EVOLUZIONE
E STORIA |
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di
Giandomenico Ponticelli
EVOLUZIONE e STORIA
Esiste un filo conduttore che lega l’esperienza umana allo spazio geografico, dai suoi albori ad oggi?
Se il prodotto di questa osmosi indissolubile e continua esiste, si chiama “Storia”.
Ne consegue che quest’ultima deve essere accettata come una scienza, in quanto l’indagine delle forme socio-economiche, che il governo dell’uomo assume sull’ambiente che lo circonda, porterà inevitabilmente allo studio delle forze produttive che in esso è in grado di esprimere. Conseguentemente, tutti i processi storici sono desumibili dallo sviluppo delle forze produttive.
Come gli scienziati che indagano sulla forma della materia o che scrutano l’universo, i teorici marxisti indagano proprio sul rapporto di causa ed effetto tra l’azione umana e la retro azione della natura e ne astraggono quindi le leggi generali.
Engels nell’Anti During scrive:
“l’idea che i drammoni politici siano l’elemento decisivo della storia è antica quanto la stessa storiografia ed è la causa principale del fatto che tanto poco ci sia stato conservato di ciò che riguarda realmente lo sviluppo dei popoli, che si compie silenziosamente nello sfondo di questa scena rumorosa”
“i principi non sono il punto di partenza dell’indagine, ma invece il risultato finale, non vengono applicati alla natura e alla storia dell’uomo, ma invece vengono astratti da esse, non già la natura è il regno dell’uomo si conformano ai principi, ma i principi, in tanto sono giusti, in quanto si accordano con la natura e con la storia”.In questo senso il Marxismo può essere inteso come una bussola utile ad orientarsi nel mondo, perché comprendendo la genesi storica, che è alle spalle del presente, ne si può comprendere la struttura di esso.
Allungando lo sguardo alle origini della storia e ripercorrendola a ritroso, si intravedono quelle che sono le tendenze generali che hanno caratterizzato in maniera particolare ed unica le varie fasi del divenire storico. In ogni fase precedente maturano le condizioni oggettive per le fasi successive condizionando così il corso della storia.
Trosky dice:
“l’uomo in quanto individuo è il prodotto e non il creatore dell’ambiente. La vita quotidiana, cioè condizioni e abitudini, evolve alle spalle dell’uomo”.
Per capire la storia degli uomini e le numerose conflittualità nate in seno ad essa è necessario sciogliere un nodo fondamentale, capire in che modo l’uomo si è emancipato ed in quali forme dal dominio della natura. Comprendere le varie fasi dello sviluppo tecnologico che lo ha permesso, significa per Marx
“ indagare il primo luogo in che modo il mezzo di lavoro viene trasformato da strumento in macchina, oppure in che modo la macchina si distingue dallo strumento del lavoro artigiano”.
Marx, il Capitale
"Nessuna produzione è possibile senza uno strumento di produzione, non foss’altro questo strumento che la mano; nessuna produzione è possibile senza lavoro passato, accumulato, non foss'altro questo lavoro che l'abilità assommata e concentrata nella mano del selvaggio mediante l'esercizio ripetuto.
Marx, Lineamenti di economia politica
Ogni produzione è un’appropriazione della natura da parte dell’individuo, entro e mediante una determinata forma di società".
Marx, Lineamenti di economia politica
Lo sviluppo progressivo dei mezzi di produzione ha portato a diversi gradi di sviluppo economico. Il gradino più basso è costituito secondo Frirtz M. Heichelheim dall’economia dei cacciatori e delle raccoglitrici del Paleolitico recente. Tra il mesolitico ed il neolitico con lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento si sviluppa l’industria “domestica rurale”. Successivamente si ebbero lo sviluppo dell’artigianato, della manifattura e dell’industria vera e propria.
Nella società dei cacciatori e delle raccoglitrici del paleolitico, gli uomini e le donne fabbricavano da soli i pochi strumenti di cui avevano bisogno nella loro attività giornaliera. L’uomo esercitava scarsa influenza sul ciclo produttivo, la sua unica azione svolta era quella di selezionare involontariamente la qualità delle piante di cui si nutriva. L’uomo seguendo il “gusto” raccoglieva i frutti migliori e successivamente li portava nel luogo dove viveva insieme alla sua famiglia.
All’interno di questi accampamenti esistevano dei luoghi specifici dove venivano accantonati i rifiuti e gli escrementi umani. Proprio questi posti offrivano un terreno fertile per la crescita delle qualità di vegetali nati dai semi di scarto degli uomini. Questi vegetali, grazie alla mediazione umana, incrociandosi davano origine a frutti sempre più grandi e saporiti.
Attraverso quest’azione costante nel tempo, le diverse generazioni di uomini sono riuscite a modificare a proprio vantaggio la natura e ad accumulare le conoscenze che migliaia di anni dopo hanno dato origine all’agricoltura.
L’azione generata dall’interazione dell’uomo con la natura è doppia. Esiste infatti anche la selezione che la natura stessa esercita sull’uomo, influenzandone le caratteristiche.
“L’ambiente influenzò notevolmente razze, individui singoli, insediamenti, civiltà e migrazioni di tribù, non esistendo in pratica alcuna difesa contro di esso”
Fritz M. Heichelheim, Storia economica del mondo antico
Fu proprio grazie all’azione della natura ed ai cambiamenti climatici, che l’Homo Sapiens ebbe il sopravvento sulle altre specie di ominidi e a dare vita alle società dei cacciatori e delle raccoglitrici. In queste società molto semplici, l’uomo non aveva molti strumenti di lavoro, fatta eccezione di pochi strumenti di pietra o di legno. Vista la bassissima produttività del lavoro, i gruppi erano formati da pochissime persone che si spostavano continuamente su lunghe distanze. In questi gruppi vi era una certa divisione delle mansioni da svolgere, in base al sesso e all’età. Alle donne spettava il compito di raccogliere piante commestibili, gli uomini invece praticavano la caccia e la pesca.
Il ruolo della donna in questa società poteva diventare più importante di quello dell’uomo, perché mentre l’esito della caccia poteva essere incerto, la raccolta dei vegetali assicurava sempre il sostentamento al gruppo. Inoltre, Heichelheim sostiene che alla donna andavano imputate: una maggiore dimestichezza con il fuoco, l’invenzione di un metodo per accendere il fuoco, ed infine l’invenzione delle tecniche per la coltivazione delle piante attraverso il sotterramento di semi o pezzetti di vegetali.
Heichelheim attribuisce alla donna un ruolo essenziale per lo sviluppo dell’umanità, e in una certa epoca può essere stato addirittura determinante. Di fronte ad una possibile scomparsa degli animali di grossa taglia e ad un ridimensionamento dell’importanza della caccia, la donna avrebbe potuto rafforzare la sua posizione all’interno della famiglia, favorendo uno sviluppo matrilineare delle tribù del neolitico. È importante sottolineare a sostegno di questa tesi che a partire dal neolitico nelle società basate sull’agricoltura sono numerosi i culti di divinità femminili, come quello di Iside, Isthar, Cerere, Demetra, Aveta, Latonia, Gea. Le tracce più antiche risalgono a ventimila anni fa, riguardano il ritrovamento di un frammento su cui è incisa una figura femminile demoninata “venere di Laussel” in Francia. Dal sito archeologico di Catal Huyuk in Turchia proviene una dea madre risalente al 6.000 a.C. invece al 4.000 a.C. risale una delle veneri ritrovate a Malta.
“la donna apprese infine il metodo corretto della piantagione e della coltivazione, rafforzando la propria superiorità economica sull’uomo.”
Fritz M. Heichelheim, Storia economica del mondo antico
Questo vantaggio relativo della donna sull’uomo, nel lungo periodo si ridusse. L’uomo imparò a coltivare la terra e alla donna spettarono nuove mansioni.
Quando la produzione agricola permise il sostentamento di uomini non dediti all’agricoltura, alcuni di essi si specializzano nella trasformazione e produzione di beni non di prima necessità. Nasce quindi l’artigianato. Successivamente, quando le merci incominciavano a valicare le frontiere nazionali e la produzione di plusvalore diventa più importante della produzione delle merci, diventa necessario ridurre i tempi di produzione ed aumentarne il volume complessivo. Si sviluppa così la manifattura, in cui vige una divisione dei compiti tra i vari lavoratori. Con l’avvento della macchina nella produzione, ha inizio l’ultimo stadio, quello dell’industria vera e propria.
Affermare l’importanza che ha avuto l’utilizzo degli strumenti di tipo artigianale e successivamente delle macchine, vuol dire confermare il dominio che ha assunto gradualmente l’economia sull’evoluzione delle forme sociali. Ne segue quindi che tutte le lotte in seno all’umanità, sono battaglie per il controllo delle forze produttive e per il monopolio delle nuove tecnologie.
“La tecnologia e la scienza non sono un frutto inevitabile di una legge di natura; esse determinano e sono determinate dall’ordine sociale dato… lo sviluppo tecnologico non è una collezione di oggetti che sarebbero stati comunque inventati, è invece la storia degli uomini che con la scienza e la tecnologia lottano contro la natura per dominarla, ma al tempo stesso entrano tra di loro in rapporti sociali conflittuali di classe, dai quali sono dominati”.
Sviluppo tecnologico ed interazione uomo - ambiente sono gli elementi che caratterizzano il progresso umano. L’uomo attraverso la pratica è riuscito a modificare il suo rapporto con la natura. Le condizioni determinate da esso sono state la base di partenza per nuove innovazioni tecnologiche. L’uomo diversamente dalle altre specie animali è riuscito ad elevare progressivamente la quantità di risorse di cui poter disporre: l’alimentazione carnea, il fuoco, l’abitazione, l’agricoltura, la forza animale, gli attrezzi e le macchine.
L’organismo umano come una macchina, consuma energia che deve essere reintrodotta dall’esterno. Giornalmente un uomo consuma circa 2500 calorie ricavate dall’ambiente attraverso i prodotti della natura. La parte più consistente viene chiamata energia metabolica che equivale a circa i 2/3 del fabbisogno giornaliero, viene utilizzata per il mantenimento di tutte le funzioni vitali. La parte restante costituisce l’energia produttiva, e sono le calorie impiegate in attività extra corporee, come l’attività lavorativa o sportiva, oppure viene trasformata in grasso se non consumata.
Quando il livello tecnologico è molto basso, tutta l’energia produttiva è impiegata nella ricerca del cibo, come per esempio nelle società formate da cacciatori raccoglitori. Un’altra quota consistente viene bruciata per produrre calore necessario a riscaldare il corpo. L’uomo per poter sopravvivere ha imparato col tempo a servirsi di sussidi energetici. I primi ominidi vivevano in zone calde perché potevano disporre di pochissime fonti energetiche. Con il tempo attraverso l’utilizzo di utensili di pietra vi fu un importante aumento dell’energia ricavabile dai vari prodotti della caccia.
La carne andava ad arricchire l’alimentazione e le pelli utilizzate come indumenti o come stuoie. Allo stesso tempo per gli uomini incominciò a decadere l’utilizzo di caverne come riparo notturno, il quale fu sostituito dalla costruzione di capanne. Il cambiamento fu possibile anche grazie all’utilizzo del fuoco, che permetteva l’adattamento nella savana, dove l’escursione termica notturna raggiunge temperature molto basse.
Per tutto il Paleolitico il massimo dell’energia ottenibile, sarà fornito dalla combustione di legname, per un massimo di energia totale disponibile di circa 4000 - 8000 calorie. Soltanto con lo sviluppo dell’agricoltura che iniziò 10 mila anni fa, vi fu un altro aumento dell’energia disponibile, che raggiunge le 10 mila calorie. Questo aumento si ebbe grazie ad un maggiore sfruttamento delle risorse del terreno, con l’elaborazione di tecniche e l’ausilio di strumenti utili per l’impianto e la raccolta sistematica di prodotti naturali.
L’invenzione dell’aratro, e la tecnica del “debbio”, che migliorò la concimazione del terreno, hanno origine in quell’epoca.
Insieme all’agricoltura si sviluppò anche l’allevamento. In questo modo gli uomini poterono usufruire di una forza molto superiore a quella umana, impiegabile, o per il lavoro nei campi o nel trasporto . Alcuni animali sono in grado di esprimere una forza superiore sette volte quella umana. Questi animali sono: il bue, l’asino, il mulo, il cavallo. Altri animali che ebbero un utilizzo limitato, soprattutto nel trasporto, furono: il cammello nei deserti Africani, il lama in America Latina, le renne nell’Europa del nord. L’uso del bue e dell’asino risale circa al 4000 - 3000 ac, mentre il cavallo al 2000 ac. È possibile che l’invenzione della ruota, risalente al 3000 ac, sia legata all’addomesticamento del bue, come primo sistema di trasporto.
C’è però un animale che batte tutti per la sua precocità nell’addomesticamento, il cane. L’addomesticazione di questo animale secondo alcune fonti risale a circa 14 mila anni fa. Il reperto archeologico più importante fu scoperto in Israele, dove in una tomba risalente a 12 mila anni fa, venne trovato insieme ai resti di un uomo anche lo scheletro di un cucciolo di lupo o di cane. Questo atto simbolico è la testimonianza di come già a quell’epoca i canidi svolgevano un ruolo importante nella vita degli uomini.
Le teorie sull’addomesticamento di questi animali sono due. Per alcuni studiosi gli uomini selezionarono fra questi animali quelli più mansueti e modificando anche il loro regime alimentare, formato di avanzi e non più di prede. Per altri invece furono i cani ad auto addomesticarsi adattandosi a mangiare nei depositi di rifiuti degli uomini. In entrambi i casi il nuovo regime alimentare modificò e la selezione esercitata dagli uomini, modificarono la corporatura di questi animali. Il cranio e i denti diventarono più piccoli in relazione al resto del corpo e anche le dimensioni del cervello diminuirono vista la diminuzione di proteine e calorie non più fornite dalla caccia di altri animali.
Non in tutte le parti del mondo fu possibile utilizzare fonti di energia animale. Nell’America settentrionale, per esempio, dove i grandi mammiferi si estinsero ad eccezione dei bisonti, che i nativi non furono mai in grado di addomesticare, i cavalli, cosi come gli altri animali da lavoro, furono importati dagli spagnoli. In Asia l’utilizzo della forza lavoro animale fu tarda, e risale alla dinastia Ming (1368 - 1644), in cui si ebbe un incremento dell’utilizzo degli animali da tiro, soprattutto bufali. L’attività agricola rimase invece prerogativa del lavoro umano.
Anche dove l’utilizzo degli animali fu maggiore, come in Europa, vi furono delle difficoltà. Il problema maggiore fu, in primo luogo che gli animali divennero un concorrente dell’uomo per il consumo del cibo, e che gli animali ne avevano bisogno in quantità superiori a quelle umane. In secondo luogo che l’energia ottenibile dal consumo dei prodotti secondari come la carne ed il latte è minore dell’energia ricavabile dal consumo diretto dei prodotti principali del raccolto.
Se noi coltiviamo mezzo ettaro di terreno con il mais, il ricavato potrebbe nutrire 8 uomini per un anno. Utilizzando lo stesso raccolto per i buoi, i prodotti secondari sarebbero in grado di nutrire un solo uomo per cinque mesi. Questo significa che una caloria animale brucia ben otto calorie vegetali.
Con l’utilizzo combinato dell’agricoltura e dell’allevamento vi fu un notevole aumento della produttività del terreno, che permise l’aumento della popolazione ed una maggiore diversificazione delle attività umane, nell’artigianato e nel commercio. In questo modo, l’utilizzo degli animali divenne importante anche per lo sviluppo del commercio. Fu possibile per gli uomini arrivare più lontano e disporre di quantità superiori di merci. Allo stesso tempo subì grande stimolo la navigazione, che probabilmente era una pratica dell’uomo consolidata già da millenni, soprattutto per le vie fluviali e lungo le coste del Mediterraneo. Non bisogna dimenticare che la colonizzazione dell’Australia avvenne già 50.000 - 40.000 anni fa.
Le invenzioni successive all’8 mila ac aumentarono di poco la quota energetica pro capite disponibile, anche se le produttività crescevano. Questo significava che le fonti di energia aumentavano meno velocemente dell’incremento demografico.
Lo sfruttamento delle forze della natura, ed in particolare di acqua e vento, è antichissimo: le prime vele sono utilizzate già a partire dal 3000 ac. Il vantaggio fornito dall’utilizzo di queste due fonti è la loro economicità. Lo svantaggio invece è dato dalla scarsa versatilità delle forze della natura e questo ha significato per gli uomini il piegarsi ai suoi tempi.
I primi strumenti azionati dalla forza dell’uomo risalgono al 7000 ac, questi sono la ruota del vasaio, il tornio, il trapano ad arco, il verricello. Con l’invenzione del mulino ad acqua, lo strumento si trasforma in macchina, in quanto alla forza motrice trasmessa dall’esterno dell’azione umana o animale, si sostituisce la forza generata dalla ruota attraverso lo sfruttamento della corrente dei fiumi.
Le prime testimonianze dell’uso di mulini ad acqua risalgono al I secolo ac.
Strabone, nel 63 ac, parla dell’esistenza di un mulino di proprietà di Mitridate, re del Ponto, a Cabira, sulla costa meridionale del Mar nero.
Antripato di Tessalonica, nell’85 ac, in un suo componimento parla in termini più generali di un alleggerimento del lavoro a cui erano state sottoposte le donne, esautorate dalla macinazione del grano, visto l’introduzione dei mulini per quest’attività. .
Un ultima testimonianza che possiamo ricordare è quella di Vitruvio che, nel 25-23 ac, descrive il funzionamento del mulino nel suo De architettura.
Nel 30 ac i mulini compaiono anche in Cina, mentre in Europa avanzano lentamente, da sud verso nord fino a raggiungere la Francia, la Germania e l’Inghilterra tra il III e il V secolo. Senza mai sostituirsi completamente all’utilizzo di strumenti più elementari come mortai e pestelli, come testimonia anche Plinio il Vecchio, celebre storico che perì durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 dc. Nella sua Naturalis historia ( XVIII, 97) scrive che in Italia accanto a pestelli e mortai esistevano ruote idrauliche e mulini.
Una delle prime testimonianze di mulini a vento risale al VII secolo dc, quando il califfo arabo Omar I, fondatore dell’Impero nazionale arabo e conquistatore della Persia nel 636-42, ordinò ad un persiano di costruire un mulino alimentato dal vento. Un’altra testimonianza risale al 950 e riguarda due geografi persiani che ne descrissero il funzionamento.
Ma gli arabi non furono gli inventori di queste macchine, è molto più probabile infatti che ne abbiano appreso il funzionamento dai Cinesi. I mulini a vento si diffusero laddove le condizioni orografiche dei fiumi (pendenza e portata) e quelle climatiche non favorivano o addirittura ostacolavano l’utilizzo dei mulini ad acqua. Lungo le aride coste del Mediterraneo, nei Paesi poveri di rilievi del nord Europa e nelle propaggini fredde più settentrionali.
Dopo una fase di crisi che investi tutta Europa, l’espansione dei mulini ad acqua riprese verso la fine dell’VIII secolo, dove incominciano ad apparire all’interno di numerosi documenti pubblici e privati e nelle leggi alemanne, bavere, saliche e visigote. Altre testimonianze si hanno in Inghilterra (762), in Irlanda, in Turingia e in Boemia, più tardi e nel XII secolo arrivarono in Scozia e Scandinavia ed in Islanda e Polonia nel XIII.
Intorno al mille i mulini si diffusero attraverso la Spagna in tutto il mondo Arabo, prima nell’Africa Settentrionale e poi in Sicilia (Ibn Hawqal, Il libro delle vie e dei reami, pp.14 e 21).
Le testimonianze sulla diffusione dei mulini a vento in Europa partono dal XII secolo e riguardano la presenza di singoli impianti in Inghilterra, in Normandia e in Sicilia. In Inghilterra nel 1200 erano già 56 i mulini a vento, successivamente arrivarono in Olanda, Danimarca e Boemia. Nel trecento si trovano tracce in Polonia e in Svezia, e alla fine del secolo si trovano tracce anche in Spagna e in Portogallo. Nel 1237 esisteva un mulino a vento anche a Siena, nel 1337 c’è ne un altro a Venezia, nel cinquecento i mulini erano numerosi in Sicilia.
Con lo sviluppo della società feudale e dell’economia curtense ad essa collegata, la costruzione di ruote idrauliche riprese intensamente. Gli artefici di questo processo furono i signori feudali e gli abati dei monasteri, che a partire dal IX secolo fecero costruire i mulini all’interno dei loro possedimenti dai contadini, riuscendo alla fine a vincolarli all’utilizzo traendone grandi profitti.
Oltre alla macinazione del grano e alla frangitura delle olive esistevano 40 diversi impieghi dei mulini ad acqua nei procedimenti industriali, tra cui la fabbricazione della carta, della seta, la battitura dei panni di lana e la lavorazione dei metalli.
Uno dei procedimenti più importanti fu la follatura della lana, che fu resa possibile grazie all’invenzione dell’albero a camme, con cui si otteneva la trasformazione del moto rotatorio impartito dal movimento della ruota, in moto alternato. L’albero motore era fornito di tasselli di legno posti ad intervalli regolari che sollevano alternativamente i mazzuoli e li lasciano ricadere in una bacinella in cui erano immersi i panni di lana. La prima testimonianza risale al X secolo (962) in Abruzzo da dove si pensa si sia diffuso in tutta Europa. Altre lavorazioni sfruttarono l’impiego di questo congegno, nel XII secolo nascono i primi mulini per la battitura della canapa, del tannino, per la conciatura delle pelli, per la macinazione del malto utili per la fabbricazione della birra.
Un altro procedimento importante fu la fabbricazione dei metalli, risalente al XI - XII secolo, in cui la ruota veniva utilizzata nella battitura dei metalli incandescenti. Di questo uso se ne ha traccia in Svezia già nel duecento, mentre in Francia, Danimarca, e Germania a partire dal 1010. Nella prima metà del duecento l’energia idraulica fu impiegata anche per azionare i mantici necessari per soffiare l’aria nel forno durante la fusione. Le prime applicazioni si ebbero in Danimarca, nella Stiria e in Italia nella zona del Bresciano. La temperatura nei forni superava i 1250 gradi consentendo in questo modo la fusione del ferro nei forni; Il rendimento di queste fornaci era doppio rispetto agli impianti tradizionali.
La ruota idraulica aveva mediamente un diametro compreso tra 1 e i 3 metri. Molto spesso si trattava di una piccola ruota di quercia, cerchiata in ferro, costituita da 20 o 30 pale. Soltanto nel ‘500 le ruote incominciarono ad avere anche diametri di 10 metri. La potenza espressa mediamente dai mulini equivaleva a circa 3,5 cavalli vapore e soltanto nel settecento si arrivò a 5-7 cavalli vapore. Normalmente ogni ruota alimentava un singolo impianto, ma esistevano alcuni impianti in cui una sola ruota alimentava due o tre tipi diversi di macchine.
In epoca antica le ruote dei mulini erano orizzontali, ma i mulini medioevali erano tutti verticali invece le ruote orizzontali rimasero soltanto per impianti modesti. L’energia di una ruota orizzontale non supera quella di un cavallo o di un asino; Inoltre, le ruote verticali avevano un rendimento superiore, che aumentava a seconda se erano alimentate dal basso o dall’alto. Un mulino ad acqua aveva un rendimento cinque volte superiore di due mole manuali azionate da uomini, ed era doppio rispetto ad una alimentata da un animale. I mulini più potenti potevano svolgere il lavoro di 40 schiavi.
Anche i mulini a vento subirono una rotazione dell’albero motore che negli antichi mulini persiani era verticale. I mulini medioevali potevano anche ruotare in accordo con i cambiamenti del vento. la potenza dei mulini a vento variava da 5 a 10 cavalli vapore. In Olanda nel seicento un mulino erogava l’energia di 60 kW/h al giorno, cioè l’energia di 100 uomini. Ma nel complesso la potenza dei mulini a vento era pari ad 1/3 o ¼ di quella delle ruote idrauliche, perché erano molto meno numerosi.
Un’altra fonte di energia importante era quella ricavabile dai combustibili minerali, per millenni gli uomini si erano serviti soltanto del legno come combustibile vista l’abbondanza di foreste da cui trarre legna da ardere. A partire dal ‘500 incominciò ad essere più economico utilizzare il carbon fossile, si passò quindi dall’uso di un combustibile organico ad un combustibile minerale (carbon fossile e torba). Il carbon fossile era quasi sconosciuto nel mondo antico, in Europa incominciò ad essere usato alla fine del XII secolo. Nel duecento veniva estratto in Inghilterra, in Scozia, nei Paesi bassi ed in alcune regioni della Francia. Nel XIII secolo il carbon fossile del Northumberland veniva spedito via mare a Londra e nei Paesi Bassi. La torba veniva già usata nel XI secolo, nel XV secolo in alcune regioni urbanizzate e quindi disboscate, come le Fiandre, tant’è che alcuni giacimenti di torba erano già esauriti. Per tutto il seicento e il settecento, il consumo di carbon fossile in Europa rimase modesto ad eccezione di Inghilterra e Paesi bassi Settentrionali che devono il loro sviluppo allo sfruttamento di queste nuove risorse, che erano abbondanti nel nord-est dell’Inghilterra.
Gli usi in attività industriali furono molteplici: nel settore alimentare veniva usato per la lavorazione del sale, per la birra e per lo zucchero; inoltre era usato per la fabbricazione del vetro, della polvere da sparo, del sapone, negli arsenali e per la cottura dei prodotti dell’edilizia. Più complicato fu l’utilizzo del carbon fossile in siderurgia: carbon fossile e torba contengono quantità elevate di zolfo, che unite al minerale danno origine ad un prodotto scadente. Nessun problema invece per l’utilizzo di questi combustibili nelle fucine, quando il metallo è già solido.
L’utilizzo combinato del carbone e della macchina a vapore diedero grande impulso allo sviluppo industriale, ed ai trasporti con l’invenzione dei treni nei primi anni dell’ottocento. Successivamente con il petrolio e l’energia elettrica (che non è fonte di energia primaria ma un vettore delle altre forme di energia), si completa quel processo di sviluppo delle fonti di energia utilizzabili nel novecento, a cui si deve aggiungere l’energia nucleare scoperta nel ventesimo secolo.
Nonostante l’incredibile passo in avanti fatto dall’umanità in tutti questi secoli, per molti di essi fu la forza degli uomini l’unica ad essere utilizzata. Spesso questa forza veniva utilizzata in maniera coatta attraverso il lavoro schiavile, al punto che il 30 - 35% della popolazione era costituita da schiavi, come nel caso della popolazione Atenese del V secolo ac e della Roma repubblicana. Ancora oggi milioni di proletari Asiatici e Sud americani vivono in condizioni di miseria equivalenti.
Giandomenico Ponticelli
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