DA
20 MILIARDI ALL' 1 A.C. |
1 D.C. AL 2000 ANNO x ANNO |
PERIODI
STORICI E TEMATICI |
PERSONAGGI E PAESI |
( QUI TUTTI I RIASSUNTI ) RIASSUNTO ANNO 1920 (5)
RIFLESSIONI
DI PARETO:
DOPO LA DISFATTA DEGLI IMPERI CENTRALI
VILFREDO PARETO
Pagine
da "FATTI e TEORIE" (1920)
(inerenti la Prima Guerra Mondiale e la disfatta degli Imperi Centrali)
Segue "TRASFORMAZIONE DELLA DEMOCRAZIA" (1921)
(Cap. "La fine del ciclo produttivo", "Come comincerà
il nuovo?")
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(pagg. 105-106, da Economia sperimentale) Cap. "Il termine del "giusto prezzo".
(che sta alla base di tanti provvedimenti legislativi;
e quella di varie ideologie che si manifestano durante la prima guerra mondiale).
"Le quantità dì certi oggetti venduti e comprati sopra un mercato e i prezzi pagati sono fatti. Ma il giusto prezzo é una entità che deve avere suo luogo in altra classe, per esempio, in quella in cui fanno bella mostra di sè il giusto, il buono, il bello, ecc. Sentimenti come quelli a cui gli uomini assegnarono il nome di valore stanno tra i fatti purché siano considerati oggettivamente, negli uomini che li provano; ma sono esclusi dai fatti quando un autore vuole che dal sentimento che egli prova e a cui ha posto il nome valore seguano i fatti del baratto e dei prezzi. La relazione sperimentale è inversa; cioè da quei fatti segue il sentimento di valore. Tornerebbe il valore a prendere posto tra i fatti quando fosse definito come una certa quantità, funzione matematica di dati sperimentali.
Non intendo menomamente esprimere un giudizio sui meriti dell'economia sperimentale e dell'economia che trascende dall'esperienza. Se facessi ciò uscirei ipso facto dal campo logico-sperimentale. Intendo solo descrivere fatti e trarne conseguenze logiche".
---------------------------------------------------(pagg. 335-346; 366-368; 378-389 Fatti e Teorie - Cap."Epilogo"
"Derivazioni dominanti (disfatta degli Imperi Centrali)
nel periodo della prima guerra mondiale e del dopoguerra""Fenomeno di grande momento è la disfatta degli Imperi Centrali. Ad un primo periodo, in cui furono fortunate le armi tedesche, superanti la insufficiente preparazione bellica delle plutocrazie dell'Intesa, e la insufficientissima dell'Italia, ne seguì un altro, che mise capo ad una intera vittoria degli alleati contro la Germania. Molte ne sono le cause, fra le quali evidentemente sono da porsi la enorme sproporzione delle forze in uomini e in denari, il nuovo carattere delle guerre moderne, tendente a fare prevalere questi, il dominio del mare assicurato all'Inghilterra, poi, agli Stati Uniti d'America. Ma non possiamo fermarci a tal punto, e dobbiamo investigare come avvenne tale partizione di forze.
Il primo periodo si spiega facilmente; esso è la naturale conseguenza dell'indole delle plutocrazie demagogiche; ma come si spiega il secondo?
Il paragone dell'evento delle guerre della Germania, nei 1866 nel 1870-71, con quello della guerra del 1914-18, ci porrà sulla via di trovare una risposta. Badiamo a come furono preparate, e vedremo che all'ultima fu, egualmente come alle due prime, provveduto all'interno, ma differentemente all'estero...
Nel 1865, sullo scacchiere politico, la Prussia, l'Austria, la Francia avevano posizioni molto simili a quelle che, nel 1913, occupavano la Prussia (Germania), la Francia, l'Inghilterra, ma le mosse dei pezzi furono interamente diverse. Allora, lo scacco fu preparato, all'estero, con lungiveggente cura, da esperto e prudentissimo giocatore, nessun pezzo fu posto in opera senza prima avere valutate tutte le conseguenze della mossa; ora invece si vide un gioco impreparato dalla diplomazia ed affidato esclusivamente alle armi, incauto, di giocatore sollecito più della forma che della sostanza, che per ogni problema non aveva che la semplice soluzione del terrore che supponeva dovere infondere, che alle conseguenze indirette o lontane della mossa.
A proposito della conferenza di Biarritz tra il Bismarck e Napoleone III, scrive, e ben scrive lo Olliver : «(p. 477' (Bismarck) recherchait uniquement la certitude de notre neu tralité, afin d'etre libre, au moment décisif, de dégarnir les provinces rhénanes et de porter tout son effort en Bohème, car quelque confiance que le Roi et Moltke eussent dans leur bell armée, ils n'avaient pas la présomption de la supposer de taille a tenir tate à la fois aux trois armées de l'Autriche, de la fédération et de la France (p.478). Si pendant qu'ils s' avancaient en Bohème, Napoléon III marchait sur le Rhin, ils seraient obligés des s'arréter, de rétrograder... au lieu d'avoir la chance de menacer Vienne ».
Ed ora si può scrivere, seguendo parola per parola tale osservazione: «Coloro che dirigevano la politica germanica non ricercarono la certezza della neutralità inglese, per la quale sarebbero stati liberi, al momento decisivo, dalla parte del mare, e per potere fare forza sul confine nemico; perchè avevano tanta fiducia nell'ottimo esercito che ebbero la presunzione di supporlo as sai potente per fronteggiare ad un tempo gli eserciti russo e francese, pur tacendo del belga, dimenticando l'italiano, e supponendo innocuo l'inglese. Se mentre invadevano la Francia, l'Inghilterra, chiudeva le vie del mare e mandava i suoi soldati sul continente se l'esercito italiano premeva i passi alpini, sarebbero stati costretti a fermarsi, di retrocedere, invece di andare a Parigi ».
Il Bismarck andò a Biarritz, il Bethmann Hollweg non andò nè mandò a Londra, non parve accorgersi che ci fosse un'Italia Ciò non ebbe origine dall'ignoranza della potenza inglese, delle conseguenze che poteva avere l'intervento dell'Italia. Invero, per non andare troppo per le lunghe, basti ricordare, per l'Inghilterra, lo stupore e l'ambascia del Bethmann Hollweg quando l'ambasciatore britannico ebbe a dichiarargli che l'invasione del Belgio era un casus belli; e per l'Italia, quanto ebbe a dire il maresciallo Corna von Hoetzendorf in un'intervista pubblicata dal Correspondenz Bureau (16 luglio 1919), cioè: «L'intervento dell'Italia fu la cagione del disastro; senza di esso gli Imperi centrali avrebbero certamente vinta la guerra. Si sperava che l'Italia sarebbe rimasta fedele all'alleanza ».
Bravo! E fu da gente cauta ed avveduta il non assicurarsene? Dall'esposto quale conclusione trae il maresciallo? Non già quella prudente che sarebbe stato necessario di accordarsi coll'Italia, che, per conseguire il sommo bene della vittoria, giovava consentire a sacrifizi anche gravi, ma invece quella incauta, avventata che era necessario di prima muovere guerra all'Italia; e dice: « Era impossibile di potere liberamente operare contro la Serbia, senza prima sottomettere l'Italia. Perciò era stata consigliata la guerra contro l'Italia nel 1906, poi contro la Serbia nel 1908 e nel 1912 ».
Il buon maresciallo dispone dell'avvenire a suo modo; non gli passa neppure in mente che queste belle guerre da lui invocate potevano ripercuotersi in tutta Europa.
Potrebbesi, benchè difficilmente, supporre che tali eventi traggano origine semplicemente da errori, come sono quelli di cui non vanno esenti neppure i più cauti ed astuti governanti ; ma questa spiegazione viene meno ove si consideri che fatti simili si ripetono, il che mostra che non seguono per caso fortuito, ma che hanno una causa costante.(X). Neppure l'esito della guerra bastò per aprire gli occhi ai maggiori uomini di Stato della Germania. Eccoti, per esempio, G. von Jagow che mostra di non capire nulla delle conseguenze dei fatti, che pure egli vede chiaramente.
Nota egregiamente i sentimenti dei futuri avversari della Germania. Dice « (p. 22) Da parte del successore di Alessandro II, dei terzo imperatore di questo nome, le tendenze panslaviste trovarono diretto favore. L'alleanza colla Francia venne conclusa nell'autunno del 1893. Gli attriti colla Monarchia danubiana nei Balcani, e con noi (p. 23) in Turchia, in conseguenza della nostra politica di Bagdad, s'inasprirono. È noto il detto russo : « La via che conduce a Costantinopoli passa per Berlino ».
La quistione degli Stretti era in certo qual modo vitale pur la Russia. E il sogno del dominio su Bisanzio ha sempre continuato a vivere nel popolo russo, ha avuto sempre il potere di incoraggiare a lotte e a sacrifici ».
Dopo, quasi dimenticando ciò che qui ha detto, viene fuori colle seguenti osservazioni : «(p. 152) Come si é detto, i nostri sforzi tendevano ad escludere una conflagrazione europea e a limitare la cosa ad un conflitto austro-serbo, nel quale le altre Potenze non dovevano immischiarsi ». Ma come poteva sperare di riuscire in ciò, conoscendo ciò che egli narra? Che bella previdenza é quella di un uomo di Stato che va innanzi da cieco, senza curarsi se l'impresa a cui si accinge è possibile o no! «Ma gli interussi serbi, agli occhi del signor Sazonoff... erano in questo caso precisamente " interessi russi». Qual meraviglia, dopo ciò che è stato detto a p. 23? «(p. 152). Un comunicato da Pietroburgo (p. 153) del 24 annunciò che la Russia non poteva rimanere indifferente di fronte al conflitto austro-serbo».
Ma, secondo von Jagow, doveva rimanere indifferente, e il dovere nasce dalla religione patriottica dell'autore. «(p. 154) Il brusco atteggiamento della Russia poteva apparire tanto più strano in quanto che il conte Burchtoid aveva già dichiarato all'incaricato d'affari russo a Vienna... che, se l'Austria fosse stata costretta ad intraprendere la lotta contro la Serbia, ciò non sarebbe stato per essa che un mezzo di conservazione, ma che l'Austria non. mirava ad alcuna conquista e non pensava di intaccare la sovranità della Serbia ». Ma che « atteggiamento strano » ! Era invece naturalissima conseguenza di quanto l'autore aveva osservato a p. .2 e 23. Notisi poi che l'autore dimostra, o finge ingenuità, poiché non può essere digiuno di storia a segno di ignorare che la dipendenza di uno Stato si può acquistare altrimenti che per una diretta conquista. E se poi crede sul serio che la Russia, abbandonando la Serbia nel conflitto coll'Austria, avrebbe conservato l'autorità che aveva nei Balcani, occorre che egli lasci da parte la letteratura politica ed attenda a comporre favole pei bambini. Ma il pensiero dello Jagow é molto più ragionevole, quando si consideri come conseguenza dei suoi sentimenti di religione patriottica, secondo i quali é illecito tutto ciò che, direttamente od indirettamente, ferisce gli interessi tedeschi.
Parte notevole del suo piccolo volume é occupata da dissertazioni etico-metafisiche, tanto dotte quanto inutili, concernenti la violazione della neutralità belga, rifriggendo il noto argomento della « necessità che non ha legge » (34); il quale viene anche confortato dall'autorità del diritto internazionale o delle genti, citando il Rivier che (p. 239) ha detto : « Quando sorge conflitto fra il diritto di autoconservazione di uno stato e il dovere di questo Stato di rispettare i diritti di un altro, il diritto d'autoconservazione ha la precedenza sul dovere. Primum vivere. Un uomo é libero di sacrificarsi, ma ad un Governo non é mai permesso di sacrificare lo Stato, le cui (p. 240) sorti gli sono state affidate ».
E pone in nota che « esiste una differenza fra l'onore di una persona privata, che può e in certe circostanze deve sacrificarsi, e l'onore di un Governo che non deve sacrificare lo Stato ». Il lettore non durerà fatica a riconoscere in tali detti la derivazione, al servizio di ogni fanatismo, secondo la quale il fine giustifica i mezzi ; e che ebbe tanti mai usi in politica, fra cui non é da dimenticarsi quello di assolvere la violazione della neutralità danese, compiuta a tradimento dal Nelson. Per altro, é necessario avere vittoria o potenza per dare valore a sì bei discorsi.
Dei sentimenti francesi, discorre pure lo Jagow, con buona conoscenza. «La Francia, l'alleata della Russia dal 1893, era rimasta irreconciliabile dopo la guerra del 1870. L'amor proprio dei Francesi, di una nazione eminentemente bellicosa, che anche in quest'ultima guerra ha riconfermato il suo tradizionale valore, non ,poteva adattarsi al pensiero della disfatta, all'offuscamento dell'antica gloria. Odio e sete di vendetta contro l'avversario vincitore si cristallizzarono nel dolore per le provincie (p. 32) " rapite " non tenendosi conto del fatto che queste erano antiche terre imperiali tcdesche (che bella ragione! Tali ricordi storici sono puerili; scusabili solo dal fanatismo, ma estranei alla realtà dei fatti), e che ancora oggi esse sono in gran parte di lingua tedesca (di lingua sì, ma non di sentimenti). Tutti i tentativi fatti per un accomodamento furono inutili... ». Potevasi prevedere da quanto dice lo stesso autore, poiché non voleva la Germania fare i sacrifici necessari per l'accomodamento.
Lo stesso si può dire circa all'accordo coll'Inghilterra, che lo Jagow desiderava ma senza essere disposto a pagarne il prezzo. Era evidentissimo che tale accordo non poteva essere che molto precario sinché la Germania manifestava l'intento di contendere il dominio del mare all'Inghilterra.
Da quanto egli scrive appare che non gli erano ignote le circostanze che modificavano l'alleanza con l'Italia. « (p. 54) Il rancore per Tunisi era impallidito (il Bismarck lo aveva acceso, i suoi successori lo lasciarono " impallidire "). Gli attriti con la Francia eranc andati sempre più sparendo ed appianandosi, si parlava volentieri della " sorella latina ", si accentuava che in lei, accanto agli " alleati ", si aveva anche un'amica... Oltre a ciò, viveva tuttora, specialmente nell'Italia settentrionale, l'antico odio contro l'Austria, e gli attriti colla Monarchia danubiana erano stati vieppiù inaspriti dalle aspirazioni italiane nei Balcani ». E non dalle aspirazioni austriache, pure nei Balcani? Solo la fede religiosa può togliere la veduta di cose tanto evidenti.
(XI). Se in Germania sapevano tutto ciò ed altro ancora, perché hanno proceduto come se non se ne fossero avvisti ? Perché non si sono posti i problemi : «Che gioco si deve fare su uno scacchiere ove ci sono quei pezzi? Di quali sentimenti, di quali interessi, ci possiamo valere; quali ci conviene contrastare? Come porre in opera il divide et impera? Quali sono i nemici che, secondo il precetto del Machiavelli, dobbiamo lusingare, non potendoli spengere? Che cosa dobbiamo sacrificare, per conseguire la vittoria? Dobbiamo rinunciare ad un futuro ed incerto dominio del mare, per ingraziarci l'Inghilterra? Oppure restituire l'Alsazia e la Lorena alla Francia? Conviene all'Austria di compensare, con la cessione di Trento e di Trieste, la facoltà di crescere di potenza in Oriente, nei Balcani? » E via di seguito : studiare ciò che esisteva e ciò che se ne poteva trarre.
Rotta guerra colla Russia e colla Francia, a cui subito dopo si aggiunse l'Inghilterra, i governanti tedeschi s'accorsero finalmente dell'importanza di un possibile intervento dell'Italia; dunque, se era solo per semplice errore che tale importanza era stata trascurata, dovevano correre subito al riparo, usando mezzi convenienti. Procurarono sì di riparare, ma con mezzucci impari alla gravità della situazione; spedirono in Italia il von Bulow, che operò come un personaggio da melodramma, e se ne tornò con le pive nel sacco. Avevano i suoi mandanti dimenticato una cosa da nulla : cioè che chi vuole il fine deve anche volere i mezzi.
Non basta. Quando divenne manifesto che gli Stati Uniti d'America intendevano intervenire in Europa, che l'imperialismo americano, già noto ai tempi della presidenza del Roosevelt, stava per spingerli ad avventurosa meta, sotto la presidenza del Wilson; il quale, prima, aveva posto gli occhi sul Messico, e li distolse poi quando dinanzi a lui si parò maggiore e miglior preda per i suoi plutocrati, non era certo lecito ai governanti tedeschi di ignorare di quanto peso sarebbe stata l'opera degli Stati Uniti, ricchissima d'uomini e di denari. Potevano i governanti tedeschi volgere forse tale intervento in loro prò, dovevano almeno, se cauti e savi, tentare di ciò fare. Che fine avrebbe avuto il conflitto, se, alla domanda mossa da Wilson, per conoscere i fini della guerra, avessero chiesto agli Stati Uniti, al Wilson, di fermarli coll'arbitrato? Ma a ciò si opponevano orgoglio e superbia, presunzione. Orgoglio e superbia che impedivano di sacrificare una parte per salvare il tutto, presunzione che toglieva di giustamente valutare le forze proprie e le nemiche.
Per tal modo fu determinato l'intervento degli Stati Uniti in favore dell'Intesa, e la conseguente rovina della Germania. Forse, prima che fosse interamente compiuta, poteva ancora essere schivata; cogliendo qualche occasione di fare pace, certo con gravissimi sacrifici, per altro meno gravi di quelli a cui dovettero rassegnarsi gli Imperi centrali; ma lasciamo stare ciò, poiché le prove non sono tanto evidenti come nei casi notati.
(XII). Chi non vede, in tale operare, prima e dopo la dichiarazione di guerra, i segni di sentimenti analoghi ai religiosi, che prevalgono sulle combinazione della realtà? La fede nei « destini della Germania», nella sua potenza militare e di « organizzazione », il dogma dei suoi « vitali interessi » annebbiarono la vista dei suoi governanti.
Se adoperiamo la terminologia della Sociologia, diremo che nei governanti tedeschi erano potenti i residui della classe II (Persistenza di aggregati). Invece nei governanti dell'Intesa, eccettuati quelli della Russia, prevalevano i residui della classe I (Istinto delle combinazioni). Come i governanti tedeschi, i governanti russi, coi mistici sogni dell'illimitata potenza della « santa Russia », e lo Zar devoto a un Raspoutine, avevano dovizia dei residui della classe II ; quindi, come i governanti tedeschi, furono da ciò tratti alla rovina, che agevolmente potevano scansare, sol che fossero rimasti alleati alla Germania.
Grandi cose eransi potute compiere dal Bismarck unito a Guglielmo I ; perché nel Bismarck, che governava, prevalevano i residui della classe I, ed in Guglielmo, che eseguiva, i residui della classe II. Invece, il mistico Guglielmo II, signoreggiato dai residui della classe II, rimase senza contrappeso, e non tollerava cancellieri che pensassero colla testa loro; licenziò il Bismark colla stolta presunzione di valere più di lui, e non accolse mai nessuno che potesse sostituirlo.
(XXIX) Per intendere bene i presenti fenomeni, si vuole porre a mente a due frazioni in cui furono divise le plutocrazie dell'Intesa. Una frazione voleva seguitare a porre in opera solo l'astuzia ed era contraria alla guerra, l'altra voleva, una volta tanto, ricorre alla forza, e nella guerra scorgeva un'occasione di splendidi guadagni e di vantaggi. La prima fu, più o meno velatamente, pacifica la seconda ricoprì le cupidigie col manto delle derrivazioni demo cratiche ed umanitarie, alle quali tento di aggiungere le giuridiche, e volle che l'opera sua fosse gabellata per difesa «del diritto e della giustizia». Mirò a distruggere la prima frazione, e di ciò molte sono le manifestazioni, fra le quali devonsi porre certi processi, come, in Francia, quello del Caillaux, ed in Italia, quello del Cavallini, terminato, dopo parecchi anni, con un non luogo a procedere, e che appare vergognosa offesa ad ogni principio di diritto, volto solo ad abbattere uomini politici, avversari dei governanti di quel tempo.
In favore della prima frazione sta che é sempre pericoloso muovere le moltitudini : si sa dove si principia, non si sa dove si va a finire. Meglio appagarsi del poco e certo che lasciarsi vincere da cieca cupidigia correndo dietro al molto ed incerto; e che ciò sia saggio partito si vede ora dal cattivo successo delle sfrenate avidità germaniche. La guerra ha due pericoli per la plutocrazia demagogica; cioè, se è fatta da pochi, può sorgere un generale vittorioso, il quale non dura troppa fatica ad assicurarsi la fedeltà di un piccolo esercito, e quindi può cacciar via i plutocrati. Così avvenne a Cesare e a tanti altri. Pochi essendo i seguaci, non troppo grande é la spesa per contentarli, e agevole é il mantenere le promesse fatte loro. Se, come ora é accaduto, la guerra è opera del maggior. numero degli uomini validi, si scansa il pericolo dei pochi fedeli, ma rimane da sapere come, dopo la vittoria, si potranno mantenere le promesse e contentare i molti. Le estese clientele sono necessariamente di gran spesa. Infine l'esperienza aveva dimostrato che, colle arti volpine, cresceva sempre più il potere della plutocrazia demagogica, perché dunque sostituire, alla usata, nota, sicura e piana strada, l'altra nuova, ignota, pericolosa, ardua delle arti leonine?
Contro alla prima frazione sta appunto il fatto che la strada sinora seguita appariva maggiormente ogni giorno mettere capo agli abissi delle rivoluzioni. Occorreva dunque prevenire queste; ed in ogni tempo i governi ricorsero, per simili scopi, alle guerre internazionali, stimando così di scansare le civili. Tale considerazione non fu estranea alla decisione della burocrazia zarista, di rompere guerra, e forse ebbe anche parte, sia pure piccola, nell'analoga determinazione della Germania ed in quella dell'Austria-Ungheria, che temeva la ribellione delle nazionalità oppresse.
Per la seconda frazione della plutocrazia, devonsi invertire i termini : porre in suo favore ciò che é contro la prima, e viceversa. In ogni modo è ammirevole l'arte sopraffina colla quale ha saputo valersi degli interessi e dei sentimenti che vi erano nei popoli.
Quale frazione meglio provvide ai fatti suoi, si vedrà quando si saprà se i popoli potranno, pel futuro come per il passato, essere efficacemente tratti in inganno dall'astuzia dei plutocrati, secondati dalle declamazioni degli intellettuali...... La guerra mondiale diede la stura alle falangi delle derivazioni; ce ne sono di tutti i generi e per tutti i gusti. Alcune sono puerili. Tale é quella dello straccio di carta, ripetuta papagallescamente da infinite genti, ad ogni proposito e fuori d'ogni proposito. Le derivazioni habent sua fata, e al detto di Alessandro I di Russia non toccò eguale fortuna di quella che ebbe il detto molto simile del cancelliere tedesco. La gente che discorreva di tale sentenza come se fosse cosa nuova inaudita, propria della « barbarie » tedesca, doveva aver dimenticata la storia, dove sono più gli esempi di violata che di serbata fede ai trattati, e non molte lontano dalla violazione germanica della neutralità belga può stare la violazione inglese della neutralità della Danimarca, compiuta dal gran Nelson.
Similmente, la crudeltà e le stragi dell'invasione tedesca nel Belgio e nel settentrione della Francia non sono per niente un caso peculiare della « barbarie » tedesca, ma hanno invece conveniente sede tra i casi generalissimi che si osservano quando le umane belve si dilaniano a vicenda, cioè in tutti i tempi e presso tutti i popoli, poiché ognora e dappertutto gli uomini straziano, uccidono, distruggono i loro simili ; e quando ciò non possono fare ad uomini della stessa razza lo fanno ad uomini di razze da loro dette «inferiori», quando non possono inferocire nelle guerre esterne, incrudeliscono nelle civili.
È ameno il notare che proprio un concittadino del Wilson, cioè il generale Sheridan consigliava di trattare crudelissimamente le popolazioni civili dei territori nemici.
Molti autori, e tra questi Herbert Spencer, scherniscono ottimamente coloro che, in tale materia, vedono la paglia nell'occhio del vicino e non scorgono la trave nel proprio.
Ma é inutile proseguire, perché, a chi è persuaso dal sentimento, i ragionamenti logico-sperimentali sono carboni spenti ; é impossibile il recare parte anche sol piccola, delle numerosissime prove che si hanno, perché, a voler ciò fare, sarebbe necessario trascrivere qui parte grande della storia dell'uman genere.
Nel seguito infinito di delitti, di crudeltà, di barbarie, di stragi, di infamie che essa ricorda, e di cui gli individui, le stirpi, i popoli sono, a vicenda, nel tempo, autori e vittime, chi é inclinato alla teologia può vedere l'opera di un dio che punisce nell'individuo le colpe di lui, nei discendenti i delitti dei padri, nei concittadini i peccati di alcuni di essi (derivazione III-1;); chi é inclinato alla metafisica può discorrere della « giustizia immanente delle cose » o di altra simile entità (derivazione III-2); chi si diletta di letteratura può dire con Eschilo «essere legge che il sangue dell'omicidio sparso in terra, richiede altro sangue» (derivazione III-3), e via di seguito; chi sta attaccato all'esperienza vede semplicemente manifestazioni dell'indole umana, la quale, è vero, si fa più mite coll'andare dei secoli, ma molto lentamente e con improvvisi ritorni alla ferocia antica.
Nell'ampia letteratura sulle colpe e le giustificazioni dei belligeranti della presente guerra, si scorgono facilmente molte derivazioni della classe I.
Delle derivazioni mediante le entità metafisiche si è fatto larghissimo uso. La verità, la giustizia, il diritto, l'umanità, la democrazia pugnavano per l'Intesa ed i suoi alleati; gli interessi vitali, la gran patria tedesca, l'organizzazione, coll'aiuto di un'entità teologica, cioè del buon vecchio dio tedesco, stavano dalla parte degli Imperi centrali. Subordinatamente apparvero anche le entità giuridiche, che si manifestano splendidamente nel processo che si voleva fare all'ex imperatore tedesco, e che sfumò in conseguenza del resistere dell'Olanda, la quale venne in buon punto per liberare da grave impaccio gli Alleati.
Le derivazioni dell'autorità (classe 11) appaiono al solito in molti scritti degli adulatori dei potenti; esse sono propriamente 1a parte centrale del Manifesto degli intellettuali tedeschi e delle repliche a cui questo diede origine.
Per sapere se sì, o no, é stata fatta strage della popolazione civile nel Belgio, vale più certamente la testimonianza di testimoni oculari, o almeno di chi tali testimonianze riferisce, che le asserzioni di tutti i più eccelsi « intellettuali » che vivono sul globo terraqueo. Che ne sanno i 93 dottissimi « intellettuali » che hanno firmato il manifesto tedesco, dei fatti seguiti nel Belgio, dove essi non c'erano? Un ,professore di « teologia » discorra di teologia, un professore di « filologia scandinava » ci faccia conoscere tale letteratura, un professore di « chimica » c'insegni come sono le combinazioni chimiche, e via di seguito, ma facciano il piacere queste eccellentissime persone di non farci perdere tempo testimoniando su cose a loro perfettamente ignote, o note solo per sentito dire. È per ispirazione divina o metafisica che scrivono: « IL NEST PAS VRAI que nos soldats aient porté atteinte à la vie ou aux biens d'un seul citoyen beige (guarda che sicurezza di informazione: neppure uno!) sans y avori été forcés par la dure nécessité d'une defense légitime. Car, en dépit de nos avertissements, la population n'a céssé de tirer traitreu.sement sur nos troupes, a mutilé des blessés et a egorgé -des médecins dans l'exercice de leur profession charitable ».
Tali derivazioni non possono evidentemente essere accolte che per l'autorità dei loro autori e perché si confanno ai sentimenti di chi le accoglie, cioè sono principalmente derivazioni: autorita, e sussidiariamente derivazioni: accordo con sentimenti.
Nella risposta data dagli Alleati, il 16 giugno 1919, alle osservazioni del governo tedesco, si ammira un vero fuoco di artifizio di derivazioni. I tedeschi debbono essere puniti perchè « ils ont, par tous les moyens en leur pouvoir, formé l'esprit de leurs sujets à la doctrine que, dans les affaires internationales, la force c'est le droit ». Si sono vedute le guerre di metafisica. C'è una certa dottrina sulle relazioni della « forza » e del « diritto » che è ortodossa, un'altra che è eretica, e che deve essere repressa dalla sacra Inquisizione della eretica pravità, aiutata dalla spada secolare. Logicamente, non la sola Germania, ma tutti gli autori che professano la perversa dottrina dovrebbero essere ricercati e puniti, e le loro opere bruciate dalla mano del boia.
Ogni religione ha i suoi misteri : non é di piccolo momento quello che appare nel discorso del Presidente Wilson (6 aprile 1916) citato nella risposta degli alleati : « Que toutes nos paroles, mes concitoyens, que désormais tous nos projets et tous nos actes soient en harmonie avec cette réponse, jusqu'à ce que la majesté puissante de notre pouvoir combiné, penètre à son tour l'esprit et anéantisse la force brutale de ceux qui raillent et dédaignent ce que nous aimons et nous honorons (Con questo principio, si possono accendere i roghi. Gli eretici sono appunto rei di schernire e di sdegnare ciò che gli ortodossi amano e onorano). L'Allemagne a dit une fois de plus que la force, et la force sede, déciderat si la justice et la paix régiront les affaires duu genre homain. Si le droit, tel que le concoit l'Amérique, ou 'hégémonie, telle que la concoit l'Allemagne, présidera aux destinées de l'humanité, il y a done pour une seule réponse possible (attenti, che ora viene una bella derivazione), la force, la force jusqu'au bout, la force sans borne et sans frein, la force justiciaire et triomphante qui fera du droit la loi du monde (dunque, in questo caso, sarà la forza che, nelle relazioni internazionali, imporrà il diritto) et fera mordre la poussiére à toute domination dont les fins sont égoistes ».
Ed ecco apparire la nuova entità dell'egoismo, di cui prima non si era fatto cenno. La contraddizione tra l'affermare perversa la dottrina che la forza produce diritto, e lodevole la dottrina che la forza deve imporre il diritto, sfugge per la solita ragione che, nella logica del sentimento, due proposizioni contraddittorie possono sussistere insieme. Le derivazioni dell'accordo coi sentimenti fanno sì che una stessa proposizione é stimata perversa se é dei nemici, lodevole, se é degli amici.
Ci sarebbe forse un modo di togliere la contraddizione e sarebbe di ricorrere ad una derivazione delle entità metafisiche, o teologiche. Supponiamo che ci sia un'entità assoluta, quasi un dio, che ha nome diritto.
È eretico l'asserire che questo dio è creato dalla forza, è ortodosso l'asserire che egli crea la forza, e quindi naturalmente se ne vale per imporre la sua fede. Empio sarebbe il dire che il dio dei mussulmani è stato creato dalla forza degli Arabi, più è il dire che egli ha creato la forza degli Arabi, della quale poi si vale per imporre la sua fede. E chi a ciò non crede, sia percosso col ferro. Amen.
Discorrendo agli operai del Creusot, il sig. Thomas, allora sotto segretario di Stato per le munizioni, ora gran maestro degli uffici del lavoro della Società delle Nazioni, socialista sempre, disse, il 24 agosto 1915: « Nous parlons de victoire parce quo nous avons acquis, dans notre effort continué la certitude de la victoire. Nous l'avions déjà cette certitude, puisque nous sommes les défenseurs du droit. Mais lorsque nous voyons les moyens rnatériels se multiplier.... qui donc pourrait encore en douter? » Da ciò appare che questo signor diritto è un quid simile dello Zeus dell'Iliade. Non é detto se questo diritto confermasse la promessa della vittoria con un segno del capo, e ne tremasse l'ampio Olimpo.
Gran consumo di derivazioni si é fatto per fare gabellare quel mostro giuridico che è il processo da farsi all'ex-imperatore, in cui chi accusa è giudice, e giudica, senza alcuna legge che cì sia, ma guidato solo dal sentimento. (Quello di Norimberga non fu molto diverso ! Ndr)
Fra tali derivazioni, bella assai é quella la quale asserisce che tale processo avrà per effetto di impedire le future guerre, perché non le vorrà più muovere chi sarà sotto minaccia di perdere la vita, per altro simile processo. Come se, nelle guerre, il pericolo della vita si avesse solo da un possibile processo, e come se tale pericolo avesse mai trattenuto alcun capo di prendere parte alle guerre, alle ribellioni, alle contese per impadronirsi del potere. Solo derivazioni per accordi di sentimenti possono togliere di vedere ciò. Per prova, ci sarebbe da citare tutta la storia, ma simili derivazioni non si possono prendere sul serio, e solo lo scherzo é ad esse convenevole risposta.
Per l'uso delle derivazioni, nessuno dei belligeranti porta il vanto sugli altri.
Vediamo che dice un germanofilo, Conrad Falke, nel Journal de Genève, 2-3 juin 1915 : « Lorsque dans le camp adverse (a quello dei germanofili) on parle de brutale ' politique d'expansion ', nous, nous sommes portés à voir une cruelle nécéssité (a). Quiconque grandit et se développe avec une telle puissance (la Germania) doit forcément faire éclater son habit (b), et la société au lieu de s'eri indigner, ferait mieux de prendre tranquillement une nouvelle mesure (c). La guerre actuelle est peut-étre avant tout la lutte tragique d'un peuple qui, l'épée à la main, est forcé (d) de prouver au monde son droit (e) à l'existence».
Appaiono evidenti le seguenti derivazioni
(a) Derivazione Termine indicante una cosa e che fa nascere sentimenti accessori. Il termine necessità suscita il sentimento che la volontà dei Tedeschi non ha parte nella guerra. Il termine crudele è una concessione agli avversari.
(b) Bellissima derivazione. Metafore. Essa é interamente simile a quella del sole e della luna, adoperata al tempo della contesa delle investiture. Perché il potere papale é simile al sole, il potere laico alla luna, deve il secondo essere sottomesso al primo. Perchè la Germania ha una veste che é divenltata troppo stretta, devono gli altri popoli provvedergliene un'altra più ampia, e perciò lasciarsi da essa conquistare. È gran disgrazia che il sarto chiamato per compiere tale operazione, restrinse, invece di allargarla, la veste germanica; e così la metafora è rimasta campata per aria.
(c) Altra metafora, simile alla precedente. Tolte le derivazioni, si ha il semplice concetto che gli altri Stati debbono sottomettersi a ciò che vuole la Germania. Le derivazioni sono utili per mutare i sentimenti che nascerebbero dall'enunciato nudo crudo di tale proposizione.
(d) Derivazione simile a quella (a). E da chi é costretta Germania? Da qualche entità metafisica o teologica? E simili entità non possono costringere gli altri popoli ad opporsi ad essi Tutto ciò è vaneggiamento parolaio e metafisico.
. (e) Derivazione . Questo signor diritto é evidentemente diverso dall'altro diritto di cui è devoto Wilson. Poiché questo prevalse su quello, potremo assomigliarlo a Zeus, e il primo Poseidon. Potremo anche dire che uno di quei due diritti é principio del bene, l'altro il principio del male; e se non dician quale é il principio del bene, e quale, del male, accontenteremo tutti.
Notiamo che il sig. Faike non vuole menomamente che forza crei il diritto; egli è in ciò d'accordo col Wilson, vuole se che la forza imponga un diritto che c'é già. Mi dispiace di tale accordo, perché per sua cagione diventa molto incerta la spiegazione che avevo trovato per togliere la contraddizione delle preposizioni del Wilson. Eppure questi, dottore honoris causa di tante Università europee, socio di tante eccelse accademie, deve essere certamente uno scienziato di primissimo ordine. Un qualche modo di togliere la notata contraddizione vi é dunque di sicuro; ma agli ignoranti rimase nascosto, come il senso del Papé Satan, papé Satan aleppe di Dante".
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IL VALORE ENERGETICO DEI MITI
Da "Il mito virtuosista e la letteratura immorale" (pag. 242)
"I rapporti del vituosismo coll'utilità sociale non risultano dalle sue qualità intrinseche, risultano dai sentimenti che, fra le altre manifestazioni, hanno quella del virtuismo. Questi sentimenti sono superficiali, di semplice «pruderie», di pettegolezzo, di rinuncia passiva, d'ascetismo? Essi non hanno alcun effetto utile per la società. Al contrario questi sentimenti sono profondi, tali che spingano gli uomini a sacrificarsi per la loro patria, per l'avvenire della loro razza, per il benessere dei loro discendenti, per un ideale che va al di sopra dei piaceri del momento? Essi possono essere utili, estremamente utili alla società, e caratterizzano un popolo forte, prospero, vittorioso. Non dobbiamo lasciarci guidare dal sentimento, o da considerazioni « a priori », é unicamente ai fatti che dobbiamo domandare di illuminarci. Ora tutti i fatti conosciuti conducono alle conclusioni seguenti
1) Mai i sentimenti di semplice rinunzia hanno dato un popolo forte e potente. Mai l'ascetismo ha prodotto un tale popolo. Tutti i popoli ove i monaci, gli anacoreti, gli asceti erano in maggioranza, sono diventati preda del primo conquistatore venuto.
2) Non esiste nella storia alcun popolo grande, forte, prospero, presso il quale non si trovino sentimenti profondi ed attivi che si manifestano con un ideale, una religione, un mito, una fede. Ogni popolo ove questi sentimenti s'indeboliscono è in via di decadenza. Molti piccoli popoli sono diventati grandi, perché avevano fede in sè stessi; un popolo che perde questa fede é prossimo alla rovina. In un certo senso si potrebbe dunque enunciare questo paradosso : nella vita dei popoli niente é tanto reale e pratico quanto l'ideale.
La realtà dell'ideale non si trova nell'ideale stesso; ma nei sentimenti che rivela. L'esistenza della dea Atena non ha alcuna realtà obiettiva, ma questa realtà esiste nei sentimenti degli Ateniesi, sentimenti che si manifestano nella credenza che Atena abitasse l'acropoli di Atene, e proteggesse la città. I crociati facevano prodigi di valore, allorché si portavano davanti ad essi il legno della vera croce. La realtà non si trova nel mito di questa croce; si trova nei sentimenti dei guerrieri, sentimenti dei quali il mito era manifestazione. In questi due casi, le forme dei miti sono essenzialmente diverse; i sentimenti di cui sono la manifestazione sono molto simili. Leggete da una parte gli storici cristiani delle crociate, dall'altra gli storici arabi. Le loro religioni sono molto diverse; i sentimenti che esse ispirano identici. Sono i sentimenti dunque che importa studiare, per scoprire le leggi dello sviluppo della società, mentre le forme dei miti, forme alle quali sino al presente si è data molta importanza, non sono che secondarie.
Il contenuto logico dell'ideale importa poco. Ciò che importa molto di più è lo stato psichico che rivela, di cui é sintomo; sono i sentimenti dai quali procede. Non perdete il vostro tempo a notare le contraddizioni, le inconseguenze, le assurdità della mitologia e della divinazione romana. Mettete da parte tutto questo zibaldone, e al di sotto troverete come residuo certi sentimenti. Dopo ciò, ripigliate la storia, seguitela passo passo, e vedrete che cosa sono questi sentimenti che hanno fatto la grandezza di Roma. Ripetete operazioni analoghe per Atene, Sparta, per gli arabi seguaci di Maometto, continuate ed arrivate fino ai tempi moderni, studiate in questo modo l'epopea della rivoluzione inglese, quella della rivoluzione francese del 1789, quella di Napoleone I, quella dei popolo tedesco, che scaccia gli eserciti di Napoleone I. Non vi stancate, vedete come si é fatta l'unità d'Italia, quella della Germania, osservate come Bismarck ha saputo servirsi del mito che rivelava i sentimenti del suo popolo, lasciate la storia, se la diretta osservazione vi piace meglio, guardate quale missione ancora considerevole attualmente svolga il mito della grande Germania fra le popolazioni tedesche; il mito degli antenati, della dinastia, della patria, presso i giapponesi vittoriosi. Ovunque ritroverete fenomeni simili, ovunque, al di sotto delle derivazioni senza valore logico e talora anche assurde, ritroverete questi sentimenti che sono le grandi forze dalle quali derivano la forma e lo sviluppo delle società".----------------------------------------
Nella successiva carrellata, esamineremo ancora di "Fatti e teorie", le pagg. 29-56 inerenti "La guerra e i suoi principali fattori sociologici" con i due capitoli: "La congiuntura sociale - Relazioni fra stato sociale e prosperità economica", e "Fattori psicologici della prima guerra mondiale".
E più avanti
TRASFORMAZIONE DELLA DEMOCRAZIA (1921)