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IL NUOVO PREDOMINIO - LA NASCITA DEI RANCORI


228. 37) - LA SITUAZIONE A TUNISI e in EGITTO

L'attacco della Russia nel 1877 non aveva avuto gli sperati effetti né su i Balcani, né nell'Asia centrale. In ambedue le contrade l'Inghilterra le aveva sbarrato la strada.
Lord Beaconsfield si era proposto di non lasciare rafforzare la Russia; ma al tempo stesso aveva conseguito per l'Inghilterra un notevole aumento di potenza: aveva incorporato gli Stati dei Boeri, reso l'Afganistan accessibile all'influenza britannica; avviata la dominazione britannica in Egitto; e acquistato Cipro all'Impero.

Le Potenze dell'Europa centrale si erano mantenute, in sostanza, neutrali, ed erano state toccate solo indirettamente dalle conseguenze della guerra. Il contrasto fra Inghilterra e Russia rimaneva il fattore determinante di tutta la politica mondiale. Perciò il mutamento ministeriale in Inghilterra, avvenuto nel 1880, fu un fatto della massima importanza generale.
La fortunata politica estera del ministero Beaconsfield aveva imposto al paese notevoli aggravi e peggiorato la situazione finanziaria. Siccome in Inghilterra, di regola, possiede il favore della popolazione quel Governo che ottiene i più favorevoli risultati per gli affari, così si sollevò un'opposizione sempre più grave contro la politica del ministero.

Gli operai, dai voti dei quali, nel 1874, era stata decisa (paradossalmente) la vittoria dei conservatori, avevano ottenuto, con le leggi innanzi ricordate e con la raccolta della intera legislazione sulle fabbriche nel «Factory and Workship act» (1878), tutto ciò che potevano sperare da questo ministero; ma i liberali promettevano loro diminuzione di tasse e allargamento del diritto elettorale.

La questione irlandese non era in grado di risolverla il Beaconsfield, come non erano stati in grado di farlo i suoi predecessori; il conflitto qui prendeva piuttosto forme sempre più acute, e le violenze contro i proprietari fondiari inglesi e contro gl'impiegati si accumulavano, dato che nel 1879 si era formata la «lega nazionale», il cui ultimo fine era l'espulsione dall'Irlanda dei grandi proprietari terrieri inglesi e la divisione delle terre fra gli attuali affittuari.
Il capo di questa associazione, Parnell, consigliò agli affittuari di opporsi ogni volta che il proprietario pretendesse l'affitto e di attendere la legale espulsione forzata per causare così al proprietario fastidi e notevoli spese.
Tutti i soci della lega si obbligavano a non prendere nessun terreno, da dove fosse stato cacciato l'affittuario. Inoltre si aumentarono in misura spaventosa i delitti, commessi da Irlandesi contro proprietari inglesi o contro i loro agenti.

L'opposizione rinnovava sempre al Governo il rimprovero di non far nulla per risolvere la questione irlandese e di essere del tutto sterile nella politica interna, mentre all'estero con la sua «politica espansionista» precipitava l'Inghilterra in sempre nuovi pericoli, e causava ai contribuenti aggravi non necessari.
Il Beaconsfield si voleva sincerare, se la maggioranza della popolazione gli era favorevole; e nel marzo 1880 persuase la Regina a sciogliere il Parlamento.
Le nuove elezioni però gli furono del tutto contrarie; 349 liberali formarono la maggioranza della Camera bassa; insieme con loro furono eletti soltanto 235 conservatori e 63 Irlandesi. Perciò il ministero si dimise; e Gladstone salì di nuovo al potere, che conservò per cinque anni. Il Beaconsfield morì non molto dopo (1882).

A questo punto la politica estera dell'Inghilterra andò incontro per il mutamento ministeriale ad una completa revisione. Dovunque, conforme alle vecchie massime dei liberali, fu abbandonato l'espansionismo seguito dal Beaconsfield, e terminate il più presto possibile le complicazioni belligeranti, anche con sacrifici per la potenza inglese.

Noi sappiamo appunto che l'Afganistan fu subito sgombrato, quantunque notevoli autorità militari si pronunziassero almeno per la duratura occupazione di Kandahar.
Ancor più chiaro apparve il mutato avviamento nell'Africa meridionale. Il Governatore della Colonia del Capo, Sir Bartle Frère, mirava con zelo a riunire tutte le colonie sud africane in uno Stato federale sul modello del Canadà sotto l'alta sovranità inglese e a estendere la frontiera del dominio britannico così che formasse un territorio del tutto chiuso in sè facilmente difendibile contro gli indigeni.
Egli aveva, prima della caduta del ministero Beaconsfield, eseguito, l'occupazione della Cafreria, fatto occupare la «baia della balena», l'unico buon porto sulla costa sud-occidentale africana, e dopo una pericolosa insurrezione del capo Ketswaío, aveva assoggettato il paese degli Zulù alla protezione britannica.
I Boeri però risoluti recalcitravano a questo disegno. Essi o desideravano una confederazione, indipendente dall'Inghilterra, dominate, da elementi olandesi (e questo era il programma dell'«Afrikander-Bond» fondato nel 1880); o volevano lasciare agli Inglesi la colonia del Capo, purché riacquistassero la completa indipendenza degli Stati boeri del nord.
Quando, in un'assemblea di rappresentanti di tutte le colonie dell'Africa meridionale nella Città del Capo, fu respinto senza votazione il disegno federale di Sir Bartle Frère, Gladstone richiamò dal suo posto il governatore.

Era appena partito questo uomo energico che subito si sollevarono i Basuto, e poi, approfittando dello scompiglio di questa rivolta, pure i Boeri del Transvaal. Le truppe inglesi, che furono spedite contro di loro, sotto il generale Colley, soffrirono tre gravi sconfitte, di cui la più importante fu quella sul colle Majuba (27 febbraio 1881); il Generale stesso e quasi tutti i suoi ufficiali caddero sotto il fuoco degli eccellenti (ora non più rossi contadini) tiratori boeri.

Appena Gladstone fu convinto che solo con grandi spese e sacrifici si sarebbero potuti ridurre all’ubbidienza i Boeri, egli cedette, concludendo subito un armistizio, a cui seguì, dopo molto lunghi negoziati, la pace di Pretoria (3 agosto 1881).
Il Transvaal dovette, é vero, riconoscere la sovranità della regina Vittoria e subordinare le proprie relazioni con le Potenze straniere al controllo inglese, ma ottenne quasi completa indipendenza nelle questioni interne. Solo fu riservato il consenso britannico per le leggi, che regolavano i rapporti con gli indigeni. Sulla base di questo trattato fu di nuovo dato il Governo del Transvaal al Presidente Krüger.
L'assemblea popolare dei Boeri tentò, è vero, quando approvò il trattato, d'inserirvi alcune clausole attenuanti; ma il Governo inglese dichiarò che considerava come valido soltanto il primitivo testo.

Il contegno del Governo nell'Afganistan e nell'Africa meridionale significò la rinunzia a importanti posizioni, che il Governo precedente aveva ottenuto. Tuttavia, per comprendere questa politica, occorre considerare che nel frattempo erano accaduti notevoli eventi sulla costa nord africana, i quali facevano capire che Gladstone stava impegnandosi a raccogliere tutte le forze dell'Impero per intervenire in questi punti divenuti molto caldi.
Forze che furono preparate a causa dell'occupazione francese di Tunisi.


Il vecchio impero coloniale francese durante le guerre napoleoniche al principio del XIX secolo, era andato del tutto in rovina. Solo con la conquista di Algeri (1830) era incominciata la formazioni di un nuovo impero.
Sotto Napoleone III il dominio francese sulla costa della Senegambia e nella Cambogia era stato fondato, mentre i suoi progetti sul Messico (come abbiamo letto nelle pagine precedenti) andarono a vuoto.
La caduta di Napoleone produsse una nuova sosta nell'espansione coloniale della Francia. Nell'India posteriore, d'altra parte, le armi non si posarono mai, ma i rappresentanti francesi là stanziati furono appoggiati soltanto tiepidamente dal patrio Governo, poiché questo era contrario a una campagna coloniale gravosa, per non indebolire le proprie forze per quella guerra di riscossa contro la Germania, che era sempre nelle sue speranze.

Il principale rappresentante di una energica politica coloniali fra gli statisti della terza repubblica era Ferry, di cui conosciamo già i meriti nell'ordinamento della scuola in Francia. Egli favorì in Africa l'avanzata dalla Sinigambia ad est verso il Niger e l'estensione dell'Algeria verso mezzogiorno. Certo non gli era estraneo il pensiero che i pionieri algerini i senegambiani di Francia si dovessero un giorno incontrare in Timbuctu, e che l'intero nord-est dell'Africa potesse essere assoggettato all'influenza francese.
Pensieri così vasti come l'irrigazione del Sahara sorsero già allora. Ma il primo scopo pratico rimase sempre di aprire le vie del traffico dalla costa nel territorio del Niger e nelle parti più fertili e più densamente popolate dell'Africa nordica.
Ma queste strade commerciali solo in parte passavano attraverso l'Algeria; le più importanti e comode conducevano piuttosto da Tunisi e da Tripoli, attraverso il Sahara, al Niger.

Da questo punto di vista gli sguardi dei colonialisti francesi sono stati all'inizio attirati su Tripoli. Ma al congresso di Berlino la Francia aveva avuto il vago consenso dell'Inghilterra e della Germania all'occupazione di Tunisi.
La politica di Bismarck mirava consapevolmente a coinvolgere il più possibile la Francia in imprese coloniali, perché così potesse meno pensare a una guerra di riscossa in Europa (che nelle intenzioni era contro la Germania stessa).

Ma siccome anche l'Italia, che era strettamente legata con Tunisi sotto l'aspetto economico, aspirava a signoreggiare su quel territorio, non si poteva - si dissero in Francia - stare troppo a lungo a pensarci su.
Le razzie della tribù dei Crumiri nel territorio algerino offrirono il pretesto di intervenire. Il Ferry inviò navi da guerra e truppa in Africa per debellarli.
Egli comunicò alle Potenze straniere che la Francia non pensava a una occupazioni di Tunisi di lunga durata.
Qui si può appena discutere, se questa dichiarazione fosse fatta con il proposito di trattenere le disponibili Potenze ad intervenire; ma la cosa riuscì proprio così. (una cosa simile la fece poi nel 1935 in Abissinia, Mussolini).

Nonostante le proteste del Bey e del Governo turco, verso la fine di aprile 1881, i Francesi varcarono la frontiera tunisina e occuparono tutti i punti, militarmente importanti del paese.

Fu poi dato l'assalto via mare, e appena il porto più importante, Biserta, fu nelle mani della Francia, fu fatto l'ultimo passo.
Il 12 maggio il console Roustan comparve con un plenipotenziario straordinario della Repubblica al Bardo, residenza estiva del Bey, e gli lesse un trattato già tutto redatto a Parigi, nel quale si diceva che la Francia acquistava il diritto di tenere occupati militarmente per un tempo indeterminato tutti i punti importanti del paese; un residente francese doveva risiedere a Tunisi e vigilare i rapporti del Bey con tutte le Potenze straniere.

D'accordo col Bey la Francia avrebbe impostato su una nuova base l'amministrazione finanziaria del paese, e introdotta un'imposta straordinaria di guerra per rifarsi delle spese della sua spedizione.
Dopo una vana resistenza e una inutile protesta presso la Porta, il Bey sottoscrisse ( ma non poteva fare altro con i cannoni puntati) il trattato, e così riconobbe praticamente l'alta sovranità della Francia.

L'aperta violenza contro un prìncipe maomettano suscitò però la sdegno della popolazione maomettana anche nella stessa Algeria. Questa fece causa comune con i Tunisini, e ben presto prese vita una pericolosa rivolta in tutto il territorio.
I ribelli irruppero negli stabilimenti europei; rovinarono le coltivazioni e uccisero gli uomini. Ben presto il movimento divenne così pericoloso che bisognò mandare una grossa flotta e un notevole esercito sotto il generale Saussier in Africa.
Questi in mezzo a gravi lotte gli riuscì di ricacciare i rivoltosi dalla costa un po' alla volta nel Sahara, e di pacificare il paese; fu così occupata anche la città di Tunisi.

Le spese di queste spedizioni salirono a 89 milioni di franchi. Ma la pubblica opinione francese fu preoccupata ancora più che da questo aggravio finanziario dal pensiero che una gran parte delle truppe francesi fosse confinata là per un troppo lungo periodo e non si potesse richiamare per una guerra europea; non si voleva che durasse a lungo, in nessun caso, una così simile condizione di cose.
Il Ferry fu nella Camera attaccato così violentemente che si dimise. In suo luogo successe il Gambetta, il campione della politica della rivincita, e dopo di lui Freycinet.
Ma poiché si era occupato ormai Tunisi, anche i Governi successivi non pensarono di rinunziarvi; piuttosto si approfittò della morte del Bey per legare - con regalie varie - il suo successore ancor più strettamente alla Francia.
Con un nuovo trattato egli dovette cedere alla Francia tutta quanta l'amministrazione interna, eccetto le imposte, lasciare alla Francia di regolare il debito dello Stato, e ottenne in cambio per sopperire alle sue necessità personali una cospicua dotazione di denaro annua (1883).
Da allora in poi - ricco di soldi ma non di potere - ebbe soltanto il titolo di Sovrano, mentre la Francia trattava il paese del tutto come una sua provincia. Si comprende come questa condotta della Francia suscitasse un vivace risentimento in Italia, dove si era calcolato con sicurezza sulla conquista di Tunisi.

Il ministero Cairoli - piuttosto filo-francese - che si era lasciato ingannare dalle dichiarazioni francesi, dovette dimettersi, e salì al potere un ministero antifrancese sotto il Depretis e il Crispi. Invano l'Italia tentò d'acquistarsi l'appoggio dell'Inghilterra o della Germania. Il Governo dovette riconoscere che l'Italia era del tutto isolata e che non avrebbe potuto salvaguardare i suoi interessi, senza unirsi a qualcuna delle altre grandi Potenze.

Da queste considerazioni derivò l'avvicinamento dell'Italia alle due Potenze tedesche (*), amicizia che si manifestò palesemente con una visita di Re Umberto a Berlino e poi con la conclusione della "Triplice Alleanza" (maggio 1882).

(*) La stessa situazioni si verificò nel 1935, con l'invasione della Abissinia di Mussolini. Rimasto isolato, si avvicinò ai tedeschi)

Nel testo del trattato della Triplice le tre potenze si garantivano reciprocamente il loro territorio europeo e si promettevano aiuto contro attacchi di altre Potenze. In ogni caso, anche la Triplice aveva carattere puramente difensivo; all'inizio fu conclusa per 5 anni, ma é stata poi sempre rinnovata ed ha molto contribuito nei successivi decenni a mantenere la pace europea.


Lo sgretolamento dell'Impero turco, che era cominciato con la pace di Santo Stefano, non era finito ancora con l'occupazione francese di Tunisi; anche l'Egitto fu in questo periodo del tutto sottratto all'influenza del Sultano. L'atteggiamento dell'Inghilterra in Egitto fu preparato, come sappiamo dalle precedenti pagine, dal Beaconsfield con l'acquisto delle azioni del canale di Suez e con l'invio di un funzionario inglese delle finanze al Khedivé. Dietro suo consiglio Ismail aveva emanato nel 1876 un decreto, che istituiva una cassa speciale per il regolare pagamento degli interessi e per l'ammortamento di questi debiti; alla quale furono assegnati una serie di introiti una volta per sempre.

I creditori europei però nutrirono fiducia nella leale esecuzione di questo piano, dato che il Khedivé Ismail si accordò di mettere la cassa sotto la vigilanza di un funzionario francese e inglese; questo fu il cosiddetto doppio controllo.
Con questi provvedimenti erano discretamente ben garantiti gl'interessi dei creditori europei; ma apparve ben presto che le contríbuzioni rimanenti non bastavano a coprire le spese dell'amministrazione egiziana.
Ambedue le Potenze indussero il Khedivé Ismail a cedere i suoi possessi allo Stato e ad accogliere due funzionari europei nel suo ministero. Riuscì allora all'Inglese di accaparrarsi l'importante ministero delle finanze, mentre il Francese dovette accontentarsi del ministero dei lavori pubblici.
Così l'Inghilterra si adoperò presso il Khedivé Ismail per ottenere risparmi soprattutto nelle spese per l'esercito e l'amministrazione; contro tutti i provvedimenti, che potessero causare nuove spese, doveva spettare ad ambedue i ministri europei un diritto d'opposizione.

Queste esigenze non significavano altro che la subordinazione della dominazione egiziana all'alta sovranità della Francia e dell'Inghilterra. Sembra esser stato sgradito ad Ismail soprattutto il fatto che si pretendesse una diminuzione del suo esercito, perchè così veniva minacciato il mantenimento dei vasti territori conquistati dai suoi predecessori e da lui stesso sul Nilo superiore e fino al lago Vittoria.
Egli cercò di rivoltarsi e di imporre con la propria autorità il controllo finanziario. Le due Potenze chiesero al Sultano di destituire il Khedivé Ismail. Abdul Hamid, che dipendeva ancora dal buonvolere delle Potenze per l'esecuzione delle deliberazioni del congresso di Berlino, non osò resistere a questo desiderio e pronunciò il 26 settembre 1879 la deposizione di Ismail.

Questi non oppose resistenza alcuna, anzi lasciò il paese; suo figlio Teofik pascià, un uomo debole e inesperto, accolse con mite arrendevolezza le esigenze delle Potenze. Alla cassa di ammortamento del debito ormai furono assegnati gli interi proventi delle ferrovie, della posta, del telegrafo e degl'introiti del porto d'Alessandria; tutti i pagamenti di questa cassa non potevano farsi se non col consenso del funzionario di controllo francese e inglese.
Inoltre fu costituita anche una commissione internazionale liquidatrice, in cui sedevano due inglesi, due francesi, un tedesco, un austriaco e un italiano, per sorvegliare il graduale rimborso dei debiti egiziani. La diminuzione delle spese venne attuata; l'esercito fortemente ridotto di numero; e numerosissimi ufficiali vennero congedati o messi a mezza paga.

L'ingerenza delle Potenze straniere nelle faccende interne dell'Egitto portò ad una reazione dalla popolazione indigena. Gli stessi ex ufficiali malcontenti dal congedamento la capeggiarono a spiegarono ai soldati che la dominazione dagli stranieri era oltraggiosa per gli Egiziani, minacciava la loro fede e portava il loro denaro solo nelle tasche dell'estero.

Presto il movimento trovò un capo adatto in un giovane, abile parlatore e ufficiale non sfornito di attitudini, Arabi Bey.
Da dimostrazioni militari davanti al suo palazzo al Cairo, il mite Khedivé Teofik fu costretto a congedare i ministri sgraditi ai ribelli e finalmente a nominare ministro dalla guerra addirittura lo stesso Arabi Bey.
Si voleva restringere rigidamente all'amministrazione dalla entrate ipotecate l'influenza anglofrancese. Fu convocata un'assemblea di notabili e fornita di diritti parlamentari; richiamandosi alla necessità del consenso di essa i ministri misero da parte tutte le richieste dalle Potenze europee.

Francia e Inghilterra protestarono subito contro questi atti e assicurarono il loro appoggio al Khedivé Teofik, che insofferente per il superbo contegno di Arabi Bey e dei suoi seguaci, ormai bramava liberarsi di loro.
Intanto una flotta francese ed una flotta inglese ancorarono nel maggio 1882 dinanzi al porto di Alessandria.

Gladstone forse non aveva intenzione di impossessarsi dell'Egitto per l'Inghilterra; una tale politica sarebbe stata assolutamente contraria con la tradizioni del partito liberale. Ma egli trovò l'Inghilterra intricata nella brutta spinosa questione egiziana; da una parte non poté sacrificare interessi importanti dai funzionari inglesi e dall'altra non poté ritirarsi completamente per riguardo alla sicurezza dal canale di Suez

Gladstone voleva impaurire i rivoltosi per garantire la sovranità del Khedivé e per ristabilire l'ordine, per ciò sollecitò all'inizio presso le Potenze europee l'occupazione dall'Egitto con truppa turche, poiché il Sultano era ufficialmente l'alto Sovrano dell'Egitto; ma la Francia si oppose a questa proposta.
Ma anche non considerando questa opposizione, l'esecuzione del disegno di Gladstone sarebbe forse stata impossibile, poiché, il Sultano simpatizzava segretamente con i rivoltosi; aveva in verità fatto giungere ad Arabi Bey diversi segni della sua benevolenza.

In queste circostanze Gladstone considerò, se una condotta concorde della Francia e dell'Inghilterra non fossa necessaria per ristabilire l'ordine. Anche questa idea incontrò opposizione in Francia.

In Francia le spese della spedizione tunisina, la minaccia di nuove lotte nell'India posteriore e nel Madagascar, che il Ferry aveva pure cercato d'assicurare alla Francia, rendevano la maggioranza dalla Camera francese contraria ad ogni ulteriore spesa per imprese oltremare.
Il ministero Fraycinet non osò nemmeno chiedere l'indispensabile autorizzazione della Camera, i cui umori gli erano già noti.

Mentre così la Francia tentennava, e le navi di ambedue le Potenze stavano inoperose davanti ad Alessandria, nella città si giunse a uno scoppio ostile di odio maomettano contro gli Europei.
Quanta parte Arabi Bey e i suoi amici vi fossero implicati rimarrà sempre un mistero. Circa 50 europei furono trucidati dalla plebe di Alessandria, e un numero ancor maggiore furono feriti.

Le Potenze europee non potevano lasciare impunita questa azione malvagia, se non volevano perdere ogni considerazione in Egitto. Il (mite oltre che inetto) Khedivé Teofik stesso ne invocò l'aiuto e fuggì dal Cairo sulla costa. Anche Arabi Bey si affrettò ad accorrere in Alessandria e cominciò a mettere la città in stato di difesa contro un attacco, che si doveva temere da parte della flotta straniera.

Il Gladstone, alla notizia degli eventi di Alessandria aveva fatto preparare truppe e avvertito l'ammiraglio Lord Sayraour di costringere eventualmente con un bombardamento a dare soddisfazione.
Il Seymour iniziò una trattativa - che in sostanza era un ultimatum - con Arabi Bey; chiese la consegna di alcuni forti e presidi inglesi e minacciò il bombardamento, se non riceveva entro 24 ore una risposta soddisfacente.

Molti europei fuggirono par il timore di una nuova esplosione di furore musulmano su navi europee. Quando la risposta soddisfacente non fu data, l'ammiraglio iniziò, l'11 luglio alle sette della matttina, il bombardamento contro Alessandria.
Nel momento che la flotta di Seymour avanzò minacciosa verso la città, il comandante francese, che non aveva da Parigi nessun ordine di partecipare all'azione, si allontanò con le sue navi, e si recò nel Mediterraneo.
A quel medesimo istante l'influenza francese in Egitto era sacrificata per sempre.

Dopo che il bombardamento della flotta di Seymour ebbe abbattuto le fortificazioni, il comandante inglese, che era nel frattempo arrivato, Generale Wolseley, sbarcò truppe e occupò la città. Arabi Bey fuggì al Cairo, per difendere almeno la capitale; ma poiché lui si attendeva l'attacco da Alessandria, il Wolseley decise di effettuarlo dall'altra parte: condusse le sue truppa su navi nel canale di Suez a di là cominciò la marcia in avanti. Quando Arabi Bey lo fronteggiò sulla via, fu sconfitto a Tell-al-Kebir; il Cairo fu occupato dagli Inglesi, Arabi Bey fatto prigioniero, condannato a morte; anche se poi fu graziato ed esiliato per tutta la vita a Ceylon.

Il (mite oltre che inetto) Khedivé Teofik tornò sotto la protezione delle armi inglesi nella sua capitale, e cadde ormai completamente sotto l'influenza inglese. Il controllo finanziario fu assunto esclusivamente dall'Inghilterra. Quando la Francia protestò e chiese il ristabilimento del doppio controllo, andò incontro a un garbata rifiuto. Le ricordavano gli inglesi che ad Alessandria avevano fatto tutto da soli, mentre invece la Francia aveva preso il largo.

Il Kedivé sempre più plagiato (ma anche con le tasche piene di denaro inglese) dovette coprire i posti più importanti dell'esercito egiziano con ufficiali inglesi; un forte esercito d'occupazione rimase nel paese. In pratica la presa di possesso dell'Egitto da parte degli inglesi era compiuta.

Recitando come un attore consumato sulle scene diplomatiche europee, Gladstone dichiarava alle grandi Potenze che si sarebbe sgombrato il paese, appena che vi fossero create garanzie per una duratura e ben ordinata amministrazione.
Ma si lasciava capire che questo momento non sarebbe venuto così presto. In tutto il Regno egiziano cresceva il malcontento, e dovunque l'odio contro gli stranieri era l'elemento propulsivo del movimento.
Se Arabi Bey nel nord era stato il capo riconosciuto, nel sud aveva saputo mettersi alla testa un ben più pericoloso fanatico.


I due protagonisti

Si chiamava Mohammed Ahmed e si spacciò per il nuovo profeta e messia, aspettato dai musulmani. Aveva in precedenza condotto una vita di colono su una solitaria isola nel Sudan e godeva la fama di grande pietà e santità. Allorchè il movimento xenofobo agitò il paese, si fece avanti come profeta e segnalò la cacciata degli infedeli dal sacro suolo della valle del Nilo come una sua missione.
Egli trovò presto un forte seguito nel Sudan egiziano, e presto l'intero territorio del Kordofan e del Darfur si trovò di fatto sotto il suo dominio.
Il (mite oltre che inetto) Khedivé Teofik non era disposto a rinunciare alle regioni, assoggettate dai suoi predecessori, in favore del mahdi.
Gli Inglesi però lo sconsigliarono nella maniera più energica da ogni impresa guerresca, perchè avrebbe irrimediabilmente messo in disordine le finanze del paese.

Contro il consiglio britannico il Khedivé Teofik spedì, nell'estate del 1883, un esercito egiziano sotto il comando di Hicks pascià contro il mahdi; però a Caseghil fu assalito e del tutto annientato.
Così la situazione era diventata ancor più imbrogliata. L'Inghilterra stessa si premunì di occupare i forti del Mar Rosso per assicurarsi in ogni caso di lì un accesso nell'interno, ma consigliò sempre più energicamente al Khedivé di rinunciare al Sudan e di smettere la lotta contro il mahdi.

Quando il (mite oltre che inetto) Khedivé volle, nonostante i consigli, attuare nuove imprese guerresche, gli Inglesi si liberarono di lui e procederono alla sua deposizione di fatto, in quanto lo costrinsero ad accettare in tutti i ministeri sottosegretari di Stato inglesi, ai quali naturalmente sempre più toccò la vera e propria amministrazione.

Si capisce benissimo che Gladstone da Londra non aveva nessuna voglia, dopo esser stato già spinto, contro il proprio desiderio, ad occupare l'Egitto, di esser trascinato ancora in un conflitto contro il mahdi. Proprio lui che aveva sempre protestato contro la politica espansionista con la maggiore vivacità, cosa avrebbe duvuto fare lui in quel momento, precipitarsi sulle vie dell'imperialismo?

D'altra parte, però non si può negare che si aveva il dovere morale di intervenire e salvaguardare i molti europei che si erano stanziati nel Sudan, fiduciosi nella corretta dominazione egiziana. E dopo le stragi ad opera del mahdi, e i soldati inglesi trasformati in schiavi, non solo ai primi ma anche alle guarnigioni stazionanti nel Sudan bisognava render loro possibile di abbandonare il paese.

Mentre si cercavano mezzi e personaggi, per conseguire questi scopi, gli sguardi del Governo inglese si rivolsero al generale Gordon.
Questi, alla richiesta del ministero, si dichiarò pronto a recarsi nel Sudan. Fin dall'inizio gli fu comunicato che il suo compito era solo lo sgombero del Sudan. Ma per farlo non ebbe truppe, ma soltanto denaro per il viaggio.
Ma se al tempo stesso ricevette l'incarico d'impedire il risvegliarsi del traffico degli schiavi in quelle contrade, vi era, senza dubbio, una certa contraddizione con il compito fondamentale (piuttosto passivo) che gli era stato assegnato.

Ancor più difficile divenne questa situazione, quando Gordon, giunto in Egitto, fu nominato governatore generale del Sudan dal Khedivè e ne ebbe l'incarico di curare l'ordine nel Sudan. (ma come e con cosa se era a mani nude?).
In questi incarichi, non del tutto concordanti fra loro, stava per il Gordon una grande tentazione di scostarsi dalle intenzioni a lui ben note del Governo inglese; e questa tentazione aumentò ancora, quando nel febbraio del 1884 giunse a Khartum e vi fu salutato con il più grande giubilo quale salvatore della popolazione.
Egli non si arrischiò di comunicare subito agli abitanti della città di esser venuto soltanto per condurli in salvo fuori del paese, ma li lasciò credere di esser giunto per difendere Khartum, le loro case, le loro proprietà, e le stesse guarnigioni, contro il mahdi.

Sul posto poi Gordon si formò anche l'opinione che non sarebbe stato facile vincere il mahdì; che all'incontrario, dopo la ritirata delle truppe egiziane e lo stabilirsi del mahdi vicino a Khartum, una campagna contro di lui sarebbe stata molto più ardua. Per tutti questi motivi chiese al Governo inglese che gli fosse messo a sua disposizione un contingente di soldati. Il ministero ricavò da questa richiesta che il Gordon perseguiva fini diversi da quelli che si desiderava a Londra, e gli rifiutò ogni rinforzo alle milizie che aveva sul posto.

Alle continue insistenze del Governo per uno sgombro, il più possibile celere del Sudan, il Gordon contrappose la dichiarazione ch'egli sarebbe andato contro il suo onore ad abbandonare il popolo di Khartum prima di averne curata la sicurezza.
Nel frattempo il mahdi si preparò scrupolosamente per l'assedio e la conquista di Khartum. Nel maggio 1884 egli conquistò Berber e sbarrò così la congiunzione diretta fra Khartum e l'Egitto: nei mesi successivi raccolse le sue truppe sempre più da vicino a Khartum. Quando questa notizia giunse in Europa, si riconobbe a Londra che Gordon e gli Europei a Khartum erano perduti, se non si portava loro qualche aiuto, e per quanto riuscisse sgradito al Governo inglese, bisognò risolversi a inviare una spedizione di soccorso.

Alla sua testa fu posto lord Wolseley; ma i preparativi erano così difficili che solo in ottobre potè incominciare la marcia in avanti da Vadi Halfa. Le condizioni delle acque nella valle del Nilo erano in quell'autunno così sfavorevoli che la marcia potè esser proseguita solo lentamente e ci vollero più di tre mesi. In tali circostanze non riuscì più al Wolseley di giungere a Khartum al momento giusto.

Mentre a fine gennaio le prime truppe d'avanguardia del suo esercito si avvicinavano alla città, questa era già caduta. Gordon aveva fatto del suo meglio per tenerla fino all'avvicinarsi degli aiuti, ma la guarnigione indebolita da continui travagli e dalla fame - il 26 gennaio 1885 - era stata travolta dopo un ultimo assalto dei dervisci; lo stesso comandante, per quanto ne sappiamo, era caduto combattendo.

Era un grave colpo per il prestigio inglese, che non fosse riuscito ad evitare la catastrofe. All'inizio infatti si era anche deciso di vendicarsi prendendo il mahdi, mediante una grande spedizione. Ma lord Wolseley dichiarò che le sue truppe non bastavano per una simile lotta e chiese notevoli rinforzi.
Gladstone fu contrario a una campagna vera e propria e dichiarò in parlamento ch'egli avrebbe indotto il Khedivè a lasciar cadere le sue pretese su tutto il territorio a sud di Vadi Halfa.
Così l'interno del Sudan, già egiziano, era stato di fatto abbandonato al mahdi.

Il mahdi stesso fermò ormai la sua residenza in Omdurman, sobborgo arabo di Khartum. Gli Europei, che si trovavano ancora nel Sudan, furono, se non riuscì loro di fuggire, trucidati o venduti schiavi. Ma il mahdi non potè godere a lungo della sua potenza. Anzi fece una brutta misera fine.
Nel giugno 1885, fu avvelenato da una donna per vendetta privata; il mahdi aveva destinato a suo successore il suo aiutante Abdullah Taasci, ordinariamente chiamato «il califfo». Egli eresse sulla tomba del mahdi in Omdurman una grandiosa moschea, che ormai divenne il principale luogo di pellegrinaggio per i credenti musulmani di quelle contrade, e mantenne per oltre un decennio la prevalenza nel Sudan.

Solo la parte più meridionale del territorio, già egiziano, la così detta provincia equatoriale, fu conservata ancora per poco dall'esploratore tedesco dell'Africa Schnitzer, che col nome di Emin pascià vi era stato mandato prima dal Gordon, come luogotenente, ma anch'egli sicuramente sarebbe stato annientato alla pressione degli strapotenti dervisci, se non fosse stato salvato al momento opportuno, da una spedizione di soccorso, proveniente dalla costa orientale dell'Africa, sotto il comando dello Stanley.


Come la conquista francese di Tunisi aveva condotto l'Italia ad avvicinarsi alla Germania ed all'Austria e così creato l'alleanza pacifica medio-europea, così l'occupazione inglese dell'Egitto aveva prodotto tra Francia ed Inghilterra una forte tensione, che divenne grave, perchè da una parte gl'Inglesi si opposero con tutti gli ostacoli immaginabili alla presa di possesso del Madagascar per opera della Francia, e dall'altra perchè la penetrazione degl'Inglesi dalla costa della Guinea nel territorio del Niger minacciava di attraversare i piani francesi nell'Africa del nord-ovest.

La Francia si vide per questi avvenimenti completamente isolata. In diretta inimicizia con l'Inghilterra, la Germania e l'Italia, i Francesi potevano pensare meno che mai a una guerra di rivincita.
In questa situazione gli statisti francesi accolsero per la prima volta l'idea, in precedenza sempre respinta, di fare una alleanza con la Russia.
Ma lo Zar Alessandro III da tempo mostrava ben poca inclinazione di giungere a un tale risultato. Come convinto autocrate era per principio avverso alla repubblica democratica, e con la nomina del signor di Giers a ministro degli esteri (primavera del 1882), favorevole alla pace, aveva dimostrato apertamente che non pensava ad un'attività politica estera, almeno dalla parte dell'Europa.

Piuttosto lo Zar cercò di accostarsi alla triplice alleanza per potere, protetto da essa, riprendere la sua politica, diretta contro l'Inghilterra, nell'Asia centrale e nei Balcani.
Nel gennaio 1884 (lo abbiamo visto nelle precedenti pagine) riuscì ai Russi di conquistare l'importante nodo di Merv. I capi dei Turcomanni, ancora indipendenti, si lasciarono convincere dal loro compatriotta Alichanoff, salito nell'esercito russo ad un alto grado, a sollecitare in Pietroburgo, perche la loro regione fosse incorporata nell'Impero russo.
Lo Zar accolse questa preghiera; e Merv fu occupata dai Russi. La Russia divenne così l'immediata confinante dell'Afganistan, e ormai spinse avanti le frontiere del proprio territorio a spese dell'emiro sempre più a mezzogiorno.

Abdurrhaman si rivolse all'Inghilterra per aiuto. Ma, senza tenerne conto, lo Zar fece improvvisamente occupare il territorio disputato, da lui preteso, e ributtare con la forza le truppe afgane, che glielo volevano impedire.
Poi i Russi incominciarono a proseguire la costruzione della loro ferrovia dell'Asia centrale, e in tal modo un'altra volta rafforzarono la loro posizione strategica di fronte all'India.
Il Governo inglese lasciò svolgersi tutto ciò tranquillamente. Certo lo Zar sapeva benissimo che la sua nuova avanzata nell'Asia centrale avrebbe infastidito gl'lnglesi; e poichè erano previste contemporaneamente nuove complicazioni nei Balcani, riteneva desiderabile mettersi d'accordo per ogni evenienza con Austria e Germania.

Bismarck acconsertì volentieri a questa tendenza, per togliere alla Francia l'ultimo possibile alleato. Si concluse (ma reso poco noto) nella primavera del 1884, un trattato fra i tre Imperi (Germania - Russia - Austria - "Lega dei tre Imperatori"), nel quale si stabilì che, appena una delle tre Potenze si trovasse in guerra con un'altra Potenza, le altre due Potenze avrebbero mantenuto una benevola neutralità, e che in ogni conflitto nei Balcani fra due degl'Imperi legati dal trattato si doveva invocare la mediazione del terzo.
Tutti e tre gli Imperi si obbligarono di sorvegliare l'esecuzione del trattato di Berlino, e dichiararono che essi avrebbero considerato come un atto di ostilità contro la Russia, se la Turchia concedesse a una flotta straniera l'ingresso nei Dardanelli.
Inoltre espressero il loro consenso ad un'eventuale unione della Rumelia orientale con la Bulgaria, se le circostanze lo esigessero, e accettarono l'obbligo di non tenere truppe in nessuno degli Stati balcanici.

Questo trattato, valido per tre anni, rese la Germania arbitra fra Russia e Austria nelle questioni balcaniche e offrì alla Russia la sicurezza che essa in un eventuale attacco inglese non sarebbe stata sola, come nel 1877.

In un convegno personale dei tre Imperatori a Skierniewice (settembre 1884) questo trattato fu confermato e completato. La situazione generale non era mai stata per la Germania, a cominciare dal 1871, così favorevole.
Protetta dalla "Triplice alleanza" e dalla "Lega dei tre Imperatori", mentre l'Inghilterra era in cattivi rapporti con la Francia al pari della Russia, la Germania non aveva da temere pericoli da nessuna parte.
Bismarck sfruttò con la consueta maestria quella situazione straordinariamente propizia.
Non solo, dopo questo trattato con la Russia, il suo impegno immediato fu quello della fondazione delle prime colonie tedesche.

E di queste ora ci occupiamo.

segue:

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