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( QUI TUTTI I RIASSUNTI ) RIASSUNTO ANNI 1798-1799
ATTO
VANNUCCI (sesta parte)
I MARTIRI DELLA LIBERTA' ITALIANA
(descritti da Atto Vannucci)
* * * I Martiri della Repubblica Cisalpina
1799 - 1848
Le scelleratezza del Borbone di Napoli spaventarono il mondo. Contro i delitti di lui tuonarono in Francia i cittadini Arena e Briot ed altri legislatori dalla tribuna del Consiglio dei Cinquecento. In Inghilterra, FOX e SHERIDAN (Charles James Fox, londinese, uomo politico e grande oratore liberale -1749-1806. - Richard Brinseley Butler Sheridan, di Dublino -1751 1816- politico e celebre commediografo), nella frequenza più grande del Parlamento, con veementi parole consacrarono all' infamia il re spergiuro, e ne proposero l'accusa davanti all' immensa assemblea del genere umano. E questo grido di riprovazione e di orrore risonò altamente in tutti i cuori in cui il dispotismo non avesse spento ogni senso umano.
Né piangeva il solo Regno di Napoli sotto l'orrendo flagello della tirannide. Piangevano amaramente anche i Lombardi, i Veneti e i Piemontesi, assaliti da barbari più feroci dei Vandali antichi. Napoleone, dopo avere con le sue stupende vittorie resa libera gran parte d'Italia, dopo aver creato la Repubblica Cisalpina, e ridestato negli Italiani l'amore delle armi e il coraggio di guerra, si era, nel 1799, assentato per recarsi all'impresa EgizianaMentre laggiù combatteva con varia fortuna, i vecchi amici della libertà si congiurarono insieme, e vennero a fare strazio della misera Italia. Il trattato di Campoformio, con cui l'Austria riconosceva solennemente la Repubblica Cisalpina, fu strappato. Inglesi, Austriaci, Turchi, Russi, Calmucchi e Cosacchi vennero tutti uniti a distruggere l'ordine nuovo. Questi ladroni, che erano la maggior parte Calvinisti, Luterani, Greci scismatici e Maomettani, si appellavano restauratori della Religione cattolica, intanto mettevano tutto a sacco e, facendosi prima il segno della santa crocea rubavano, oltraggiavano, uccidevano, spogliavano le donne, non prima di aver strappato le croci d'oro pendenti dal loro collo.
Al loro comparire una quantità innumerevole d' Italiani, che erano fautori della Repubblica, fuggirono e si rifugiarono in Francia. Ve n'era di ogni sesso, di ogni grado ed età. Si vedevano gli uomini più conosciuti per ingegno e per civili virtù costretti a patire i mali dell'esilio. E a quelli che non poterono fuggire toccò sorte peggiore.
Ugo Foscolo così ritrae quelle sciagure : «Mentre le russe torme e le tedesche con la ubriachezza della vittoria, la ingordigia della conquista e la rabbia della vendetta, desolavano i nostri campi, contaminavano i letti, insanguinavano le mense, il braccio dei cittadini piantava inquisizioni e patiboli ; onde i padri e gli orfani profughi in Francia, lemosinando di porta in porta la vita, sentivano ancor più grave l'esilio per la compagnia di banditi, che asilo implorando di libertà, asilo ottenevano ai misfatti ; e in tutta Italia gli amici e i congiunti o atterriti o compri al tradimento; e i fanciulli e le donne e gl'infermi vecchi lapidati ; e frementi di innocente ululato le carceri ; e i pochi o per virtù o per scienza o per sostenute dignità insigni e sicuri, confinati in barbare terre; e Cristo capitano di ribellioni; e dappertutto violazioni, saccheggi, incendi, carneficine ! ».
Allorchè i Francesi cedettero Mantova, misero per patto della capitolazione che non fosse arrecato rappresaglia a nessun cittadino per le cariche avute nella Repubblica e per le sue opinioni politiche. Gli Austro-Russi, non curandosi dei patti giurati, cominciarono una persecuzione stolta e feroce. Chi avesse avuto presso di sè un ritratto di Buonaparte, una canzone repubblicana, un vestito secondo la moda dell'anno precedente, o un cappello alla giacobina, era condannato all'esilio o al carcere. Le acconciature dei capelli, e specialmente quelle che allora erano dette alla Brutus, dalle commissioni di polizia venivano reputate segno di libertinaggio e di perfidia.
La Imperiale Commissione di Milano, composta dei giureconsulti Manzoni, Drago e Bazzetta, fece cose fiere e cose ridicole; tormentò, imprigionò, esiliò ; fece incarcerare un ragazzo di cinque anni perché aveva gridato viva la Francia ! efece venire davanti a sé un merlo cantore di una canzone repubblicana.
Il furore più grande si mostrò contro quelli che avevano occupato le cariche della Repubblica anche se splendevano per onesti costumi e per fama di dottrina e di ingegno. Più di 800 persone, tra cui molti cittadini onorevolissimi, furono dagli Austriaci, per opinioni politiche, incatenate e trascinate nelle prigioni di Cattaro, di Sebenico, di Petervaradino, del Sirmio e in altre fortezze austriache, ove tutti patirono grandi tormenti, e alcuni morirono, mentre il grande matematico LORENZO MASCHERONI (1), sapiente ed elegante poeta di Lesbia Cidonia, finiva di stenti a Parigi. Tra i perseguitati erano il famoso medico PIETRO MOSCATI (2) presidente del Direttorio della Repubblica, e i suoi colleghi GIOVANNI PARADISI di Reggio, il conte CONSYABILE CONTAINI di Ferrara, il conte CARLO CAèRARA di Bologna ; molti di quelli che sedettero fra i legislatori della Cisalpina, LUIGI LAMBERTI di Reggio, dotto grecista, FRANCESCO REINA di Milano, avvocato di molta dottrina, il P. GREGORIO FONTANA, valente filosofo e matematico, stato già pubblico professore a Bologna, a Milano, a Pavia; GIROLAMO CODDE' capo del tribunale di Mantova, che, poi liberato, morì nel 1801, mentre andava ai Comizi di Lione; il CARCERZANI, dotto professore di matematica nell' Università di Bologna.
Fra i trasportati in terre barbare si vedevano nobili e plebei, preti e frati, professori, giudici, medici, ingegneri, avvocati, possidenti, artigiani, mercanti giovani e vecchi, Lombardi, Modenesi, Romagnoli, e alcuni Veneti che, fuggendo il dispotismo austriaco, si erano rifugiati nel territorio della Repubblica.
Fra tutti costoro c'era anche il veneziano FRANCESCO APOSTOLI, il quale ci ha tramandate memorie particolareggiate di quelle sciagure. Egli si era rifugiatoa Modena quando da un ordine del commissario Guerrieri fu costretto a correre, come una belva inseguita dai cani e dai cacciatori, per le campagne cispadane e lombarde. Dopo lungo errare si rifugiò a Milano e vi si nascose, come avevano fatto molti altri ; ma dopo pochi giorni, per la defezione dell'abate Becattini toscano, fu arrestato e condotto in carcere, ove trovò PIETRO MOSCATI, il conte GIROLAMO FENAROLI di Brescia, il prete MICHELE VISMARA di Milano, il CODDE', e altri trenta legislatori ai quali gli sbirri facevano fare gli "esercizi spirituali". Poi furono condotti a Verona dove appresero che più di 60 repubblicani di Mantova e di Salò - per far posto a loro- erano stati caricati di catene e mandati nei Piombi di Venezia.
Dopo qualche giorno pure i nuovi arrivati, legati a due a due e uniti ad altri Cisalpini che erano già in carcere, furono fatti marciare in tre colonne per andare a imbarcarsi sull'Adige per Venezia. Procedevano tranquilli e superbi, indifferenti alla loro sorte.
In quel luogo di malfattori e di assassini, apparivano degni di venerazione per il nobile aspetto e per l'età MOSCATI, FENAROLI, e l'ex-legislatore CODDE'. Entrati in barca, il proto-sbirro Casati pose loro le catene ai piedi e disse che, se non si comportavano bene, avrebbe ordinato agli sbirri di ucciderli tutti.
I prigionieri si mostravano lieti: MOSCATI intratteneva i compagni di sventura recitando versi ; il dottore FRANCESCO TICOZZI di Lecco cantava. Dopo tanto soffrire giunsero a Venezia stanchi, pesti, affamati, e di là furono spediti in Dalmazia.
Era questa l'ultima spedizione che si fece alla metà di giugno. I prigionieri, in numero di 131, furono posti in una barca che poteva contenere appena 60 persone. Vi stavano ammassati e tormentati da una orribile puzza e dalla ferocia di odiosi sgherri. « Ogni cinque di noi, scrive l'Apostoli, formavano un corpo solo con cinque teste, ed aveva la figura di un' idra, a cinque facce umane, tanto eravamo stretti, e luridi e sporchi ».
Mentre partivano, ebbero il dolce conforto dal vedere molte gondole aggirarsi intorno alla galera ov'erano chiusi. In quelle gondole stavano donne e cittadini amanti della ex-Repubblica, i quali, con tutti i segni di affetto che potevano fare in modo chiaro, cercavano di raddolcire le loro amarezze di quell'"infortunio".
Li avevano destinati a Zara: ma poiché il generale croato che comandava quella costa non volle riceverli, furono condotti a Sebenico. Giunti a quel barbaro luogo, furono gettati in orrido castello, ove li trattarono brutalmente da malfattori. Un cannone con miccia accesa stava puntato contro l'ingresso della prigione, la quale era un sotterraneo, oscuro, umido, fetido, visitato da sorci, da vipere, da gufi, e da pipistrelli. L'orrida caverna pareva un sepolcro: vi mancava solo il silenzio delle tombe; il rumore di 130 catene faceva sentire che i sepolti non erano morti. Presto cominciarono le malattie: febbri di prigione e orrende convulsioni epilettiche assalirono anche i più forti.
Dopo i primi giorni il trattamento cominciò a divenire meno barbaro: e i prigionieri si facevano coraggio e consolandosi aggredivano la noia cantando, recitando commedie. Il giovine medico FRANCESCO BISATTI di Este aveva una voce bellissima, e cantava con l'ex-legislatore GIOVANNI BIGIONI di Chiari. I bravi fratelli Domenico, Giovanni e Giuseppe BUTTAFUOCO, di Poggio Mantovano, cantavano a coro canzoni repubblicane italiane. Il pretore MEJEROLINI sonava il violino, l' APOSTOLI compose una commedia intitolata il "Barbiere di Sebenico", e nel recitarla si distinsero il Bisatti, il capitano Caldara e Bigoni.
I prigionieri si consolavano anche soccorrendosi a vicenda con affetto fraterno. A questo fine, costituirono un'assemblea, di cui elessero a presidente il cittadino più vecchio, che era PAOLO NOCETTI, già professore a Pavia. Le discussioni erano sui modi di dare soccorso a chi ne aveva bisogno. Spesso la disputa si faceva rumorosa ; vi prendevano parte specialmente i milanesi BORTOLO RIGOZZI, GIUSEPPE MAROCCO, i mantovani FRANCESCO SOMENZARI, GIUSEPPE TOMAROZZI e il vecchio ex cappuccino CRESPI veneziano, che l'anno prima era stato presente nell'assemblea legislativa di Francia, come deputato delle Alpi Marittime.
Della beneficenza e dei soccorsi aveva cura amorosa il curato LUIGI BAGGI, che credeva di servire meglio Cristo amando i suoi fratelli, e favorendo il governo repubblicano. Affettuoso con tutti i compagni di sciagura porgevasi anche l'ex Pretore PIETRO COLNAGHI di Lecco.
Un bel giorno, i poveri prigionieri ebbero la lieta notizia della vittoria riportata da Napoleone a Marengo. La loro gioia fu estrema. La caverna risonò di canti poetici che celebravano il magnifico fatto. Tutti fecero prova d'ingegno e l'avvocato FERDINANDO ARRIVABENE di Mantova, cultore delle buone lettere, grande amico del Foscolo, come si vede dall'Epistolario di questo, e notissimo per il suo Secolo di Dante, declamò stupendi versi: FRANCESCO RIGHETTI pianse la morte del prode Desaix; altri scrissero sonetti e canzoni, che l'amore di patria ispirava.
Dopo quell'annunzio speravano che ad ogni momento giungesse il messo annunziatore della libertà, ma le speranze riuscirono vane. Dopo lungo aspettare, il 17 settembre furono inviati nella più lontana prigione austriaca, al Sirmio, nella bassa Ungheria. Il viaggio fu orribile attraverso i barbari paesi della Croazia; cattivo cibo, pessimo alloggio in case puzzolenti o in stalle messi dentro assieme agli animali: feroci erano i trattamenti di quelli che si credevano "condottieri".
A un certo punto, irritati, sette dei prigionieri più giovani e più animosi si rivoltarono e vennero ad aperta battaglia con gli sgherri ungheresi e croati, ad onta delle loro baionette. GIOVANNI BATTISTA FABBRI di Salò, FELICE BOSIO di Mantova, e l'avvocato PANCIERA di Udine davano colpi disperatissimi: il solo Panciera stramazzò quattro nemici: ma poi, soprafatti dal numero, dovettero cedere, e furono resi inermi riempendoli di catene dalla testa ai piedi.
Ai primi di novembre giunsero alla fortezza di Petervaradino, ove furono tenuti circa a quattro mesi in compagnia di malfattori.
Onesti cittadini, come il medico FERANDI di Mantova, MASSIMO VOLTA pure lui mantovano, BASALICA, professore, i due fratelli CASTELLI, e STECCHINi ex-municipali di Bassano, uomini di gentilissimi modi, furono accoppiati a scellerati assassini. Eppure questi stessi uomini avvezzi al delitto rispettavano l'onestà dei loro compagni e dall'esempio imparavano a ritornare sulla via della virtù; come ai tempi nostri, nelle galere del Borbone di Napoli, i malfattori si inchinavano con rispetto a LUIGI SETTEMBRINI, a CARLO POERIO, a SILVIO SPAVENTA, e ad altre vittime venerande della tirannide.
Molti dei prigionieri si distraevano con gli studi: alcuni studiavano il tedesco, altri l' inglese, che insegnava loro il coltissimo e paziente GIOVANNI GIUSEPPE MAROGNA. Molti discutevano di scienze e di politica: il valente pittore veronese POLFRANCESCHI faceva ritratti.
Alla fine nel febbraio del 1801 ebbero la dolcissima nuova della loro liberazione, e partirono il 25 per tornare in patria: la loro gioia era amareggiata solo dal pensiero che non tutti tornavano a rivedere la libera patria, che alcuni erano rimasti sepolti in quella barbara terra. Infatti nel frattempo vari erano morti alle Bocche di Cattaro: altri morirono in Croazia e al Sirmio. Morirono per i disagi e per gli stenti il professore PAOLO NOCETTI, che avea 70 anni, il bresciano GIROLOMA BONA, e il cremonese GIUSEPPE ZAPPONI, coltissimo giovane, unico figlio dei suoi genitori, amante della Repubblica nel modo con cui il Petrarca era innamorato di Laura.
I sopravissuti agli stenti e alle torture trovarono, appena giunti in Italia, le città intere che per festeggiarli andavano loro incontro a suono di campane e di bande; le strade al loro passaggio erano fiancheggiate di truppe di linea, e di guardie nazionali accorrenti per onorarli. Le terre e i paesi murati (scrive l'Apostoli), al loro passaggio preparavano illuminazioni : v'erano spari, parate, e rinfreschi e pranzi fraterni: le campane suonavano, e persino i preti cantavano il Te Deum per il loro arrivo.
Le città di Verona, di Brescia e di Bergamo si distinsero sopra le altre nel festeggiare i martiri della Repubblica ; e lefraterne e generose accoglienze fecero loro dimenticare i patimenti e le sciagure, anzi li accesero ancor di più nel desiderio di esporsi in avvenire a qualunque pericolo per la salute e per la libertà di questa patria carissima.(1) Lorenzo Mascheroni, nacque in provincia di Bergamo nel 1750 e vestì l'abito sacerdotale, come il Parini ; insegnò matematiche all' Università di Pavia e scrisse poesia didascalica. Mandato nel 1799 dalla Cisalpina a Parigi per la sistemazione dei pesi e delle misure, vi morì nel 1800 ispirando al Monti una cantica in sua commemorazione (la "Mascheroniana").
(2) Mantovano, professore di clinica medica a Pavia, nel 1797 Commissario in Italia del Direttorio francese, nel 1798-99 presidente del Direttorio della Cisalpina, poi dagli Austro-Russi deportato a Cattaro. Tornato alla vita pubblica dopo la riscossa francese, coprì altissimi uffici nel Regno Italico. (1739-1824).
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