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RIVOLUZIONE FRANCESE (2)
( UN'ALTRA OPINIONE )

 

L' "ANCIEN REGIME"
LE CAUSE DELLA RIVOLUZIONE


 
1


ALLA VIGILIA DELLA RIVOLUZIONE
LA RIVOLUZIONE IN MARCIA
GLI STATI GENERALI


  2


L'ASSEMBLEA
LA CONVENZIONE
IL TERRORE
IL DIRETTORIO
IL CONSOLATO
L'IMPERO NAPOLEONICO
FINE DI NAPOLEONE


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  ALLA VIGILIA DELLA RIVOLUZIONE

La Rivoluzione Francese non fu frutto dell'oppressione e della miseria. Uno dei miti rivoluzionari più conosciuti è che la Rivoluzione Francese fu la rivolta di masse affamate ed oppresse contro le oligarchie dominanti. Tuttavia, la Storia obiettiva ed imparziale dimostra esattamente il contrario.

Attualmente persino gli storici rivoluzionari, che quindi sono "insospettabili", riconoscono che la situazione delle classi più basse della popolazione era tutt'altro che miserabile. Persino uno storico socialista americano, Burns, nell'analizzare le cause della Rivoluzione, afferma che "dobbiamo notare che le sofferenze generalizzate fra le masse popolari non ne furono causa. La convinzione diffusa che la Rivoluzione si scatenò perché la maggioranza del popolo pativa la fame per mancanza del pane e che la Regina disse "mangino biscotti", è ben lontana dall'essere una verità storica. A differenza del suo impero coloniale, la Francia alla vigilia della Rivoluzione era ancora una nazione ricca e prospera. E' anche opinione degli storici moderni che i contadini di Francia del secolo XVIII beneficiassero di una situazione migliore di quella degli altri contadini d'Europa, eccettuati quelli inglesi. Che questa situazione tendesse a migliorare ulteriormente è provato dal declino della servitù nel corso del secolo che precedette la Rivoluzione, e dal fatto che una percentuale sempre maggiore di contadini divenissero proprietari terrieri".

Il noto storico francese Pierre Gaxotte, dell'Accademia di Francia, dice che "la miseria può suscitare dei moti, ma non genera rivoluzioni". Queste hanno cause più profonde, e, nel 1789, i francesi non erano infelici. I documenti più sicuri provano, al contrario, che la ricchezza aumentava considerevolmente da un secolo, e che le condizioni materiali di tutte le classi sociali, eccettuata la nobiltà rurale, erano sensibilmente migliorate.

All'epoca esisteva una tassa sui redditi chiamata "taglia". Questa imposta era calcolata in base ai segnali esteriori di ricchezza che i soggetti presentavano. Allora, per sfuggire al pagamento della tassa, i contadini cercavano di mostrare la maggior povertà possibile. Era un dogma profondamente radicato negli spiriti popolari che l'unico mezzo per non pagare al posto di altri, l'unico modo per non essere schiacciato da ingiuste angherie, fosse di restringere le spese, mostrarsi senza risorse, ed esternare la più completa penuria: "Il più ricco di un villaggio - scriveva nel 1709 il luogotenente dell'Ile de France- oggi non oserebbe ammazzare un porco se non di notte, perché, se lo facesse in pubblico, gli aumenterebbero le tasse". Rousseau, perdutosi un giorno in una montagna e pieno di fame, entrò nella casa di contadino e gli chiese da mangiare. L'uomo subito rifiutò: non aveva niente da dargli, perché gli avevano portato via tutto; per quanto cercasse, non avrebbe trovato nulla, era tutto vuoto. Rousseau supplica, insiste, declina la sua identità. Il contadino lo ascolta e, calmatosi e riacquistatala sua tranquillità, apre tremando un nascondiglio, dal quale, con fare misterioso, estrae pane, carne e vino, spiegando che sarebbe un uomo perduto "se sapessero che posseggo tali sostanze". Questa era esattamente la situazione del contadino durante l'Ancien Regime: una grande affettazione di miseria e, dietro questo manto di stracci, una vita calma, quasi sempre senza difficoltà e qualche volta agiata.

La servitù che si mantenne in quasi tutti i paesi d'Europa, non esisteva più in Francia. La maggior parte dei contadini erano uomini liberi ed anche proprietari. La verità è che, alla vigilia della Rivoluzione, almeno metà del suolo, apparteneva a loro.

Nonostante l'azione nefasta dell'assolutismo, l'autorità regia, teoricamente assoluta, conservava ancora, in larga misura, il carattere organico della civiltà medievale.

Il potere giudiziario manteneva molte delle sue prerogative medievali di autonomia. Della Bastiglia, presentata dai rivoluzionari come un simbolo di oppressione, un testimone dell'epoca scrisse: "E' un favore del Re l'essere condannati a una prigione tanto bella. Là vi sono, è certo, comodità e piaceri che neppure tutti i grandi principi hanno nei loro palazzi, e una libertà tanto grande che da là gli occhi possono godere di gradevoli paesaggi".

Come disse uno storico famoso, "la Francia anteriore alla Rivoluzione non era affatto infelice. Aveva dei motivi per lagnarsi, ma non per rivoltarsi". C'erano alcuni problemi da risolvere, ma essi di per sè non avrebbero potuto provocare la tragedia che si verificò, se una profonda crisi religiosa e morale non avesse minato le anime.

LE VERE CAUSE DELLA RIVOLUZIONE. IL PROCESSO RIVOLUZIONARIO

Come abbiamo già visto, la Rivoluzione Francese fu la seconda delle tre grandi rivoluzioni della Storia dell'Occidente: la Pseudo-Riforma, la Rivoluzione Francese e il Comunismo. Pertanto, fu la continuazione ad un grado più raffinato e radicale dei principi del Rinascimento e della Rivoluzione Protestante, con lo stesso obiettivo di instaurare uno stato di cose opposto alla civiltà cristiana.

Proprio questo fu l'obiettivo ugualitario e satanico della Rivoluzione Francese, molto diverso dall'ideale romantico e umanitario che molti cercano di presentare.

PREPARAZIONE DELL'AMBIENTE

Qualunque movimento rivoluzionario, per riuscire, deve trovare un ambiente favorevole. Nel corso della Storia possiamo osservare che i colpi di Stato e le riforme politiche sono molto spesso state precedute e preannunciate da profondi cambiamenti di mentalità; essi avvengono dapprima nel dominio delle tendenze, per poi attingere il campo delle idee: infatti l'azione sulle tendenze prepara gli spiriti ad accettare le dottrine errate. Quando questo processo è compiuto, basta un piccolo incidente per fare esplodere la rivoluzione.

CAUSE REMOTE DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE. SUL PIANO DELLE TENDENZE

Sul piano delle tendenze la causa remota della Rivoluzione Francese si trova nei costumi pagani e nel naturalismo della società rinascimentale. Il sarcasmo letterario anti-cattolico degli umanisti, ebbe un importante ruolo nello sviluppo di questa mentalità; anzi, in un certo senso, contribuì di più alla diffusione dello spirito rivoluzionario che gli stessi dottrinari. Possiamo citare come un esponente di questa azione nefasta il noto umanista Erasmo da Rotterdam.

SUL PIANO DELLE IDEE

Sul piano delle idee agirono soprattutto i sensisti ed i deisti inglesi.

Il sensismo spiega l'origine della conoscenza esclusivamente con l'uso dei sensi; pertanto, per i sensisti, è impossibile conoscere con la ragione quel che non è sensibile.

Per quanto riguarda il deismo, esso deriva dalla negazione del soprannaturale, per cui si forma un tipo di religione secondo cui Dio esiste, ma è solo il dio che la ragione umana può capire: non esiste altra forma di religione, Gesù Cristo non è Dio, c'è solo un Dio perso tra le nuvole, e del quale non si sa cosa pensare. Così il deismo genera una mentalità atea. Il deismo ebbe un grande sviluppo in Francia. Il tipo umano del deista è, per esempio, Voltaire.

Queste dottrine trovarono accoglienza perché il giansenismo - una specie di calvinismo camuffato di austerità-aveva minato lo spirito religioso dei fedeli, senza trovare forte opposizione nel clero, eccezion fatta per alcuni santi, come, ad esempio, san Luigi Maria Grignon de Montfort: le regioni da lui evangelizzate - come la Vandea- furono quelle che opposero la maggior resistenza alla Rivoluzione.

CAUSE PROSSIME DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE
SUL PIANO DELLE TENDENZE

Nonostante avesse conservato forti tratti dello spirito medievale, la società dell'Ancien Regime presentava profondi aspetti dei costumi pagani ereditati dal Rinascimento. Siccome lo spirito rivoluzionario tende a una rafforzarsi progressivamente, questo stato d'animo si accentuò sempre più.

La società, alla vigilia della Rivoluzione Francese, era già profondamente diversa rispetto all'epoca rinascimentale, e ancor più rispetto a quella medievale.

Il clero, la prima delle classi sociali, era stato corrotto interiormente dal giansenismo e dal gallicanesimo (spirito di indipendenza nei confronti di Roma). Ormai in alcuni il rilassamento della disciplina ecclesiastica era completo: in alcuni conventi le religiose vivevano in modo così mondano che era quasi come se stessero a casa loro; molti vescovi passavano tutto il loro tempo a corte, alle feste e a caccia, curandosi assai poco degli affari spirituali.

Mentre il nobile medievale era un forte guerriero, vigoroso per la lotta, il suo discendente, il "marchesello" della vigilia della Rivoluzione, sembrava più un ninnolo che un guerriero. La sua unica preoccupazione era non di essere coraggioso nè eroico, ma grazioso.

Questo tipo d'uomo finì con l'essere dominato quasi interamente dall'amore ai piaceri. Non aveva più ideali per cui lottare, nè principi da servire, per cui si dedicava esclusivamente a godere la vita, essere elegante, bello, gradevole e aggraziato.

Eccezion fatta per la Vandea, l'unica regione che lottò contro la Rivoluzione e dove vi fu coesione controrivoluzionaria, in tutte le altre province di Francia la società si disgregò, perché il gusto per il piacere della vita aveva assorbito tutte le virtù, tutte le qualità. Il gentiluomo, frivolo e affettato a cui si appoggiava il trono, non era più in condizione di far fronte alla Rivoluzione.

Un fatto molto importante da sottolineare è che lo spirito rivoluzionario inizialmente penetrò nella corte di Versailles non attraverso le idee, ma per mezzo della sensualità: lo sviluppo delle tendenze disordinate portò la corte francese alla rovina.

La futura Madame Pompadour, figlia di un borghese molto ricco, esiliato per commerci poco puliti, e di una donna dai dubbi costumi, frequentava con grande lustro e prestigio i saloni dell'aristocrazia parigina, ma intanto, poichè orgoglio e sensualità vanno sempre assieme, manteneva corrispondenza con Voltaire, cosa a cui allora aspiravano tutti i Re e regine d'Europa. Quando divenne cortigiana di Luigi XV, la sua influenza crebbe enormemente, e con essa la penetrazione della mentalità rivoluzionaria, che si manifestò soprattutto con la tendenza ad abolire quanto c'era di solenne e cerimonioso nella vita di corte. I filosofi atei ben percepivano il ruolo da lei sostenuto nella preparazione dell'ambiente, ormai dominato dalle tendenze illuministiche, infatti combattevano la stessa battaglia. Per questo Voltaire ed altri scrittori dell'epoca non cessavano di lodarla e difenderla. Caduta poi in disgrazia, creatisi il vuoto attorno a lei la si lasciò andare incontro al suo triste destino

Il cattivo esempio della nobiltà e del clero finì col contagiare le altre classi sociali.

CAUSE PROSSIME DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE
SUL PIANO DELLE IDEE

Sul terreno dottrinale, le cause prossime della Rivoluzione furono l'illuminismo e l'enciclopedismo. L'illuminismo era caratterizzato principalmente dalla fiducia nell'uso della ragione. Nel campo religioso, pretendeva di pervenire ad una religione naturale, che non negava Dio, gli riconosceva il ruolo di Creatore, ma non ammetteva la sua azione costante sul destino degli uomini.

In Francia, l'illuminismo fu rappresentato dagli enciclopedisti. Si trattava di un gruppo di rivoluzionari che si riunirono per redigere un'enciclopedia, ossia, una compilazione di tutte le conoscenze esistenti a quel tempo, ma completamente riproposte alla luce dell'idea che rispetto a Dio non si può conoscere alcunchè, e che tutte le religioni sono false. I principali organizzatori dell'Enciclopedia furono Diderot e d'Alembert. Fra gli enciclopedisti, molti dei quali discendevano da protestanti, si affermò, soprattutto per opera di Rousseau, la dottrina della completa uguaglianza civile e quella del Contratto Sociale. Secondo Rousseau, gli uomini primitivi vivevano in una condizione anarchica, e solo successivamente risolsero di vivere in società, per cui ognuno rinunciò a una parte di libertà a favore del "contratto sociale". Ora, diceva egli, gli uomini nel loro stato naturale erano buoni e felici, perché erano tutti uguali. Fu la società che li corruppe e li rese infelici stabilendo delle diseguaglianze.

La Massoneria ed altre sette segrete contribuirono alla diffusione delle idee rivoluzionarie, insieme alle "società di pensiero" e ai cosiddetti "salotti".

I "salotti letterari" erano circoli che si riunivano, in generale, in casa di dame dell'alta società per discutere questioni di letteratura, arte, poesia e buon gusto. Più tardi, si aprirono ai filosofi, e divennero centri di propaganda delle nuove idee. In questi ambienti, l'arte di conversare era coltivata accuratamente, poichè costituiva uno strumento molto efficace per la diffusione delle idee rivoluzionarie.

LA PENETRAZIONE DELLO SPIRITO RIVOLUZIONARIO
NEGLI ALTI STRATI DEL CLERO E DELLA NOBILTà

Al contrario di quanto certi libri continuano a raccontare, gli strati sociali più colpiti dallo spirito rivoluzionario non furono quelli popolari, bensì il clero e l'aristocrazia, che furono i principali responsabili della Rivoluzione. Invece, la maggioranza dei capi del movimento controrivoluzionario aveva origine dai ceti popolari. Voltaire, ad esempio, frequentava i circoli sociali più in vista dell'epoca, e contava su un gran numero di ammiratori tra l'aristocrazia.

Alcuni episodi illustrano assai bene la penetrazione delle idee rivoluzionarie fra i nobili.

Durante la Rivoluzione, in Austria venne celebrata una S. Messa per le anime dei re francesi assassinati dalla Rivoluzione. Nel sermone, il predicatore accusò Rousseau di essere, con le sue dottrine, il responsabile di tutti quei mali, ma fu fischiato in piena chiesa dai nobili presenti, che erano fuggiti dalla Francia perseguitati dalla Rivoluzione!

Il Duca d'Orleans, cugino del Re, era gran maestro della massoneria. Maria Antonietta, in una certa occasione, elogiò il carattere filantropico della Rivoluzione. Luigi XVI, oltre ad affiliarsi alla massoneria, appartenne ad un'altra società segreta dell'epoca.

Malesherbes, che era un amico personale di Rousseau, occupava la carica di "direttore della biblioteca"; incarico che gli attribuiva la funzione di controllare tutte le pubblicazioni prodotte in Francia. Una volta Rousseau ebbe difficoltà a trovare una tipografia che pubblicasse le sue opere. Malesherbes si incaricò di aiutarlo, ottenendo quello di cui aveva bisogno. La grande preoccupazione della censura non era di reprimere i libri rivoluzionari, ma quelli che cercavano di difendere le istituzioni vigenti. Il giornale "année Litteràire" fu sospeso diverse volte per aver attaccatoVoltaire e Marmontel, ed aver difeso il trono. Freròn, il suo redattore, che era monarchico e semi-rivoluzionario, fu quasi processato per aver attaccato l'Enciclopedia. La censura proibì la circolazione di un lavoro del sacerdote Geoffray contro Diderot, uno degli organizzatori dell'Enciclopedia.

Nella stessa famiglia reale, troviamo tracce dello spirito rivoluzionario. La Regina Maria Antonietta aveva grazia, maestà, coraggio, spirito, ma soffriva anche della moda secondo cui ci voleva, ovunque, semplicità e libertà. Le cerimonie la spazientivano e la annoiavano. Si lasciò convincere facilmente che "sarebbe stato un errore non tornare alle consuetudini felici dei primi feudatari; che in un secolo tanto illuminato, nel quale si mettevano da parte tutti i preconcetti, i sovrani si dovevano liberare di quelle scomode pastoie che l'uso imponeva loro, e che era ridicolo pensare che l'obbedienza dei popoli dipendesse dal numero maggiore o minore di ore che la famiglia reale passava in un circolo di cortigiani infastiditi e irritanti".

Il tumulo di Rousseau a Ermenonville si trasformò in un centro di pellegrinaggi. Uno di questi pellegrinaggi annoverò persino la partecipazione di Maria Antonietta e dei principi e principesse di corte. Rousseau nelle sue opere affermava, fra le altre cose, che tutti i Re sono dei tiranni.

A Versailles funzionava un teatro particolare, il Trianon, costruito da Maria Antonietta e frequentato dalla aristocrazia. Ivi venivano rappresentate composizioni così rivoluzionarie che la censura esitava a permettere che si dessero in pubblico. In molti casi, Maria Antonietta, che aveva buone doti di attrice, inscenava i ruoli più rivoluzionari, e la nobiltà applaudiva entusiasta i più violenti attacchi contro le istituzioni. L'alta società si incantava nel vedere delle scene somiglianti a quelle che si sarebbero svolte nelle strade poco tempo dopo.

Luigi XVI aveva dei difetti deplorevoli. Era stato educato secondo i principi difesi da Fenelon nella sua opera "Telemaco". In questa opera, Fenelon critica la condizione stessa di governante. "Che follia - dice egli- far consistere la felicità nel governo degli uomini... Insensato chi cerca di regnare! Felice colui che si accontenta della sua condizione privata e gradevole, nella quale la virtù gli è meno difficile. Temi, pertanto, temi figlio mio, una condizione tanto pericolosa... E' una servitù che avvilisce...". Il risultato di tale educazione fu la conformazione psicologica del Re: debole di carattere, sempre pronto a cedere, incapace di usare la forza, pauroso del sangue, senza grazia e sciatto. Un uomo che, nel cingere la corona a Reims, aveva detto: "Mi è scomoda...". Lo scomoderà per tutta la vita. Egli probabilmente pensò che la corona non era fatta per la misura della sua testa. In verità era la sua testa che non era fatta per la misura della corona. Pochi uomini hanno potuto partecipare a lotte ed avvenimenti tanto straordinari, come Luigi XVI. Mentre tutto si sgretolava intorno a lui, durante i giorni più drammatici del suo regno, egli nel suo diario scriveva una sola parola: "niente". Niente! Per lui, che non vedeva niente, non stava accadendo nulla. Come diceva Rivarol, egli camminava verso la Rivoluzione con la corona calata sugli occhi. Si racconta che quando una moltitudine di scellerati si abbatté sul palazzo di Versailles, in piena Rivoluzione, il Re chiese attonito quel che doveva fare, al che qualcuno gli rispose: "Fate la parte del Re...".

Tutto quello che, da vicino o da lontano, lo poneva in relazione al trono, era attaccato dalla stessa paralisi.

Oltre a questo Luigi XVI era imbevuto di idee rivoluzionarie, guardava con simpatia il partito filosofico e rivoluzionario e lo proteggeva. Basti dire che nominò Turgote Necker a cariche ministeriali perché iniziassero le riforme auspicate dalle conventicole di filosofi.

LA RIVOLUZIONE FRANCESE IN MARCIA

GLI STATI GENERALI

Prima della Rivoluzione la Francia non era in alcun modo infelice, ma diventò "uno Stato povero in un paese ricco" a causa di una crisi finanziaria.

Si è molto esagerato su questa crisi finanziaria, che, secondo quanto affermò Mirabeau, uno dei capi della prima fase della Rivoluzione, avrebbe potuto facilmente essere risolta in capo ad otto giorni.

La situazione non era, quindi, insostenibile. Ma una crisi intellettuale e morale aveva colpito l'anima francese fin nelle sue profondità. Anche i più piccoli conflitti venivano complicati fino a diventare esasperanti e, poi, disperati, mentre erano solo situazioni difficili: i leaders rivoluzionari ne approfittavano per fare esplodere la Rivoluzione.

Per tentare di risolvere questa crisi, nel 1787 si riunì un'assemblea di notabili, e poi, di fronte all'insuccesso della stessa, fu lanciata l'idea della convocazione degli Stati Generali.

Gli Stati Generali erano un'assemblea di origine medievale, costituita dai rappresentanti dei tre "stati" del regno, cioè, il clero, la nobiltà e il popolo. Era un organo consultivo che veniva convocato dal Re in vista di qualche questione particolarmente importante da risolvere. Con l'avvento dell'assolutismo, i Re smisero di convocare questa assemblea che non si riunì più per quasi 200 anni.

I rivoluzionari presentarono a Luigi XVI una falsa alternativa: o convocava gli Stati Generali o avrebbe camminato verso la catastrofe. Il Re non percepiva esattamente quel che succedeva. Intontito dal trambusto, crivellato di reclami, perseguitato dai lamenti dei grandi signori liberali, disorientato dagli scritti del Parlamento che descrivevano la Francia in fiamme, ingannato dai governatori che dipingevano tutto a fosche tinte per liberarsi da una missione che pesava loro, il Re di Francia immaginava di avere tutti i sudditi contro e cominciava a desiderare una soluzione qualsiasi, un accordo, un rimedio. La convocazione degli Stati Generali fu, nell'atmosfera di agitazione in cui si trovava la Francia, uno dei grandi errori tattici di Luigi XVI. Era come gettare paglia sul fuoco e incitare il paese all'agitazione, nel momento in cui era necessario procurargli calma e tranquillità.

La sorte del paese venne compromessa in una avventura, nella quale il Governo si era ficcato per la semplice ragione che non aveva osato nè voluto governare, quando aveva ancora la forza e i mezzi per farlo.

Nelle elezioni per la scelta dei rappresentanti del clero, della nobiltà e del "terzo stato", dei 1.165 deputati eletti quasi 900 erano simpatizzanti delle idee rivoluzionarie. All'epoca esistevano i cosiddetti "cahiers de doléances" (che erano dei quaderni per le lamentele degli elettori), dove i cittadini esponevano le loro aspirazioni. Secondo questi documenti, il paese desiderava la libertà, la scomparsa del dispotismo governativo, l'uguaglianza delle tasse, l'uguaglianza civile. Tuttavia, un fatto molto curioso era la estrema somiglianza fra i testi dei "cahiers de doléances" provenienti dai punti più diversi del paese. Ciò solleva il forte sospetto che essi fossero stati preparati non solo dalla stessa mano, ma anche dalla stessa testa...

I deputati si presentarono agli Stati Generali divisi in due correnti; la prima, minoritaria, era formata dai cosiddetti aristocratici e difendeva le istituzioni vigenti, la seconda era formata dai cosiddetti "nazionali" o "patrioti", costituiva la maggioranza, e difendeva i principi rivoluzionari. Era composta dai deputati del Terzo Stato, e appoggiata da importanti elementi della nobiltà, come LaFayette, Condorcet, Mirabeau, e da elementi del clero, come l'Abate Sieyès. Gli Stati Generali furono inaugurati il 5 maggio del 1789.

Fin dalla prima riunione sorsero attriti e l'ambiente cominciò a farsi pesante; il primo conflitto serio si verificò sulla forma della votazione.

Secondo l'uso tradizionale, il voto era dato per "ordine", cioè al momento di discutere un problema, il clero aveva un voto, la nobiltà un altro e il popolo un terzo voto. I leaders rivoluzionari proposero la sostituzione di questo sistema con quello del voto per testa, cioè, la votazione sarebbe stata individuale e non più per classi. Con questo sistema la maggioranza sarebbe sempre spettata al TerzoStato, che oltre ad un numero maggiore di deputati, contava su numerosi simpatizzanti fra il clero e la nobiltà.

Siccome non si giungeva ad un accordo, i deputati rivoluzionari, contando sulla complicità della nobiltà e sull'appoggio decisivo del clero, il 17 giugno si autonominarono Assemblea Costituente; Luigi XVI, al quale ripugnava ogni metodo violento, cedette. Era l'inizio della Rivoluzione.

L'ASSEMBLEA COSTITUENTE

Il giorno 17 giugno 1789 l'Assemblea Nazionale si trasformò in Assemblea Costituente; il suo obiettivo principale era di dare alla Francia una Costituzione. Con questo lo Stato francese smetteva di essere una monarchia assoluta per diventare una monarchia costituzionale.

Poichè l'assemblea si formò, come abbiamo visto, grazie ad un atto di ribellione contro l'autorità regia, il suo esempio servì da stimolo all'indisciplina: ovunque si verificarono dei moti e l'anarchia si diffuse.

LA CADUTA DELLA BASTIGLIA

Il giorno 14 luglio, circa 600 ammutinati, dopo avere rubato fucili e munizioni, si diressero alla Bastiglia allo scopo di procurarsi altre armi. La guarnigione della Bastiglia era composta da circa 60 invalidi e 30 soldati di un reggimento svizzero.

Erano già tre mesi che Parigi era infestata da individui cenciosi, riuniti non si sa come; vagabondi dalla fisionomia selvaggia, "facce come non si ricordava di aver mai visto in pieno giorno". Marat, insospettabile di avere tendenze reazionarie, scrisse che la Bastiglia era stata attaccata da alcuni miserabili "forestieri o provinciali" aiutati da soldati ammutinati, e che i parigini, attratti dalla curiosità, avevano assistito a tutto come semplici spettatori.

Il Direttore della prigione aveva ordine di alzare il ponte levatoio che dava accesso al castello. Alcuni colpi furono sparati intorno a mezzogiorno, ed altri alle quattro. Poi i manifestanti, essendo riusciti a procurarsi un pezzo d'artiglieria, spararono un colpo di cannone. La resistenza fu nulla. Gli invalidi, raggruppati in un cortile del castello, non volevano lottare: si parlamentava, scambiando pezzi di carta per la fenditura del ponte levatoio ancora alzato.

Alcuni assedianti proposero di incendiare la Bastiglia; l'intera Parigi si precipitò in via Saint-Antoine. Certuni erano persino muniti di cannocchiali. Il quartiere era ostruito da carrozze lussuose ed eleganti. La Bastiglia capitolò alle sei. Gli attaccanti si lanciarono contro la fortezza, invasero gli alloggi degli ufficiali, ferendo, uccidendo, rompendo e rapinando. I prigionieri, terrorizzati, si tenevano trincerati nelle carceri. Furono tranquillizzati, abbracciati, portati in trionfo: erano in tutto sette: 4 falsari, due folli e un sadico. Sette martiri liberati erano pochi, era deludente.

Chateaubriand, perso nella moltitudine, così descrive i vincitori della Bastiglia: "Ubriachi e felici, conquistatori da cabaret, a cui le prostitute e i sanculotti facevano corteo...". I parigini "si tolsero il cappello per rispetto alla paura, davanti a questi eroi, dei quali alcuni morirono di fatica durante il loro trionfo".

Quanto agli ufficiali della Bastiglia, furono fatti a pezzi sul momento, alcuni torturati fino alla morte. Il direttore de Lawnay, fu messo in ceppi, trascinato fino allo "Hotel de Ville", e finalmente decapitato. Un cuoco si sentì in obbligo di staccargli la testa dal tronco con l'aiuto di un coltellaccio, perchè, come disse, era abituato a tagliare carni. Poi, questa testa insanguinata fu portata sulla punta di una lancia.

Grazie all'alone di gloria che si creò attorno alla caduta della Bastiglia, il giorno 14 luglio 1789 fu scelto come la data che separa l'Ancien Regime dai tempi moderni.

Così, la conquista di una vecchia prigione, quasi vuota e sorvegliata da alcuni invalidi, fu la prima prodezza della Rivoluzione. Se il popolo in questa occasione credette di essere salutato dall'aurora dei tempi nuovi, ed aver diminuito il numero delle prigioni, il regno del Terrore gli avrebbe dimostrato successivamente che nulla aveva capito dell'esercizio della libertà. Diversi preti parteciparono all'assalto della Bastiglia, come Fauchet, che poi pronunciò l'orazione funebre per coloro che erano morti, basandosi su un testo della Scrittura: "Fratelli, siete chiamati alla libertà". Più di un Te Deum fu cantato per commemorare questa prima vittoria rivoluzionaria.

LA NOTTE DEL 4 AGOSTO 1789

La notte del 4 agosto, il visconte di Noailles propose dalla tribuna dell'Assemblea Costituente l'abolizione di tutti i diritti feudali. Nonostante lo spavento dello stesso Terzo Stato, un altro nobile, il ricco duca d'Aiguillon, difese calorosamente la mozione. Il vescovo di Nancy reclamò l'estensione della misura alle terre ecclesiastiche. L'Arcivescovo di Aix chiese che fosse dichiarata nulla ogni convenzione che riesumasse il regime feudale. Un deputato del clero della Lorena, chiese la soppressione degli "anatas", cioè, un tipo di imposta pagato alla Chiesa.

Tutti erano disposti a privarsi di privilegi secolari, che volevano deporre sull' "altare della Patria": le città cedettero le loro immunità, i vantaggi economici, le libertà municipali. Le province rinunciarono alle loro assemblee locali, ai loro vantaggi finanziari e politici.

Alle 4 della mattina, tutte le vecchie istituzioni francesi erano scomparse: del glorioso passato non restava nulla; quel che aveva costituito la gloria della patria di S. Luigi era stato sacrificato senza rimorsi. Si svegliò un mondo nuovo, che però esigeva il sangue di nuove vittime per vivere.

LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL'UOMO

Sempre nel mese di agosto, fu approvata dalla Costituente la "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino", magna carta della Rivoluzione francese e dell'era storica da essa inaugurata.

In questo documento la tesi egualitaria si esprimeva in tutta la sua nudità: "Gli uomini nascono e rimangono liberi ed uguali nei diritti". Il testo della famosa dichiarazione era generico: affermava la libertà e l'uguaglianza senza menzionare qualsivoglia restrizione, favorendo così un'interpretazione piatta e negativa di uguaglianza e libertà assolute e senza limiti.

Era questa l'interpretazione che rispondeva allo spirito rivoluzionario nascente. Per tutto il suo corso, la Rivoluzione andò progressivamente eliminando i suoi stessi partigiani che non condividevano questo spirito.

L'ATTACCO AL PALAZZO DI VERSAILLES

In ottobre si diresse a Versailles un'orda guidata da un gruppo di donne della più bassa condizione, per costringere il Re ad approvare le nuove misure rivoluzionarie. La guardia ricevette l'ordine di non sparare: il Re detestava le violenze. La turba invase i cortili, abbattè le porte, penetrò nel palazzo e giunse fino agli appartamenti della Regina. Delle guardie del Re, alcuni caddero feriti, altri assassinati, e i loro cadaveri squartati e trascinati nella melma, oltre che pestati dalle donne. Molte di esse gridavano contro la Regina: "vogliamo tagliarle la testa, strapparle il cuore, friggerle il fegato, toglierle le budella per ornarci con esse e, poi, tutto finirà". Si alzò il grido di "il Re a Parigi". Per evitare nuove disgrazie, il Re credette necessario cedere, cosa che, purtroppo, era sempre pronto a fare.

Si mise allora in marcia un corteo grottesco: in testa, a mò di trofeo, le teste insanguinate delle guardie; poi una fila di donne, di banditi, che gesticolavano nel modo più osceno; seguivano dei soldati in disordine disposti a caso; infine, in mezzo ad una foresta di lance e baionette, la carrozza reale.

Il Re e l'Assemblea a Parigi erano sotto l'azione diretta dei rivoluzionari. Nonostante tutto, il prestigio del Re era ancora considerevole; ma Luigi XVI preferì ancora una volta collaborare, "per il bene della Patria"...

I PARTITI E I CLUBS

All'inizio, i deputati dell'Assemblea Costituente erano divisi in due gruppi: gli "aristocratici", contrari alle riforme rivoluzionarie, e i "patrioti", ad esse favorevoli.

Man mano che la Rivoluzione avanzava, diventava sempre più radicale. Ben presto, cominciarono a insorgere divergenze fra "patrioti", che si divisero in tre gruppi: i "monarchici", meno oltranzisti, che volevano fortificare l'autorità regia; i "costituzionali", che volevano una monarchia costituzionale; ed i più radicali, che volevano ridurre per quanto possibile il ruolo del Re. v Ma di fatto la Rivoluzione era manovrata dai "clubs": erano essi che prendevano le grandi decisioni. Dei clubs rivoluzionari, il più potente fu il club dei Giacobini, fondato nel 1789, col nome di "Società degli amici della Costituzione", che si riuniva nel convento dei domenicani, conosciuti in Francia col nome di Giacobini. I leaders più radicali e sanguinari usciranno dalle file di questo club.

LA COSTITUZIONE CIVILE DEL CLERO

La Rivoluzione francese ebbe un carattere aggressivamente anti-cattolico. Purtroppo, gli attentati da essa messi in atto contro la Chiesa furono favoriti dall'appoggio o dalla indifferenza dei cattolici riformisti di quel tempo. La Rivoluzione però, non si lanciò subito contro la Chiesa: finchè si sentiva debole, mascherò i suoi disegni.

Prima di decretare la Costituzione Civile del Clero, la Rivoluzione cercò di distruggere i possibili ostacoli. Contò sempre sull'appoggio di certi ecclesiastici che favorirono la politica di nutrire la belva per diminuirne il vigore. Con l'instaurazione della votazione individuale nell'Assemblea, "l'ordine ecclesiastico aveva smesso di esistere".

Le misure rivoluzionarie si susseguirono le une alle altre. Nella notte del 4 agosto 1789, furono aboliti tutti i privilegi ecclesiastici. Dopo, venne l'abolizione delle decime; con la Dichiarazione dei Diritti dell'uomo, fu stabilitala libertà per tutti i culti; poco dopo i beni della Chiesa furono "secolarizzati", cioè, espropriati. L'assemblea proibì l'emissione dei voti religiosi, e decretò che ogni religioso era libero di ritornare allo stato secolare quando voleva. Queste misure furono appoggiate da buona parte del clero, difensore del principio del cedere per non perdere.

Tuttavia, il vero assalto contro la Chiesa sarebbe venuto con l'elaborazione della Costituzione Civile del Clero. Questa legge rappresentava l'applicazione dei principi rivoluzionari del 1789 alla Chiesa.

Lo spirito egualitario della Rivoluzione non poteva tollerare una struttura profondamente gerarchica come quella della Chiesa Cattolica. Era necessario distruggere la gerarchia ecclesiastica, creare una nuova Chiesa, ugualitaria, che assomigliasse al giansenismo e al calvinismo. La disuguaglianza più vistosa era quella tra il Papa e i vescovi, per cui si doveva rendere l'episcopato francese indipendente da Roma e responsabile unico del governo della Chiesa in Francia. Ma era necessario andare oltre e diminuire la differenza tra il vescovo e il prete e fra questo e il laico.

Perciò i riformisti da una parte volevano eliminare titoli, privilegi, simboli e tutto quanto ricordasse ancora nella Chiesa gerarchia e, così, si opponesse alla Rivoluzione. D'altra parte volevano laicizzare il prete, rendendolo un funzionario dello Stato.

Una commissione dell'Assemblea, della quale facevano parte diversi sacerdoti, era incaricata di eliminare gli abusi che fossero presenti in materia religiosa. Questa commissione presentò un progetto che, secondo i rivoluzionari, aveva lo scopo di "ricondurre la Chiesa alla sua semplicità primitiva". A questo fine suggeriva alcune "riforme": abolire il titolo di Arcivescovo, diminuire il numero delle diocesi, destituire semplicemente i vescovi in eccedenza, far eleggere dal popolo i vescovi e i preti facendo votare anche chi non era cattolico, rendere indipendente la Chiesa di Francia da Roma, rendere collegiale la direzione delle diocesi.

La Costituzione Civile del Clero fu votata e approvata con degli emendamenti che la rendevano ancora più rivoluzionaria del progetto iniziale. Luigi XVI poteva ancora salvare la situazione ponendo il suo veto. Ma per far questo era necessario uno spirito combattivo, era necessario non essere deboli. Il Re era peraltro un uomo di religiosità sentimentale e decise di consultare la Santa Sede. Papa Pio VI gli inviò una lettera mettendolo seriamente in guardia contro le misure rivoluzionarie, e finiva raccomandando al Re di consultare gli arcivescovi di Bordeaux e Vienne, che però erano simpatizzanti della Rivoluzione.

Luigi XVI, con la coscienza tranquillizzata, decise di fare tutto quello che gli arcivescovi gli avevano raccomandato, ossia, cedere. L'applicazione di tale legge portò in Francia la persecuzione religiosa e la guerra civile.

La Costituzione Civile del Clero stabilì in Francia la cosiddetta Chiesa Costituzionale. Preti e vescovi furono obbligati a fare un giuramento di fedeltà alla Costituzione: in base alla accettazione o meno di esso, rimasero noti col nome di "preti giurati" o con quello di "preti refrattari".

LA FUGA DI VARENNES

Lo spirito della Rivoluzione francese, nella sua prima fase, usò maschera e linguaggio aristocratici e persino ecclesiastici. Frequentò la corte e sedette alla tavola del Consiglio del Re. Poi, divenne borghese e lavorò all'estinzione incruenta della monarchia e della nobiltà, e per una velata e pacifica soppressione della Chiesa.

La nobiltà, la cui complicità aveva aperto la strada al trionfo dei principi rivoluzionari, vista la direzione presa dalle cose, cominciò ad emigrare. Luigi XVI si convinse che l'unica soluzione per contenere il processo rivoluzionario, già molto avanzato per colpa della sua filosofia del cedere per non perdere, fosse abbandonare Parigi di nascosto, ritirarsi in qualche città o provincia, riunire ivi le truppe a lui fedeli e recuperare in questo modo il potere. Tuttavia, egli non voleva la restaurazione dell'Ancien Regime, ma una Rivoluzione moderata per impedire che gli emigrati più controrivoluzionari ristabilissero l'antico ordine di cose. La Nazione, che percepiva perfettamente che la Rivoluzione stava fatalmente precipitando, avrebbe risposto al suo desiderio.

La città scelta per la fuga fu Metz, grande piazzaforte militare la cui guarnigione era comandata dal marchese de Pouillé, considerato un ardente monarchico. Tutto fu combinato e, il 17 luglio 1790, il Re fuggì nascostamente da Parigi.

Tutto era stato preparato con cura: distaccamenti di truppe disposti nei punti strategici del cammino per il quale sarebbe dovuto passare il Re assicuravano il buon esito della fuga. Ma l'enorme carrozza che conduceva la famiglia reale procedeva con grande lentezza, cosa che produsse uno sfasamento di orari, pregiudicando così le operazioni. Inoltre il movimento delle truppe attirò l'attenzione dei contadini. A Varennes la famiglia reale fu riconosciuta e fermata dai rivoluzionari. Choiseul e Damas, comandanti delle truppe che avrebbero dovuto proteggere la strada, proposero di aprirsi il cammino a colpi di sciabola, e riprendere immediatamente il viaggio, ma Luigi XVI rifiutò: nessuna violenza, nessuno spargimento di sangue.

Dopo alcune ore, il Re ricevette un mandato di cattura emesso dall'Assemblea e si consegnò, come esso imponeva, per farsi riportare a Parigi. Il generale Bouillé arrivò poco dopo la partenza.

Il ritorno fu per i prigionieri un vero calvario: il corteo ubriaco, la moltitudine oltraggiante, minacce, insulti e stanchezza; giunsero persino a sputare in faccia al Re, un uomo fu assassinato per aver riverito la Regina.

Il caso di Varennes contribuì a raffreddare i sentimenti di fedeltà e affezione al Re che la maggioranza del popolo ancora conservava. Il monarca fu sospeso dalle sue funzioni fino alla promulgazione della Costituzione.

L'EPISODIO DI CAMPO DI MARTE

Il processo rivoluzionario è lo sviluppo, per tappe, di alcune tendenze disordinate dell'uomo. Man mano che gli avvenimenti precipitavano, il partito rivoluzionario era sempre più spinto a sinistra. I giacobini cominciarono a far circolare una petizione in cui si chiedeva la deposizione del Re; questo provocò una scissione fra i rivoluzionari più moderati, il club dei "foglianti", che difendeva la "monarchia costituzionale". I più radicali si riunirono nel club dei "cordiglieri", diretto da Marat, Danton e Camille Desmoulins. v I "cordiglieri" organizzarono una grande manifestazione nel Campo di Marte, per chiedere la deposizione del Re. Lafayette, comandante della Guardia Nazionale e Bailly, prefetto di Parigi proibirono la manifestazione. Tuttavia, la sfilata cominciò. Appena vide che il numero dei manifestanti aumentava, Bailly ordinò di spiegare la bandiera vermiglia, simbolo della legge marziale. I rivoltosi, abituati a vari anni di disordini, nei quali il Governo rimaneva inerte, non presero la minaccia sul serio; le guardie invece spararono e in pochi minuti il posto era vuoto.

Per la prima volta dal 1788, il governo legale resisteva ad una insurrezione; si instaurò un processo contro i promotori dei disordini; i capi del movimento furono ricercati; Danton fuggì in Inghilterra. Con un pò più di vigore, la corrente rivoluzionaria sarebbe stata soffocata. Al contrario si preferì, ancora una volta, la conciliazione: i processi furono archiviati e i clubs rimasero aperti.

L'episodio di Campo di Marte fu considerato una vittoria dei moderati. In seguito, il Re approvò la Costituzione. Ciò creò un clima di distensione e di euforia. La regina fu acclamata nell'Opera ed il Re quasi portato in trionfo per i giardini delle Tuleries. Parigi si abbandonava alla voglia di vivere; la Costituzione avrebbe assicurato la felicità della Francia. La Rivoluzione, si diceva, era finita: purtroppo essa era solo agli inizi.

LA COSTITUZIONE DEL 1791

La Costituzione del 1791, formata dall'insieme dei decreti approvati dall'Assemblea Costituente, dall'agosto del 1789 al settembre del 1791, introdusse importanti riforme: furono stabiliti i principi di sovranità popolare e di separazione dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. La Francia si trasformò in una monarchia costituzionale.


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