115. LA QUESTIONE DELLE INDULGENZE
Lo zelante Teztel itinerante venditore di indulgenze, in una immagine dell'epoca
Una lettera d'indulgenza stampata da Gutenberg con i suoi primi caratteri mobili
( a fondo pagina - in formato grande e con il testo tradotto )Il segno della lotta del nuovo movimento, che tante conseguenze storiche doveva recare nel mondo moderno, fu dato dall'improvvisa opposizione che sorse, nel corso dell'anno 1517, alla predicazione delle indulgenze, ch'era stata ordinata dal pontefice Leone X, a beneficio della Chiesa.
Non era questa una cosa nuova, fin dal 1455, Gutenberg con i suoi primi caratteri mobili ne aveva stampate diverse. La trafila però per riceverle non era così semplice, come minimo il peccatore doveva andare a Roma, o se impedito, il suo vescovo faceva da intermediario con il papa. Ovviamente l'assolto poi - proporzionalmente alla sua ricchezza - si prodigava in "opere di carità" mettendo mano alla borsa.Ma quando, nel 1513, il nuovo pontefice aveva occupato la cattedra di S. Pietro, egli aveva trovato esausto il tesoro pontificio, per le gravi spese delle lunghe guerre e per le prodigalità di Giulio II, che aveva continuato, con larghe vedute, il programma di grandioso rinnovamento artistico della Roma papale. Mancava perfino il denaro per compiere la basilica di S. Pietro, incominciata da Giulio I, che doveva riuscire la più grande basilica della cristianità e a cui lavoravano i maggiori artisti di quell'età fortunata per l'arte.
Leone X si trovò così indotto a cercare nuove fonti di denaro, e ideò la predicazione di indulgenze straordinarie, molto simili a quelle che si predicavano ogni cinquant'anni nell'occasione del giubileo. Queste indulgenze, ordinate con la bolla del 13 settembre e del 18 ottobre 1517, concedevano la remissione piena dei peccati a coloro che avessero compiuto le opere prescritte per il Giubileo, o, non potendo recarsi a Roma, avessero versato un'elemosina per il compimento della basilica vaticana. Tale remissione era concessa altresì per le anime del Purgatorio, sicché i viventi avrebbero potuto, grazie a una somma di denaro, acquistarla anche per i loro cari defunti.
Questa predicazione che, nelle città e nelle campagne italiane, dovette forse essere accolta con il solito scetticismo, era stata invece organizzata con speciali cure per la Germania, da cui si speravano i maggiori redditi. La direzione di questa impresa era stata affidata in Germania ad un prelato di costumi molto mondani. Una speculazione in piena regola.
Una speculazione in cui era coinvolta perfino una banca che aveva concesso al marchese di Brandeburgo il prestito necessario per ottenere da papa Leone X il titolo arcivescovile. Per la precisione questo pagamento venne richiesto da Roma a titolo di ammenda, perché Alberto di Brandeburgo era al contempo, contravvenendo la legge, amministratore della diocesi di Halberstadt e vescovo di Magdeburgo. Ad aggravare le circostanze, almeno sotto il profilo etico e dal punto di vista dei seguaci del movimento guidato da un modesto monaco, figlio di contadini, e che più avanti conosceremo meglio, era la fervente attività uno spregiudicato frate domenicano che della vendita delle indulgenze aveva fatto una professione itinerante. Estendendo oltretutto la pratica all'assoluzione dei peccati dei defunti. La presenza di Tetzel venne registrata con maggiore frequenza nelle città di Jueterbog e Zerbst, dove si era arrivati a pubblicare un vero e proprio listino.
Alberto di Brandeburgo, aveva assicurato alla Curia pontificia un grande successo, aveva pagato l'ammenda con il prestito, e aveva stabilito, a proprio favore, la metà dei futuri proventi.
Per la propaganda di queste indulgenze, lungamente preparata da una vasta campagna, che si era iniziata fin dal 1516, il potente arcivescovo si era rivolto ai Domenicani, e in particolare ad una strana figura di monaco intraprendente, Johann Tetzel, che si fece, in quegli anni, zelante banditore e infaticabile delle nuove indulgenze. Vi era anzi di più: l'arcivescovo di Magonza e i Domenicani si erano intesi, per la divulgazione, anche con una ditta bancaria famosa di Augusta, la ditta Fugger, la quale aveva le sue succursali in quasi tutte le città della Germania, e poteva perciò più rapidamente e più facilmente raccogliere e far pervenire bancariamente i redditi di queste straordinarie predicazioni.
Si era formata così una vera impresa commerciale, in parte, forse, ad insaputa della Curia pontificia; e questa impresa si avvaleva dei mezzi più spicciativi e più pratici, e non soltanto dei sacerdoti e dei Domenicani, ma anche degli stessi commissari di banche, i quali tenevano a disposizione, presso i propri sportelli, i certificati delle indulgenze, pronti ad essere acquistati a denaro sonante.
L'impresa divenne scandalosa. Vi era una tariffa fissa per le persone e per i peccati. Le classi più elevate, principi, arcivescovi, vescovi, pagavano per l'assoluzione 25 fiorini d'oro; prelati, baroni e conti, 10 fiorini; borghesi in vista, 6 fiorini; piccoli borghesi, i fiorino; i poveri, mezzo fiorino, un quarto e anche meno.D'altra parte erano graduati anche i peccati: 12 ducati per la sodomia; 6 per la stregoneria; 7 per il sacrilegio; 4 per il parricidio; tasse minori per i minori peccati. Ogni delitto poteva ottenere la propria assoluzione dopo aver pagato l'indulgenza. Il monaco Tetzel assicurava, nelle sue prediche, che «con un quarto di fiorino si poteva acquistare dai più umili un salvacondotto per il paradiso»; e, per la remissione desiderata dai viventi a favore delle povere anime che erano sicuramente al Purgatorio, «al suono di ogni moneta che tocca il fondo della cassetta, era un'anima che dalle pene del Purgatorio volava verso la beatitudine eterna del Paradiso ».
Questo appello straordinario alle indulgenze, aggravato dalla forma quasi commerciale in cui fu lanciato, suscitò un movimento contrario fin dal primo momento del suo annuncio. Le anime pie sentirono la profanazione; e i frati Agostiniani, che pure altre volte avevano avuto la gestione di queste lucrative collette, offesi forse per la preferenza data, questa volta, non solo all'ordine dei Domenicani ma addirittura agli sportelli bancari, fecero sentire qualche voce di protesta.
Di questo sentimento religioso, di questo movimento di protesta, si fece interprete il giovane monaco Agostiniano, Martin Lutero, che, nell'insegnamento della filosofia e della teologia nell'Università di Wittenberga, oltre che nella predicazione, si era guadagnato già una bella fama di dottrina e di pietà.
Il successivo capitolo sarà dedicato tutto a Lutero, ma qui anticipiamo qualche nota sulla sua vita, poi l'approfondiremo meglio.
MARTIN LUTERO nacque ad Eisleben, un borgo rurale sull'Elba, nell'attuale parte orientale della Germania, il 10 novembre del 1483. Il padre Hans, un contadino di scarsi mezzi, ma con qualche ambizione, si trasferì con l'intera famiglia a Mansfeld subito dopo la nascita del futuro riformatore. I mezzi erano scarsi, ma per garantire al piccolo Martin e alla moglie Margareta una certa tranquillità economica, il capofamiglia tentò l'avventura nell'estrazione del rame. Il tentativo dell'improvvisato minatore ebbe successo e già nel 1491 i registri parrocchiali indicano i Lutero come una delle famiglie più prospere di Mansfeld. Martin, il primo di una numerosa prole, venne iscritto alla scuola di Mansfeld, in cui le giornate trascorrevano con l'intenso studio del latino. La disciplina era ferrea, un aspetto dell'educazione del giovane Lutero che ebbe un profondo influsso sulla vita del grande teologo. Martin proseguì gli studi a Magdeburgo e, nel 1498, si trasferì ad Eisanch, dove fu accolto da alcuni parenti e frequentò la scuola parrocchiale della città. Hans Lutero si era nel mentre assicurato una sufficiente solidità finanziaria per permettersi di inviare il primogenito all'università per farne un avvocato.
Il giovane Lutero si trovò così avviato agli studi di legge della facoltà di Erfurt. Erfurt, ospitava in quell'epoca una delle migliori università di lingua tedesca, ma Martin non fu probabilmente entusiasta della decisione presa dal padre. Conseguito il baccalaureato nel 1502 e il magistero nel 1505, gli interessi del futuro teologo continuavano a rimanere distanti dalla pratica della professione legale. La leggenda vuole che, mentre, nei pressi di Stotterheim, di ritorno a Erfurt dopo una visita ai genitori, Lutero fosse sorpreso da un'improvviso temporale. Un fulmine si abbatté vicino al futuro padre della Riforma. Scaraventato a terra dallo spostamento d'aria, si appellò a Sant'Anna e fece voto che avrebbe abbandonato gli abiti secolari per il saio. Il 16 luglio partecipò a un ultimo banchetto fra gli studenti dell'università, il giorno seguente entrò nel monastero degli Agostiniani di Erfurt, per seguirne la regola. Nel 1506 prese i voti. Lo attendeva una vita dura, fatta di preghiere, studio e lavoro. Per i monaci agostiniani la giornata iniziava alle tre del mattino, con le prime delle preghiere prescritte per la giornata. Dopo un periodo relativamente breve, nel 1507, Lutero venne ordinato sacerdote e si avviò, rimanendo a Erfurt, agli studi di teologia. Se fino ad allora le scelte intraprese dal giovane Lutero erano del tutto prevedibili in riferimento agli stimoli ricevuti nel corso della sua educazione, sia a scuola che in famiglia, il contatto con l'umanesimo, che a Erfurt, e soprattutto fra i teologi, contava diversi sostenitori, fu un fatto del tutto inaspettato.Fondamentale per comprendere la strada che seguì da lì a breve, conducendolo fino alla Riforma. Ad fontes, alla fonte, sostenevano i dotti per promuovere l'interpretazione dei testi, quelli sacri in particolare, per avvicinarsi il più possibile al loro significato originale. Lutero, che padroneggiava con singolare sicurezza il greco e il latino, trovò naturale seguire il nuovo corso. Ottenuto il dottorato in teologia nel 1512, colui che sarebbe presto diventato il padre della Riforma, ottenne una cattedra all'Università di Wittenberg. Iniziò per Lutero un intenso periodo di studi, in cui sviluppò i principi delle tesi di Wittenberg e, in questo modo, della Riforma stessa.
Nelle dissertazioni sui Salmi, elaborate fra il 1514 e il 1515, sulle Lettere ai Romani, ai Galati e agli Ebrei, emerge il travaglio interiore che accompagnò il giovane teologo nei momenti più difficili della sua carriera. Da secoli gli storici cercano di capire con precisione il punto di rottura con la fede cattolica, ma, come preferiscono sostenere gli autori più recenti, in mancanza di prove certe, il passaggio fu probabilmente molto graduale. La tradizione vuole che Lutero, mentre meditava sui passi della Lettera ai Romani, nella torre, adibita a studio, del monastero di Wittenberg. Come avrebbe affermato più tardi nella prefazione di alcuni suoi scritti, Lutero venne folgorato. Le scritture gli avrebbero rivelato che gli uomini ricevono la giustizia attraverso la grazia del Signore, non, come sosteneva la dottrina ufficiale della Chiesa, attraverso le opere o peggio attraverso i pezzi di carta che la banca Fugger rilasciava dietro pagamento della tariffa.
Lutero fu colpito da un impeto di sdegno contro quella profanazione dei più puri sentimenti religiosi. Inoltre quello che agli occhi di Lutero risultava particolarmente scandaloso, era la garanzia data da Tetzel, e da chi, come lui, era direttamente impegnato nelle vendite, di una vita tranquilla lontano dal rimorso ai peccatori paganti.
La contrizione, il rimorso, e l'angoscia conseguente al peccato erano invece per il teologo agostiniano l'unica strada da percorrere per ottenere la salvezze della propria anima, e non il versamento dell'obolo a tariffa. Il 31 ottobre, Lutero, che aveva avuto modo di intuire la diffusione che aveva raggiunto la vendita delle assoluzioni osservando il costante calo dei fedeli che gli si rivolgevano per la confessione, si decise a intervenire.
il 31 ottobre 1517, allorché, per la festa degli Ognissanti, era preannunciata in Wittenberg la predicazione del Domenicano Tetzel ed era forse previsto un grande smercio di indulgenze.
Anche se non fu possibile questa predicazione, in quanto la vendita delle indulgenze a Wittenberg era stata vietata dal principe elettore di Sassonia in tutto il suo territorio (non certo per ragioni teologiche, ma perché doveva vendere le sue!) .
Lutero indirizzò una lettera al vescovo di Brandeburgo, includendo una copia delle 95 tesi, divenute celebri nella storia europea per essere state esposte quel giorno stesso, sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg. 95 tesi, o proposizioni da dimostrarsi, sulla materia delle indulgenze, invitando chiunque volesse a rispondervi.
In queste tesi, Lutero non confuta il sistema della fede cattolica, né condanna alcun principio religioso cattolico. Si limita ad avanzare qualche dubbio sull'efficacia delle indulgenze, specialmente nella forma semplice e sbrigativa con cui erano proposte; ma non nega l'essenza religiosa di esse, né al papa il diritto di concederle. «Meglio, egli dice, donare ai poveri o conservare il proprio denaro, che comprare indulgenze. Chi nega l'elemosina e compra le indulgenze incorre nello sdegno di Dio».Lutero non usciva, dunque, dall'orbita della fede e della gerarchia cattolica; anzi professava apertamente il suo profondo senso cattolico e l'obbedienza verso il pontefice, che supponeva male informato sui sistemi adottati in questo traffico religioso.
Senonchè le 95 tesi di Lutero, pubblicate in Wittenberg, ebbero subito larga risonanza in tutta la Germania. Furono lette avidamente e discusse, e la faccenda delle indulgenze trovò subito difficoltà a progredire. Invano il frate Tetzel, cogliendo l'invito, aveva risposto con 110 antitesi. Il favore del pubblico per le opposizioni di Lutero era già evidente; e Lutero stesso continuava animoso nella sua diatriba. Alla risposta di Tetzel contrappose le sue risoluzioni sulle tesi da lui prospettate, e le accompagnò con una lettera al pontefice Leone X, a cui erano dedicate, presentandole come una professione di fede, in materia di indulgenze, la quale, riconoscendo in pieno l'autorità della Chiesa e del pontefice, vuole tuttavia sottoporre a nuovo esame le dottrine e le pratiche allora escogitate in questa materia.In queste «Resolutiones disputationum de indulgentiarum virtute», egli dichiara al Pontefice: "Prostrato ai piedi della tua beatitudine, mi offro a te con tutto quello che io e sono. Vivificami, uccidimi, chiamami, revocami, approvami, riprovami, come ti piacerà. Riconoscerò nella tua voce la voce di Cristo che in te presiede e parla. Se meritai la morte, non ricuserò di morire".
Martin Lutero era dunque cattolico, ammetteva e rispettava l'autorità del pontefice; ed era anche sincero quando, in quella lettera, si meravigliava della rapida e imprevedibile diffusione che le sue tesi avevano ottenute, e si doleva di non averle espresse in forma più precisa e comprensibile.Ma qui era ormai il segno della profonda differenza che stava per essere impresso tra le dispute teologiche, così frequenti nel medio evo, e la disputa che improvvisamente era stata accesa da Lutero, contro il sistema papale delle indulgenze, applicato dall'arcivescovo di Magonza e dai Domenicani.
Mentre le comuni dispute teologiche avevano interessato, più o meno largamente, le università, le chiese ed i monasteri, ora le tesi di Lutero, le quali toccavano una materia economica di valore attuale, erano state accolte fra le folle appassionate alla disputa, erano state lette nelle chiese da numerosi seguaci agostiniani, erano state tradotte e commentate in tutta la Germania.Già si delineava una corrente nella nobiltà, specialmente nella piccola nobiltà, favorevole a Lutero e (per i motivi già detti e che nulla avevano a che vedere con lo spirituale) avversa alla Chiesa cattolica, e quella corrente guadagnava ogni giorno nuovi seguaci.
Si dice che, quando Leone X ebbe notizia di queste accanite discussioni sollevate dal monaco agostiniano, esclamasse: «Le son fraterie», cioè le solite discussioni teologiche fra i diversi ordini religiosi. Ma egli non si era accorto che la discussione teologica aveva già superato la stretta cerchia dei conventi, era già uscita dalle pareti delle scuole e delle Università, e si era allargata alla cerchia più vasta di una pubblica opinione, preparata ormai per varie ragioni ad intenderla, la quale non attendeva che di essere guidata nel suo orientamento, per determinarsi in tutta la sua forza travolgente. Leone X sottovalutò il "frate".
La discussione teologica era divenuta aspra: i minoriti di Juterbock, l'inquisitore di Hochstraten, le Facoltà teologiche di Colonia e di Lovanio, oltre che Tetzel e Wimpin, erano entrati in quella discussione, e a tutti Lutero aveva risposto con una veemenza e una prontezza veramente meravigliose. Ma già si delineava la forza politica e morale dei suoi seguaci: l'Elettore di Sassonia aveva trovato giuste le proposizioni di Lutero; i nobili e gli umili si erano rifiutati ormai di versare gli oboli richiesti dalla Chiesa; si era formato una corrente di sostenitori entusiasti e fanatici delle nuove dottrine.
Nell'aprile del 1518, gli Agostiniani, a difesa di Lutero, indicono un convegno in Heidelberg. I Domenicani, dichiarati avversari, assicurano che entro un mese il nuovo eretico sarà bruciato, e già gli amici di Lutero, preoccupati, lo pregano di non intervenire. Lutero invece si reca al convegno, e vi é accolto come un trionfatore. Nella discussione delle sue tesi, pare quasi che egli riceva, dal favore della pubblica opinione, l'impulso a rafforzare la sua fede, a precisare il suo programma, ad estendere i suoi fini. La discussione, lungi dal frenare il pensiero di Lutero, si direbbe che lo accelera. Egli sostiene gli attacchi di cinque dottori e ne esce trionfante.
Le lettere d'indulgenza
A tutti coloro che credono in Cristo e leggono questa lettera, Paolino Chappe, consigliere, messo e procuratore generale del re di Cipro, invia il suo saluto nel Signore. Il Santissimo Padre in Cristo e Signore Niccolò V, Papa per volere della Provvidenza Divina, mosso a pietà del Regno di Cipro oppresso dagl'infedeli nemici della Croce di Cristo, Turchi e Saraceni, concede gratuitamente a tutti i credenti in Cristo, dovunque si trovino (in considerazione del sangue versato da Gesù Cristo), i quali, entro tre anni dal primo maggio dell'anno del Signore 1452, abbiano col loro patrimonio contribuito più o meno alla difesa della fede cattolica e del Regno suddetto, ciascuno secondo la propria coscienza, ai procuratori. o ai messi dipendenti, la grazia di scegliersi appositi confessori nel clero laico o monastico, i quali, udita la loro confessione, abbiano il potere di impartire per una volta soltanto l'assoluzione e d'imporre una salutare penitenza anche per reati e mancanze che in altri casi sono di competenza della Sede Apostolica; inoltre coloro che cadono sotto la pena della scomunica, della sospensione e dell'interdetto o che vengono colpiti da altre sanzioni ecclesiastiche, reprimende o punizioni, possono essere assolti a loro richiesta sottostando, a seconda della specie della colpa, a una penitenza salutare e a quella sanzione che si deve loro imporre secondo le norme giuridiche o umane. Dopo che essi (i postulanti) si siano veramente pentiti e si siano confessati, ovvero qualora in seguito a perdita della favella non possano confessarsi, ma mostrino i segni della contrizione, a tutti costoro i confessori debbono impartire l'indulgenza plenaria per tutti i peccati, che abbiano confessato e di cui si siano pentiti e l'indulgenza plenaria una volta tanto nella vita e una volta in caso di morte in forza dei pieni poteri apostolici.
Gli impegni assunti debbono assolverli essi stessi, se rimangono in vita o i loro eredi in caso di loro morte; ma in modo che dopo la concessa remissione dei peccati digiunino per un anno ogni venerdì o in un altro qualsiasi giorno, senza riguardo agl'impedimenti legali in contrasto della Chiesa, alle abitudini, alle penitenze imposte, ai voti o ad altri impedimenti. Ma se durante l'anno o in una parte di esso si siano verificati motivi d'impedimento, dovranno digiunare nell'anno seguente o non appena possano. E se non resta loro comodo compiere il digiuno durante un anno o in una parte di esso, il confessore competente ha la facoltà di mutare il digiuno in altre opere di carità, che essi sono poi obbligati a compiere. In nessun modo debbono peccare, fidando in questa indulgenza; altrimenti tanto la suddetta concessione d'indulgenza plenaria in caso di morte quanto l'indulgenza per peccati che vengono commessi fidando nell'indulgenza stessa, perderebbero ogni efficacia e valore. E poiché l'umile in Cristo, Federico Schulem, altanista della Chiesa di S. Sebaldo, ha eseguito la propria prestazione in confornità dell'indulto e del suo patrimonio, egli deve godere meritatamente di questa grazia. Autentichiamo il presente rescritto, apponendovi il prescritto sigillo.
Dato a Norimberga nell'anno del Signore 1455. 24 Marzo.FORMULA DELLA REMISSIONE E DEL PERDONO COMPLETO IN VITA.
Che il Nostro Signore Gesù Cristo si muova a pietà di te, possa perdonarti in virtù della sua santa e benevola misericordia. In forza dei suoi pieni poteri e di quelli dei suoi santi apostoli Pietro e Paolo, nonché dei pieni poteri apostolici, a me trasmessi per il tuo bene, io ti assolvo da tutti i peccati confessati e dimenticati e dei quali ti sei pentito, anche per tutti i casi riservati alla Sede Apostolica, traviamenti, reati e mancanze di qualsiasi gravità siano, e ti libero da ogni eventuale sanzione ecclesiastica, reprimenda. e punizione di scomunica, sospensione, interdetto, che ti siano stati inflitti per vie giuridiche o morali; e t'impartisco il perdono completo di tutti i tuoi peccati fin dove giunge il potere della Santa Madre Chiesa.
In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Amen.FORMULA DI ASSOLUZIONE COMPLETA DEI PECCATI IN CASO DI MORTE.
Che il nostro Signore Gesù Cristo si muova a pietà di te (come sopra). Io ti assolvo da tutti i tuoi peccati confessati e dimenticati e dei quali ti sei pentito, riammettendoti nella comunità dei fedeli e risomministrandoti i Sacramenti della Chiesa. Ti libero dalle pene del purgatorio, in cui sei caduto per colpe e trasgressioni e t'impartisco il perdono completo di tutti i peccati tuoi, fin dove giunge il potere della Santa Madre Chiesa.
In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Amen.
GIOVANNI DI YDSTEIN, dottore di Sacra Teologia, ha composto quanto sopra.
ANDREA DI CLUNSEN, notaio, lo ha sottoscritto
Ormai il dado è tratto, e la questione delle indulgenze, divenuta all'improvviso di carattere nazionale, incitando tutta l'energia del monaco agostiniano, sta per diventare contro la Chiesa cattolica dell'intera Germania la causa di una travolgente protesta.
Per questo motivo, che oltre che chiamarsi "Riforma"
fu detta "Riforma Protestante".