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156. LA LOTTA CONTRO IL GESUITISMO


L'espulsione dei gesuiti

La prima vittoria di fatto che il nuovo movimento delle idee in favore dell'indipendenza dell'individuo abbia riportato contro il dominio organizzato, a cui questo era soggetto, sia nel campo politico sia in quello intellettuale, fu conseguita contro un potere assai recente, odiato ed attaccato con violenza di gran lunga maggiore che non l'assolutismo politico.
Era esso il dominio clericale e appunto la sua forma più acuta e più raffinata, cioè il gesuitismo. Anche in questo caso non è stata la Francia che praticamente abbia fatto il primo passo ad attuare l'«ecrasez l'infame»; l'onda invece, che nella seconda metà del secolo XVIII corse attraverso i paesi cattolici e parve aver seppellito il gesuitismo sotto le sue acque, ha preso le mosse, cosa abbastanza singolare, dal piccolo Portogallo.

Ritrarre il carattere della Compagnia di Gesù, dei suoi scopi originari e poi di quelli derivati e svolti all'inizio, ci condurrebbe molto indietro e fuori del campo a noi assegnato.
Ricordiamo tuttavia che i Gesuiti, fu uno degli ordini religiosi più attivi della Controriforma, ma furono poi accusati di essere ingordi, settari e senza alcun principio né di sana morale né di genuina religione. Non solo, ma essendo spesso collocati in eminenti posizioni, quali consiglieri delle monarchie cattoliche europee, furono sempre accusati di aver preso parte attiva alle lotte politiche, nonostante le esortazioni ufficiali dei Generali dell'Ordine, che interdicevano loro di immischiarsi nelle questioni temporali.

Lasciamo gli ultimi due secoli e accenniamo al potere vastissimo di questo periodo in parte manifesto e alla luce del giorno, in parte nascosto ai profani, che la compagnia da lungo tempo aveva conseguito sulle decisioni dei governi cattolici, così nella loro politica esterna, come nella direzione di quella interna e nel regolare le condizioni dei sudditi.

A questo dominio più o meno tangibile sui governi si aggiungeva l'esteso potere sulle anime e l'influenza del confessionale, esercitata dai gesuiti non solo sull'alta società e su quella altissima, ma anche su tutte le classi della popolazione, che intendevano dominare; si aggiungevano poi i molteplici misfatti ed atti di violenza, compreso il regicidio, che a loro si imputavano con maggiore o minor ragione. L'uomo colto provava una profonda repulsione verso la loro teologia morale, piena di riguardi per tutte le debolezze umane, ma che poi sfruttava senza scrupoli, tra la gente semplice. Era inoltre molto diffuso l'odio, che si attiravano per il loro egoismo materiale di casta, dalla ben provata avidità di guadagni, dall'impegno affaristico, che favorito in vari modi, paralizzava l'operosità cittadina, e non come ultima ragione anche dai loro rapporti con le donne, così dell'alta come della società ordinaria, e infine i vari modi in cui traevano profitto di questa intimità.

La nuova scuola illuminatrice, più che altro perché gli effetti non erano ancora chiaramente notevoli, trattenne le sue accuse contro i rappresentanti politici, ma con piena coscienza e risolutezza li rivolse contro quei segreti o palesi dominatori. Se per essa il clericalismo era senz'altro quel potere per cui l'uomo, voluto libero dalla natura era con moralità discutibile posto sotto tutela, spogliato del suo, ed avvilito, essa poteva scorgere nel gesuitismo l'organizzazione più cosciente, più inesorabile e più efficace di questo dominio innaturale di una minoranza; questo era forse il nemico, che non stava in prima linea, ma che appunto per questo si doveva cercare, stanarlo e dichiarargli battaglia.

E che in questo la scuola illuminatrice sia giunta a risultati tangibili e ad una vittoria già durante l'«ancien régime» dipende dalla circostanza che in questa lotta contro il gesuitismo, essa poté trovare alleati negli stessi circoli di coloro cui era affidato il potere politico con le sue responsabilità. E paradosalmente uno di questi alleati era la Chiesa che aveva creato lo stesso gesuitismo.

Abbiamo già avuto occasione di nominare sotto un altro rapporto il gran ministro del re Giuseppe I di Portogallo, Sebastiano Giuseppe de Carvalho e Mello, marchese di Pombal (1699-1782). Tutta la vita di quest'uomo, che, figlio di un « hidalgo » di piccolo stato, dalla condizione privata di dotto e di storico, in seguito a studi scientifici e letterari sulla pratica reale politica e storica, era salito al grado di ambasciatore e di ministro, é rivolta con grandissima obiettività ed integrità al bene del paese a lui affidato, alla liberazione del Portogallo dalla signoria straniera, da quella inglese come da quella clericale, alla restaurazione del popolo oppresso e spogliato da quelle due signorie nel suo proprio diritto e in un prospero sviluppo delle sue forze, volte al suo proprio benessere.

In modo affatto insolito e indimenticabile si era dimostrato come fosse indefessa, decisa e saggia l'azione personale del Pombal nella tremenda sciagura del terremoto del 1755, che distrusse Lisbona, nel pronto riparo alla momentanea carestia e agli orrori della devastazione e del saccheggio per opera di bande, accresciute da delinquenti evasi dalle carceri. Opera sua fu la magnifica ricostruzione della città, divenuta allora ariosa, spaziosa e di buon gusto, adorna di splendide piazze e viali, mentre prima era stata un labirinto di viuzze di carattere schiettamente meridionale.

Con cauta accortezza e con infaticabile tenacia Pombal condusse a termine i suoi piani contro l'Inghilterra. Dapprima sulla base di trattati di commercio, che risalivano fino al tempo del Cromwell, poi ancora su quella del trattato del Methuen del 1709, l'Inghilterra era riuscita a dominare il commercio portoghese, a vantaggio esclusivo proprio, quasi fosse un suo monopolio, escludendone le altre nazioni e soffocando totalmente l'industria del paese. Con prodotti delle sue fabbriche e per mezzo delle sue navi provvedeva tutto l'occorrente per il vestiario e due terzi di tutte le altre merci necessarie alla vita; inoltre gli Inglesi, che risiedevano nel paese in numero immenso - si stimavano a 500.000 - attendevano anche a tutto il piccolo commercio.
In compenso i vini portoghesi pagavano un dazio d'entrata in Inghilterra minore di quello sui vini francesi, per cui gli Inglesi sono stati per lungo tempo il popolo, che beveva in modo speciale il vino di Porto; a bottiglie di vino di Porto si valutava allora, secondo il forte gusto inglese del tempo, un vigoroso uomo di mondo, un «uomo da sei bottiglie».

Ma tutta questa esportazione di vini era anch'essa in mano agli Inglesi, che senza riguardi dettavano ai vignaioli un prezzo, che remunerava appena il loro lavoro manuale. I Portoghesi inoltre dovevano servirsi soltanto di navi inglesi oltre che delle proprie, ed erano in tutti i modi legati ad un sistema, che nei fatti rappresentava un'immensa pompa aspirante delle loro risorse. Questa continuamente soddisfaceva allo scopo di far passare senza posa nelle casse dei commercianti inglesi la ricchezza portoghese, che aveva ancora come forti ausiliari le miniere d'oro d'Ouropreto, scoperte nel Brasile circa fino dal 1700, e i giacimenti di diamanti dello stesso paese.

Contro tutto questo stato di cose il Pombal incominciò ad agire accortamente, con mezzi sui quali non senza fondamento vi sarebbe qualcosa da ridire. Fu in special modo importante, anche per la chiarezza e per la cura opportuna della produzione, la grande società vinicola, la « Alto Douro-Companhia » del 1757, da lui fondata, che da allora in poi regolò gli affari con i vignaioli, in modo che questi ebbero un'adeguata ricompensa e il settentrione del paese intorno a Oporto tornò rapidamente in prosperità; questa compagnia, dotata di privilegi, più tardi si fece a sua volta sfruttatrice. La «Junta do Commercio», istituita da Pombal nel 1756, ottenne la sorveglianza del commercio di commissione e il diritto di togliere ad ogni piccolo commerciante la licenza d'esercizio, vale a dire di tener d'occhio i bottegai inglesi travestiti e di ricacciarli via a poco a poco.

Il gigantesco territorio selvoso del Brasile, con un suolo eccellente per le piante tropicali e le coloniali, sotto la direzione del ministro fu aperto all'amministrazione laica ed alla colonizzazione in modo più efficace per la sua coltura agraria. Si promosse l'istituzione di società commerciali autonome portoghesi, che furono sussidiate, e il Pombal nell'«Aula do Commercio», fondata nel 1759, creò la prima di tutte le scuole superiori commerciali.

L'uomo che, al contrario della nobiltà intimamente alleata al gesuitismo, cercava in questa e in ogni altra maniera di avviare il suo paese ad accrescere e a render libera la propria operosità, ad emancipare le proprie energie, ed era il difensore del vero popolo, pensò fino dall'inizio ad eliminare gl'irresponsabili consiglieri ecclesiastici della Corte e in generale il sistema clericale, che gravava sulla nazione, quello cioè che mirava a mantenere il popolo nella voluta ignoranza. Per questo trovò una buona leva negli avvenimenti che si svolgevano oltre l'Atlantico.
I Gesuiti, in particolare, erano colpevoli, a suo avviso, di aver sobillato e capeggiato i 30.000 indiani cristiani delle colonie portoghesi del sud America che, nel 1756, avevano impugnato le armi per difendersi (cosiddetta guerra delle riduzioni) contro l'imposta emigrazione da parte delle autorità portoghesi; l'avvenuta rivolta si concluse in un bagno di sangue (episodi suggestivamente ed onestamente riportati nella pellicola "The Mission" del 1986 di Roland Joffe).

Così non solo il sistema d'alleanze, che precedette la guerra dei sette anni, ma anche il tentativo internazionale europeo del secolo XVIII per liberarsi dei gesuiti, ricevettero il primo impulso dal Nuovo Mondo, come oggi gli interessi mondiali e i raggruppamenti, cui danno luogo, cominciano a spostarsi sempre più in rapporto con gli avvenimenti e con le tendenze, che si manifestano nel moderno Mediterraneo (ossia nell'Oceano Pacifico) e nell'Asia orientale.

In altro pagine di quest'opera si narra la singolare creazione politica utopistica, basata sopra una tutela logicamente coerente, esercitata fino nei più intimi affari di famiglia, che i gesuiti avevano attuata nel Paraguay, anche in questo caso con un profitto straordinario sul lavoro comune compiuto a loro pro dai loro protetti.
Qui basti dire che davanti a una sistemazione di confini tra la Spagna e il Portogallo ad essi scomoda, fatta nell'anno 1750, i Gesuiti si opposero per degli anni, organizzando militarmente gl'indigeni, e che la loro resistenza poté essere vinta - con grande fatica e dopo sanguinose lotte (1754-1758) dalle truppe spagnole e portoghesi riunite.
Colse il Pombal questa favorevole occasione esterna e cominciò in patria una campagna contro i gesuiti, con una risolutezza inaudita, che il loro ordine ben sicuro del suo potere non avrebbe mai creduto possibile, ma che col suo successo dimostrò quanta fosse, non solo in Portogallo, l'irritazione contro il dominio di questa corporazione ecclesiastica, che invadeva tutti i settori della società.

Già nell'anno 1757 i padri confessori della famiglia reale erano stati in Portogallo sottoposti a vigilanza. Poi il Pombal chiese al papa larghi rimedi, chiese una riforma dell'ordine, che ponesse un limite alla ambizione temporale e alla crescita senza riguardi della sua ricchezza. I motivi e i fatti da lui addotti, erano innegabili, per quanto non straordinari; era soltanto straordinario che in qualche luogo si fosse osato di chiamare i fatti col loro nome e di invocare un diritto proprio dello Stato temporale e il suo dovere di prendersi cura dei sudditi.

Benedetto XIV nell'anno 1758 acconsentì ad interdire all'ordine di occuparsi di affari materiali nel Portogallo e nelle sue colonie, e per il Portogallo esonerò l'ordine dalla facoltà di confessare.
Ma avvenne allora in Lisbona un attentato contro il re, che provocò indignazione e odio.
Pombal colse l'occasione per reprimere brutalmente l'ordine in tutto il Portogallo e le sue colonie, accusandolo d'aver preso parte alla congiura (1759).

Nel gennaio del 1759 i beni dell'ordine furono posti sotto sequestro; il governo portoghese chiese allora al nuovo papa, Clemente XIII (1758-1769), non più soltanto la riforma dell'ordine, ma in generale il suo allontanamento dal Portogallo.
Nel stesso tempo Pombal procedette per contro proprio in questo senso. Cioè all'espulsione forzata dei gesuiti presenti nel suo Paese.

Fin dall'ottobre 1759 navi portoghesi, provenienti dal Portogallo, da Madera, dalle Azzorre, dalle colonie africane, dal Brasile, dalle Indie orientali approdarono sulla costa dello Stato della Chiesa, a Civitavecchia, e sbarcarono a terra i padri della Compagnia di Gesù a schiere interminabili. Papa Clemente aveva fatto fin allora un doppio gioco, consentendo da una parte al governo reale e dall'altra lusingando segretamente i gesuiti; ma anche di questo modo di agire ipocrita il Pombal portò le prove e le fece conoscere a tutto il mondo.

Questo procedere risoluto e senza riguardi dello stato laico riformatore, che sotto la guida del Pombal assicurava la propria indipendenza, si propagò in modo singolare da quella estrema terra a sud-ovest dell'Europa a tutti i paesi europei di religione cattolica romana ed ai loro governi. Nella Spagna Carlo III di Borbone (1758-1788), che noi abbiamo già citato come autore dell'alleanza franco-spagnola contro l'Inghilterra, entrò nella via delle riforme modernizzanti, ed anche qui, data la forte coscienza politica e il retto volere di quel re personalmente pio, le cose presero un andamento, che condusse a prendere le stesse misure del governo portoghese.
Sotto sollecitazione del ministro massone ARANDA, Carlo III con decreto del 27 marzo 1767 ordinò l'espulsione dei Gesuiti;

Nel massimo segreto fu maturato il piano di espulsione, e l'Europa fu estremamente sorpresa, quando nell'aprile 1767 anche delle navi spagnole, giunte da vicino e da lontano, sbarcarono a Civitavecchia i gesuiti della madrepatria e delle colonie. Questa volta lo stesso Stato della Chiesa rifiutò di accoglierli; perché adesso erano troppi. Col permesso di Choiseul i gesuiti cacciati da ogni parte furono trasportati in grandi gruppi in Corsica, isola che la Francia era in procinto di acquistare da Genova.

Seguì presto l'esempio spagnolo il regno di Napoli e di Sicilia, retto da Carlo III prima di salire sul trono di Spagna. Questo paese nel ministro Tanucci, chiamato al potere da Carlo, possedeva un uomo dotato delle qualità ideali di un alto funzionario, ed anche risoluto e serio sostenitore dei diritti dello Stato e della generalità contro l'aristocrazia ed anche contro la Chiesa. Agire contro questa era un tentativo di liberazione tanto più urgente, in quanto Napoli era nel mondo il paese più popolato di preti e di frati, dove due terzi del territorio, e naturalmente non la parte peggiore, si trovavano nelle mani di un clero del tutto esente da imposte e non soggetto ai tribunali laici e il cui numero saliva ad un vero esercito di 120.000 uomini.

Tenne dietro agli altri anche Parma e nel tempo stesso sotto l'influenza di tutti questi avvenimenti l'ostilità dell'opinione pubblica francese contro i gesuiti prese forme così minacciose che qui la loro espulsione per opera dello Stato dovette apparire quasi come una misura intesa alla loro protezione personale.

Il movimento, eccitato in altri tempi dal professore Jansen (1585-1638) dell'università ispano-fiamminga di Lovanio, serio contraddittore nel campo teologico del cattolicesimo troppo pratico dei gesuiti e propagatosi poi di là appunto in Francia, il «giansenismo», era stato presto soffocato di nuovo dai gesuiti, a giudicare dall'apparenza.
Ma non era del tutto estinto e ai giansenisti si era in seguito accoppiata nei paesi latini la tendenza al quietismo, aliena da profitti e da scopi mondani. Ora, sotto l'impressione delle notizie dei paesi romanici meridionali, questa opposizione del giansenismo contro la Compagnia di Gesù, opposizione pur sempre viva in Francia, e approfonditasi nel campo scientifico e in quello spirituale, si unì alla larga corrente di puro odio verso i gesuiti del mondo laico, divenuto cosciente e sicuro per opera della letteratura illuminatrice.
E il movimento acquistò una forza tale, che il governo francese, in fondo abbastanza malvolentieri, fu trascinato dalla situazione sorta in seguito ad esso. Clemente XIII rovinò poi la cosa del tutto, accettando le misure prese dai tre regni latini meridionali e minacciando invece la scomunica a Ferdinando I, al piccolo principe borbonico di Parma.

Infatti, da questo atto anche il sentimento borbonico di famiglia della Corte francese si sentì offeso e sciolto dai riguardi usati fino allora al papa.


Nel 1768 Spagna, Napoli e Francia (poi si aggiunse anche la cattolicissima Austria di Maria Teresa) chiesero al papa la soppressione integrale della Compagnia di Gesù. Nel frattempo già erano iniziate le espulsioni.

Non così in Prussia. Federico II, cosciente della grande fama di educatori della gioventù (i religiosi, infatti, avevano istituito in tutta Europa, scuole, collegi, università; molti illuministi, e lo stesso Voltaire, avevano compiuto i propri studi proprio dai Gesuiti!) aprì loro i propri confini; e proprio sulla maggior parte di questi esiliati (cacciati perfino da Maria Teresa, ligia al papato) andò a rivoluzionare il sistema scolastico della sua grande Prussia, istituendo, primo in Europa, le scuole primarie obbligatorie, le scuole secondarie, i grandi istituti superiori, che poi i suoi successori ampliarono creando la futura colta nazione Germania, conducendo in Europa la prima vera grande lotta all'analfabetismo.
Quando morì Federico (1786), la Prussia era alfabetizzata all'80%; l'Inghilterra ci sarebbe arrivata 125 anni dopo (nel 1900); l'Italia e la Francia e perfino gli USA, solo dopo 180 anni (nel 1950-60).


All'inizio del 1769 mori a 82 anni Clemente XIII, proprio in mezzo a questa grave crisi e mentre stava promuovendo un concistoro per porre fine alle diatribe dei gesuiti; e fu principalmente opera della Spagna e ad un tempo delle pressioni esercitate dai cardinali francesi e napoletani nel burrascoso conclave che seguì, l'elezione del cardinale Lorenzo Ganganelli, che già, contro la violenta opposizione dei cardinali romani, aveva raccomandato che si cedesse ai voleri concordi dei governi laici.

Il Ganganelli, divenuto Clemente XIV, è il papa che dopo lunghe trattative diplomatiche coi governi già ricordati (tra i quali intanto la Francia aveva occupato il dominio papale di Avignone e del Venaissin e Napoli Benevento), pubblicò finalmente il 21 luglio 1773 il famoso breve Dominus ac redemptor noster, che annunciava la soppressione della Compagnia di Gesù, perché non serviva più ai fini per i quali era stata fondata e turbava la pace della Chiesa.

Nell'anno seguente il papa, abbastanza sanissimo, si ammalò in modo strano e mori il 21 settembre. Fu come se avesse trovato un'altra e visibilissima conferma tutto quello che si raccontava degli oscuri e indimostrabili assassini commessi dai gesuiti e dal loro sottile veleno. Tanto più che lo stesso successore di Clemente XIV, papa Pio VI, il cui pontificato giunge fino ai sconvolgimenti napoleonici in Italia (1798), in una occasione, nelle quali si trattava del soppresso ordine dei gesuiti, commise l'indiscrezione (però probabilmente di carattere soggettivo), di dire che egli conosceva con la massima esattezza la fine del suo predecessore e preferiva di non rischiare di farne una uguale.

Però vi sono delle vittorie, che fanno passare dal lato del vinto il vantaggio di una posizione favorevole. Sono sempre quelle, in cui il rischio del vincitore, una lotta vigorosa, coraggiosa ed onesta e un effettivo combattere fino in fondo rimangono interrotti e incompiuti di fronte all'improvviso presentarsi del risultato agognato.
Esse fanno perciò piuttosto l'effetto di un atto di violenza, che non libera l'animo, ma turba la coscienza, e questa impressione torna poi a vantaggio della parte soccombente e della sue forze non ancora intimamente consumate.
La perdita dei beni, l'improvvisa e chiara visione delle passioni veementi accumulatesi contro l'Ordine, l'esilio, tutto ciò in sostanza non fece che costringere i gesuiti a rigenerare cautamente e con cura quei mezzi con i quali aveva acquistato il potere, e a servirsene poi con maggiore accortezza ed astuzia.
Ed anche si rinfacciò ai violenti persecutori e l'esistenza segreta e i segreti mezzi, e non si esitò a far di ciò un uso caratteristico e non privo di conseguenze.

Dopo la soppressione dell'ordine comincia l'affluire di coloro che vi avevano già appartenuto, in quelle organizzazioni che in un certo rispetto lo avevano imitato, pure queste avendo di mira una tendenza esattamente opposta ed avversa, cioè nelle società segrete degli illuminatori delle menti e nelle logge dei massoni o franchi muratori.

Inoltre, per una logica propria delle forme più elevate del pensiero, si destò in loro favore il sentimento della tolleranza. In nome di questa e dell'emancipazione dello spirito i gesuiti erano stati già combattuti, e per esse avevano dovuto cadere; ed ecco che (paradossalmente) prendevano le loro parti l'imparzialità degli eretici e degli acattolici.
Era difatti più che un semplice motto arguto-dell'ironico re di Prussia - il quale voleva lasciare che "ognuno si salvasse l'anima alla sua maniera" e aveva scritto intorno alla sua morte, nel testamento redatto dopo la guerra dei sette anni: «dò volentieri e senza rammarico agli elementi il soffio vitale, che mi ha animato, l'indole benigna e il mio corpo » - il fatto che Federico il Grande nella sua altera sicurezza desse asilo ai gesuiti, e scrivesse al papa Clemente XIV che il breve pontificio non aveva alcun potere sul re di Prussia.

Dal punto di vista pratico si aggiungeva che egli pensava di adoperarli nella Prussia occidentale, acquistata da poco, e che nella cattolica Slesia superiore - come appunto anche in Austria, ad onta dell'enorme brulicare di frati - vi era penuria di buoni parroci e di buoni insegnanti. Per porre un rimedio a ciò Federico volle servirsi dei gesuiti, appena seppe della loro soppressione ("dite loro che vengano qui, che c'è posto per tutti") purché deponessero il contrassegno dell'ordine. E si aggiunga che egli non li conosceva se non per quel che ne aveva sentito dire e da uomo liberale e colto qual'era, preferiva dubitare.

Come Federico si comportò anche Caterina, la zarina spregiudicata. Essa lo faceva più per lo scopo determinato di servirsi dei gesuiti per i suoi piani sulla Polonia, che per ragioni di giustizia o di ostentata tolleranza. Nel regno di Polonia l'Ordine aveva da lungo tempo esercitato un esteso potere e spesso violento, come narrano abbastanza i fatti delle stragi di Thorn e altre pagine della storia polacca.
Così durante questa persecuzione della Compagnia di Gesù, nei territori polacchi divenuti russi in seguito alla prima divisione, i gesuiti trovarono una nuova patria e quei paesi divennero il centro avanzato ad oriente, dove si raccoglievano le fila della politica dell'ordine, che si andava tessendo misteriosamente.

Giovava poi ai membri e all'azione ulteriore della soppressa Compagnia di Gesù una particolarità del tempo, da noi già ricordata, quella cioè che anche nella propaganda delle nuove idee non si era creduto di potere fare a meno della segretezza. Come lo Stato con la sua politica di gabinetto e la sua azione di governo non si era mai reso tanto invisibile di fronte al pubblico e tanto «segreto», come al tempo dell'«ancien régime», così anche in molte altre cose, che si proponevano fini attinenti, si ritrova una tendenza a nascondersi.
I libri più importanti, quelli atti a procreare nuove idee del tempo, come quello già ricordato del Beccaria, compaiono senza nome dell'autore né con il luogo di stampa; accortezze fatte per sviare le ricerche; idee, che oggi sono patrimonio comune di ogni persona colta e delle quali, data la tolleranza relativamente estesa, noi appena potremmo concepire che queste idee del XVIII secolo dovessero ricorrere ad un travestimento, o nascondersi nel segreto intricato delle conventicole.

Quindi anche l'opera illuminatrice delle menti nelle forme, con le quali cerca di diffondersi e di rendersi efficace, si presenta come un'imitazione del gesuitismo, anche se si trova agli antipodi; da questo consegue, se non una sicurezza necessariamente maggiore, almeno un fascino che alletta molti, i quali diversamente sarebbero rimasti indifferenti.
Non appartengono veramente a questi o almeno non più degli altri i rosacroce, le cui società segrete erano comparse per la prima volta prima della guerra dei trent'anni e avevano allora attirato già nel loro seno con altri sovrani uomini come Rodolfo II, che si occupava di ogni sorta di dotte ricreazioni, ma era del resto imperatore arcicattolico. Oltre ad una seria aspirazione all'accrescimento del sapere, una ciurmeria multiforme aveva dato loro fin da principio virtù di fare adepti; il possedere cioè pretesi poteri occulti, la pietra filosofale, l'elisir della vita e simili ricette prodigiose; uno, che ne racconta le vicende, dice candidamente che anche la maestà del defunto imperatore Rodolfo vi aveva appartenuto, «soltanto per amore della preziosa e indispensabile medicina».

Quando altolocati soci sono attratti da idee simili, allora é certo che esse crescano rigogliose e che prenda il sopravvento la credulità mistica ed alchimistica. I rosacroce avevano preso del tutto questa piega, che nel secolo XVIII costituiva il loro vero essere. Questo però rese più facile ai gesuiti privi di asilo e quindi di metter piede fra loro, più o meno in incognito.
A schiere intere affluirono nelle società dei rosacroce e di là raggiunsero poi anche le logge dell'umanità organizzata, della fratellanza e dell'amore, della massoneria insomma, il cui sbocciare comincia circa col secolo XVIII.

Non possiamo qui dare con sufficiente ampiezza la ragione psicologica, per la quale, partendo appunto dalla mancanza di pregiudizi, dalla tendenza a sciogliersi liberamente dai dogmi dominanti e generalmente accettati, gli animi via via si vanno a cristallizzare di nuovo in nuove relazioni con l'occultismo e col misticismo; per la quale la teosofia spesso più della teologia è pronta a prestar fede al miracolo; e come il libero pensiero abbia potuto legarsi per gioco o seriamente con lo spiritismo, cioè chiudere gli occhi dinanzi alla pura frode e cialtroneria.

Qualche cosa di simile tuttavia scorgiamo qui: un'inclinazione singolare e facilmente visibile, non di tutte ma di molte logge o di molti loro aderenti, a lasciarsi prendere a rimorchio dal gesuitismo, reso a metà irriconoscibile, perché naturalmente all'interno dell'ordine soppresso si trovano membri molto interessanti, intelligenti e ingegnosi piuttosto che pericolosi.
Infatti per le sollecitazioni dei gesuiti, nel seno dell'organizzazione massonica hanno origine i così detti «sistemi interni» o le logge della «stretta osservanza».
E in questo momento si accompagna quale terzo elemento, così caratteristico come strano, una serie d'imbroglioni internazionali. La storia dei franchi muratori ricorda a questo proposito il barone di Hundt, che tuttavia era un ingannatore in buona fede, ingannato egli stesso, ed inoltre i nomi molto più tristi di noti ciarlatani, di Filippo Samuele Rosa, di Schrópfer, di Johnson a Fünen, come essi si chiamavano col loro nome più o meno meravigliosamente ampolloso.
E inoltre intorno a questo tempo poté darsi dell'aria con l'illuminazione delle menti e con la unione di prima o di seconda mano con la massoneria, una schiera di egoisti ed audaci cavalieri d'industria, di prim'ordine e di grande ingegno. Sono essi caratteristici di questo secolo in confusa fermentazione, di questo secolo d'illuminazione delle menti, di credulità e di vecchio abbrutimento ancora attivo, in mezzo al forte disgregamento sociale per un facile godimento del potere e della ricchezza da una parte e per una meravigliosa e piena dipendenza dall'altra; cercano essi di avviar bene i loro affari e riescono a farlo presso i principi, le persone di nobile nascita o di grande autorità e soprattutto presso le donne ricche, vedove o non vedove, più o meno di alto grado, e purtroppo soltanto in pochissimi casi appena appena colte.

Dal «conte di Saint-Germain », dal più brillante e più sfrontato di tutti, il CAGLIOSTRO (Biografia) , che nei fatti era semplicemente un tal Giuseppe Balsamo, e dall'ardito, spiritoso e scaltro avventuriero veneziano, il Casanova, preso pur sempre dalla sua stessa ironia nei suoi racconti vanitosi e in buona parte menzogneri, fino agli spiriti ad essi molto simili, ma di ordine molto inferiore, quasi tutti i celebri od oscuri mariuoli del tempo mantennero in qualche modo delle utili relazioni con le società segrete di una specie o dell'altra e con la influenza che il gesuitismo aveva acquistato sopra di esse.

Un'epurazione fu poi fatta per una risoluzione virile della stessa massoneria, ancora nel settimo o nell'ottavo decennio del secolo, in seguito ai movimenti di riforma, che derivarono dalle assemblee di Wilhelmsbad presso Hanau e di Francoforte. Da un altro lato essa avveniva per la contemporanea istituzione dell'ordine degli «Illuminati» che aveva fondato nell'anno 1776 Adamo Weishaupt, professore di diritto canonico cattolico nella vecchia università gesuitica d'Ingolstadt, proveniente quindi da un luogo e da una carriera scientifica, che ambedue gli offrivano abbondanti occasioni di conoscere di lunga mano l'essenza della Compagnia di Gesù e il suo più intimo carattere.

A dire il vero la Massoneria - nella forma oggi conosciuta, fondata da ignoti - é apparsa sulla scena della Storia nella Londra del 1717 - e prende corpo all'indomani della Rivoluzione inglese.
Non potendo costituire un ordine religioso tradizionale, per evidente incompatibilità… del modello, si pensò di costituire un Ordine di tipo nuovo, che in questa lotta apocalittica potesse offrire gli stessi servizi che al Papa venivano offerti dai gesuiti. La Massoneria nasce quindi in ambiente cristiano, non laico, ma si tratta di un cristianesimo ereticale e fanatico, complicato da speculazioni cabalistiche e occultistiche. Malgrado certe punte di dottrinarismo materialistico e irreligioso e la segretezza propizia alle cospirazioni, la massoneria settecentesca non è in ogni caso né atea né ribelle al trono, ma propugna la tolleranza, l'altruismo, la ricerca della verità, la liberazione dai pregiudizi, il dominio delle passioni.
A buon diritto, dunque, venne definita "La Compagnia di Gesù dell'Illuminismo". Il versante laico, che poi diverrà preminente, è presente fin da allora nel compromesso tra l'anglicanesimo e le forze mercantili della City che avevano dato man forte ai puritani nella guerra civile contro la dinastia cattolica degli Stuart. Il problema nazionale interno è appunto quello di elaborare una forma di religiosità… che santifichi il profitto, in chiave filantropica, e offra l'ideologia coesiva adatta a consolidare il nuovo assetto post-rivoluzionario. Se la Massoneria è il prodotto di una rivoluzione, la sua diffusione sul continente europeo, che viene datata intorno a metà… del XVIII secolo, pone le premesse per un'altra Rivoluzione, quella francese.
Gianni Vannoni, che ai rapporti tra Chiesa cattolica e Massoneria ha dedicato più' di un libro, si allinea a due famosi storici - Barruel e Cochin - che hanno dimostrato scientificamente il nesso tra Massoneria e rivoluzione francese attraverso un'analisi sociologica che costituisce un modello ancora valido per la comprensione dei fenomeni rivoluzionari. E malgrado il Terrore giacobino dia la caccia anche ai massoni, la conclusione dittatoriale della Rivoluzione, con il generale Bonaparte, segna il rapido rifiorire della Massoneria, che diviene la piattaforma sotterranea dell'imperialismo napoleonico, con le logge in Italia e in Europa che costituiscono le quinte colonne dell'egemonia francese.

Come dice il loro nome, gli "illuminati" volevano essere un'associazione dei veri spiriti liberi e aperti alla luce. Ragione, amor fraterno, continua educazione di sé stessi, erano le idee fondamentali che dettero all'ordine una direzione e che caratterizzano la sua affinità con le tendenze pregevoli e costanti dei franchi muratori. L'uomo, che a partire dal 1780 ha dato a questa società una maggiore diffusione e un'efficace influenza fino sui sovrani, occupa un posto anche nella letteratura tedesca, ed a lui dobbiamo un libro pieno di pratica della vita prudente, razionale, umana e sincera, che merita molto più di essere letto che non ricordato sempre scherzosamente; esso è il barone Adolfo von KNIGGE.

Con lui comincia il periodo del tono più acuto preso dalla lega contro i gesuiti, in armonia alla sua accresciuta efficacia in un'opera silenziosa e continua e ben presto anche in nuove conquiste. Con questo però comincia ancora la lotta difensiva, accanita e combattuta con ogni arma dai gesuiti contro gl'illuminati, tra i quali cercavano di nuovo di insinuarsi con buon esito i gesuiti stessi.
E questa volta rimase vittorioso il mondo gesuitico. L'ordine degli illuminati era una creazione sorta in Baviera e appunto perché i gesuiti conservavano alla Corte bavarese l'antico dominio, mentre intorno nell'Austria di Giuseppe II e in altri Stati tedeschi governava la scuola «illuminatrice », in
Baviera dalla parte colta e di idee moderne della popolazione, l'ordine degli illuminati era stato salutato con tanta simpatia; perfino una parte non insignificante dei funzionari pubblici aveva aderito ad esso o si era lasciata persuadere a favorirlo.

Quindi intorno alla Baviera, la rocca dell'oltramontanismo cattolico in Germania fino dai tempi di Lutero e del Dott. Eck, fu combattuta la lotta semisotterranea tra gl'illuminati e i gesuiti e, come fu detto, i primi la perdettero. Le imputazioni ben ideate, che furono rivolte contro di loro, di tramare cioé una rivoluzione politica, ed altre simili a questa, si dimostrarono di fronte ad una inchiesta quali calunnie e alterazioni formali della verità, che però allora persuasero l'elettore Carlo Teodoro, che era ad un tempo signore del Palatinato.

Dovremo ancora ritornare su questo principe, uno dei rappresentanti più caratteristici dell' "ancien régime", in fondo già sorpassati in genere dai contemporanei, con la sua brama di godimenti, spensieratamente sensuale ed esteticamente di finissimo gusto, con la sua bonarietà personale di poco valore, con le sue maniere simpatiche e col suo governo guidato da favoriti, da donne, da preti e da ex gesuiti, e specialmente dall'affaccendato suo confessore, il padre Ignazio Frank.

Nell'anno 1784 fu proibito in Baviera l'ordine degli illuminati e ordinata quella spietata caccia tristamente famosa ai suoi affiliati, che privò di ufficio e di pane un gran numero di eccellenti funzionari del paese, e li condusse in un carcere o li confinò a forza in un monastero.

Già poco prima del fatidico anno 1789 non si sente più parlare degli illuminati in Germania. Né era più necessario, l'opera delle società segrete volgeva al suo termine. Questo perché in Francia erano ormai sorti oratori che parlavano per essere uditi dal mondo intero, cosa che il parlamento inglese non aveva mai fatto; parlavano pubblicamente, tra l'approvazione esultante di tutti i popoli continentali, pendenti dalle loro labbra, e dicevano cose più crude e più radicali che non fossero mai state dette, pensate o nemmeno lontanamente immaginate in tutte le riunioni segrete degli spiriti più liberi del secolo che stava per finire.

Ma prima della fatidica data torniamo agli Stati Europei
ai nuovi ordinamenti e riforme interne...

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