112. MOVIMENTI RELIGIOSI, ERESIE E SCISMI
La dea eresia
Alcuni di questi fatti li abbiamo già accennati nei precedenti capitoli e gli stessi protagonisti ci sono quasi già familiari come Huss (1370-1415) e Wycliff (1384-1394) trattati nel capitolo 87°. Il primo finì sul rogo, il secondo Wycliff fu forse il primo vero riformatore che sia sorto prima di Lutero.
Wycliff espresse la ferma convinzione che si potessero secolarizzare i beni ecclesiastici illimitatamente, perché delle ricchezze che un tempo i re e la nobiltà avevano donato alla chiesa questa abusava e perché le stesse ricchezze stornavano il clero secolare dal retto adempimento del suo dovere; in sostanza egli mostrò di considerare la ricchezza della chiesa come la causa fondamentale da cui era scaturita la sua generale corruzione.La vita della Chiesa, anche nei momenti di maggiore fortuna, era stata sempre accompagnata da contrasti e da movimenti di pensiero e d'interessi, che avevano aperto l'ingresso alle eresie e agli scismi. Ed ora, sulla fine del medio evo, quando la potenza del Papato si era ingigantita, quando gli spiriti avevano trovato più larghi e più facili alimenti, quando il gioco degli interessi si era fatto più vivace, era naturale che quelle divergenze e quei contrasti si moltiplicassero.
L’eresia medievale viene erroneamente associata alla mancanza di fede, in realtà l’eresia non nasce dal non credere, ma da un bisogno di credere e di vivere diversamente la propria religione.
Era l’aspirazione di numerosi laici che volevano tornare al modello ideale di chiesa descritto nei vangeli e negli atti degli apostoli.
I movimenti evangelici si caratterizzarono per un radicale anticlericalismo che rimetteva in discussione l’esistenza delle strutture e del personale ecclesiastico.Il grande scisma d'Occidente, con i concili di Pisa, di Costanza, di Basilea, aveva assestato fieri colpi alla dottrina tradizionale dell'onnipotenza pontificia. Il concilio ecumenico aveva affermato la propria superiorità sul papa; aveva precisato il dogma dell'infallibilità come sua competeza a tutta la Chiesa, e quindi a tutti i dignitari ecclesiastici, e non solo al pontefice, che - gli ricordava - era soltanto un membro della Chiesa; aveva preteso il diritto di convocarsi indipendentemente dall'autorità del pontefice e per gli interessi supremi della Chiesa; aveva affermato il diritto di eleggere e di deporre, ed anche di condannare a pene temporali i papi.
Il Papato con Martino V - che aveva rimesso piede sul soglio dopo i tre contestati papi - era corso ai ripari; e, nelle nuove circostanze, si era affrettato a stringere con i principi e con i governi civili delle singole nazioni una serie di concordati (all'Inghilterra per sempre, alle altre nazioni per la durata di cinque anni) nei quali si precisavano i diritti della Curia pontificia, mantenendoli teoricamente integri, mentre poi in pratica si concedevano alle autorità civili privilegi ed esenzioni, in riguardo alle istituzioni ecclesiastiche dei loro territori, che rivelavano già avviato il sistema del giurisdizionalismo.
Di una riforma generale ed organica della chiesa pretesa dai conciliaristi non si fece più nulla. L'onnipotenza pontificia si prese ancora gioco di coloro che a Costanza e Basilea avevano affermato la propria superiorità sul papato.Comprensibilmente in questi contrasti, si erano manifestate alcune dottrine religiose e politiche avverse alla Chiesa romana. La dottrina della derivazione diretta dell'autorità civile da Dio, senza intromissione pontificia, era stata sostenuta in parte con argomenti ortodossi, in parte con ragioni tendenti all'eresia.
L’eresia medievale viene erroneamente associata alla mancanza di fede, in realtà l’eresia non nasce dal non credere, ma da un bisogno di credere e di vivere diversamente la propria religione.
Era l’aspirazione di numerosi laici che volevano tornare al modello ideale di chiesa descritto nei vangeli e negli atti degli apostoli.
I movimenti evangelici si caratterizzarono per un radicale anticlericalismo che rimetteva in discussione l’esistenza delle strutture e del personale ecclesiastico.Vi erano, specialmente tra i Francescani, correnti estremiste ascetiche, le quali, non assecondate dai papi, si erano rivolte contro il Papato, specialmente con Ubertino da Casale, e con i Lollardi. E nel seno stesso dell'ortodossia, da parte di sublimi spiriti, come quelli di Dante e di S. Caterina da Siena, erano stati mossi aspri rimproveri alla Chiesa romana, ai pontefici troppo amanti della vita terrena, ai sacerdoti non degni dell'alta missione, per cui tutte le brutture della vita decadente della Curia romana e del clero erano state messe a nudo e condannate.
Ancora nel secolo XIV era viva la corrente avverroista, che proclamava l'inconciliabilità tra le verità religiose e filosofiche, ed era indotta a sostenere una Chiesa spoglia di ogni interesse terreno, rivolta soltanto alle sue cure religiose, vivente nell'umiltà e povertà primitiva, contro l'avarizia e la corruzione del clero. Questa corrente si legava naturalmente con quella dei mistici, che, ispirandosi alla voce semplice della Bibbia, con gli Albigesi, con i Valdesi, specialmente, aveva generato una serie di movimenti eretici, di cui la Chiesa si era poi presa aspra e sanguinosa vendetta.
(vedi "I CATARI", i "PATARI" >
e il singolare personaggio "FRA DOLCINO" > )Se, in genere, si può dire che, in Italia, questi movimenti religiosi, pur frequenti, erano stati quasi sempre (pur con qualche rogo) contenuti nel terreno dogmatico, né avevano mai tentato di travolgere la fede e di portare la lotta sul terreno politico; invece, fuori d'Italia, dove era sentita meno la necessità di mantenere alla religione tutta la sua forza, per la sua grande missione civile, e dove, anzi, l'azione religiosa del Papato poteva prendere l'aspetto di una supremazia autoritaria e fin troppo interessata, questi movimenti assunsero talora le forme e i caratteri di travolgenti eresie, che, in alcuni paesi, misero in pericolo la stessa vita della Chiesa.
E se c'erano particolari attenzioni anche nella penisola italiana è perchè vari ambienti avevano percepito i sommovimenti d'oltr'alpe e non solo in Germania.L'azione di Giovanni Wycliff, in Inghilterra, generò dalla controversia sull'obbligo dello Stato di pagare il denaro di S. Pietro, e prese subito carattere di eresia. Non solo egli negava quel pagamento, come segno di una sudditanza illegittima e incompetente alla Chiesa, ma si rivolse subito a sostenere che il re, direttamente investito da Dio della sua autorità, aveva un potere assoluto e sacro, che si estendeva anche a tutte le manifestazioni esterne della religione, onde la Chiesa doveva, sottostare al potere-civile e il potere civile aveva facoltà di spogliarla per ogni deviazione, dei beni e dei privilegi di cui avesse goduto.
Preannunciando la Riforma protestante, fin dalla metà del secolo XIV, il Wycliff divulgò una traduzione semplice della Bibbia, sostenendo che l'interpretazione di essa dovesse essere libera, rifiutando l'importanza della confessione auricolare, negando la presenza reale di Cristo nell'ostia, opponendosi alle indulgenze e al culto divergente dalla sola grande figura divina, sostenendo che il clero non ha diritto ai possessi terreni.
A queste dottrine, ispirate anche alle condizioni e agli interessi economici delle classi inferiori dell'Inghilterra di quei tempi, risposero movimenti rivoltosi di contadini, che giunsero ad affermazioni quasi nettamente comuniste, e che furono repressi nel sangue. Un movimento abbastanza simile, con le stesse rivolte, si svolge in Boemia, sulla fine del secolo XIV, e all'inizio del successivo.
Qui presero largo favore le dottrine di un dotto prete, professore dell'Università di Praga, Giovanni Huss, il quale, ispirato anche dalle idee del Wycliff, proclamava per la Chiesa l'applicazione delle dottrine evangeliche, la semplicità e la povertà del clero, la rigidità dei costumi, la rinuncia totale ai beni terreni.Un simile programma doveva subito trovare seguaci presso le classi medie e povere della nazionalità boema, che erano dominate e sfruttate da una minoranza tedesca, poco numerosa, ma che aveva tuttavia in mano le ricchezze della Chiesa, i feudi signorili e il grosso commercio; anelavano dunque a sostituirsi ai dominatori o a liberarsi dallo sfruttamento. Nella condanna dei privilegi del clero, l'Huss comprese anche il ripudio delle bolle inviate dal papa per le indulgenze; e il popolo, sollevatosi anche contro il suo re Venceslao, dette al fuoco quelle bolle.
Ne seguì la scomunica del prete e l'interdetto contro la città di Praga; oltreché la (ipocrita) reazione dell'autorità regia, che, per un periodo non breve, aveva mostrato di favorire le tendenze rinnovatrici del popolo. Giovanni Huss si appellò allora al Concilio generale e al giudice supremo, Gesù Cristo, e ottenne dall'imperatore Sigismondo il salvacondotto per recarsi al concilio di Costanza (1414). Senonché, rifiutandosi, di ritrattare le sue dottrine, nonostante il salvacondotto, fu condannato al rogo e bruciato (1415); e poco dopo la stessa sorte toccò al suo fedele discepolo Gerolamo da Praga (1416).
La notizia di questi supplizi, sopportati con mirabile calma e ardimento, suscitarono nel popolo la rivolta, che fu diretta dalle nuove classi colte della Boemia. Furono formulati quattro articoli, modificanti la fede cattolica, e su questi si condusse una lunga lotta, prima contro il re Venceslao, poi contro lo stesso imperatore Sigismondo, che era succeduto nel regno. I quattro nuovi principi proclamavano: 1° la libera predicazione della parola di Dio; 2° la comunione concessa anche ai laici sub utraque specie, e cioè, oltreché con l'ostia, anche col vino, come ai sacerdoti, per distruggere ogni distinzione fra le due caste; 3° la punizione pubblica dei peccati, fuori dalle forme segrete della confessione auricolare; 4° la povertà evangelica del clero dichiarata obbligatoria.
E’ comprensibile quanto poco importasse alla plebe l'esatta interpretazione della Sacra Scrittura. I contadini, assillati dalla lotta quotidiana per l'esistenza, avviliti e abbrutiti dalla prepotenza dei nobili e del clero, lasciavano le dispute religiose, di cui nulla comprendevano, ai fanatici e ai politicanti. Solo quando demagogicamente udirono proclamare il principio livellatore dei diritti e doveri, l’uomo non dover essere soggetto ad altro uomo, la terra e i beni appartenere indistintamente a tutti ed il frutto del lavoro al lavoratore, essi sollevarono il capo, ascoltarono, compresero o credettero di comprendere, e le file dei seguaci si ingrossarono rapidamente.Per quindici anni durò il distacco della Boemia dalla Chiesa cattolica e dal regno (1419-1434); e, in quel periodo, dopo il concilio di Costanza, si preparò e si svolse il concilio di Basilea (1431-1437), che affermò nettamente l'esigenza della riforma della Chiesa.
Intanto in Boemia la lotta degli Hussiti degenerava in una di quelle rivoluzioni sociali, che si mascherava sotto la specie di un semplice movimento religioso. Il programma delle classi colte czeche figurava ormai come quello dei seguaci di un partito moderato, che si diceva degli Utraquisti o Calistini (da calix), questi erano quei borghesi che, non avendo diritto ad alcun privilegio, odiavano e combattevano quelli degli altri, ovviamente senza il fanatismo di quella assillante povertà che animava invece i contadini e gli operai nella lotta intrapresa, le cui rivendicazioni erano proclamate da un partito oltranzista, detto dei Taboriti (dal simbolico monte Tabor della Bibbia), che volevano l'assoluta uguaglianza civile ed economica, l'abolizione di tutti i privilegi, la repubblica egualitaria e sociale.Quando il concilio di Basilea ebbe accettato qualcuna delle proposizioni riformiste del partito moderato, quest'ultimo non esitò a staccarsi dai rivoluzionari si accordò con l'imperatore Sigismondo, mediante i Compactata di Praga (1433). Allora i moderati unirono le loro forze a quelle dell'Impero e della Chiesa, che erano sempre suffragate dalle forze non facilmente superabili della minoranza tedesca, e i Taboriti furono sterminati, con le loro dottrine religiose e sociali (1434).
Si svolgevano intanto le controversie scismatiche, che, dal concilio di Basilea, portarono a quelli di Firenze e di Pisa, e che, sulla metà del secolo XVI giunsero a quei concordati dei principi cattolici con la Santa Sede, a cui si è fatto già cenno, i quali ebbero per effetto di accrescere i diritti dello Stato sulla Chiesa e di limitare considerevolmente la potenza ecclesiastica.
Nessun passo, tuttavia, fu fatto "per una riforma interna e disciplinare della Chiesa, di cui più volte era stata affermata l'esigenza; e molte cause dovevano convergere verso questa inattività, che doveva essere fatale alle fortune della Chiesa cattolica.Anzitutto mancava ormai, specialmente in Italia, quell'entusiasmo religioso, che, nei secoli precedenti, aveva generato le grandi imprese delle Crociate, le grandi istituzioni religiose di S. Francesco e di S. Domenico, la grande opera di Dante. L'umanesimo aveva introdotto una nuova concezione della vita, che, senza escludere la fede, ne mitigava nondimeno il valore e le risultanze. D'altra parte lo slancio dei commerci e la rapidità dei progressi tecnici, verso una vita sociale più serena e più agevole, persuadeva a mantenere in vita, senza troppe gravi scosse, quelle istituzioni, come il Papato, generate dalla tradizione, che si erano dimostrate capaci di aiutare quel progresso e di facilitare gli scambi fra i popoli, nel nome di una autorità superiore.
Si aggiunse anche un avvenimento esterno di immensa importanza, che distrasse l'attenzione della Chiesa romana dai suoi problemi interiori: la caduta di Costantinopoli sotto il dominio ottomano (1453). Se il particolarismo dei governi, ormai dominante specialmente in Italia, impedì di sentire tutta l'importanza di quell'avvenimento, il Papato, invece, sostenitore di una unità nel mondo civile, si sentì in dovere di dedicargli tutte le sue forze.
Il pontefice Pio II bandì la nuova crociata contro i Turchi, e volle che si svolgesse anche un congresso a Mantova (1459). In forza delle varie deliberazioni, si riunirono ad Ancona le navi venete, insieme con quelle di altri potentati. Ma, con la morte del pontefice, anche quel raduno si sciolse, e il problema della difesa contro i Musulmani restò da allora abbandonato alle uniche poche potenze confinanti (Venezia, Ungheria, Polonia, Impero), che ne subirono, per lunghi secoli, il peso.Più nessuno ripose fiducia in Roma, del resto i pontefici avevano altro da fare, si adoperavano a rinsaldare la loro potenza terrena e a favorire i pronipoti, figli e parenti, che facevano poi gare fra di loro per essere uno più superiore all'altro. In questa situazione è ovvio che cresceva, invece che diminuire, con l'amore per le arti belle, l'ambizione delle ricchezze e degli agi e la corruzione dei costumi, ma in parallelo riaccendeva anche qua e là l'affermazione dell'esigenza di una riforma della Chiesa.
Questa affermazione era contenuta, tra molte altre, nella predicazione che, a Bologna (1475) e a Firenze (1489), aveva iniziato, con impetuosa e travolgente parola, un mistico domenicano, GEROLAMO SAVONAROLA, che a un fine nobilissimo, quello della purezza umana, accompagnava le visioni scomposte di un vago e ambizioso sogno di dominio morale sulle folle.Quella predicazione, pur rimasta nei limiti della più rigorosa ortodossia cattolica, voleva la santità della vita, e si scagliava soprattutto contro la corruzione della Chiesa romana, presieduta allora dal diabolico pontefice Alessandro VI Borgia, condannando la potenza terrena dei papi, l'ambizione smodata di questi monarchi, l'amore del lusso dell'alto clero.
È noto che questa predicazione si rivolse poi ad una riforma delle istituzioni politiche dello Stato di Firenze, in nome di una libera moltitudine, proprio nell'ora in cui, per l'avvento delle armi straniere in Italia, cessava per gli Stati italiani ogni possibilità di libero movimento. Necessario era quello di essere realisti nell'ora critica e unirsi per difendersi. Ma, prescindendo ora da quelle vicende politiche, le quali non toccarono il dogma della fede, sta di fatto che, nella predicazione del Savonarola, era alla base l'invocazione di una riforma generale dei costumi, che implicava una modificazione profonda e generale della funzione e della struttura della Chiesa.
Contro questa prediche si levò, più rigorosa che mai, dovendo nascondere le malefatte dei Borgia, la reazione della Chiesa romana, e al Savonarola fu interdetto, con la scomunica, l'esercizio del ministero sacerdotale. Per varie vicende, abbandonato anche dal mutabile favore della plebe, il Savonarola, accusato come eretico e scismatico, persecutore della Santa Sede e seduttore dei popoli, finì impiccato ed arso in piazza della Signoria a Firenze (1498).
Queste ed altre rivoluzioni religiose, animate molto spesso da sublimi idealità umane, ma in parte provocate anche dal concorso di interessi economici, politici e sociali, e tutte rivolta alla riforma della Chiesa, non giunsero a trionfare delle forze avverse, organizzate dagli interessi e dagli istituti tradizionali della Chiesa e dello Stato, e finirono compresse da queste.
La rivoluzione, che doveva segnare un momento storico d'interesse decisivo, scoppiò sul principio del secolo XVI, per opera di un monaco tedesco, Martino LUTERO; e, preparata dai moti precedenti, di cui abbiamo parlato sopra, favorita dalle circostanze storiche singolari della Germania e del Papato in quegli anni, seppe muovere alla Roma papale una guerra senza quartiere, che doveva riuscire vittoriosa e provocare gravissime conseguenze nella vita sociale europea.
A cose fatte, quando poi salì sul soglio pontificio PAOLO III, malgrado la sua liberalità, la sua intelligenza e la sua energia, era troppo tardi per rimediare completamente ai danni prodotti dalla precedente politica papale, che fino allora era rimasta trincerata in una difesa debole e passiva; ciononostante - come vedremo in seguito - egli tentò di fare quello che i suoi predecessori avrebbero dovuto fare e non avevano fatto: tentò una riforma interna e convocò finalmente il concilio; ma quella non fu sufficiente né del resto venne creduta sincera, inoltre questo fu fatto senza la partecipazione dei protestanti e non portò quindi -ovviamente- proprio a nessuna conciliazione.
Vale la pena ripercorrere questo periodo del papato
in Italia all'inizio del secolo XVIIL PAPATO, L'ITALIA E L'OCCIDENTE ALL' INIZIO DEL XVI SEC. > >