96. LA CITTA' E IL CETO CITTADINO
Con la borghesia cittadina fa la sua comparsa nella società medioevale un nuovo fattore che, basato sulla proprietà mobiliare e sul capitale, spezza le rigide forme e pastoie del sistema feudale. Le città, guidate nella loro via di evoluzione dalle esigenze economiche e da fini economico-sociali, dedicate alla migliore tutela degli interessi del commercio, rappresentano un elemento di cultura molto fecondo ed il ponte di passaggio dall'uniformità, immobilità ed isolamento del medio-Evo vero e proprio al movimento, a quella difformità e varietà che caratterizza l'epoca moderna. Sotto i più vari aspetti le città hanno avuto questa funzione di preparazione dei tempi nuovi e sono state la culla delle idee nuove che in gran parte anche oggi noi coltiviamo.
All'inizio tuttavia anche le città presentano l'impronta delle aggregazioni sociali medioevali. Di fronte alle comunità rustiche esse hanno queste caratteristiche distintive, sono fortificate, hanno un mercato, costituiscono una circoscrizione giudiziaria a sé, godono di una maggiore autonomia amministrativa e possiedono una maggior ricchezza di istituzioni e sopra tutto di organi per la cura degli interessi comuni, e finalmente hanno di fronte alla campagna una posizione privilegiata nei riguardi degli oneri finanziari e dell'obbligo del servizio militare.
Anche le più pIccole città sono fortificate; e si comprende, giacché, date le deplorevoli condizioni della sicurezza pubblica dell'epoca, nessun centro cittadino che volesse esercitare le industrie ed i commerci poteva fare a meno di munirsi a scopo difensivo. Ai bastioni e fossati adibiti generalmente allo scopo si aggiunse poi per lo più una cinta di mura, all'inizio un semplice steccato o palizzata, in seguito delle mura in pietra. Dalle mura emergevano numerose torri, e la cinta era interrotta in pochi luoghi da porte che la notte venivano chiuse e di giorno erano diligentemente sorvegliate.
Dietro queste mura proteggono un area privilegiata, dopve si instaura una nuova legge funzionale alla nuova realtà economica, cioè si garantisce la libertà personale, si costituisce un'autorità pubblica di fronte a cui tutti sono responsabili, si applica un sistema di tasse proporzionali ai redditi (palesi) e destinate alle opere di utilità generale, fra cui soprattutto quelle di difesa militare.
Quasi tutte sono di dimensioni limitate, qualche decina di ettari e qualche decina di migliaia di abitanti. In Italia, come del resto in Europa non si formano grandi città come ad esempio Roma, Milano, Colonia, Firenze, Parigi, Bologna, Bruxelles, Bruges, che raggiungono dimensioni fra i 300 e 600 ettari di superficie, e contano fra i 50.000 e 150-200.000 abitanti.La pianta delle più vecchie città presenta di solito un viluppo irregolare di strade e vicoli tracciati senza un piano preordinato, ma a seconda dei bisogni del momento.
Ad esempio Roma sfugge per la sua origine a una originaria pianificazione d'insieme, inoltre essa si allarga su un terreno collinoso (i 7 colli) con al suo centro il Tevere. Mentre Milano via via si allarga a raggiera su un nucleo preesistente. Mentre Parigi si allarga sì a raggiera ma tutta da una parte della Senna, formando una mezzaluna.
Milano - Parigi - GuadalajaraPiù metodica é la costruzione delle città spagnole e tedesche e nelle regioni coloniali dell'est. Al centro si ha la piazza del mercato (detta « Ring ») ; da essa si staccano, per lo più l'una perpendicolare all'altra, delle strade che a loro volta sono tagliate da altre, sempre ad angolo retto, di modo che la città si scompone in una serie di regolari isolati di figura quadrata o trapezoidale. Tuttavia anche qui i successivi ampliamenti delle città avvengono disordinatamente e senza sistema. Le vie cittadine, sempre molto anguste, non avevano selciato ed erano straordinariamente fangose; l'uso del selciato non si riscontra prima del XIV secolo.
L'obbligo di pulire le strade cominciò con incombere ai frontisti, ma a poco a poco - pagando una tassa - divenne anche servizio pubblico. Né si trattava di cosa semplice, sopra tutto data l'abitudine, per lungo tempo rimasta immutata, di tenere il bestiame in città.Di una illuminazione pubblica non si ha ancora traccia di sorta nel Medio-Evo. Le vie delle città erano già distinte mediante nomi ed erano intitolate o ad una personalità eminente che vi possedeva una casa, o al santo di una chiesa vicina, o alle arti e mestieri che vi avevano il centro principale od anche alludevano a nazionalità straniere e a popolazioni di altre città i cui membri erano soliti esporre le loro mercanzie in determinate vie. Le case invece non erano numerate; molte di esse si identificavano facilmente con un nome particolare (cà rossa, cà storta, cà lunga, cà bianca, cà rotta ecc.) ma più spesso le altre si indicavano col nome del proprietario.
Grande importanza aveva la piazza del mercato, e nelle maggiori città le varie piazze allo scopo adibite. Esse servivano naturalmente anzitutto al commercio, ma anche alle assemblee politiche, ai giudizi ed alle esecuzioni capitali. La piazza del mercato era coperta di baracche e posti di vendita, spesso circondata da portici, nei quali i mercanti al minuto, gli artigiani ed i venditori di generi alimentari esponevano e vednevano la propria merce. Alcune categorie di merci più importanti ed alcuni articoli di consumo si commerciavano però anche in mercati appositi. (I primi mercati settimanali in piazza furono promossi all'epoca di Pipino il breve, con il capitolare di Soisson, nel quale ordina che ogni città abbia il suo mercato in piazza)
Sulla piazza principale o nelle sue vicinanze sorgevano di regola i principali edifici pubblici, soprattutto il palazzo municipale, la sede del governo cittadino, che comunemente era l'edificio profano più cospicuo della città. La massima parte di questi palazzi è sorta nel XII- XIII secolo; ma i più fra quelli tuttora esistenti sono di epoca posteriore, del periodo dell'arte gotica in quelle tedesche, del periodo del rinascimento in quelle italiane; nelle prime spicca lo stile gotico che è sempre presente in questi grandi e suntuosi palazzi in piazze circondate da portici, e sono le sue più splendide creazioni nel campo dell'architettura profana. Come sono altrettanto splendide quelle rinascimentali in Italia, ad esempio in Toscana. Qui persino piccoli comuni posero spesso il loro orgoglio nell'avere piazze, chiese e municipi sontuosi che attestano il notevole benessere materiale e l'elevato sentimento civico della borghesia.
Sulle piazze di molte città della Germania settentrionale si ergono pure di regola le statue di Rolando, grandi figure di proporzioni superiori al naturale, recanti in mano la spada della giustizia; esse sono il simbolo dell'alta giurisdizione cittadina. Sulle piazze italiane questo simbolo è invece un santo protettore che invece della spada ha la mano benedicente, salvo una città, Bologna, dove un battagliero papa soldato a cavallo brandisce la spada in una mano e il libro delle leggi nell'altra.
Assai più modeste degli edifici pubblici ci si presentano le abitazioni private. Esse sorgono sopra un'area quadrilatera generalmente poco ampia con al centro un angusto cortile. Il materiale da costruzione usato per edificarle è da principio il legno; solo più tardi (anche a causa degli incendi che distruggevano poi interi quartieri) si adoperò la pietra e dove questa difettava il mattone, ma nel settentrione seguitò a predominare ancora per tutto il Medio-Evo la costruzione in legno; salvo le fondamenta e le cantine che già precocemente sono costruite in pietra. (Londra dopo che un incendio aveva distrutta quasi l'intera città, la medesima cambiò totalmente fisonomia; oltre l'obbligo di usare laterizi, distanziò i vari quartieri con grandissimi spazi verdi; tale da farne la città più estesa del mondo).
La casa comprende un pianterreno, un piano elevato (ed in seguito anche due o più piani) ed una soffitta. Il tetto era molto appuntito, ciò che permetteva di avere delle soffitte comode ed alte ; per lungo tempo esso rimase coperto di paglia che solo a poco a poco venne sostituita dall'ardesia o dalle tegole.
Per ottenere piani superiori più spaziosi si usò costruirli a risalto, prominenti sui piani inferiori; con ciò peraltro non si fece che diminuire ancora l'aria e la luce delle già anguste vie cittadine.Nel piano terreno i vani prospicienti sulla strada sono destinati all'esercizio del commercio; oppure dietro di essi si apre il laboratorio od officina dell'artigiano, più la cucina e talora una sala da pranzo ed un forno ad uso domestico. La vera e propria abitazione della famiglia é al piano superiore, il quale, costituito in origine da un solo vano, ben presto si suddivise in parecchie camere da letto ovvero adibite ad altri usi della vita familiare. La soffitta finalmente serve da granaio, dispensa, deposito di legna da ardere, ecc. Le ali dell'edificio più modesto, accolgono il personale di servizio, o contengono stalle, ecc., oppure sono date in affitto a chi non ha casa propria in città.
La casa borghese si diffonde abbastanza presto e l'intento è quello di procurarsi una comoda dimora. Certo a noi quelle stanze a bassi soffitti produrrebbero un senso di oppressione, così la fitta serie di grosse travi del soffitto, ché soltanto a datare dal XV secolo si ebbe cura di rendere meno pesanti alla vista mediante scanalature, ornamenti, pitture. Ma la scarsa cubatura degli ambienti era allora una necessità se si voleva ottenere luce sufficiente e mantener calda la casa, perché queste abitazioni cittadine anche se non mancavano normalmente finestre e mezzi di riscaldamento, tutto era ancora assai imperfetto.
Il telaio delle finestre era ordinariamente guarnito non di vetri (ancora costosissimi le lastre), ma di carta oleata o pergamena che lasciavano passar male la luce; le vetrate a rulli legati in piombo, fatte del resto di vetri doppi e poco trasparenti, erano nelle case private riservate alle sole camere di rappresentanza; l'uso del vetro comune per le finestre non si fa strada che a poco a poco, soprattutto a Venezia che diventa nel XIV sec. il più grande centro vetrario, gelosamente custodito nell'isola di Murano.
Le finestre nel Medio-Evo non hanno griglie; in compenso, specialmente nei piani terreni, si usa proteggere con inferriate le finestre che dànno sulla strada.
Per il riscaldamento nei paesi con inverni freddi si usa la stufa, all'inizio grossolanamente costruita, poi a poco a poco di forme eleganti, ed il caminetto, il quale, imitato dalle vecchie case nobili e principesche, ha più che altro funzione di ornamento.Negli edifici pubblici si incontrano anche degli impianti di riscaldamento ad aria sul tipo di quelli delle antiche ville romane. Inoltre vediamo che dai tempi più remoti si conserva tuttora l'uso del braciere, malgrado i suoi pericoli; e le notizie giunte sino a noi dimostrano che i casi di morte per asfissia per lo sprigionarsi del letale ossido di carbonio, non erano infrequenti.
Per l'illuminazione si passa da materiali di legno resinoso, che rimangono ancora per lungo tempo in uso nelle case più povere e negli opifici, ecc., all'impiego di grassi animali e vegetali. Il mezzo di illuminazione più comune è la candela di sego sostenuta da candelieri di svariate specie.
Con lo sviluppo delle industrie metallurgiche cittadine vengono in uso nelle case borghesi più signorili lampadari di metallo, nel veneziano in vetro, a sospensione; i più artistici costituiscono degli oggetti di lusso che volentieri è consuetudine offrire come regali di nozze a giovani spose. Accanto ad essi si adoperano pure apparecchi di illuminazione fissati alle pareti di forme e specie diversissime.Gli oli tratti dal lino e da altri semi divennero di uso generale soltanto nel XVI secolo; tuttavia l'impiego di lampade ad olio di terracotta risale a tempi molto più remoti, ed il Medio-Evo conosce anche piccole lampade portatili in metallo accanto a quelle di terracotta. Finalmente per rischiararsi la strada andando di notte per le vie cittadine si adopera la lanterna.
L'arredamento della casa borghese é all'inizio assai semplice, ma col crescere del benessere economico e del sentimento artistico diviene più ricco, la mobilia artistica é una creazione della borghesia dal XV secolo in poi. Così ad esempio le cassapanche artistiche sostituiscono le semplici e grossolane casse destinate alla custodia del vestiario ed anche gli armadi assumono una ricca varietà di forme e con artistici ornamenti in legno scolpiti.
Così pure diventa normale l'uso di coprire tavole, sedie, sgabelli e cassapanche con stoffe o ricami e di rivestire anche le pareti di tappeti ovvero di decorarle artisticamente con pitture ed intagli.Nel XV secolo col diffondersi della pittura ad olio le pareti cominciano a guarnirsi di quadri racchiusi in cornici; del pari gli specchi, che sinora non si erano adoperati che come oggetti da toilette, cominciano a servire da ornamenti alle pareti; essi sono all'inizio di metallo, poi di vetro, e non di rado sono forniti di ricche cornici, persino in avorio intagliato.
Negli ultimi tempi del Medio-Evo si incontrano finalmente nelle case borghesi anche orologi da tavolo e da parete, modellati sui grossi orologi meccanici degli edifici pubblici, introdotti nel XIV secolo. Il pavimento delle stanze, che dapprima é semplicemente battuto, vien dotato poi di mattoni od anche di piastrelle decorate, ma principalmente prevale l'uso del pavimento di legno.
Passiamo ora a considerare la condizione giuridica delle città in generale. Il privilegio fondamentale delle città consiste nel fatto che esse formano circoscrizioni giudiziarie a sé; ogni città ha il suo tribunale ed i suoi statuti e tutti cittadini sono soggetti alla stessa giurisdizione, a differenza di quanto avveniva nel contado, dove gli abitanti erano soggetti ad una giurisdizione diversa a seconda della classe cui appartenevano. Gli statuti rispecchiano il diritto di una società economicamente progredita, adatto all'economia monetaria dominante nelle città ed ai bisogni delle industrie e del commercio. Il tribunale cittadino é presieduto dal giudice che sentenzia sul verdetto degli scabini, di questa delegazione permanente del popolo a noi già nota; ma talvolta funge da tribunale anche il consiglio cittadino, che di per sé é organo amministrativo.
Anche in materia di servizio militare e di imposte le città erano variamente privilegiate di fronte alla campagna. Gli obblighi militari dei cittadini verso il sovrano erano assai scarsi, riducendosi in sostanza al dovere di difendere le immediate vicinanze della città, con l'ulteriore riserva anzi che in molti luoghi le milizie cittadine non potevano essere obbligate a passare la notte fuori città. Ciò mise in grado le città di impiegare le loro risorse militari per il conseguimento dei propri fini particolari. Ed a tale scopo esse posero in campo interi eserciti, dapprima composti di cittadini, i cui obblighi di servizio e di armamento erano graduati sulla base del patrimonio da ciascuno posseduto, in seguito, quando la cresciuta ricchezza delle città lo permise, formati di mercenarii assoldati (guidati dai vari capitan di ventura, che non di rado passavano alla città nemica se questa pagava di più).
Sol verso la fine del Medio-Evo troviamo le città in possesso anche di notevoli parchi d'artiglieria, e vediamo che spesso imperatori e principi prendono da esse in prestito le artiglierie di cui avevano bisogno insieme con gli ormai esperti armaioli cittadini.
In posizione analoga si trovavano le città per quanto concerne le imposte. Esenti come esse erano in buona parte dai tributi pubblici, furono in grado di dedicare considerevoli somme al raggiungimento dei propri scopi. Come già abbiamo visto il sistema tributario e contabile delle città si sviluppò e perfezionò prima di quello dei principati e spesso servì a quest'ultimo da modello.
Il tipo di imposta vera e propria delle città é l'accisa che si incontra per la prima volta nel XIII secolo e che si estende poi ad un numero sempre maggiore di articoli. La causa prima che provocò l'introduzione dell'accisa fu spesso il bisogno di provvedere alla fortificazione delle città, e la manutenzione delle fortificazioni nonché degli altri edifici pubblici, e continuò anche in seguito ad essere lo scopo principale cui vennero destinate le entrate ricavate da questa imposta. Tuttavia col tempo altri bisogni sorsero, aumentarono le spese militari ed amministrative, ed allora l'accisa venne estesa nella misura necessaria a farvi fronte, quando non si preferì, come di fatto avvenne in molte città, di introdurre imposte dirette.Per poter acquistare la cittadinanza in un comune era in origine necessario possedervi un immobile; più tardi bastò che si dimostrasse il possesso di una determinata rendita; da ultimo l'acquisto della cittadinanza fu subordinato al semplice pagamento di una tassa di varia entità. Il possesso della cittadinanza era la condizione imprescindibile per la partecipazione alla vita pubblica del comune, per poter godere dei demani cittadini, nonché per poter esercitare nella città una industria, un commercio, entrare in una corporazione d'arti e mestieri, e naturalmente entrare poi a far parte del consiglio civico.
L'esistenza di un consiglio cittadino al governo di una città é già una prova che essa ha raggiunto un certo grado di autonomia; il consiglio ha base rappresentativa, é la rappresentanza del comune; esso ha anzitutto funzioni legislative ed amministrative, ma non manca di esercitare la funzione giudiziaria sia in luogo del collegio degli scabini, sia accanto agli scabini come tribunale speciale per determinate materie. Molto più tardi del consiglio cittadino spunta nei comuni l'ufficio di borgomastro, il quale di regola, ma non sempre, presiede il consiglio. Quest'ultimo adempiva alle proprie incombenze o direttamente adunandosi in sessioni plenarie ovvero mediante l'opera di commissioni e deputazioni permanenti o straordinarie incaricate di gestire determinati affari o determinati rami di amministrazione.
Raramente la carica di consigliere cittadino é vitalizia; per lo più i membri del consiglio sono nominati per un breve periodo di tempo, di regola un anno. Mentre i collegi di scabini si completano prevalentemente per cooptazione, questo sistema funziona invece solo eccezionalmente per i consigli e di solito i consiglieri sono eletti con un complicato sistema ad opera di svariati e ristretti corpi elettorali; l'elezione dei consigli per voto diretto della totalità dei cittadini lo si incontra in molte città italiane ma mai in Germania.
Le cariche dell'amministrazione cittadina autonoma erano onorarie ed i consiglieri quindi non percepivano stipendio; tuttavia essi avevano talora diritto a riscuotere alcune quote di partecipazione. Inoltre essi godevano per lo più di certi privilegi economici, come ad esempio dell'esenzione da imposte riguardo ai loro immobili. Uffici cittadini stipendiati erano invece quelli degli impiegati subalterni e dello scriba o segretario del comune, il quale nei tempi più antichi era per consuetudine un ecclesiastico.
Ben presto, in seguito le città chiamarono a questa funzione dei giuristi muniti di titoli accademici delle Università (i dottori) e costoro in grazia della loro cultura e pratica degli affari e delle leggi acquistarono ben presto grande autorità ed aumentarono il prestigio della loro carica.
Sino al XIII secolo in Germania le antiche famiglie patrizie mantennero incontrastato il governo dei comuni. Ma in seguito, e soprattutto nel XIV secolo, imitando le città italiane, le classi artigiane riunite in corporazioni, disputarono questa posizione esclusiva e dopo lotte più o meno prolungate ottennero nella maggior parte delle città, per quanto in misura diversa, di partecipare al governo del comune. Ma non raggiunsero mai quelle conquiste che invece ottennero alcune città italiane.In una serie di città la vittoria degli artigiani fu così completa che tutta la vita pubblica finì per essere subordinata all'organizzazione corporativa (come Firenze); le corporazioni divennero i corpi elettorali cui spettava di eleggere il consiglio cittadino e nessuno poteva acquistaste la cittadinanza di un comune se non era iscritto ad una corporazione. I patrizi quindi, se non vollero decadere da ogni diritto politico, e restare ai margini della vita pubblica, dovettero entrare anch'essi in una corporazione esistente oppure costituire una propria corporazione.
Tuttavia nelle città dove aveva trionfato la democrazia tornò di solito dopo qualche tempo a formarsi una aristocrazia nuova, composta delle più influenti e ricche famiglie (che iniziamo a chiamare "borghesia") che monopolizzò per sé i seggi nel consiglio cittadino, e provocò nuove reazioni da parte di altre classi che così rimasero escluse dal governo. (A Venezia questo monopolio (dopo la "gran serrata" del 1300) rimase ben saldo sempre a un numero molto ristretto di patrizi; e questo fino alla caduta della Serenissima del 1796, dovuta al ciclone napoleonico. Circa 270 erano i patrizi nel 1300 e poco più erano ancora alla caduta di Venezia).
Un lato particolarmente splendido della vita pubblica dei comuni e quello dell'amministrazione interna; un campo nel quale la borghesia intraprese per la prima volta l'attuazione di quei fini di interesse generale che caratterizzano lo Stato moderno. Ne é prova la cura dedicata dai comuni alla viabilità e all'edilizia, nonché alla tutela della salute pubblica mediante l'istituzione di medici condotti (a Venezia operò un vero e proprio "Ministero" della Salute Pubblica), la sorveglianza sulle farmacie e la fissazione dei prezzi dei medicinali.
Assai rigorose e dettagliate sono le leggi suntuarie che le città medioevali emanarono per stabilire quanto ciascun cittadino potesse spendere in abiti e monili e persino in vitto e bevande; spesa lecita che era graduata a seconda della classe cui ognuno apparteneva e del patrimonio che possedeva.
Gran cura dedicarono poi le città alla circolazione monetaria, ramo d'amministrazione che infatti era di importanza fondamentale per l'industria ed il commercio. Siccome i principi medioevali troppo spesso abusavano della loro regalia di zecca concependola più che altro come una fonte di lucro, mettevano in circolazione monete scadenti, e nel contempo dichiaravano fuori corso arbitrariamente i precedenti tipi di moneta costringendo coloro che possedevano quest'ultima a cambiarla con la nuova ad una svalutazione arbitraria. Le città reagirono con tutte le loro forze contro tali sopraffazioni e cercarono di ottenere ed ottennero di coniare moneta propria, il che peraltro non fece che aggravare l'inconveniente già esistente della grande molteplicità di tipi di moneta in corso. La selezione tuttavia operò bene, a primeggiare rimasero solo quelle monete che alle spalle avevano noti banchieri con delle risorse enormi; le monete che godettero questo alto prestigio sono entrate ormai nella leggenda, come lo Zecchino, il Ducato, il Fiorino.Come per la moneta del resto, così per il sistema dei pesi e misure che era diverso da comune a comune, la città medioevale manifesta una tendenza alla differenziazione ed all'isolamento in tutto il campo dei rapporti economici. Se escludiamo la solita Venezia, città altamente cosmopolita) ogni città, per quanto piccola, formava col suo circondario immediato una specie di distretto industriale e commerciale isolato in cui si cercava di provvedere con la esclusiva produzione interna per lo meno ai bisogni più immediati della vita locale.
Tuttavia non era naturalmente possibile fare del tutto a meno dello scambio con i prodotti di altri luoghi più o meno lontani. E questi scambi si effettuavano principalmente nei mercati annuali, (le prime "fiere" anche in lontane città) mentre i mercati settimanali nella propria citta servivano piuttosto agli scambi con la popolazione del contado circostante o città vicine. Ad ogni modo questi mercati hanno avuto una grande importanza; si può dire che appunto come luoghi di mercato le città sono divenute quei centri di vita sociale che noi vediamo, la cui caratteristica é l'attività tipicamente mercantile. É per questo motivo che il possesso di residenza in città non bastava a procurare il diritto di cittadinanza; occorreva infatti, che si entrasse a far parte delle organizzazioni mercantili proprie del comune. La repressione dell'abusivismo era duramente applicata, con la confisca delle merci e anche da salate multe, oltre che l'espulsione.
Coerentemente a ciò il ceto principale delle città è quello dei mercanti e d'indole mercantile sono i più antichi privilegi che vediamo concessi alle città; i mercanti sono i rappresentanti del traffico nonché i depositari del capitate mobiliare. Naturalmente vi erano diverse classi di mercanti. Oltre ai piccoli commercianti fissi, veri pionieri d'ogni commercio, che erano tuttora numerosissimi nelle città e vendevano le loro mercanzie ai cittadini e a quelli numerosissimi che giungevano in città dalle campagne o dai castelli nobiliari, si avevano anche i merciai ambulanti che in origine giravano per i mercati di altre città e paesi vendendovi minuterie, stoffe, stoviglie, attrezzi, droghe e spezierie ed articoli d'ornamento a prezzi convenienti.
Col tempo però anch'essi fissarono in un determinato luogo la propria bottega e si organizzarono in gilde e corporazioni come gli artigiani, monopolizzando ad esclusivo loro favore in ciascuna città il genere di commercio che esercitavano.
Accanto ai piccoli commercianti spuntò poi la classe superiore dei commercianti all'ingrosso. Anche costoro non erano all'inizio specialisti, ma trafficavano tanto con i prodotti nazionali quanto con prodotti nordici ed orientali, ma poi l'intraprendenza e la genialità permise loro di raggiungere i vertici del commercio, fino a diventarne in certi casi monopolisti.
Col crescere della produzione industriale e della richiesta dei mercati locali questi stessi mercanti all'ingrosso si dedicarono sempre più ad uno speciale ed esclusivo ramo di commercio. I più antichi traffici speciali di questo genere sono il commercio dei metalli preziosi, cui andò unito il commercio bancario, ed il commercio delle lane, delle stoffe, delle armi. Banchieri e mercanti di panni costituiscono l'aristocrazia mercantile delle città (come la già citata Firenze, e così anche Lucca, Milano).Le città divennero pure i centri principali della stessa attività industriale. L'affluenza nelle città di numerosi elementi che aspiravano a crearsi una nuova esistenza col proprio lavoro vi portò i germi di una peculiare organizzazione dell'industria, i quali all'ombra della libertà cittadina si svilupparono rapidamente. La forma di organizzazione del lavoro industriale fu la forma corporativa, in armonia alla tendenza verso questo tipo di ordinamento sociale che si riscontra in tutto il Medio-Evo.
Le corporazioni d'arti e mestieri si svolsero da associazioni costituite inizialmente fra gli artigiani dei vari rami d'industria con scopi religiosi o spirito di socievole comunità; ma ben presto spuntò e prevalse nel loro interno il fine di organizzare e promuovere lo sviluppo dell'industria cittadina; così esse si trasformarono in corporazioni professionali aventi come fini semplicemente secondari la mutua assistenza e la disponibiltà, ciò che iniziò a prevalere era soprattutto il proprio profitto.
Queste corporazioni sempre più potenti e organizzate, in seguito reclamarono ed ottennero il riconoscimento della propria esistenza come enti e della propria autonomia interna; si governarono da sé sotto la direzione di capi eletti nel proprio seno e si dettero statuti propri (una speci di "confindustria" di oggi) che regolarono l'esercizio del rispettivo ramo di industria e mestiere.
La loro mira fu poi quella di rendere coattiva l'organizzazione, di costringere i singoli artigiani ad entrare nella rispettiva corporazione, così da dominare il mercato industriale oltre che proteggere i singoli artigiani nella loro posizione personale e sociale.Ed esse ottennero questo scopo, salendo in un certo modo alla dignità di istituzioni pubbliche ed acquistando, come organi naturali della classe più numerosa della cittadinanza, una considerevole influenza nel governo.
Ed il cittadino in seno alle corporazioni si educò alla solidarietà di classe ed alla coscienza della propria forza, vi guadagnò in prosperità materiale, senza contare che attraverso l'organizzazione corporativa il ceto industriale si conquistò i diritti politici e la partecipazione al governo del comune.E' in seno alle corporazioni che aumentò il solido e cosciente ceto artigiano del Medio-Evo. D'altro canto il carattere coattivo di queste organizzazioni per cui tutti erano obbligati ad entrarvi rappresentò per i singoli una grave limitazione della libertà personale, specialmente nel campo economico. Le corporazioni vigilarono gelosamente a che nessuno dei loro membri lavorasse a condizioni più vantaggiose degli altri e quindi traesse dalla propria arte lucri maggiori degli altri. (formarono una specie degli odierni "cartelli").
Esse pensavano a procurarsi le materie prime, che poi ripartivano tra gli artigiani, cui non era lecito prelevarne. un quantitativo maggiore di quello che bastava al lavoro in corso. L'artigiano organizzato non poteva neppure possedere strumenti ed installazioni più perfezionate di quelle dei soci. E come erano fissati i salari, così la vendita dei prodotti era assoggettata a precise norme che stabilivano le condizioni di tempo e di luogo. Né le corporazioni mancarono di tutelare gli interessi dei consumatori; esse si fecero - acquistando così prestigio - un punto d'onore di fornire merce di qualità. Se oggi è il singola marchio a garantire il prodotto, allora era l'intera corporazione.Queste organizzazioni d'altronde davano già a priori una garanzia che l'operaio ad esse iscritto era dotato di una indubbia abilità all'esercizio della rispettiva arte. Infatti chi aspirava a far parte della maestranza di una determinata corporazione non solo doveva essere incensurato e di buona condotta - oltre naturalmente ad essere cittadino - ma doveva dimostrare la propria capacità eseguendo il cosìddetto «capolavoro», un campione cioè della produzione di quel determinato ramo d'arte approvato dai maestri d'arte più anziani della corporazione.
Anche il noviziato ed il tirocinio del mestiere era dettagliatamente regolato. L'apprendista doveva essere di nascita legittima e di buona famiglia; nelle città tedesche poi si esigeva che fosse d'origine tedesca perché gli Slavi erano eclusi dalle corporazioni per la loro condizione servile.
L'accettazione dell'apprendista si faceva con alcune cerimonie davanti alla corporazione riunita, la quale curava pure e sorvegliava il suo tirocinio collocandolo presso uno dei maestri d'arte (messo a "bottega") dove il novizio era assoggettato ad una rigida disciplina, ma tuttavia veniva considerato di solito come un membro della famiglia. Lavorava ovviamente del tutto gratis, ma spesso - se il suo era un famoso maestro - versava anche una retta che pagava il suo genitore o tutore.Al termine del tirocinio, che durava ordinariamente da tre a cinque anni, avveniva il "proscioglimento" dell'apprendista, il quale poi diveniva lavorante in proprio e solo da allora poteva andare in giro per il mondo. Questi viaggi oltre che giovare alla sua educazione tecnica, erano per lui una scuola morale ed intellettuale, che lo "spirito dei tempi" richiedeva.
La condizione di lavorante non era che all'inizio di un ulteriore gradino di carriera dell'ex apprendista che voleva diventare in seguito «maestro», ma col tempo mutò carattere, nel senso che divenne sempre di più un privilegio esclusivo di coloro che già appartenevano a famiglie dei membri delle corporazioni d'arte; e chi non era figlio di un maestro, non poté più sperare di divenir tale.
Con ciò la categoria dei lavoranti si trasformò in una speciale classe della popolazione artigiana delle città e non passò molto che costoro si organizzarono in corporazioni che presero sotto vari aspetti a modello le corporazioni dei maestri d'arte, e non di rado assunsero verso quest'ultime un'attitudine ostile.
Del resto anche queste corporazioni di lavoranti giovarono a procurare lavoro a se stessi ma anche agli operai, e in genere a migliorare le condizioni dei singoli e ad elevare la posizione sociale l'intera classe.Terminato questo capitolo sulle città e sui ceti
passiamo ora ad un'altro capitolo su due importanti argomenti ...