SCHED
PERSONAGGI
 

ALESSANDRO I DI RUSSIA


AMMIRAVA MOLTO NAPOLEONE,
SI DICHIARO' PERFINO ALLEATO
MA POI FU PROPRIO LUI A FARGLI TERRA BRUCIATA A MOSCA

di Maria Pia Perrotta 


ALESSANDRO I PAVLOVIC, ZAR DI RUSSIA
( 23 Dic. 1777 - 1 Dic. 1825 )

 

Nipote prediletto di Caterina II, zarina di Russia, finì con l’avere ugual destino della nonna nell’ascesa al trono, cinto il capo di una corona macchiata di sangue: Caterina diventò imperatrice con un complotto che portò alla morte del consorte Pietro Ulrico, Alessandro Pavlovic fu imperatore dopo che suo padre Paolo fu ucciso in una congiura di palazzo. Nell’oscurità della sua stanza, mentre avveniva il delitto, stretto alla giovane moglie Elisabetta, l’allora quasi ventiquattrenne Alessandro, tremante e terrorizzato, consumava sterili lacrime di figlio orfano ma nel medesimo istante prendeva atto del suo compito di futuro regnante.

Non che avesse due facce, in verità era solo un uomo dall’animo indeciso, custode segreto di due aspetti di una stessa realtà, che palesava così come gli dettavano il cuore e la ragione.

Sentì perennemente il peso del rimorso, per non aver saputo agire in un senso e nell’altro di fronte all’assassinio del genitore, forse non aveva la tempra di Caterina o gli piaceva sentirsi trascinare da eventi più grandi di lui, senza intervenire direttamente su di essi.

Compiaciuto del teatro della vita, cercò di mostrare sempre la maschera del buon attore, pietoso coi traditori, amabile con gli amici, premuroso e cavaliere con le donne, riservandosi di recitare, al momento opportuno, anche il ruolo di cattivo coi nemici. Ammirò e odiò colui che fece tremare l’Europa, il prodotto della Rivoluzione francese, ossia Napoleone, e si acquietò solo quando vide la sua fine, non avendo mai perdonato a quell’abile stratega l’essere giunto a minacciare il cuore del suo impero.

Da quel momento Alessandro divenne ostile ad ogni espressione di idea liberale, fino a trasformarsi nel più bigotto dei sovrani, pronto all’intervento dovunque si verificasse un focolaio di ribellione, fu insomma il paladino della Santa Alleanza, religioso strumento di repressione contro i diritti di libertà ed eguaglianza; in compenso fece tutto suo il concetto di fratellanza, in nome del quale prestò soccorso a tutti quei monarchi che invocarono il suo aiuto.

Alessandro fu il simbolo della Restaurazione, periodo che dopo il 1814, anno del Congresso di Vienna, segnò la fine, principalmente ad opera del Metternich, delle speranze di coloro che si battevano per quelle riforme atte a cambiare le condizioni dei popoli oppressi ma che scatenò inevitabilmente la riscossa negli anni futuri, poiché il seme dell’indipendenza era germogliato in tutta l’Europa.

 

LA GIOVINEZZA

Alessandro nasce il 23 dicembre 1777 dallo zar Paolo I e dalla granduchessa Maria Feodorovna (già Dorotea di Wurttemberg) ma viene subito sottratto ai due genitori dalla nonna Caterina che curerà personalmente la sua educazione, per farne un vero monarca secondo i suoi disegni. Com’è noto, lei non ama suo figlio e coltiva da tempo il desiderio di affidare il trono al nipote. Dopo circa 16 mesi nasce Costantino fratello di Alessandro, la dinastia è ormai al sicuro e Caterina è al settimo cielo.

I precettori dei due fanciulli sono rigorosamente maschi, alcuni di essi hanno ampie vedute e idee moderne, opportunamente scelti dalla zarina come l’arciprete Andrea Samborskj e il 29enne Frédéric-Cesar Laharpe, nemico della tirannia e amante del popolo.

Nel frattempo nascono le sorelle Alessandra, Elena, Maria, Caterina, Anna, l’ultimo sarà Nicola, il futuro zar.

Quando scoppia la Rivoluzione francese, Alessandro ha appena 12 anni, è troppo piccolo per capire la drammaticità dell’evento e ascolta frastornato i discorsi che si tengono a corte, cominciando ad intuire quanto sia difficile mantenere un trono e soprattutto farsi amare dai sudditi.

La vita scorre veloce per un futuro imperatore, ogni passo è vigilato, ogni manifestazione osservata attentamente e, quando si ritiene opportuno che sia cresciuto abbastanza, si sceglie per lui una moglie, Elisabetta Aleksèevna, principessa di Baden; è una bambina anch’essa e il loro rapporto, benché iniziato con l’attrazione di entrambi, col tempo si trasformerà in una specie di amichevole complicità che li terrà uniti nella buona e nella cattiva sorte, il marito sebbene trastullato in molte relazioni extraconiugali, nutrirà per lei costantemente un sincero affetto e la terrà nei dovuti riguardi spettanti ad un’ imperatrice.

Alla morte di Caterina sale suo figlio Paolo il cui regno, costellato di folli manie e di dispotico furore, cessa dopo soli quattro anni, muore infatti strangolato nella sua stanza da letto. Il 25 marzo del 1801 Alessandro (24 anni non ancora compiuti) diventa zar di Russia (incoronato Imperatore a Mosca il 27 settembre dello stesso anno) e le sue prime direttive politiche implicano la cessazione delle assurde riforme del padre; tutto sembra procedere sotto buoni auspici, l’entusiasmo del giovane regnante lo fa riavvicinare ai vecchi amici di un tempo, allontanati dal padre perché sospettoso delle loro idee progressiste e forma con essi un “Comitato segreto”, una sorta di club privato nel quale con Stroganov, Czartoryski, Kocubej, Novosilcov , discute di ogni argomento che riguardi il cambiamento della società, in particolare la condizione dei servi della gleba.

Ben presto gli ardori giovanili si spengono di fronte alla dura realtà e i “soci” prendono atto dell’assurda pretesa di cambiare lo stato di cose, la riforma non avrà mai luogo e il comitato chiude i battenti.

Ciò nonostante alcuni cambiamenti in seno alla politica interna vengono attuati, come quello di dare maggiore autonomia al Senato, si moltiplicano le Università e le scuole di ogni tipo, suddivise in sei circoscrizioni; la scuola militare, invece, rimane a San Pietroburgo perché Alessandro vuole controllare personalmente tale istituzione.

Perennemente diviso tra il desiderio di modernità e la paura di perdere la propria autorità, deluso egli volge lo sguardo oltre i confini del suo Paese, lo attira l’Europa, lì spera di essere più coerente con se stesso e con gli altri, è però vana illusione, i governanti europei troppo volubili, assetati di prestigio e potere, metteranno a dura prova il suo spirito flemmatico e prudente, inoltre c’è il “diavolo” che minaccia la pace del continente, Napoleone.

L’ATTIVITA’ DI ALESSANDRO IN EUROPA

Nello stesso anno 1801 firma un accordo con l’Inghilterra, stringe i rapporti con l’Austria ma si dichiara ben disposto nei confronti della Francia, resta ferma, però, la sua idea di lasciare la Polonia smembrata tra Russia, Prussia e Austria; fra tutte le nazioni dimostra maggiore simpatia verso la Prussia specialmente quando conosce Federico Guglielmo III e la sua affascinante consorte Luisa, dopo quell’incontro Alessandro si riterrà il naturale protettore di quel Paese.

Intanto l’astro napoleonico continua la sua ascesa e lo zar si dibatte tra l’ammirazione e il timore nei confronti del Corso, quell’uomo è un vulcano sempre attivo, repentino nelle sue mosse e per giunta imprevedibile. La notizia poi, dell’arresto e della veloce esecuzione del duca d’Enghien, suo amico e appartenente alla dinastia dei Borbone-Condé, nei pressi del castello di Vincennes, lo sconvolge ed egli si rende maggiormente conto della minaccia francese, si riaccosta allora all’Inghilterra per il da farsi e partecipa alla III coalizione contro la Francia. Napoleone esce vittorioso anche da questo conflitto; nonostante l’umiliazione nella battaglia navale di Trafalgar ad opera di Orazio Nelson, conquista Vienna e sbaraglia le truppe austro-russe ad Austerliz (dicembre 1805).

La guerra continua fino al 1807 contro la Russia e la Prussia, sempre a favore dei francesi fino alla sconfitta delle truppe russe a Friedland; seppur vincente, Napoleone non impone forti condizioni allo zar e cerca con lusinghe e promesse vantaggiose di crearsi un alleato ma i due non si intendono perfettamente, l’uno è miscredente, pratico e razionale, l’altro è mistico e romantico. Si avviano comunque ad un accordo a Tilsit il 25 giugno 1807, la pace sembra fatta anche in previsione di una spartizione equa dell’Europa, resta, però, un punto fermo, Alessandro non vuole cedere sulla questione della Prussia e non accetta di smembrarla ulteriormente poiché ha promesso al re e alla regina di essere loro amico. Per il momento Napoleone nicchia e, per sviare l’attenzione dello zar dalla faccenda, gli dà carta bianca per l’espansione verso l’impero ottomano e la Finlandia, in cambio riceve l’adesione al Blocco continentale contro l’Inghilterra.

I due imperatori giocano pesante e barano, si dichiarano alleati ma ognuno pensa a come guardarsi le spalle, inoltre la popolarità di Alessandro in patria è scesa perché i Russi non accettano questa amicizia con il francese, a tutto ciò si aggiunge la grave crisi economica provocata dall’interruzione dei rapporti con l’Inghilterra, non avvenendo più gli scambi commerciali con essa, tutte le classi sociali si trovano in forti difficoltà, inoltre la Finlandia conquistata, terra arida e fredda, non entusiasma nessuno.

Si cerca allora un ulteriore incontro che avviene a Ertfurt nel 1808 dove ognuno cerca di consolidare le proprie aspettative segrete e ufficiali ma non accade nulla di definitivo, in sostanza Alessandro e Napoleone non espongono con sincerità le loro argomentazioni al tavolo delle trattative e fingono condiscendenza reciproca, quando la posta è troppo alta si dimenticano i buoni propositi di lealtà e trasparenza.

Purtroppo basta un niente a distruggere un rapporto già precario e negli anni a seguire accadono non pochi fatti incresciosi che portano inevitabilmente alla rottura definitiva tra i due imperatori.

In primo luogo la vicenda della Polonia che Napoleone vuole riunire sotto il suo protettorato arricchendola della Cracovia e della Galizia occidentale, poi il diniego di Alessandro, circa un eventuale matrimonio con una delle sue giovani sorelle, induce il Bonaparte, offeso dal rifiuto, a chiedere la mano di Maria Luisa d’Austria; infine l’imprigionamento del papa Pio VII e l’annessione alla Francia del ducato di Oldenburg, il cui duca altri non è che il suocero di Caterina, adorata sorella dello zar.

Gli anni relativamente pacifici dal 1809 al 1812 non sfociano nella ricerca da parte di Napoleone di una politica distensiva poiché l’inesauribile ostilità con l’Inghilterra, lo sganciamento della Russia dal blocco continentale, la ribellione spagnola e l’odio delle nazioni sottomesse fanno si che si riattizzi il fuoco.

 

LA GUERRA FRANCO – RUSSA

Ad Alessandro le guerre non piacciono, il sangue gli ripugna, auspica un’Europa tranquilla con ogni nazione nei suoi confini, evidentemente ha dimenticato che la sua politica estera non ha mai smesso di abbandonare i disegni di annessione della Polonia, dettaglio trascurabile ma egli è l’uomo contraddittorio per eccellenza. Nelle sue lettere a Caterina confessa i suoi timori per ciò che ritiene un evento necessario, ne è convinto già all’indomani dell’incontro ad Ertfurt, sa infatti che né lui né Napoleone indietreggeranno dalle proprie posizioni. Cerca allora di blandire i Polacchi promettendo di ricostituirli nella loro nazionalità al solo scopo di estrometterli dall’alleanza francese, ora lo zar è un frequentatore assiduo dell’alta società di questo paese, ed è proprio ad una festa in Polonia che apprende la notizia: il 24 giugno 1812 la Grande Armata ha attraversato il Niemen.

Tornato in Russia, proclama la guerra patriottica, facendo affiggere un manifesto col quale incita tutti i russi a difendere la propria terra dall’invasore; la mossa ha il suo effetto, il popolo è con lui, tantissimi, tra giovani e meno giovani, tra i contadini, tra i Cosacchi, partono affidandosi alla guida del vecchio comandante Kutuzov, molto popolare e apprezzato dai soldati.

Napoleone ha allestito un imponente esercito di 685 mila uomini ma nonostante la lunga preparazione, iniziata un anno prima, commette l’errore di cominciare le operazioni solo al principio dell’estate del 1812: gli avvenimenti successivi mostreranno che questo ritardo gli sarà fatale.

I francesi si addentrano nel paese e puntano su Mosca, per lungo tempo i Russi si limitano ad azioni marginali e si ritirano, creando il vuoto intorno e davanti al nemico, bruciando tutto e portando con sé ogni cosa. A Smolensk e a Borodino sulla Moscova avvengono i primi scontri importanti con perdite quasi uguali dall’una e dall’altra parte.

A settembre Napoleone entra a Mosca ma la trova vuota e nella notte un immane incendio devasta la città; per un mese e più Bonaparte, preoccupato per le difficoltà dei suoi uomini isolati e senza approvvigionamenti, attende invano che lo zar chieda la pace, Alessandro stavolta è irremovibile.

E’ necessario dunque tornare indietro e comincia così la ritirata più disastrosa di tutta l’epopea napoleonica, la via del ritorno è desolata, è iniziato l’inverno, 28° gradi sotto zero sono difficili da sopportare per un esercito affamato, non abituato a quel clima e molestato dai continui attacchi dei Cosacchi.

Mentre Napoleone corre a Parigi per riorganizzare l’esercito, le nazioni si coalizzano contro di lui, eccezione fatta per l’Austria che mantiene un atteggiamento ambiguo fino alla proposta di trattare, che Napoleone rifiuta decisamente.

Nell’ottobre del 1813 si accende una delle più grandiose battaglie della storia, quattro giorni di combattimento con oltre 120 mila caduti; la superiorità numerica degli alleati non basta a far rifulgere la genialità strategica di Napoleone e i francesi ripiegano verso il Reno, inseguiti dai vincitori che giungono fino a Parigi, non senza colpo ferire, alla fine del marzo 1814. Soprattutto Alessandro ha desiderato questa campagna di Francia convinto che, solo penetrando nella nazione e osservando l’evolversi degli eventi, potrà esorcizzare la paura di una rinascita napoleonica e mettere fine ad un impero che ha rappresentato il terrore di mezzo mondo.

Il Corso abbandona il trono lasciando il posto a Luigi XVIII e parte per l’isola d’Elba mentre l’Europa tira un sospiro di sollievo e si prepara alla Restaurazione.

IL CONGRESSO DI VIENNA E LA SANTA ALLEANZA

Dopo Parigi, Alessandro si reca a Londra per un breve soggiorno e per salutare la sorella Caterina, da qui rientra nel continente, passa per Baden per riabbracciare la moglie dopo 18 mesi di lontananza e finalmente è in Russia dove l’attende l’amara realtà del dopoguerra, il paese infatti è da ricostruire; non potendo occuparsene personalmente, affida il difficile compito ad uomini capaci e parte con questa preoccupazione per Vienna.

Il Congresso si apre nel settembre del 1814 all’insegna del fasto e del divertimento, l’imperatore Francesco organizza per gli invitati balli e banchetti, battute di caccia, concerti, rappresentazioni teatrali ed ogni tipo di intrattenimento, in questo clima di sfavillante mondanità verranno decise le sorti dei Paesi europei.

Sin dai primi colloqui è evidente che c’è diffidenza reciproca tra i partecipanti, Austria e Inghilterra si oppongono alla politica di Alessandro nei confronti della Polonia, ad esse si aggiunge Tayllerand, ministro francese che dichiara apertamente e non senza insolenza (ricordiamo che rappresentava una nazione sconfitta) il proprio scetticismo verso una Russia rinforzata nei suoi confini e avanzata in Europa occidentale, il Metternich dal canto suo mette tutto l’ impegno per contrariare lo zar, che a sua volta non vede di buon occhio la posizione predominante che l’impero absburgico sta assumendo nel nuovo assetto. Spesso si litiga, ci si apostrofa e qualche volta la pazienza di Alessandro di fronte alla dura imperturbabilità del Metternich finisce con l’avere la peggio, tanto che un giorno esasperato sfida addirittura a duello lo statista, il singolar tenzone non avverrà ma da quel momento i due vivranno a debita distanza l’uno dall’altro.

Il risultato dei conciliaboli di Tayllerand è la nascita di un’alleanza segreta con Austria e Inghilterra ai danni della Russia e della Prussia.

Non è però solo la sistemazione dei territori a preoccupare gli alleati, esiste il pericolo che Napoleone possa sfuggire ad ogni controllo e rimettersi sul piede di guerra, si discute perciò anche di questo e si avanza l’ipotesi che venga allontanato dal Mediterraneo, con grande disappunto di Alessandro il quale, benché avverso al francese, tutto sommato ha una natura nobile e bonaria, al contrario degli altri congressisti.

Ciò che si teme non tarda a concretizzarsi, durante la notte tra il 6 e il 7 marzo 1815, Metternich apprende che Napoleone è effettivamente fuggito dall’isola probabilmente diretto a Parigi per riorganizzare l’esercito.

Messi dinanzi all’evidenza, i sovrani dimenticano gli intrighi e le rivalità e si preparano a combattere il comune nemico; il Congresso si chiude in tutta fretta e nella spiegabile confusione Alessandro è aiutato dalla pur avversa sorte: avrà la corona di Polonia.

La Prussia guadagna parte della Sassonia, la Vestafalia e la provincia Renana, la Germania viene organizzata in una confederazione di 39 Stati sotto il diretto controllo dell’Austria la quale rafforza il suo dominio nel Lombardo - Veneto, Napoli è restituita ai Borboni, Genova al re di Sardegna, la Francia rientra nei suoi confini e viene esentata dal pagare i tributi di guerra, l’ Inghilterra non accampa diritti sull’Europa, le basta aver consolidato la sua potenza sul mare e acquisite alcune colonie tolte alla Francia e all’Olanda.

Intanto Napoleone si è installato alle Tuileries e tra le carte lasciate in tutta fretta da Luigi XVIII sulla sua scrivania, trova il trattato ordito da Tayllerand che spedisce subito ad Alessandro per aprirgli gli occhi sugli alleati e renderselo ancora una volta amico. Purtroppo lo zar è sordo a questo invito e senza esitare prepara l’ esercito che, unito agli altri, raggiunge la cifra di 800.000 uomini contro i 700.000 soldati francesi; tutto ricomincia, l’incubo sembra non finire ma, nonostante la vittoria francese a Ligny, la tragica battaglia nella piana di Waterloo, nel 18 giugno 1815, segna il punto di non ritorno dell’avventurosa odissea napoleonica, il prezzo di questi “cento giorni “ del resuscitato impero sarà l’isola sperduta di Sant’ Elena, dove Napoleone chiuderà la sua esistenza il 5 maggio 1821. Questa volta la Francia, alla luce della seconda restaurazione, verrà depauperata di alcuni territori e dovrà pagare settecento milioni di franchi per danni di guerra, di cui cento andranno alla Russia.

Il riposo del guerriero dopo gli impegni bellici e diplomatici, per Alessandro consiste nel rifugiarsi nelle pagine della Bibbia, cosa che faceva anche prima ma che adesso è diventato un costume frequente e puntuale delle sue giornate,”colpevole” di questo suo ulteriore avvicinamento alla cristianità è la matura baronessa Giulia Krudner di Riga che rinvigorisce il fervore mistico dello zar coi suoi assurdi e roboanti sermoni.

Dopo una vita movimentata in tutti i sensi, Giulia ha rinunciato alle opulenze e ai piaceri effimeri per dedicarsi alla missione di rimettere il mondo sulle tracce della Chiesa primitiva e di estendere la parola di Dio.

Alle sue conferenze religiose intervengono molti principi e sovrani ma tra essi ella trova terreno fertile, più di chiunque altro, nell’imperatore di Russia, che è facilmente influenzabile e per di più dotato di poco senso pratico; inoltre lei lo chiama braccio di Dio, angelo bianco in contrapposizione a Napoleone che è l’angelo nero, inculcando in quella debole mente l’idea che sia veramente l’eletto del Signore.

Alessandro, dunque, al culmine della sua esaltazione religiosa, vuole rendere più saldi i rapporti tra le grandi potenze di Russia, Prussia e Austria e mette per iscritto tutto ciò che gli preme da un po’ di tempo; con questo trattato che prende il nome di Santa Alleanza, i tre sovrani hanno il dovere di aiutarsi vicendevolmente, per far regnare la pace fra le nazioni, l’accordo è concluso il 26 settembre 1815. La Francia, la Svezia e la Spagna, i regni di Napoli e di Sardegna si uniranno ad esso in un secondo momento, l’unico a non farsi coinvolgere è Giorgio IV d’Inghilterra, intimamente disgustato di un simile patto che ritiene non conciliabile colle libertà dei popoli, in compenso il ministro degli Esteri inglese Castlereagh promuove un secondo trattato, la cosiddetta quadruplice alleanza, nel novembre dello stesso anno.

Il ministro Metternich, spirito arguto e lungimirante, sorride dentro di sé dell’ingenuità di Alessandro e intuisce che tale alleanza, per quanto santa possa essere, servirà a soffocare qualsiasi iniziativa di ribellione, molti patrioti infatti cadranno vittime negli anni futuri di questa infernale macchina di repressione.

Assolto il compito di salvatore, lo zar fa il suo ingresso in Polonia, qui sfodera tutte le sue tecniche di seduzione e di astuta diplomazia per ingraziarsi il favore del popolo. Fa togliere il sequestro sui beni dei Polacchi che hanno servito sotto la bandiera di Napoleone, distribuisce sussidi di denaro prelevato direttamente dalla sua cassa personale, gratifica con vari titoli numerosi ufficiali, concede una certa libertà di stampa. Il 27 novembre 1815 firma infine la Costituzione, illudendo ancora una volta i Polacchi sul concetto di libertà.

IL DISPOTISMO DEI ROMANOV

Sempre più illuminato e devoto seguace della cristianità, da quando è tornato in patria Alessandro sembra aver perso l’interesse per qualsiasi cosa terrena, è malinconico, non partecipa più a feste mondane, in compenso è frequentatore assiduo di circoli mistici. In perfetta coerenza con la sua volubilità, tollera le sette religiose ma caccia dall’impero i Gesuiti, privando la gioventù russa di questi preziosi maestri e proprio quando il papa a Roma ha riaccolto e ricostituito l’ordine.

La politica interna è diventata per lui un onere insopportabile per cui decide di affidare l’amministrazione del Paese al generale del reggimento Preobazenski, già vecchio e fidato collaboratore del precedente governo, un uomo rozzo e ignorante ma fermo e determinato il quale compensa meravigliosamente l’instabilità cronica del suo imperatore. In poco tempo trasforma il Paese in tal modo che molti pensano sia tornata l’epoca di Paolo I, costui è Arakceev, un essere tanto brutto nel fisico quanto lo è nell’animo, la sua entrata in scena decreta l’inizio del dispotismo zarista: Alessandro ha voltato definitivamente le spalle alle idee liberali della giovinezza.

Viene intensificata e fortificata la macchina bellica, creando delle “colonie militari” sottoposte ad una ferrea disciplina, dove i soldati sono affiancati ai contadini in una reciproca collaborazione di lavoro militare e rurale, chi si rifiuta viene invogliato a suon di bastonate e severe punizioni. Ogni strato sociale e ogni manifestazione di qualunque natura sono sorvegliati dalla polizia di Stato, poeti e scrittori sospettati di intenti sovversivi vengono allontanati, professori dalle idee non conformi al regime espulsi dalle università, si vieta la lettura di opere liberali come quelle di Voltaire, Rousseau e Kant, alcuni libri vengono persino bruciati o trattenuti alle frontiere; tra le vittime illustri di questa epurazione c’è il giovane poeta Puskin.

Ma la Russia, per quanto arretrata rispetto al resto dell’Europa, ha respirato anch’essa la ventata moderna che la Rivoluzione francese prima e Napoleone dopo, hanno portato con sé, i fermenti innovativi che brulicano dappertutto nei primi decenni del nuovo secolo, sono presenti anche in quella grande terra. Invano lo zar ha cercato di preservare il suo impero da queste tendenze, si può spegnere un incendio, si può spezzare una vita ma non arrestare la forza del pensiero, anche i Russi hanno una mente e un cuore a cui ripugna questo assolutismo oscurantista.

Poiché la maggior parte dei governi ha adottato un sistema rigoroso di controllo, impedendo ogni manifestazione o espressione liberale, nascono le società segrete, per coordinare le forze e tentare l’azione, alcune già preesistenti, altre si moltiplicano e si estendono in tutto il continente, in Spagna si chiamano Comuneros, in Grecia Eteria, in Polonia Società patriottica nazionale, in Italia Carboneria e Società dei Sublimi Maestri Perfetti, in Russia Unione della salvezza. Esse percorreranno un sofferto e faticoso cammino che sgretolerà in modo lento e inesorabile le fondamenta della Restaurazione. Le prime avvisaglie di questo malcontento generale sono alcuni attentati in cui cadono vittime il duca di Berry, nipote del re di Francia ad opera di un giacobino nel 1816 e nel 1819 l’assassinio da parte di uno studente del giornalista reazionario Kotzebue, portavoce assoldato della Russia e probabile spia in territorio tedesco.

Nel frattempo i primi moti rivoluzionari in Spagna, nel Regno delle due Sicilie e in Piemonte, spingono il Metternich e lo zar a convocare dei congressi a Troppau nel 1920 poi a Lubiana e a Verona nei due anni successivi, per decidere gli interventi necessari. A più stretto contatto con lo spietato austriaco, Alessandro è completamente soggiogato dalla sua forte personalità e, dimentico delle divergenze con lui avute nel passato, si dichiara stupito per non averne compreso finora i disegni e la fermezza nell’agire, a rafforzare la sua tendenza all’autocrazia giunge, mentre è impegnato in una di queste riunioni, la notizia che in seno all’esercito russo è scoppiata una sommossa. Ancora più spaventato dalla piega degli eventi, lo zar è ormai succube del ministro fino a dare l’ennesima delusione a tutti coloro che ancora credono in lui; l’atteggiamento irresoluto, che mostrerà di fronte alla lotta per l’indipendenza dei Greci contro i Turchi, sarà l’ultimo colpo inferto alle speranze di un cambiamento sociale e politico.

L’eco della ribellione ellenica attraversa tutta l’Europa e tocca i cuori più nobili e sensibili alla causa della libertà, come il poeta inglese Byron e il patriota italiano Santorre di Santarosa, che accorrono in difesa degli oppressi ma non scuote quello di Alessandro, incerto sul da farsi, perché teme di sconfessare i princìpi della Santa Alleanza. Quando viene a conoscenza che il principe di origine greca Ypsilanti, ufficiale del suo esercito, ha attraversato la Moldavia con un piccolo esercito, al quale si aggiungono gruppi di volontari strada facendo, fino a propagare il moto in tutta la penisola, non sa come agire, vorrebbe coinvolgere le altre potenze ma incontra la loro netta opposizione. Inutilmente il ministro degli Esteri Capodistria lo sprona a mettersi a capo di questa “guerra santa”, teme, come gli ha prospettato lo stesso Metternich, che un suo intervento potrebbe accendere la scintilla di altre mille rivoluzioni.

La spedizione dunque fallisce e l’Ypsilanti, pubblicamente disapprovato ed espulso dall’esercito, è costretto a sconfinare in Austria, dove viene arrestato e lasciato per molti anni a marcire in galera, mentre feroci massacri bloccano almeno in un primo momento la rivolta, che avrà un lungo strascico in avvenire.

Sebbene confortato dalla fede, Alessandro sembra non raggiungere un equilibrio stabile, è irrequieto,viaggia assiduamente forse credendo di trovare un luogo dove sentirsi a suo agio, inutilmente speranzoso che i continui spostamenti possano alleviare le sue angosce terrene; nel contempo il rapporto tra lui e la moglie sembra rinverdire non nell’amore ma in un affetto sincero, anche perché la salute dell’imperatrice è diventata cagionevole e lui la sorveglia teneramente. Negli ultimi anni del suo regno, consolida l’idea di abbandonare la corona e di trasferirla a Nicola, poiché Costantino al quale spetterebbe la successione, per noiose complicazioni matrimoniali, ha perso il diritto a governare il paese.

Al ritorno da uno dei suoi viaggi, Alessandro trova la moglie peggiorata e dietro consiglio dei medici, decide di farle cambiare ambiente, si opta per Taganrog, un posto sperduto sul mar d’Azov che non ha nulla di ridente, la casa poi dove alloggeranno i sovrani è modesta, probabilmente adatta ad una vita solitaria e parca a cui ambiscono. Un mese dopo è costretto ad un giro di ispezione in Crimea ma nel viaggio di ritorno è colto dalla febbre e da una spossatezza innaturale, giunto a Taganrog, le sue condizioni si aggravano fino a condurlo ad un torpore che preoccupa i medici, i quali non riescono a capire la natura del male, inutilmente affaccendati a curare un moribondo.

Alessandro si spegne serenamente la mattina del 1 dicembre 1825 assistito fino all’ultimo da Elisabetta, che lo raggiungerà sei mesi dopo.


IL GIALLO DELLA MORTE

Come accade per molti personaggi famosi che hanno avuto un rapporto singolare sia con la vita che con la morte, Alessandro, zar di tutte le Russie, dopo la sua fine, ha trascinato dietro di sé una serie di racconti misteriosi, che ne arricchiscono il fascino.

La morte lo colse, in seguito ad una brevissima malattia, il 1 dicembre del 1825, alle dieci del mattino, subito dopo si procedé all’imbalsamazione del corpo, che venne successivamente esposto alle lacrime e alle preghiere del suo seguito.

Dalle parole di un testimone oculare durante la procedura di conservazione del cadavere, si evince che lo zar aveva un corpo perfetto tanto da poter servire splendidamente a modello di uno scultore.

Il corteo funebre si spostò da Taganrog soltanto il 25 dicembre e, considerata la notevole distanza di oltre 2000 Km dalla capitale, il viaggio dovette essere per forza lungo ma i viaggiatori non mostrarono particolare fretta date le circostanze, infatti le spoglie arrivarono a San Pietroburgo alla fine di febbraio del 1826. Cosa successe attraverso l’ultima passeggiata dell’imperatore su questa terra? Innanzitutto ad ogni sosta notturna il sarcofago veniva deposto puntualmente in una chiesa e spesso controllato nel contenuto, l’operazione veniva poi seguita dalla stesura di un verbale.

Trasferita nella cattedrale di Kazan la bara, contrariamente all’usanza russa, venne chiusa per ordine del nuovo zar Nicola I e concessa all’estremo saluto dei sudditi; troppo tempo era passato per non temere l’effetto che avrebbe fatto agli occhi della gente un corpo devastato, tuttavia l’imperatrice madre, ammessa con pochi parenti alla vista della salma, disse di riconoscerlo, nonostante ne avesse notato l’eccessiva magrezza.

Ancora sei giorni e il 13 marzo le spoglie vennero tumulate nella fortezza dei S.S. Pietro e Paolo.

Qui comincia la leggenda.

La morte in un luogo lontanissimo dalla capitale, il tardo arrivo a San Pietroburgo, l’impossibilità di vedere il corpo del defunto, alimentarono dubbi e supposizioni romanzesche.

Si cominciò a vociferare che lo zar non fosse morto a Taganrog ma partito per una destinazione santa, o addirittura che fosse stato rapito dai Cosacchi, infine emigrato in America; la conclusione ovvia di questi ragionamenti è che nella bara fu messo il corpo di un uomo somigliante ad Alessandro.

Col passare del tempo i mormorii si smorzarono ma dieci anni dopo compave nel governatorato di Perm un uomo anziano di bell’ aspetto che disse di chiamarsi Fedor Kuzmic, poiché non aveva documenti con sé e si dichiarò immemore delle sue origini, venne frustato e deportato in Siberia, dove visse poveramente, aiutato dai contadini del luogo. Notato dal mercante Chromov, fu preso sotto la sua protezione e ospitato in una casetta modesta nei pressi di Tomsk, nella quale si diede all’isolamento ieratico e alla completa meditazione.

Ciò che meravigliava di lui era la perfetta conoscenza delle Sacre Scritture, dei fatti storici russi ed europei, l’estrema finezza ed eleganza dei movimenti, inoltre una straordinaria somiglianza fisica, oltre che nei modi, con l’imperatore, addirittura in alcuni particolari atteggiamenti. La sua fama trascese i confini e molti, incuriositi dalle notizie che circolavano su di lui, andarono a visitarlo, anche tra le alte sfere della nobiltà.

Fedor morì nel gennaio del 1864 presumibilmente a 87 anni, ormai famoso e venerato quasi come un santo, non prima di aver compiuto miracoli e predetto eventi, sulla sua tomba sita nel convento di Sant’Alessio si legge questo epitaffio:”Qui riposa il corpo del grande starec Fedor Kuzmic, il Benedetto da Dio”. Tale appellativo fu attribuito anche ad Alessandro quando liberò la Russia dall’invasore francese.

Per la popolazione del luogo non esistono dubbi, lo zar si è trasferito lì per vivere in pace come aveva sempre sognato.

Alcuni grafologi notarono anche un’affinità tra la scrittura di Fedor a quella dello zar.

Ad avallare l’ipotesi sulla falsa morte di Alessandro concorrono alcune considerazioni logiche, delle coincidenze e verità inoppugnabili su tutta la vicenda. Egli aveva sempre dichiarato che verso i cinquant’anni si sarebbe ritirato a vita privata, e quando morì aveva quasi quarantotto anni; le relazioni dei vari medici che si avvicendarono al suo capezzale non sono tutte concordanti sul decorso della malattia; il verbale steso dopo la sua morte porta la firma di 9 medici, ma uno di questi e precisamente il dottor Tarasov negò di aver sottoscritto il documento. Qualcuno si è preso la briga di farlo al suo posto, falsificando la firma? E perché?

Un ‘altra prova, più inconfutabile di altre, è che l’esame encefalico dell’imperatore rivelò tracce della sifilide, malattia che non aveva mai contratto inoltre, durante l’autopsia, i medici rilevarono che la gamba sinistra afflitta dall’erisipela non aveva tracce della sofferenza diagnosticata in vita ma era la gamba destra a mostrare segni di vecchie piaghe.

In ultima analisi, secondo alcune testimonianze, all’apertura del sarcofago oltre venti anni dopo, ordinata da Alessandro III, non si sarebbe trovato nulla, così come, ad avvenuta rivoluzione bolscevica, nel 1921, pare che il governo sovietico verificasse anch’ esso l’assenza delle spoglie regali.

Che la mente del popolo russo abbia , per costituzione o per volontà storica, grande propensione alla fantasia, non esistono dubbi, ma che Alessandro abbia improntato la sua vita terrena e ultraterrena sull’enigma, è altrettanto certo. Sfuggito al giudizio degli uomini come uomo e come politico, ha reso il suo animo più intangibile che mai all’analisi dei contemporanei e dei posteri, egli stesso probabilmente non si conosceva. Nella sua altalenante realtà, proteso verso il bene non riuscì a concretizzarlo, divorato da una esasperante morale cristiana, nel suo febbricitante delirio dimostrò soltanto il potere e la forza di capo di Stato, attraverso i suoi ministri. Tormentato da una duplice natura, non seppe dominare né l’una né l’altra. I suoi stessi sudditi, dinanzi alla sua morte, non seppero se piangere l’Alessandro dei primi tempi, liberale e sorridente, o biasimare l’Alessandro dell’ultimo periodo, cupo e dispotico. La Sfinge del Nord, come molti ebbero giustamente a definirlo, non si concesse mai a nessuno, forse solo a Dio, chissà!

Maria Pia Perrotta 

Bibliografia:
1) Autore, Henri Troyat “Alessandro I, lo zar della Santa Alleanza”, ed. Bompiani
2) Autore G. Santonastaso, “Il corso dell’Umanità”, ed. ATLAS
3) Autori: Giardina-Sabbatucci-Guidotti “Uomini e storia”, ed. Laterza




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