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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1892-1893

IL PRIMO MINISTERO GIOLITTI - LO SCANDALO "BANCA ROMANA"

DICHIARAZIONI DI G. CRISPI SULLA SITUAZIONE POLITICA - FORMAZIONE DEL MINISTERO GIOLITTI - SUO PROGRAMMA - ACCOGLIENZA OSTILE DEL PARLAMENTO - DIMISSIONI DEL MINISTERO RESPINTE - DOMANDA DI ESERCIZIO PROVVISORIO - SCIOGLIMENTO DELLA CAMERA - QUARTO CENTENARIO DELLA SCOPERTA DELL'AMERICA - LOTTA ELETTORALE - AINAUGURAZIONE DELLA XVIII LEGISLATURA - IL PROGRAMMA FINANZIARIO DEL GOVERNO - ISPEZIONE ALLA BANCA ROMANA - GLI ONOREVOLI COLAJANNI E GAVAZZI DENUNCIANO ALLA CAMERA LE DELITTUOSE IRREGOLARITÀ DELLA BANCA ROMANA - IL GIOLITTI SI OPPONE ALL'INCHIESTA PARLAMENTARE - COMMISSIONE AMMINISTRATIVA DI ISPEZIONE AGLI ISTITUTI DI EMISSIONE - ARRESTI - ASSASSINIO DEL SENATORE NOTARBARTOLO E MORTE DELL'ON. DE ZERBI - II COMITATO DEI SETTE - IL BILANCIO DEL MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA RESPINTO.
RIORDINAMENTO BANCARIO - STRAGE DI OPERAI ITALIANI AD AIGUES-MORTES -, LE DIMOSTRAZIONI DI ROMA E DI NAPOLI - GRAVITÀ DELLA SITUAZIONE POLITICA - IL I° CONGRESSO SOCIALISTA - RIAPERTURA DELLA CAMERA - LETTURA DELLA RELAZIONE DEI COMITATO DEI SETTE - CADUTA DEL MINISTERO GIOLITTI
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DICHIARAZIONI DI FRANCESCO CRISPI SULLA SITUAZIONE POLITICA
FORMAZIONE DEL MINISTERO GIOLITTI, SUO PROGRAMMA

Giovanni Giolitti

Nei primi giorni di marzo il ministro del tesoro LUIGI LUZZATTI (del governo guidato da RUDINÍ) nella discussione alla Camera sul bilancio, dopo aver in precedenza ammesso di poterlo fare, ammette l'impossibilità di risanare il bilancio per il 1892-1893. Molti deputati -tra i quali VITTORIO ELLENA e SIDNEY SONNINO criticano la politica economica del governo.
Il 17 marzo fu chiesta la fiducia alla Camera sulla politica finanziaria del governo.
L'on. GIOLITTI che l'aveva proposta poi prese le distanze. Tuttavia la fiducia fu votata con 261 voti favorevoli e 157 contrari.
Il 13 aprile RUDINÍ si dimette con l'intero ministero in seguito alle forti divergenze sorte alla Camera e all'interno del governo sulle proposte di nuove tasse e di tagli alle spese. Su queste ultime il più forte oppositore è il ministro della guerra generale LUIGI PELLOUX, che si vede ridurre le spese militari.
Il 14 aprile, UMBERTO incarica nuovamente RUDINÍ a formare il nuovo governo. D'accordo con GIOVANNI NICOTERA (deputato della sinistra e ministro degli interni - ventenne aveva partecipato alla rivoluzione del 1848, alla spedizione di Sapri con Pisacane e alla III guerra d'indipendenza), Rudinì offre il dicastero del tesoro a GIOLITTI, che però lo rifiuta dichiarando che è incompatibile la sua presenza con quella di Nicotera.
Quello che spera Giolitti, è d'essere chiamato lui dal re a formare il nuovo governo.

Umberto del nuovo ministero Rudinì accetta solo le dimissioni del ministro delle finanze COLOMBO, e invita il capo del governo a ripresentare la fiducia alla Camera. I maligni affermano che agisce così, perché convinto che ripresentandosi alla Camera, Rudinì definitivamente sarà bocciato.
Infatti, il 5 maggio, la Camera nega la fiducia per la seconda volta a RUDINÍ.

L'8 maggio, UMBERTO I, che per la soluzione della crisi aveva avuto colloqui già con il FARINI (presidente del Senato) che però ha rifiutato e il BIANCHERI (presidente della Camera), volle affidarlo a GIOVANNI GIOLITTI. Lo fa con un regio decreto, seguendo una procedura giudicata dal Farini ai limiti della legalità, in quanto precedeva la formazione del governo.
Tuttavia volle interrogare il vecchio statista Francesco CRISPI che non nascose al sovrano la gravità della situazione:
"Maestà, - disse - L' Italia è in condizioni peggiori di quel che fu il Piemonte dopo Novara.
Il paese ha perduto la coscienza di sé. Gli si è tolto il coraggio, si è avvilito parlando di miserie che non esistono, si è illuso dandogli a credere che solo facendo economie si poteva pareggiare il bilancio .... Non vi è tempo da perdere ...., bisogna provvedere subito .... Si sono perduti quindici mesi e si è tutto disordinato; la Francia ci è nemica più di prima, e le altre potenze o ci sono tiepide o indifferenti. Noi siamo al di sotto della Spagna .... Se non si provvede subito, se si perdono altri mesi ancora senza portar rimedio ai nostri mali andremo incontro ad un disastro".

Umberto I accennò al CRISPI, come alla sola persona che potesse guidare la Nazione, ma lo Statista si schermì affermando che era vecchio e non aveva dinnanzi a sé molti anni per svolgere tutto un programma di governo; e poiché erano corse voci che lui avrebbe appoggiato un ministero con a capo Giolitti smentì le chiacchiere, e di lui, quando gli fu richiesto un parere, diede il seguente giudizio:

"Lo credo incapace di reggere lo Stato. Sarebbe un errore affidargli il Governo del Paese. Non ha studi, non ha esperienza, non ha arte di governo, conosce appena l'amministrazione". E concluse: "Non faccia nuovi esperimenti, non affidi il potere ad uomini che devono fare il loro noviziato .... Bisogna che l'Italia sia meglio governata, che sia forte, potente, eguale a tutte le altre potenze. E per questo bisogna mettersi in mano ad uomini che sappiano restaurare lo Stato, ristabilire il nostro prestigio all'estero".

Purtroppo il re non seguì i consigli del Crispi e, influenzato da URBANO RATTAZZI junior, ministro della Real Casa, affidò l'incarico di costituire il nuovo ministero a Giovanni Giolitti che, nato a Mondovì nel 1842, nel 1870 e 71 era stato segretario particolare di Quintino Sella, dal 1873 al 1876 aveva coadiuvato il Minghetti come ispettore generale delle imposte, poi era stato direttore generale del ministero delle Finanze e segretario generale della Corte dei Conti; nel 1882 era stato nominato Consigliere di Stato ed eletto deputato nel collegio di Cuneo, e nel 1889 aveva ricevuto dal Crispi il portafoglio del tesoro.
Giolitti non aveva fatto nè guerre né il soldato, figlio di madre vedova era rimasto a casa. Apparteneva ad un'altra generazione. La sua carriera è vero, fu quella di impiegato dello Stato. Passò per la magistratura, per il fisco, per la Corte dei Conti. E non interruppe la carriera per darsi alla vita politica: quando raggiunse molto giovane, un grado che secondo la legge, non era incompatibile col mandato parlamentare, quarantenne entrò alla Camera dei deputati. Conosceva più di qualsiasi altro uomo politico l'amministrazione dello Stato: la burocrazia non aveva nessuna possibilità di ingannarlo o di dominarlo.

Giolitti apparteneva alla piccola borghesia. Le patrie montagne della sua piccola provincia, gli avevano dato il senso della libertà individuale; inoltre vivendo in un piccolo paese poteva considerare i poveri senza abbandonarsi al romanticismo sociale e i ricchi senza lasciarsi prendere dalla volontà di potenza com'erano abituati a fare quelli delle grandi città.
Si direbbe - come diceva Crispi- un uomo mediocre, certo non era un campione, ma in un regime schiettamente liberale, questa mediocrità non poteva essere intesa in senso dispregiativo, ma schiettamente aveva un senso di moderazione. Quello che nell'ultimo decennio del secolo, alla classe politica mancava.

Ricevuto l'incarico il 10 maggio, il Giolitti compose il nuovo ministero tenendo per sé la presidenza del Consiglio, il portafoglio dell'Interno e l'interim del Tesoro (andrà poi a Grimaldi) ed affidando gli Esteri a BENEDETTO BRIN, le Finanze a VITTORIO ELLENA, la Guerra a LUIGI PELLOUX, la Marina a SIMONE PECORET di Saint Bon, i Lavori Pubblici a FRANCESCO GENOLA, le Poste e i Telegrafi a CAMILLO FINOCCHIARO-APRILE, la Grazia e Giustizia a TEODORO BONACCI, la Pubblica Istruzione a FERDINANDO MARTINI e l'Agricoltura a PIETRO LACAVA.
(il 26 novembre moriva Simon Pecoret, gli succedeva Benedetto Brin)

ACCOGLIENZA OSTILE DEL PARLAMENTO

Il 25 maggio il Giolitti presentò il nuovo ministero al Parlamento ed espose il suo programma: sistemazione della finanza, evitando al paese "la necessità di nuovi aggravi e continuando energicamente nella riduzione delle spese"; risorgimento economico del paese, normalizzando la circolazione, correggendo la cattiva organizzazione del credito e il difettoso ordinamento degli studi, e vincendo gli eccessivi scoraggiamenti; rispetto delle alleanze contratte a scopo di pace, e cordiale amicizia con tutte le potenze; vigile custodia all'interno di tutte le libertà.

Ma l'accoglienza che i due rami del Parlamento fecero al Giolitti fu quanto mai brusca ed umiliante. Al Senato, il senatore GUARNIERI rimproverò il presidente del Consiglio di aver messo nel ministero soltanto un rappresentante della Camera Alta e cioè SAINT-BON; alla Camera l' IMBRIANI ripeté una frase di Cesare Balbo: "In tempi minori, a principi minori, ministri minori..." e aggiunse di suo nel finale una stoccata sarcastica: "...sarà questa la spiegazione del minor valore progressivo, o meglio del degradamento continuo dei Ministeri .... E' vero che l'Italia ha la forma di uno stivale, ma non deve essere trattata continuamente da ciabattini".
(Di Giolitti parleremo più ampiamente all'inizio del '900)

Il BOVIO affermò che, mantenendo il Giolitti la vecchia politica, la crisi economicamente, politicamente e moralmente non era risolta; il CAVALLOTTI, accennando alle influenze estraparlamentari che avevano portato il Giolitti al Governo, "E' nella Camera -disse - che si forma quel prestigio, che dà il diritto alla suprema rappresentanza del Governo; è qui che si conquista quel prestigio che non vuol essere sparso intorno alla propria persona da nessun altro potere invisibile"
Il DE ZERBI chiamò incostituzionale la soluzione della crisi e definì il programma ministeriale "Vago, indeterminato ed infarcito di luoghi comuni".
Il BONGHI si meravigliò che il ministero si presentasse "così nudo di proposte"�, "�con così piccolo bagaglio, con la testa vuota".

Il TORRACA rinfacciò al Giolitti il tentativo di intendersi con il di RUDINÌ.

Il Presidente del Consiglio cercò di difendere il proprio programma, ma fu prontamente rimbeccato dal Cavallotti; il giorno dopo fu messo in votazione ed approvato con 169 voti favorevoli, 160 contrari e 38 astenuti, il seguente ordine del giorno di GUIDO BACCELLI: "La Camera si riserva il giudizio sulle proposte concrete del Ministero quando saranno presentate".

DOMANDA D'ESERCIZIO PROVVISORIO SCIOGLIMENTO DELLA CAMERA

Data la maggioranza di soli 9 voti, il Giolitti propose al sovrano o le dimissioni del ministero o lo scioglimento della Camera. Il re respinse le dimissioni e il presidente del Consiglio, annunziando, il 27 maggio alla Camera, questa decisione sovrana, chiese sei mesi d'esercizio provvisorio. L' on. CADOLINI, che riferì su tale disegno in nome della Giunta del Bilancio, propose l'esercizio provvisorio per un solo mese. La discussione cominciò il 9 giugno; parlarono contro la domanda del presidente l' IMBRIANI, il BONGHI e il CAVALLOTTI, in favore il FORTIS, il MASSI e il PANIZZA, e l'11 la Camera, a scrutinio segreto, con 261 voti contro 189 ed un astenuto, approvò l'esercizio provvisorio.

Il 27 settembre con regio decreto (fissando le elezioni per il 6 novembre) fu chiusa la sessione parlamentare e il 10 ottobre fu sciolta la Camera dei deputati.

QUARTO CENTENARIO DELLA SCOPERTA DELL'AMERICA

Due giorni dopo ricorreva il quarto centenario della scoperta dell'America, che Genova volle festeggiare con grande solennità. Alle feste Colombiane, onorate dalla presenza di Umberto e Margherita di Savoia, che assistettero ad un'imponente rivista navale, parteciparono numerose squadre estere, fra cui quella della Francia.
Si avvicinavano intanto le elezioni. Giolitti volendo procurarsi una solida maggioranza usò ogni mezzo pur di fare uscire uomini a lui devoti, trasferì prefetti, sciolse municipi, usò pressioni e (i maligni dissero) corruzioni; si accaparrò i voti di molti cattolici promettendo di non applicare la nuova legge sulle Opere Pie, e nominò quarantacinque senatori.
Il 6 novembre si svolgono le elezioni con il nuovo sistema del collegio uninominale, reintrodotto l'anno precedente dal governo Rudinì. Partecipano 1.639.298 elettori su 2.934.445 iscritti. Notevole il successo del partito di Giolitti che ottiene una buona maggioranza, anche se le opposizioni denunciano una serie di pressioni sugli elettori tramite le prefetture fedeli a Giolitti.

Furono tanti e tali le corruzioni e i brogli che, durante la verifica dei poteri, la Giunta annullò le elezioni. Tre irriducibili avversari del Giolitti caddero per la spregiudicata abilità: il CAVALLOTTI, l'IMBRIANI e il BONGHI; a proposito di quest'ultimo, il Crispi scrisse: "Certe personalità, quali che siano le loro opinioni, ed anche se d'opposizione al Governo, onorano con la loro presenza un'Assemblea: né si deve loro contrastare la deputazione per un gretto e meschino spirito di parte".

INAUGURAZIONE DELLA XVIII LEGISLATURA
IL PROGRAMMA FINANZIARIO DEL GOVERNO

Il 23 novembre del 1892 fu inaugurata la XVIII Legislatura. Il sovrano, nel suo discorso, dichiarò che si sarebbe conseguito il pareggio senza aggravio alcuno dei contribuenti, promise riforme economiche, sociali, scolastiche e giudiziarie e concluse dicendo di accarezzare l'ambizione di unire il suo nome "al risorgimento economico ed intellettuale del paese, di vedere questa Italia forte, prospera, colta, grande, quale la vagheggiarono coloro che patirono e morirono per Lei".

Il giorno precedente erano stati pubblicati alcuni "Decreti Reali" con cui fu aumentato il dazio sullo zucchero, abolito il ribasso dei prezzi dei tabacchi venduti all'ingrosso e affidato il servizio delle pensioni alla Cassa di Depositi e Prestiti.
Questi decreti, furono presentati alla Camera per essere convertiti in legge nella prima metà di dicembre e il Giolitti dichiarò di avere adoperato questo metodo eccezionale per la necessità di accelerare i lavori parlamentari e di dimostrare, con la forma stessa dei bilanci che il pareggio era raggiunto. L'indirizzo finanziario del Governo fu approvato con 196 voti contro 82.
Il 19 febbraio, il GRIMALDI, succeduto all' ELLENA nel ministero delle finanze, presentando l'esposizione finanziaria, annunciò un aumento del dazio sullo zucchero e il monopolio degli olii e degli alcool e anticipò il proposito di trasformare completamente il servizio delle pensioni abolendo la Cassa Militare e mettendo le pensioni a carico delle Casse.

ISPEZIONE ALLA BANCA ROMANA -
GLI ONOREVOLI COLAJANNI E GAVAZZI DENUNZIANO ALLA CAMERA LE DELITTUOSE IRREGOLARITA' DELLA BANCA - COMMISSIONE AMMINISTRATIVA D'ISPEZIONE AGLI ISTITUTI D'EMISSIONE - ARRESTI - IL BILANCIO DEL MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA RESPINTO - RIORDINAMENTO BANCARIO

Torniamo indietro di alcuni mesi. Nel giugno del 1889, il senatore ALVISI e il comm. MONZILLI, ispezionando per incarico del Ministro dell'Agricoltura la Banca Romana, costatavano alcune gravi irregolarità ed un ammanco di 9 milioni. Il comm. BERNARDO TANLONGO, governatore della Banca, interrogato dal ministro, dichiarava non rispondenti a verità le asserzioni degli ispettori e, procuratasi dalla Banca Nazionale la somma mancante, riusciva a mostrare che nella banca non esisteva alcun vuoto.
Alla fine del giugno del 1891, l'Alvisi, circolando insistente la voce della grave situazione in cui si trovavano alcune banche, dichiarava di volere notificare i risultati dell'ispezione da lui eseguita due anni prima, ma i ministri LUZZATTI e CHIMIRRI lo impedirono per non recare danno al credito pubblico e il Luzzatti, a render più grave la situazione, faceva approvare un disegno di legge che prorogava il corso legale dei biglietti di banca e accordava a tutti gli istituti d'emissione la facoltà di aumentare la circolazione in ragione del quadruplo del loro capitale.

" NOTA - La Banca Romana era sorta nel 1835, per iniziativa di un gruppo di capitalisti francesi e belgi. Nel 1851 aveva assunto la denominazione di Banca dello Stato Pontificio, divenendo l'istituto di emissione degli Stati della Chiesa. Dopo gli eventi militari e politici che culminarono nel 20 settembre del 1870, e con la proclamazione di Roma Capitale, la banca riassunse la sua vecchia denominazione, mantenendo, come avevamo gi� visto, il suo diritto ad emettere banconote. La proclamazione di Roma Capitale aveva provocato una vera "febbre" edilizia e per alimentare i cantieri che sorgevano come funghi, gli imprenditori fecero un gran ricorso al credito. Nell'atmosfera da "conquista del West" in cui si svolgeva questa attivit� erano carenti i controlli sulla reale solvibilit� dei debitori, ed esistevano gi� (vizio antico, Calvi, Sindona & C., in fondo, non hanno inventato proprio nulla di nuovo...) i clienti e le "clientele" a cui non si poteva negare un credito bancario.

Quando il grande boom edilizio si sgonfi� ed iniziarono i fallimenti, la Banca Romana risult� una delle pi� esposte, sepolta sotto una valanga di cambiali che valevano come carta straccia, data l'insolvenza dei debitori. Fin qui, non vi sarebbe stato nulla di particolarmente nuovo: una banca che rischia di andare a picco per aver concesso crediti a eccessivo rischio non era una novit�. Altro era l'aspetto veramente allarmante: come accertarono gli ispettori del ministero dell'Industria, Alvisi e Biagini, il governatore Bernardo Tanlongo, "dominus" della Banca Romana, aveva trovato un'elegante soluzione al problema dei clienti insolventi: emetteva banconote "a ruota libera". Aveva superato spensieratamente di 25 milioni il limite consentito, e poi, non soddisfatto, ne aveva stampati altri nove clandestinamente, senza alcuna annotazione nelle registrazioni contabili.
Non erano banconote false, ma banconote "clonate", che riportavano gli stessi numeri di serie".

Cinque mesi dopo il Giolitti faceva nominare senatore BERNARDO TANLONGO, che però vedeva la sua nomina non convalidata dal Senato.
Il 6 dicembre del 1892 i ministri GRIMALDI e LA CAVA presentarono con urgenza alla Camera un disegno di legge per riordinare entro l'anno gli istituti d'emissione. Allora tutti coloro che conoscevano le criminose illegalità di qualche banca, pensarono che bisognava denunciare al Parlamento gli atti delittuosi della Banca Romana per impedire che le si riconcedesse il privilegio dell'emissione. L'incarico di denunciare alla Camera le irregolarità del suddetto istituto bancario fu assunto dal deputato siciliano NAPOLEONE COLAJANNI (della Sinistra), e dall'on. LODOVICO GAVAZZI lombardo (della Destra).
(Napoleone Colajanni, che il 20 dicembre 1892 rese noto in Parlamento il rapporto dell'ispettore Alvisi affidatogli in punto di morte per scaricarsi la coscienza)

Sparsasi la notizia che alla Camera stava per scoppiare uno scandalo, Giolitti corse ai ripari e il 19 dicembre comunicò alla Camera che aveva deciso un'ispezione amministrativa per tutti gl'istituti di emissione, la quale doveva essere eseguita dall'on. FINALI e presentò un disegno di legge che prorogava a tutto il marzo 1893 la facoltà d'emissione e il corso legale dei biglietti di banca.
Il giorno dopo l'on. Colajanni, presenti circa 400 deputati, espose alla Camera numerose, gravissime irregolarità della Banca Romana desunte dalla relazione del senatore Alvisi e concluse proponendo un'inchiesta parlamentare. Dopo di lui parlò l'on. Gavazzi il quale disse: "Presso la Banca Romana è imperfetta la contabilità, è anormale la creazione dei biglietti, è eccessiva ed in parte simulata la loro circolazione, è confusa la sistemazione della cassa generale, è mal custodita la massa dei biglietti spendibili e dei riservati alle rinnovazioni e di quelli pronti per ulteriori illegittime e illegali emissioni".
Anche il Gavazzi concluse domandando un'inchiesta parlamentare.
Parlarono MICELI, ex ministro dell'Agricoltura, che dichiarò di non aver mai sospettato che fossero accadute cose così indegne, né che potessero essere ritenute così criminose; l'on. BACCELLI, che chiamò insospettabile, operoso, benefico e pieno d'onore il Tanlongo; il CAVALLOTI e il RUDINÌ che appoggiarono la domanda dell'inchiesta.
GIOLITTI invitò la Camera a respingere l'inchiesta parlamentare promettendo che avrebbe ordinato un'accurata ispezione da comunicarsi poi al Parlamento. La Camera, mostrandosi a rimorchio del carro del Giolitti, approvò il disegno di legge di proroga di tre mesi della facoltà di emissione con 316 voti contro 27.

Con decreto reale del 30 dicembre 1892 fu istituita una commissione amministrativa di ispezione alle banche che fu presieduta dal senatore GASPARE FINALI, primo presidente della Corte dei Conti. L'ispezione della Banca Romana fu affidata al Comm. ENRICO MARTUSCELLI, quella della Banca Nazionale al Comm. GIACOMO ORSINI, quella del Banco di Napoli al Comm. GIACOMO REGALDI, quella del Banco di Sicilia al Comm. GIOACCHINO MUSCA e quella della Banca Nazionale Toscana e della Banca Toscana di Credito al Comm. GAETANO DURANDO.

Il MARTUSCELLI in pochi giorni ispezionò la Banca Romana, costatandovi gravissime irregolarità. Il 15 gennaio 1893 Giolitti fece comunicare al TANLONGO e a due impiegati della Banca, CESARE e MICHELE LAZZARONI, di non allontanarsi da Roma sotto pena dell'arresto, dando così tempo a -nota il COLAJANNI - di fare scomparire gli elementi che loro avevano interesse di nascondere. Tre giorni dopo il Martuscelli stese il suo rapporto, in cui fra le altre cose si diceva essersi costatato "un vuoto nei biglietti di scorta, che nei giorni precedenti alla ispezione si è cercato di dissimulare mediante l'apertura di crediti allo scoperto nei conti correnti", un "tentativo di porre in circolazione serie duplicate di biglietti, fatti fabbricare dal governatore clandestinamente", delle "sofferenze antiche di cambiali non soddisfatte alla scadenza", ma "messe in attivo sebbene ritenuto quasi impossibile il recupero del credito", e "utili fittizi portati a comodo nel bilancio, a scopo di poter continuare a distribuire dividendi agli azionisti".

Il 13 gennaio 1892 furono arrestati BERNARDO TANLONGO e il Cassiere CESARE LAZZARONI per peculato e falso in atto pubblico. Poco dopo fu spiccato mandato di cattura contro i commendatori MONZILLI e MICHELE LAZZARONI. Anche il direttore del Banco di Napoli VINCENZO CUCCINELLO fu arrestato il 22 gennaio e che era sparito all'inizio del mese lasciando un ammanco di cassa di 2.400.000 lire. Nello stesso giorno sono note le gravi irregolarità commesse dal Banco di Sicilia di Palermo il cui direttore generale GIULIO BENSO SAMMARTINO è accusato di aver usato fondi del banco per scopi privati.
Ad accusare gli abusi del direttore in carica è l'ex direttore dello stesso Banco, il Senatore EMMANUELE NOTARBARTOLO, che però è assassinato pochi giorni dopo, il 1° di febbraio.

Alla Camera, il 26, il 27 e il 28 gennaio del 1893, furono svolte parecchie interpellanze sui fatti bancari e fu ancora domandata l'inchiesta parlamentare; ma Giolitti si mostrò ostile all'inchiesta che, secondo lui, avrebbe avuto l'aspetto di diffidenza verso l'autorità giudiziaria e il significato di un voto di sfiducia verso il ministero.
Il 1° febbraio fu presentata alla Camera la domanda di autorizzazione a procedere contro l'on. ROCCO DE ZERBI, accusato di aver percepito della Banca Romana, dal 1888 al 1889, 425 mila lire, per aver favorito in Parlamento le ragioni e gl'interessi dell'istituto.
Né il De Zerbi era il solo accusato.
Nel suo interrogatorio TANLONGO aveva dichiarato di aver dato cospicue somme a diversi presidenti del Consiglio per occorrenze straordinarie del Governo. Gli ex presidenti reagirono sdegnati; il CRISPI, ammalato, scrisse una lettera allo ZANARDELLI, presidente della Camera, protestando contro la gratuita asserzione, e anche DI RUDINÌ, nella seduta del 2, smentì categoricamente le affermazioni del Tanlongo e chiese che un'inchiesta esaminasse tutta la sua condotta di Capo del Governo; infine anche GIOLITTI negò di avere avuto denari.

Il 3 febbraio, la Camera accordò all'unanimità l'autorizzazione a procedere contro l'on. ROCCO DE ZERBI, che morì diciassette giorni dopo -si disse- avvelenato o forse suicida per non subire la vergogna di essere processato come ladro.

Il 20 marzo GIOVANNI GIOLITTI, nel leggere alla Camera la relazione del senatore Finali si presentò con un pacco di carte, affermando che erano gli elenchi nominativi delle cambiali in sofferenza presso gli istituti d'emissione.
Nessuno vide se le carte e i nominativi c'erano veramente; i maligni affermarono che nel pacco c'erano solo giornali e che era quella di Giolitti tutta una scena millantatrice per intimorire chi aveva da nascondere qualcosa, e che questi, chi più chi meno, erano tanti.

Il NICOTERA propose un'inchiesta parlamentare, ma ancora una volta il presidente del consiglio si oppose. Per l'inchiesta, con forti parole, si pronunziò BOVIO, e il giorno seguente, accettando Giolitti, la proposta del deputato FRANCESCO GUICCIARDINI, la Camera all'unanimità decise che fosse costituita una commissione di sette membri, affidandone la nomina al Presidente dell'assemblea il quale scelse GIOVANNI BOVIO, ALESSANDRO PETERNOSTRO, ANTONIO MORDINI, SUARDI GIANFORTE, CESARE FANI, CLEMENTE PELLEGRINI, EDOARDO SINEO.
I socialisti lasciarono l'aula prima delle votazioni sostenendo che era tutto inutile "i pesci grossi e gli amici del governo si sono già messi in salvo".

Il 19 maggio, la Camera respingeva con 138 voti contro 133 a favore il bilancio del ministero di Grazia e Giustizia. Era la prima volta, nella storia parlamentare d'Italia che un bilancio non era approvato. Il ministro BONACCI si dimise subito e il giorno dopo l'intero ministero presentò le dimissioni.
Ma il sovrano accettò soltanto le dimissioni del Bonacci, che fu sostituito dal senatore LORENZO EULA. Mentre il portafoglio delle Finanze fu dato al senatore GAGLIARDO.
Il 25 maggio Giolitti comunicò tutto questo alla Camera e invocò il voto di fiducia che, dietro ordine del giorno degli onorevoli FORTIS e BACCELLI, gli fu concesso il giorno dopo.

Per porre riparo al danno che gli scandali bancari arrecavano al credito italiano all'estero l'on. Giolitti prese alcuni energici e pronti provvedimenti, quindi pensò di riordinare gli istituti d'emissione. Il ministro d'Agricoltura LA CAVA presentò un disegno di legge che liquidava la Banca Romana e fondeva la Banca Nazionale e le due banche toscane in un unico istituto che doveva chiamarsi Banca d' Italia. Restavano in vita, autonomi, i Banchi di Napoli e Sicilia.

La discussione sul disegno di legge cominciò il 24 giugno. Il CAVALLOTTI, rieletto un mese e mezzo prima a Corteleona, svolse, anche in nome di altri colleghi, la mozione seguente:
"La Camera, ritenendo che sarebbe responsabilità gravissima affrontare la discussione di un progetto di legge che vuol fissare per un quarto di secolo tutto l'ordinamento bancario italiano, mentre ancora le manca, sull'indole vera della nuova legge e le condizioni di fatto da cui si muove una parte indispensabile di elementi di giudizio, dei quali ha affidato ad un proprio concitato l'indagine; e giudicando non meno indispensabile che la discussione si faccia ampia e libera, con il più completo materiale, in condizioni serene ed ambiente sgombro di diffidenze, decide rinviare la discussione della legge a dopo la presentazione della relazione del Comitato".

Anche RUDINÍ propose la sospensiva, ma Giolitti si oppose e la Camera con 138 voti contro 143 respinse la mozione Cavallotti. La Commissione parlamentare propose parecchi emendamenti al disegno di legge, che furono accettati dal Governo, quindi, dopo breve discussione, la legge bancaria fu approvata dalle due Camere e divenne legge nell'aprile.

LA QUESTIONE "BANCA ROMANA", IL PROCESSO, E GLI SVILUPPI
LI RIPRENDEREMO NEL SUCCESSIVO CAPITOLO

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STRAGE DI OPERAI ITALIANI AD AIGUES-MORTES
LE DIMOSTRAZIONI DI ROMA E DI NAPOLI

Nel mese di agosto, e precisamente il 17-19, orribili fatti avvennero ad Aigues-Mortes. Circa quattrocento italiani, che lavoravano in quelle saline, furono selvaggiamente aggrediti dagli operai francesi e dalla popolazione locale al grido di Morte agli Italiani ! Andate in Germania ! Fatevi dar lavoro da Crispi !
All'origine era l'esasperazione della concorrenza che facevano gli operai italiani, impiegati nelle saline accettando stipendi più bassi che così calmieravano quelli dei locali.

Trenta italiani furono uccisi ed oltre cento feriti; le ostilità erano così diffuse che perfino gli ospedali di quella civilissima città per ben otto ore si rifiutarono di ricevere e prestar soccorso ai feriti e il "maire" pubblicava due proclami in cui scriveva: "Il "maire" della città di Aigues-Mortes porta a conoscenza dei suoi amministrati che la Compagnia ha ritirato ogni lavoro ai sudditi di nazionalità italiana .... Invita la popolazione alla calma, dopo la decisione della Compagnia che dà piena soddisfazione agli operai francesi".
"Raccogliamoci per curare le nostre ferite e, recandoci pacificamente al lavoro, proviamo come il nostro scopo è stato raggiunto e le nostre rivendicazioni soddisfatte".

La barbara strage di Aigues Mortes provocò uno sdegno straordinario in Italia. La stampa fu concorde nel deplorare la vile aggressione e il selvaggio contegno dei medici e delle autorità; in ogni città, in ogni paese, in ogni villaggio ci furono dimostrazioni al grido di "Abbasso la Francia ! Viva la Germania ! Viva Crispi !" A Roma, la sera del 20 agosto, una gran folla, che gridava "Abbasso gli assassini dei nostri operai !" volle che il concerto municipale suonasse gli inni di Garibaldi, di Mameli e i Vespri Siciliani, quindi si recò in Piazza Farnese e, urlando "guerra e morte alla Francia", infranse a sassate tutti i vetri del palazzo dell'ambasciata francese e n'avrebbero bruciato il portone senza il tempestivo intervento della truppa.
Ritornata in Piazza Colonna, la folla, volle che la banda municipale suonasse l'inno tedesco, quindi cercò di ritornare in Piazza Farnese, dove la dimostrazione si rinnovò furiosa la sera dopo. Dimostrazioni più gravi, anche perchè coincisero con uno sciopero di cocchieri e s'intrufolarono elementi sovversivi, avvennero luogo a Napoli, con la distruzione di omnibus, fanali nelle strade, vetture tranviarie. Nei conflitti con la forza pubblica oltre ad esserci parecchi feriti ci fu anche qualche morto.
Intanto la stampa italiana scagliava fulmini contro la Francia e EDOARDO SCARFOGLIO scriveva che "da cinque anni noi commettiamo un delitto contro la nostra patria, e contro la nostra stessa esistenza sottraendoci alla necessità di una guerra" che "s'imponeva con tutte le asprezze della fatalità", e aggiungeva: "Che a tutte le finestre d' Italia sventoli una bandiera, che da ogni bocca italiana irrompa un grido eccitante il Governo non esiti, a non tremare, a esigere una riparazione piena, solenne, immediata, quale sola può convenire a chi ha il diritto di chiederla e la forza di ottenerla".

Ma il governo del Giolitti non ebbe il coraggio - e non ce ne voleva molto per raccogliere l'invito all'energia. Anziché chiedere soddisfazione, si affrettò a darla, collocando a riposo (ritenendolo lui responsabile degli incidenti) il prefetto di Roma, senatore CALENDA, e quattro alti funzionari della pubblica sicurezza e inducendo il prefetto di Napoli, senatore SENISE, a chiedere di essere messo a disposizione (riposo).
La Corte di Anguléme assolse gli autori della strage e il Governo francese a stento si decise a sospendere dalle funzioni il sindaco di Aigues-Mortes, dopo di che il nostro ministro degli Esteri telegrafò al Governo di Francia che era lieto di considerare soddisfacentemente chiuso l'incidente.

GRAVITA' DELLA SITUAZIONE POLITICA
IL 1° CONGRESSO SOCIALISTA - RIAPERTURA DELLA CAMERA
LETTURA DELLA RELAZIONE DEL COMITATO DEI SETTE
CADUTA DEL MINISTERO GIOLITTI

La situazione politica si faceva di giorno in giorno più grave e il Governo di Giolitti era incapace di fronteggiarla: governo che da tutti era chiamato infausto anche perché in un solo anno erano morti quattro ministri, l'Ellena, l'Eula, il Di Saint-Bon e il Genale.
Il paese correva verso il precipizio; avvenivano scioperi d'impiegati statali, specialmente grave quello dei telegrafisti; agitazioni ancora più gravi avvenivano in Sicilia. Il 20 gennaio a Caltavuturo (PA) la forza pubblica uccise undici manifestanti e ne ferì una quarantina dentro quel movimento in sviluppo nelle campagne dell'isola: i Fasci Siciliani che in luglio rivendicando la modifica dei patti agrari, si riunirono in un Congresso a Corleone.
Nello stesso periodo, in agosto, a Imola si riuniscono i socialisti rivoluzionari di Romagna, le varie associazioni si uniscono e si organizzano in Partito dei Lavoratori Italiani. Poi inaugurano, il 10 settembre del 1893, a Reggio Emilia, il primo congresso del partito.
In un articolo dal titolo "Dove andiamo?" comparso il 1° novembre sulla "Nuova Antologia", il Villari scriveva:

"Noi siamo da più di otto mesi sotto una grandine, che, con un crescendo continuo, ci percuote, e non si vede ancora speranza di tregua. Si accusa il Governo di aver profittato dei disordini delle Banche, di aver tentato di lasciarli continuare, di avere iniziato il processo solo quando vi fu costretto, di non aver rispettato l'indipendenza della magistratura, di aver serbato, a difesa degli amici e a minaccia degli avversari, documenti che invece doveva dare al giudice. Tutto s'interpreta dalla pubblica voce a suo danno, sia che il guardasigilli si dimetta, sia che uno degli accusati riesca a fuggire. E si conclude con il dire che il processo non può finire, perché accusati e accusatori sono ugualmente colpevoli, e se potessero si metterebbero volentieri d'accordo per salvarsi ambedue. Intanto il processo ancora non finisce, i colpevoli non sono puniti, gli onesti non sono lasciati in pace, e ogni giorno una nuova reputazione è demolita o messa in discussione.

" Ma si crede veramente o non si crede a tutto quello che si dice e che si scrive? Se non ci si crede, quale immoralità è mai la nostra di calunniare così sanguinosamente il proprio Governo? E se ci si crede, quale valore ha mai la libertà politica di questo popolo, il quale sopporta così lungamente un Governo contro di cui scaglia ogni giorno accuse, una sola delle quali, in un altro paese basterebbe a seppellirlo per sempre?... Il paese guarda sbalordito, e non sa più capire dove si debba andare a finire. Che cosa è il bene? Che cosa è il male? Vogliamo noi colle proprie mani uccidere la nostra coscienza? Mentre che questo caos morale continua, le condizioni economiche e finanziarie si aggravano in modo spaventoso. In pochi giorni il cambio è salito dal 2 al 13 per cento, e oscilla adesso tra il 13 e il 14; la rendita abbassa; il deficit cresce; l'argento emigra dopo che emigrò l'oro. E i più comuni affari della vita di ogni giorno sono per modo intralciati che non si può addirittura andare innanzi".

Il 23 novembre si riapri la Camera e subito molti deputati, fra cui l' IMBRIANI - rieletto tre mesi prima deputato nel collegio di Corato - chiesero che si desse lettura della relazione del comitato dei Sette. Il presidente del Consiglio non fu in grado di rifiutarsi e alle 18 del giorno 24 cominciò la lettura che finì alle ore 21,20, lasciando sbalordita e disgustata la Camera per tutte le porcherie che l'inchiesta aveva assodate e dalle quali non usciva proprio limpido l'operato di Giolitti.
A lettura finita, molti deputati scagliarono le più atroci ingiurie contro il presidente del Consiglio; il tumulto fu tale che il CAVALLOTTI non ebbe il modo di svolgere una sua mozione e il presidente ZANARDELLI sciolse la seduta.
Il giorno dopo l'on. Giolitti dichiarò che il Ministero aveva rassegnato le dimissioni per riacquistare la libertà di parola; questa comunicazione fu accolta da urli ostili. L' Imbriani gli gridò: "Siete rotolati nel fango !" Altri urlarono: "Meritate Regina Coeli !" Altri infine: "Ladri ! Ladri !"

Così, come dicevano i deputati dell'Estrema Sinistra in un manifesto lanciato al paese qualche giorno dopo, cadeva il ministero di Giovanni Giolitti
"�per aver mancato alla verità verso il Parlamento, al rispetto verso la giustizia, ai doveri verso la moralità" cadeva "�.dopo avere manomesso i diritti della sovranità popolare, del Parlamento, dei Municipi, dei cittadini; sacrificata la cosa pubblica a inconfessabili ingerenze; compromesso il Governo nell'intimità dei delinquenti; data risposta di violenze al grido della miseria; turbata la pace pubblica, insidiati i tribunali, aggravati per il povero i consumi, inasprite le imposte, dato il tracollo ai mercati, ai valori, portato ad altezze vertiginose il cambio, fatto fiorire il corso forzoso, avviata verso il fallimento la Nazione".

Lo scandalo bancario avrà strascichi ancora nei due anni successivi. Non fu accertato se Giolitti e i suoi predecessori abbiano ricevuto soldi dalla Banca romana.
Il 28 Novembre fu incaricato ZANARDELLI a formare il nuovo governo. Tentativo fallito a causa delle ostilità di molti esponenti della destra ma anche della sinistra.
L'8 dicembre ha l'incarico CRISPI, e il 15 costituisce il suo III governo.

Nello stesso periodo della crisi, dal 9 al 25 in varie parti della Sicilia, scoppiano tumulti per protestare contro le tasse comunali e il dazio di consumi. La forza pubblica reprime la rivolta con violenza, con decine di morti.
CRISPI nel suo primo giorno alla Camera per fronteggiare i disordini chiede "Una tregua di Dio". Ma poi il 23, come "regalo di Natale" chiede alla Camera l'autorizzazione a proclamare lo Stato d'Assedio in Sicilia "in caso di necessità", e nomina il generale ROBERTO MORRA al comando del corpo d'armata di Palermo.

Sarà proclamato il 3 gennaio del successivo anno'94, con decreto firmato da Re, e inizia la repressione; tutte le autorità dell'Isola sono alle dipendenze del Commissario straordinario Morra, e tutte le organizzazioni dei lavoratori siciliani saranno sciolti.
L'effetto fu di far scoppiare un'insurrezione anche in Toscana, nella Lunigiana, il 16 gennaio, ed anche qui fu poi proclamato lo Stato d'assedio.
Si teme (è Crispi a sostenerlo) una cospirazione a livello nazionale tesa a sovvertire lo Stato.
Nello stesso giorno, ANTONIO LABRIOLA su "Critica socialista", con l'efficace titolo "Sul filo del rasoio", rivendica nel movimento dei Fasci siciliani (organizzazione proletaria) una fase della "Lotta di Classe" e la sua anima socialista.
La repressione crispina, nel corso di tutto il 1894 sarà durissima, con centinaia di vittime e migliaia d'arresti e dure pene detentive.

Tutti denunciavano i mali, tutti chiedevano al governo i rimedi alle gravi condizioni economico-sociali dell'Isola (e non solo dell'Isola). Ma come leggeremo nel prossimo capitolo, il vegliardo (76 anni figlio della Sicilia pure lui, di Girgenti) rispondeva "la questione siciliana? È antica, non data da ieri�Amo il mio popolo, sono lavoratore anch'io".
Poi inviò 40.000 soldati, fece arrestare tutti i capi insurrezionali, sciolse i fasci, impedì ai deputati socialisti del continente a sbarcare sull'isola, istituì i tribunali militari, ordinò il disarmo, proibì le riunioni, mise la censura sulla stampa e assegnò al domicilio coatto a non pochi suoi concittadini.
"Perché amo il popolo, e voglio il miglioramento delle classi operaie".

Lo leggeremo nel prossimo capitolo

la "questione morale" e lo "scandalo della Banca Romana"


...o il periodo dal 1893 al 1895 > > >

Fonti, citazioni, e testi
Prof.
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - (i 5 vol.) Nerbini 1930
COMANDINI - L'Italia nei cento anni - Milano 1907
MACK SMITH, Storia del Mondo Moderno - Storia Cambridge X vol.
O' CLERY - The making of Italy - Kegan&Trubner, Londra 1892
B. CROCE Storia d'Italia 1871-1915
M. CLARK - Storia Italia Contemporanea- 1871-1999 - Bompiani
+ ALTRI VARI DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE  

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