento. Ed ora permettete, onorevoli colleghi, che io rivolga a voi tutti, senza eccezione, amici ed avversari, una raccomandazione o preghiera .... Abbiamo tutti il diritto e il dovere - diceva l'altro giorno, in occasione di un dibattito analogo all'attuale, l'illustre Presidente del Consiglio Francese - di vigilare a che la malizia nemica non avveleni il Paese. Ma badiamo perciò tanto più di non contribuire inconsciamente noi stessi a fare il gioco del nemico con non abbastanza ponderate e intempestive manifestazioni, inquinando sbadatamente l'animo della Nazione con i germi pestiferi della divisione e dello scoramento, o rendendo più difficile il conseguimento di un perfetto accordo di pensiero e di azioni tra gli Alleati, in questa come in altra materia che tocchi la guerra.
Nel supremo interesse della cosa pubblica invoco da voi di non voler porre termine alla presente discussione con la votazione di alcun ordine del giorno che adombri la velleità o implichi o lasci supporre la possibilità di un qualsiasi contegno dell'Italia diverso da quello degli Alleati nell'accoglienza che essa faccia all'insidiosa mossa germanica; non dico con l'approvazione, ma nemmeno con la votazione di alcun ordine del giorno che non si restringa alla semplice espressione di pura fiducia nel Governo; dando così al Governo stesso, e soltanto così, la forza ed autorità occorrente per adoperarsi con massima efficacia per il trionfo della santa causa comune.

Nessun uomo politico è necessario, nel senso che non sia sostituibile; non noi, né tanto meno io, né altri. Ma quel che oggi è sovranamente necessario è che colui o coloro, a cui in questo grave e difficile momento storico il Paese affidò la condotta della politica generale, possano esplicare un'azione libera e forte, all'estero non meno, anzi più ancora che all'interno; senza di che non possono assolutamente far bene; e libera azione e forte non può avere oggi chiunque non goda, non solo di fatto, ma anche in apparenza, e qui e fuori la piena e manifesta fiducia del Parlamento".

IL VOTO DI FIDUCIA - LA DISCUSSIONE IN SENATO: DISCORSI DEI MINISTRI MORRONE, MEDA, RAINERI, ORLANDO, E BOSELLI

La seduta fu sospesa per alcuni minuti, quindi fu approvata all'unanimità la proposta di alcuni deputati di affissioni del discorso del ministro Sonnino in tutti i Comuni del Regno. Il Presidente del Consiglio pregò i proponenti degli ordini del giorno di rinunziare a svolgerli, poi, terminate le dichiarazioni di voto di numerosi deputati, la Camera (che a scrutinio segreto aveva approvate con 261 voti contro 23 l'esercizio provvisorio) approvò la fiducia al Governo con 352 voti contro 41 e 3 astenuti, respinse con 276 voti contro 40 e 1 astenuto la proposta dell'on. Turati che il Parlamento sedesse in permanenza e adottò le vacanze fino al 27 febbraio del 1917.

La proposta tedesca di pace sollevò discussioni anche al Senato nelle sedute del 21 e 22 dicembre; parlarono i senatori MAZZIOTTI, MAGGIORINO FERRARIS, MARAGLIANO, VERONESE, BARZELLOTTI e DIENA, cui risposero i vari ministri. Il generale MORRONE, ministro della Guerra, parlò del concorso degli scienziati nell'esame delle invenzioni belliche, dell'ordinamento del servizio sanitario, della concessione delle licenze di convalescenza e dei provvedimenti contro l'infezione tubercolare. L'on. MEDA ministro delle Finanze discorse intorno all'amministrazione finanziaria e rispose alle censure del senatore Maggiorino Ferraris a proposito delle esportazioni di generi alimentari e dei sopraprofitti di guerra. L'on. RAINERI, ministro dell'Agricoltura, espose le idee e i propositi del Governo in materia di approvvigionamento granario. L'on. CARCANO, ministro del Tesoro, diede chiarimenti su alcuni punti della politica del Tesoro, intrattenendosi, fra l'altro, sui debiti causati dalle spese di guerra non coperti dalle entrate effettive del bilancio, sulle borse e sui cambi. L'on. ORLANDO, ministro dell'Interno, rispose al senatore Mazziotti, il quale aveva chiesto chi provvedesse al servizio dei profughi e come si provvedesse e se non fosse utile valersi del loro lavoro.

Infine il Presidente del Consiglio fece alcune dichiarazioni, fra cui importante quella intorno alla Grecia: "La questione - egli disse - è delicata e, mentre durano le trattative intorno a questo argomento, non è possibile dare particolareggiate notizie sul loro andamento; ma si ha ragione di sperare che si possa, con mutui accordi, sistemare la complicata situazione presente con tutte le garanzie volute. Quanto ai nostri obiettivi essi sono semplici e chiari. "Il primo nostro obiettivo è di assicurare con ogni maggior cautela di provvedimenti e di sorveglianza l'incolumità delle truppe alleate che si trovano a Salonicco e in Macedonia; e poi di astenerci da ogni passione sulla Grecia perché esca dalla neutralità; infine di non mescolarci nelle lotte interne dei partiti di quel Paese. E questa politica seguita dal nostro Governo con quella mente e con quella energia che sono proprie del mio collega degli affari esteri, confido abbia ad essere fortunata; certo essa è saggia e conforme alle tradizioni italiane ed ai principi delle sane relazioni internazionali".

Quindi l'on. Boselli espose sinteticamente l'opera svolta dal Ministero Nazionale:

"Questo Ministero Nazionale, ho inteso dire, ha commesso degli errori; ma, poiché nessun errore è stato spiccatamente denunciato, io non sono in grado di difenderlo. Questo Ministero ha avuto delle deficienze, e può essere, se deficienze vi furono, l'esperienza del passato insegnerà a colmarle per l'avvenire, poiché in fatto di deficienze e imperfezioni tutto è relativo. Del resto, il Ministero Nazionale, senza merito suo, ebbe la fortuna di poter accompagnare i nostri soldati nella controffensiva nel Trentino; ebbe la soddisfazione di poterli seguire nell'entrata a Gorizia. Il Ministero Nazionale ha fatto quella politica estera, che già ebbe il plauso della Camera ed alla quale il Senato ha rinnovato. Esso ha dovuto far fronte a grandi difficoltà nelle colonie in seguito ai loro rivolgimenti interni che ci esposero a seri pericoli, ma li seppe superare, e strinse per la Libia nuovi patti importanti con l'Inghilterra. Esso ha promosso l'assistenza civile efficacemente. Come abbia provveduto alle finanze lo avete appreso dall'esposizione finanziaria del mio collega, del quale oggi il Senato riconobbe i meriti verso la finanza italiana. Questo Ministero Nazionale, infine, per gli approvvigionamenti, in mezzo a inaudite difficoltà di ogni maniera, ha la coscienza di aver fatto quanto era umanamente possibile fare. Insomma concedetemi che lo dica, onorevoli Senatori, noi sentiamo che finora, insieme con la vostra, abbiamo avuto la fiducia del Paese.

Ma questo è un momento in cui bisogna avvalorare tutte le energie; e noi procureremo di farlo, dando tutta la nostra mente, tutte le nostre forze, tutto il nostro volere al supremo intento di quest'ora, all'intento della vittoria. Per conseguire questa vittoria e il potere militare e il civile non sono né imprevidenti né impreparati. Le relazioni tra il Comando militare ed il Governo politico sono perfettamente unite, salde; come unito e saldo è il vincolo che stringe insieme tutti i membri del Ministero.
Si provvederà in tutti i modi affinché sempre più cresca di potenza e di alacrità la mobilitazione industriale; e dei suoi effetti ci è garante l'uomo, il generale DALLOLIO, che, con sì mirabile energia, governa e stimola questa parte della nostra preparazione d'importanza assolutamente decisiva per i risultati finali della guerra. Così noi, intensificando tutto ciò che dà vigore all'industria guerresca, siamo risoluti a che la finanza italiana le assicuri tutti i suoi sussidi in quel modo, che oggi l'onorevole ministro delle Finanze ha dichiarato, con i giusti riguardi concernenti lo sviluppo industriale del nostro paese anche per l'avvenire.

Né da parte nostra si è tralasciato di volgere i nostri sguardi ed i nostri pensieri a ciò che avverrà dopo la guerra. Noi pensiamo che la vigoria delle industrie, che oggi hanno assunto un così meraviglioso incremento, sia un buon presagio per quella indipendenza economica dell'Italia, alla quale così bene alludeva il mio onorevole collega ministro del Tesoro. Ma noi e voi e tutti coloro che abbiano modo di guidare l'opinione pubblica, dobbiamo persuadere l'operaio della necessità di risparmiare quanto più è possibile sopra gli alti salari attuali, affinché nel giorno della cessazione della guerra esso non vada a discapito dell'alta posizione economica e morale che ora ha raggiunto.
Il Governo presentò alla Camera dei deputati un progetto di legge sull'istruzione professionale, istruzione necessaria per preparare le future fortune delle nostre industrie. Il Governo presenterà un disegno di legge, infondendo nuova vigoria alla scuola popolare, darà ad essa atteggiamenti più pratici rispetto all'avvenire nazionale.
E poi, come ha osservato l'amico Carcano, il Paese nostro, il quale ha così meravigliosamente dimostrato la sua attitudine a passare dalla pace alla guerra, troverà in sé la forza per conquistare, oltre l'indipendenza politica, l'indipendenza economica. La conquisterà il forte braccio dei nostri operai; l'avvalorerà l'accresciuta energia di tutte le classi dei nostri combattenti tornando dal fronte; e la scienza italiana, usa piuttosto ad aleggiare nei campi della idealità (ed è per questo che noi non abbiamo creato i gas asfissianti) saprà anche dare alle industrie nostre tutto ciò che occorre per metterle al livello delle più prospere e delle più produttive".

L'ottantenne presidente del Consiglio BOSELLI, fra grandi applausi, chiuse poi così il suo discorso:

"Il senatore FERRARIS ha, con molta eloquenza, richiamato il Paese a quella austerità che il Governo pensa essere in questo momento il massimo dei doveri per coloro che combattono. Egli ha accennato sopratutto alle grandi città. A dire il vero, rispetto alle grandi città bisogna distinguere tra gli atteggiamenti del volgo (e sono fra questi tutti coloro che in questo momento non sentono le grandi responsabilità, i grandi doveri, i grandi palpiti della guerra) e lo spirito patriottico, fervido delle grandi città, che tanto conferisce all'elevazione del pensiero e della volontà nazionale. E' per altro vero che, e nelle grandi città e nelle minori e per ogni villaggio, conviene pur sempre che si diffonda la parola incitatrice degli animi e persuaditrice di tutti i necessari sacrifici. Quella parola, meglio di ogni altro, potrete dire voi, illustri membri di questo Consesso; voi che, o prodi guerrieri, o custodi del diritto, o luminari della scienza, o campioni della politica, o eminenti cittadini, avete autorità di dire alle nostre popolazioni non solo quanto alto ha da essere il sentimento cui debbono ispirarsi, ma quanto vitale sia per la Patria nostra una compiuta e gloriosa vittoria.
Al Senato italiano spetta in modo speciale questa opera di propaganda civile, questa opera di innalzamento degli spiriti e dei cuori. Voi avete fatto dipingere nelle vostre aule i fasti del Senato romano: era quello un Senato che insegnava le vie della vittoria. Il Senato italiano insegnerà anch'esso sempre le vie della vittoria alla nuova Italia !"
.

Dopo il Presidente del Consiglio, parlarono brevemente il generale ROBERTO MORRA di Lavriano e il generale ETTORE PEDOTTI, quindi fu approvato, per appello nominale, da tutti i 113 senatori presenti un ordine del giorno Morra-Levi di completa fiducia al Ministero, e, a scrutinio segreto, con 78 voti favorevoli e 5 contrari, l'esercizio provvisorio. Infine, come aveva già fatto la Camera, anche il Senato chiuse i lavori e si prese le vacanze. Lo stesso Re, con le attività di guerra sul fronte ridotte, dal 10 al 25 gennaio si prese una licenza di quindici giorni per recarsi a Roma.

Aprendosi il nuovo anno, com'era costume, Camera e Senato, e questa volta anche l'Esercito combattente, approfittarono per inviare al Re gli auguri e nello stesso tempo per ritornare a parlare dei grossi problemi. E fra questi i vari provvedimenti: il richiamo delle classi (9 gennaio); la severa limitazione dei consumi (16 gennaio); un nuovo prestito nazionale (21 gennaio); ma prima che il Re tornasse al Quartier Generale, negli ultimi giorni dello stesso mese di gennaio, i bollettini di guerra del 23, 24 e 30, segnalavano la ripresa di attività offensive austriache.

�Iniziava il 1917, e per l'Italia anche il terzo anno di guerra > > >

Fonti, citazioni, testi, bibliografia
Prof. PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - (i 5 vol.) Nerbini 1930
TREVES - La guerra d'Italia nel 1915-1918 - Treves. Milano 1932
A. TOSTI - La guerra Italo-Austriaca, sommario storico, Alpes 1925
COMANDINI - L'Italia nei cento anni - Milano
STORIA D'ITALIA Cronologica 1815-1990 -De Agostini

CRONOLOGIA UNIVERSALE - Utet 
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi

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