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110. L'ETA' MODERNA

GENESI DI UNA NUOVA EPOCA

L'inizio dell'età moderna si apre con quella fase della storia della civiltà che oggi stiamo ancora attraversando. Alla base di questa nuova epoca è presente l'orgogliosa fiducia dell'uomo nelle sue capacità creatrici. Questa superba concezione della potenza umana porta a profondi mutamenti nei vari campi della vita spirituale e pratica.
Dal punto di vista politico, economico, sociale, culturale, scientifico, artistico, religioso quest'epoca appare come un grandioso filtro che sottopone le verità conosciute e accettate a una critica acuta. Nessuna di quelle realtà, che a essa convergono dalle età precedenti, si ripresenta poi con lo stesso volto di prima. Ne esce invece un mondo nuovo, quel mondo che sostanzialmente costiituisce ancora al giorno d'oggi l'ossatura della nostra civiltà. Questa divisione, questo frantumarsi dell'unità politica, religiosa e culturale è in un certo senso considerato il simbolo del secolo che le ha prodotte, cioè il Cinquecento.

Ma tutto questo non è soltando dovuto agli anni così esaltanti di fine Quattrocento e inizio Cinquecento, quando l'Europa inizia a vivere la stagione delle esplorazioni, delle grandi scoperte e della colonizzazione - che solo più tardi diventeranno fattori contingenti di ordine prevalentemente economico - ma lo si deve alla maturazione di tendenze culturali che hanno radici antiche, e che in buona parte abbiamo già accennato nei precedenti capitoli.
Le fratture più profonde si verificano in campo politico, culturale e religioso.

Sul terreno politico tramonta definitivamente l'ideale (carolingio) di un impero esteso quasi all'intero continente europeo. Al suo posto - dopo il turbinoso periodo dei Comuni e delle Signorie del XIII e XIV secolo - si formano i grandi Stati nazionali, che attraverso le lotte di questo nuovo secolo XV concludono quel processo di conquista della propria autonomia politica, che era iniziato appunto già da parecchi decenni.

Su quello culturale l'invito di Leonardo (1452-1519) che invitava a pensare con la propria testa e a guardare con i propri occhi, fu accolto, e l'"allargamento del mondo" non fu dovuto solo alle nuove scoperte geografiche, ma dato da uno spirito nuovo, curioso, indagatore, intraprendente, in ogni campo del sapere umano. Questa ventata innovatrice percorre tutte le coscienze e dà origine al fulgido fenomeno del Rinascimento.

Mentre sul piano religioso la rottura con il passato è molto più profonda, perchè l'Europa vive il grande dramma di coscienza, rompe violentemente e talora sanguinosamente quell'unità spirituale, morale, religiosa e quindi in gran parte anche culturale che per secoli aveva raccolto l'intera cristianità attorno a un'unica fede, e in ultimo, il tentativo di raccoglierla anche in un unico potere temporale.

Più avanti accenneremo alla potenza terrena della Chiesa nel Medio Evo.

Mentre qui vogliamo fare subito una breve sintesi quanto era accaduto, quanto accade, e quanto accadrà nel successivo secolo, aiutandoci con il già citato J.V. Hartung, con i suoi sei volumi di "Lo sviluppo dell'Umanità".

 

II Medio-Evo si presenta come un'era di giovinezza dei popoli dell'Occidente europeo al cui culmine figura una chiesa universale che su tutto distende la sua ombra ed in tutto si intromette con la sua autorità. Questa chiesa era il tratto d'unione tra il cielo e la terra, l'intermediaria tra il mondo terreno peccaminoso e caduco ed il mondo dell'eternità; essa rappresentava la grande istituzione della salvezza dell'anima, in certo modo il regno di Dio sulla terra. Come la chiesa costituiva la comunità di tutta la cristianità occidentale, così la classe o stato che dir si voglia assorbiva la personalità individuale; l'individuo spariva dietro la classe e tanto valeva e poteva quanto la classe cui apparteneva.

Ma l'umanità non tollera alla lunga simili situazioni anormali ed eccessivamente unilaterali: la chiesa e la classe furono sottoposti alla forza irrompente delle nuove correnti di idee: il laico, l'uomo come tale, salì vittorioso sul trono. La libertà di pensiero e di sentimento religioso ebbe il primo risveglio, la scienza scosse la fede nella tradizione biblica, nelle città crebbe una energica e intraprendente borghesia, le influenze dell'antichità (riscoperte) diedero vita a tutta una nuova cultura, e lo Stato nazionale con a capo la monarchia riuscì a rivendicare la propria vita autonoma nel campo politico.

Un alto grado di sviluppo avevano raggiunto gli elementi caratteristici del Medio-Evo in Francia. Qui infatti prosperarono ed arrivarono alla perfezione la cavalleria e il monachesimo; qui videro la luce le massime creazioni intellettuali della chiesa: la mistica, la scolastica e lo stile gotico. Tuttavia accanto ai primi spuntarono e presero forza altri elementi antimedioevali, quali lo Stato nazionale, l'autorità del diritto romano e la cultura laica.

Lo Stato nazionale francese già nel IX secolo aveva iniziato il suo processo di formazione, e a datare dal XII secolo assunse la figura sempre più netta di Stato monarchico. Notevole rafforzamento ricevette poi l'autorità dello Stato ad opera del diritto romano. Mentre i commentatori avevano raccolto e fuso insieme senza critica tutti i materiali di diritto romano che avevano potuto trovare, in Francia invece sorse un indirizzo filologico che cercò, mediante l'esegesi storica delle fonti, di ricostituire nella sua purezza quel diritto. E si trattava di un diritto prettamente laico, che non conosceva il Papa, mentre aveva un altissimo concetto dell'autorità del sovrano temporale. Quanto alla cultura laica, basta ricordare la cavalleria con i suoi canti in lingua popolare e con la sua glorificazione dell'amore mondano idealizzato. Era ancora poca cosa ma era già un piccolo segnale dentro un mondo che da tempo fin dal primo mattino l'uomo vedeva il giorno, e così tutti gli altri giorni della sua esistenza, sempre grigi, immersi nell'apatia, e con una solo e unico atteggiamento: la rassegnazione.

Però la vera e propria patria del rinascimento fu l'Italia. Essa generò il papato, ma partorì anche le forze che lo fiaccarono ed inaugurarono i tempi nuovi: una rivoluzione spirituale, più lenta e meno violenta della francese, ma assai più ricca di contenuto ed universale. Il rinascimento fu, per così dire, una splendida fioritura dell' incivilimento italiano, una radiosa vampata di un faro intellettuale due volte millenario. L' antichità in certo modo era tuttora viva in Italia, essa parlava ancora dai nobili marmi e dalle auguste rovine allora esistenti, incomparabilmente più numerose e belle che non oggi.
La vita del diritto romano non vi si era mai spenta del tutto e la letteratura romana non era stata mai del tutto dimenticata, non l'antica filosofia, non la storia, non la poesia. La stessa lingua italiana, figlia prediletta del latino, ne agevolava la conoscenza e l'intelligenza. Gli italiani dell'epoca si crearono un ideale dell'antichità, lo concepirono come se fosse realmente esistito (in effetti qualcuno non riusciva a capacitarsi che era veramente esistito), e considerarono il ritorno all'antico quale un dovere morale, come l'adempimento di un sacro legato, convinti della potenza trionfatrice, della elevatezza e nobiltà dell'umano intelletto.

L'uomo divenne il centro dell'universo e delle sue innumerevoli manifestazioni. In ogni campo si volle conseguire la perfezione, si aspirò alla meta più alta. E lo si poté fare perché si era raggiunta una delle condizioni essenziali : il benessere materiale.
L'Italia infatti fu la prima a liberarsi dall'angustiosa scarsità di metalli preziosi dominante nel Medio-Evo e che aveva necessariamente condotto all'impero dell'economia naturale. Essa era la via naturale di comunicazione e di scambi mercantili e culturali tra l'Occidente e l'Oriente, e la sua sveglia e attiva popolazione seppe molto presto, e specialmente a datare dall'epoca delle crociate, sfruttare questa circostanza favorevole.

I commercianti i banchieri italiani dominarono per un certo tempo il mercato monetario europeo. L'accresciuta ricchezza ingenerò fiducia nelle proprie forze e stimolò l'orgoglio civico e la capacità creativa. Con Dante e Petrarca la poesia cominciò a sciogliersi dai ceppi del Medio-Evo, col Villani la storia, con Lorenzo Valla la critica storica, con Cimabue, Giotto e Masaccio la pittura, col Ghiberti e con Donatello la scultura. L'architettura fin dal XII secolo aveva subìto l'influenza dell'antichità per poi trovare da ultimo i suoi più splendidi rappresentanti nel Brunellesco, nel Bramante e in Michelangelo. Un erudito, Pico della Mirandola, cui erano, familiari il greco, il latino, l'ebraico, il caldeo, e l'arabo, tentò il connubio della religione con la filosofia platonica ed aristotelica. Nel campo militare l'arma da fuoco soppiantò la corazza e la spada, la fanteria soppiantò la cavalleria, il soldato arruolato il cavaliere feudale; lentamente fecero il loro ingresso sui campi di battaglia gli eserciti composti di masse numerose di combattenti. I condottieri inventarono una nuova arte militare ed uno dei più elevati intelletti e dei più grandi pittori, Leonardo da Vinci, escogitò piani di fortificazioni e di baluardi a difesa delle città.

Si videro spuntare i segnali del futuro più complesso e vasto meccanismo economico, della moderna economia monetaria e dell'arte moderna di governo degli Stati, la quale ultima trovò in Cesare Borgia un affascinante, spietato rappresentante ed in Machiavelli il suo teorico altrettanto potente d'intelletto quanto privo di scrupoli.
La borghesia cittadina, rimasta a lungo sotto l'autorità dei vescovi, si sviluppò e consolidò sopra tutto nell'Alta e Media-Italia, che sono state sempre regioni a popolazione raggruppata in centri urbani. Qui convivevano entro la cerchia protettrice delle stesse mura, borghesia, clero e nobiltà, e questa comunanza di vita portò ad un forzato livellamento ed alla democratizzazione. Ma non mancarono e non furono pochi gli attriti e gli urti di pretese e di passioni partigiane, come pure l'esistenza del comune si vide troppo spesso minacciata dalla potenza del vicino. Fu perciò necessario trovare un rimedio che impedisse la disgregazione e mettesse in grado il comune di difendersi. Ciò ordinariamente non poté avvenire se non mediante l'assoggettamento ad un potente «Signore», il quale peraltro riuscì agevolmente a trasformare la propria signoria, da tenporanea quale doveva essere, in permanente e persino in signoria ereditaria nella propria famiglia.

In ultima analisi anche questo non é altro che uno degli aspetti sotto i quali comincia ora a farsi valere la personalità individuale. Tutte le città italiane caddero sotto la "tirannia" di questo o quel signore, salvo Venezia e Genova.
Una potente ventata satura di un nuovo spirito si era scatenata; essa aveva squarciato le nebbie del Medio-Evo e liberato il mondo dalle scorie accumulate da un millennio. I ceppi della chiesa e della classe furono spezzati a favore di una sconfinata libertà. Non più con la penitenza e la preghiera l'individuo volle diventare simile a Dio, ma col successo meraviglioso delle proprie opere.

Da ciò uno sviluppo di attività senza pari nel bene e nel male, nelle manifestazioni superiori e ordinarie della vita: una società più raffinata, una fioritura dell'arte, delle scienze, della poesia e della coltura generale, che arditamente intese gareggiare con l'incivilimento antico.
Ma se questa età ebbe il gusto per i godimenti aristocraticamente raffinati, si abbandonò pure in balìa di tutte le passioni, e di un egoismo, di una immoralità e depravazione senza confronti. Essa si lasciò andare sfrenatamente ad ogni vizio, ad una smodata sensualità, ad una insaziabile lussuria che infranse e tenne in nessun conto i vincoli del matrimonio; ovunque regnò cupida brama di ricchezza, di fama, di splendore, di dominio.
Sorsero dei veri e propri artisti del delitto, che commisero delle scelleratezze solo per la diabolica gioia di commetterle. Mai si ebbe un'altra epoca così ricca di individualità eccezionali.

Precocemente gli Italiani si fecero pionieri e si posero all'avanguardia del commercio marittimo di lungo corso, perchè coltivarono profondamente e con criteri scientifici la geografia e la navigazione. Ma allo sviluppo su più vasta scala di tale attività pose un ostacolo la situazione del paese nel bacino centrale del Mediterraneo. Ciò spiega come un piccolo popolo, dotato di scarse qualità e arretrato in confronto agli italiani, ma favorito dalla situazione del suo paese sulle sponde dell'Oceano Atlantico, abbia potuto sopravanzarli: il popolo portoghese, cui fece ben presto seguito la vicina Spagna. Entrambi del resto non fecero che applicare la tecnica della rinascenza italiana. e spesso operarono con italiani a bordo.

Cominciarono le scoperte geografiche, cui seguì un'epoca di conquiste d'oltremare e di espansione coloniale. Bizzarramente il passato leggendario e la realtà presente si accoppiarono in quelle figure di avventurieri che sciolsero le vele per conquistare con formidabile coraggio e ferreo vigore sconfinate regioni e favolosi tesori alle corone di Portogallo e di Castiglia. Come un tempo i conquistatori franchi, essi recavano in una mano la croce e nell'altro la spada; essi combattevano non soltanto per acquistare ricchezze terrene, ma anche per la salute della loro anima, e volevano quindi procurare alla religione cristiana il maggior numero possibile di nuovi seguaci. Solo quando il movimento coloniale degli Spagnoli e Portoghesi declinò, e comparvero sulla scena i loro rivali nordici più freddi e calcolatori, gli Olandesi e gli Inglesi, questo accessorio religioso di tinta medioevale scomparve dai fini della colonizzazione che si uniformò a criteri moderni puramente commerciali e politici.

Come il rinascimento italiano spezzò i vincoli del pensiero e della volontà, così il movimento di scoperta e di colonizzazione fece sparire lo spauracchio delle distanze, dei pericoli della natura e delle armi dei popoli non europei.
I grandi rivolgimenti nella vita dell'umanità coincidono spesso con l'apparizione di nuovi popoli sulla scena della storia. Il Medio-Evo fu inaugurato dalle invasioni barbariche e dalla grandiosa avanzata degli Arabi e dei popoli orientali che li seguirono; all'instaurazione dei nuovi tempi contribuirono in misura notevole e insospettata gli stretti contatti con i popoli d'oltremare.

Nei nuovi paesi gli scopritori e conquistatori trovarono dei territori dotati di grandioso e originale incivilimento e in parte un grado di progresso superiore a quello della loro patria. Le cognizioni etniche, botaniche, zoologiche e mineralogiche e quelle letterarie e artistiche si allargarono enormemente, tutto il tenore della vita si modificò con l' abituarsi ai prodotti forestieri e con l'introduzione di nuovi vegetali ed animali importati dalle colonie; l'aumento dello smercio stimolò l'aumento della produzione industriale e del traffico mercantile e quindi provocò l'affluenza di notevoli masse di popolazione nei centri industriali e commerciali.
Ciò a sua volta determinò la supremazia delle città sulla campagna; l'afflusso dei metalli preziosi dalle colonie diede il tracollo all'economia degli scambi in natura; il vasto mare divenne un elemento amico, non più una barriera di separazione ma un mezzo di comunicazione e di ravvicinamento. Il commercio e i rapporti tra i popoli aumentarono in estensione ed in intensità.

In contrasto con il paralizzante divieto delle usure della Chiesa medievale, si riconobbero i benefici del credito e della libera circolazione del denaro; videro la luce le prime istituzioni bancarie e di credito moderno e si fece strada il moderno spirito di speculazione. Il ricco danaroso non aveva più timori dal cielo se imprestava soldi a chi era intraprendente e ci sapeva fare con i commerci (il capostipite de' Medici iniziò così) nè chi otteneva crediti si sentiva insidiato dal diavolo.

Il campo nel quale il rinascimento italiano ha avuto risultati piuttosto negativi é il campo religioso. La filosofia aristotelica e lo scetticismo privarono la religione di ogni contenuto sostanziale; la pittura e la scultura la trasformarono in un culto della bellezza, alla quale l'architettura fornì ambienti di serena spensieratezza mondana. Mentre il cattolicesimo medievale restò intatto, l'ardore del sentimento si estinse, la fede divenne una mera pratica formale esteriore. Anzi alla mondanità e ai vizi degli "opulenti" fecero il loro ingresso anche gli ecclesiastici, papato compreso.

In questo campo invece intervenne la Germania con le sue doti di maggiore profondità di sentimento e di maggior saldezza e tenacia di convinzioni. Politicamente l'Impero si trovava in piena decadenza. L'autorità imperiale era venuta meno, sopraffatta dal prepotere dei principi territoriali; di modo che gli imperatori da ultimo non videro altra via di scampo per loro se non quella di costituirsi anch'essi un dominio particolare ereditario, vale a dire si trasformarono anch'essi in principi territoriali.
Ancora una volta si riposero grandi speranze nell'imperatore Massimiliano, ma esse rimasero amaramente deluse. Più Absburgico che tedesco, volubile e superficiale, egli lasciò l'impero in sfacelo, ma non mancò di lasciare sua casa potente e aspirante al dominio universale.

Ne seguì un periodo di generale vitalità e di agitazione. Il diritto romano cominciò a soppiantare il diritto germanico, i maggiori principi territoriali si diedero avidamente ad ingrandire, i propri dominii, alcune città anseatiche o direttamente soggette alla corona imperiale, come Augusta, Norimberga, Lubecca ed Amburgo, ebbero una splendida fioritura di vita autonoma, mentre nelle campagne il disagio andò sempre più aggravandosi in seguito al mutamento intervenuto nel sistema economico generale.
Con l'accresciuta (e per alcuni facile) ricchezza e con la maggior diffusione della cultura la borghesia cittadina cominciò ad aprir gli occhi sulle tristi condizioni in cui versava il paese. Cavalieri e contadini, malcontenti ed irritati, cominciarono ad agitarsi.

In questo fermento politico ed economico si insinuarono le nuove correnti di idee religiose, tanto più giustificate in quanto le anime soffrivano terribilmente sotto l'oppressione di una chiesa che pretendeva molto, ma poco dava in cambio. I preti spesso concepivano il loro ufficio come una bottega e i monaci come un ufficio d'approvvigionamento, i vescovi si consideravano come grandi principi temporali (e in molti casi lo erano di fatto), ed i Papi più che principi si sentivano imperatori.
Tutti si sentivano altamente compresi dei propri diritti, non dei propri doveri. Il mal costume, l'ignoranza. l'ingordigia, avevano trovato possibilità e ambienti per diffondersi purtroppo largamente nel clero. Non desta meraviglia dunque se le accuse contro «monaci e preti» erano divenute di moda negli ambienti intellettuali.

Dal sud attraverso le Alpi si propagò in Germania lo spirito del rinascimento italiano, dall' Ovest, e soprattutto da Parigi, penetrò di qua dal Reno lo spirito dell'indagine esatta. I sostenitori dell'indirizzo umanistico alzarono la testa; le loro aule si riempirono di discepoli nella stessa misura in cui si vuotavano le scuole dei monasteri.
Nel 1348 fu fondata la prima università tedesca. Anche maggiore influenza ebbe poi l'invenzione della stampa che rese possibile la moltiplicazione a volontà degli esemplari degli scritti e permise quindi la diffusione su larga base delle nuove dottrine. Ad essa si opposero i difensori delle dottrine tradizionali, «gli oscurantisti», e si accesero fiere polemiche letterarie, che dalle aule e studi dei dotti penetrarono tra il popolo. Da un lato una corrente germanistica mosse in guerra contro gli oltramontani e il latino; dall'altro quest'ultimo trovò eloquenti e dotti difensori in Reuchlin, Erasmo e Hutten, i primi dei quali fecero conoscere le sacre scritture nei loro testi originali, e con ciò prepararono il campo di battaglia per la futura lotta decisiva.

Già da tempo si erano manifestate in seno alla Chiesa delle correnti di idee riformatrici. Wicleff, Hus e Savonarola (dei primi due abbiamo già accennato in altri capitoli, il terzo lo leggeremo nei prossimi) avevano perfino con eccesso zelo sostenuto il ritorno alla pura dottrina originaria. Benché soffocate, e con altrettanto selo perseguite queste dottrine, mandati al rogo alcuni suoi autori, le loro idee non cessarono di aleggiare nelle menti finché Lutero le fece sue e le perfezionò portandovi tutta la passione del suo animo e la forza della sua convinzione.
Egli divenne così il creatore del rinascimento religioso, della Riforma. Questa rappresenta l'apogeo di tutto il movimento rinnovatore, giacché essa non si indirizzò contro questo o quello degli elementi caratteristici del Medio-Evo, ma contro l'essenza stessa, di tale età, in quanto mirò ad abbattere la chiesa romana e il papato. Il trionfo del povero monaco agostiniano significò pertanto il definitivo tramonto dell'era medioevale e l'inizio dell'età moderna.

Ardito movimento di fondamentale carattere idealistico, la Riforma sollevò e rinfrancò le anime angustiate e conferì nuovamente all'uomo quella forza morale del Cristianesimo che non lo fa esitare a sacrificarsi per la propria fede, per le proprie idee e sentimenti. Traducendo la Bibbia nella lingua del suo popolo, Lutero spogliò la religione del carattere di monopolio di una consorteria di teologi e ne fece una questione interessante le masse popolari; egli scosse le menti e commosse i cuori.
Ma quella stessa forza che lo sollevò tanto in alto lo fece poi declinare. La sua granitica convinzione lo rese intollerante e dispotico. Come il rinascimento sboccò nello scetticismo, così la Riforma degenerò in fanatismo. Invece di una sola chiesa dispensatrice della salute eterna, se ne ebbero due; il principio di subordinazione all'autorità ne uscì semmai rinsaldato, la potenza dei principi aumentata, e quindi venne affrettato l'avvento della monarchia assoluta.

Nel 1534 comparve in Inghilterra quell'atto del Parlamento che dichiarava il re Enrico VIII capo della Chiesa e proclamava delitto di alto tradimento il rifiuto del giuramento di supremazia. Ad ogni modo però il passo decisivo era fatto; la posizione del papato era scossa, l'incantesimo era rotto e la via al progresso era aperta.
Da parte sua il cattolicesimo, di fronte al pericolo, fece ogni sforzo per riaversi dal colpo subìto, imparò dal nemico, si riformò spontaneamente nel Concilio di Trento e trovò nuovo vigore nel papato e nell'ordine dei Gesuiti.

Come la Riforma nacque dalla lotta con la Chiesa dominante, così il movimento filosofico che l'accompagna trasse origine dal ripudio della filosofia cristiana, della scolastica medioevale. Esso cominciò con la riesumazione degli scritti originali degli antichi autori, dai quali prese a prestito una serie di vecchi sistemi filosofici, fino ad arrivare al panteismo. Solo lentamente questi studiosi osarono tentare metodi realmente nuovi promuovendo così il rinnovamento della scienza.
Questa, la scienza moderna, ebbe la sua vera culla in Inghilterra, dove Bacone da Verulamio (1561-1626) proclamò che la conoscenza di tutti i fenomeni naturali e umani doveva essere basata sull'esperienza; egli fondò così l'empirismo che poi venne perfezionato dal Locke. Il suo connazionale Erberto di Cherbury si volse al naturalismo religioso, ragionò da libero pensatore, reclamando una «religione naturale», mentre Tommaso Hobbes (1588-1679) ripudiò ogni elemento spirituale in filosofia, ritenendo reale solo ciò che è percepibile dai sensi, vale a dire sostenne il materialismo.

In antitesi con gli Inglesi l'acuto filosofo francese Descartes (Cartesio, 1596-1650) costruì un sistema basato sulla speculazione pura, cioè l'idealismo filosofico. Dalla coscienza del proprio essere sacturì la facoltà di pensare e l'esistenza dell'anima, e dal concetto di Dio la sua esistenza.

Questa stessa epoca partorì anche la prima idea del sovvertimento dell'ordine economico in senso socialistico, idea che peraltro non si fece strada che assai più lentamente. Già nel 1516 infatti, cioè tre anni prima che Lutero formulasse le sue famose tesi, apparve quell'opera che ha inaugurato le teorie del socialismo e comunismo moderno. Fu l'Utopia del grande inglese Tommaso Moro, il quale delineò la figura di uno Stato ideale di carattere democratico-comunista. Egli fu quindi il precursore dei così detti scritti utopistici che si sono susseguiti a cominciare dalla «Città del sole» del Campanella (verso il 1620), sino ai giorni nostri.
Campanella già a suo tempo sosteneva la comunione dei beni e delle donne per sopprimere l'interesse personale e l'egoismo. Tuttavia si deve arrivare alla metà del XVII secolo per vedere apparire, accanto alle utopie, le teorie che hanno provocato decisamente il sorgere del socialismo moderno.

Essenzialmente diverso da questo indirizzo socialistico, d'indole politico-economica, è il socialismo cristiano, il quale, spuntato già nel Medio-Evo in forma confusa, stimolato nuovamente dalla Riforma, ebbe i suoi seguaci nella setta degli anabattisti. Credendo che l'uomo sia in rapporto diretto con Dio, essi ripudiarono leggi, Stato, autorità ed instaurarono il comunismo, soprattutto per influenza di Tommaso Munzer, l'organizzatore e capo di un moto popolare diretto ad abbattere ogni autorità temporale e spirituale. Gli anabattisti ottennero un grande successo solamente in Moravia, dove stabilirono un sistema profondamente comunista che si resse sino ai tempi della guerra dei trent'anni e che solo gli Absburgo riuscirono a sradicare con la forza.
(Tutta l'eperienza di Munser, è in dettaglio riportata sul ns. link "BAGLIORI DI COMUNISMO" > )

Anche per le scienze naturali questa epoca di decisiva innovazione; e prima di tutto per l'astronomia. Già verso la metà del secolo il cardinale tedesco Nicola di Cusa ravvisò che la terra non stava ferma, ma si muoveva. Questa idea ebbe dei cultori in Regiomontano, Beheim, in dotti italiani e in altri, sinché trovò nel canonico frauenbergese Copernico uno splendido assertore. Copernico sostenne la sfericità della terra e dell'universo, la forma regolarmente circolare della linea descritta dal moto della terra e degli altri pianeti attorno al sole e la rotazione giornaliera della terra intorno al proprio asse. L'impressione prodotta da queste teorie fu «paragonabile ad un terremoto».

Sembrò che ne dovessero rimaner scosse le fondamenta della fede e della retriva scienza, ragion per cui anche Lutero e Melantone vi si dichiararono contrari. Ma non per questo il progresso degli studi si arrestò. Tycho de Brahe (1546-1601), dopo aver provveduto alla rettifica di tutti gli elementi, si elevò a riformatore dei metodi di osservazione astronomica. Lo superò il suo allievo Giovanni Keplero (1571-1630), il fondatore della moderna astronomia. Matematico, fisico e ottico a un tempo, egli dimostrò che la traiettoria percorsa dai pianeti è una ellissi, in uno dei fuochi della quale sta il sole. Keplero armonizzò tutto il sistema planetario, ordinò e precisò le conoscenze relative ai rapporti degli astri fra di loro, concepì il moto dell'asse della terra come quello di una trottola, e seguendo la concezione di Copernico rettificò il calendario mediante le tavole Rudolfine.

Quasi contemporaneamente apparve Galileo Galilei (1564-1642) il più grande dei naturalisti dei suoi tempi, che determinò le leggi dell'oscillazione del pendolo, della caduta dei corpi, e fu instancabile indagatore nel campo astronomico. I risultati ottenuti da Galileo e da Keplero ebbero all'inizio scarsa considerazione, e il primo anche qualche problema con l'Inquisizione. Il riconoscimento del loro valore si ebbe soltanto nell'opera dell'inglese Newton, il quale con le sue leggi della gravitazione universale fece la massima tra le scoperte nel campo fisico: quella cioè dell'attrazione reciproca degli astri e del loro moto centripeto. È stato detto: «Keplero scrisse un codice di leggi, Newton ne rivelò lo spirito».

La maggior parte di questi uomini furono pure iniziatori di una nuova epoca nel campo della fisica; per i tempi più antichi particolarmente Regiomontano e Leonardo da Vinci. Nel 1544 l'Hartmann, nativo di Norimberga, scoprì l'inclinazione dell'ago magnetico, l'olandese Stevin ricostituì su basi razionali la teoria dell'equilibrio dei corpi, un secondo olandese inventò il microscopio ed un terzo il cannocchiale (perfezionato poi da Galilei).
La grande epoca della fisica però cominciò col XVII secolo. Nel 1603 Guglielmo Gilberts scoprì le leggi del magnetismo, e Galilei elevò la fisica a scienza a sé. Le sue convinzioni circa la pressione atmosferica ispirarono nel 1644 a Torricelli l'idea del barometro.

In stretta connessione con le due scienze ora accennate progredirono le matematiche, le quali ebbero anch'esse illustri rappresentanti, sinché nel XVII secolo si arrivò alla scoperta dei logaritmi e del calcolo infinitesimale.
Quanto alla chimica, essa fino al XVI secolo non fu sostanzialmente coltivata, che per la utopistica trasmutazione dei metalli. Finalmente però essa si divise in due indirizzi diversi e fu posta a servizio della medicina. Paracelso (1493-1541) liberò quest'ultima dai ceppi di Galeno, introdusse nuove teorie originali e sostenne il principio degli alchimisti dei quattro elementi fondamentali dei corpi.

Purtroppo la medicina e con essa la chimica degenerò in una pratica di occultismo (così detti remedia arcana). Tuttavia non mancarono molti nuovi ritrovati. Libavio scoprì il bicloruro di stagno, fabbricò pietre preziose artificiali, colorì l'oro e il vetro. Helmont (1577-1644) scoprì la differenza tra l'aria e le altre materie aeriformi, per le quali introdusse la designazione dei gas. Le industrie tecniche trassero sempre maggior profitto da questi trovati scientifici e cominciarono ad assumere una estensione che prima non si sarebbe neppure potuta immaginare.

La storia politica di questa epoca fu all'inizio dominata dalla lotta fra lo stato nazionale francese e l'impero degli Absburgo. La colossale contesa fu aperta dalla Francia che da tempo aspirava all'egemonia in Europa e cercava di realizzarla in Italia. Le contrastarono il campo dapprima gli Aragonesi, poi l'imperatore Massimiliano il quale con le sue combinazioni di matrimoni politici riunì ai domini tedeschi della casa d'Absburgo i dominii spagnoli e accerchiò la Francia.
Suo figlio Carlo V tentò in ripetute guerre di spazzare via il nemico, ma invano; la Francia riuscì a sostenersi, e con l'abdicazione di Carlo nel 1556 la monarchia degli Absburgo si divise definitivamente in due parti, la spagnola e la tedesca.

La monarchia tedesca fu completamente assorbita dalla lotta con i Turchi ma anche da torbidi interni e dovette lasciare alla sorella spagnola il compito di proseguire la guerra con la Francia. Tuttavia essa rappresentava un nemico pericolosissimo per la Francia, perché i domini che aveva nei Paesi Bassi, nella Franca Contea e in Italia (Milano e Napoli) continuavano l'accerchiamento, ed il successore di Carlo, Filippo II, era un temperamento politico instancabile nell'ordire vaste trame.
Ma la Francia riuscì a superare anche questo pericolo; ed allorché, nel 1589, Enrico IV salì sul promettentissimo trono francese, spuntò l'alba del predominio della casa di Borbone. Essa ottenne l'egemonia così duramente contesa, mentre la Germania andò in decadenza e la Spagna vide il tramonto della sua potenza.

La Spagna non seppe creare nuovi valori all'interno del paese, mentre sperperò inutilmente le sue forze al di fuori. Un gretto, intollerante, plumbeo cattolicesimo si alleò con un tirannico dispotismo per spegnere ogni iniziativa privata ed inaridire ogni germe di capacità produttiva della nazione. E' ben vero che l'America annualmente mandava i suoi tesori, ma questi non vennero impiegati ad aumentare la prosperità nazionale; vennero invece dissipati e sparirono, alimentando unicamente l'orgoglio e l'infingardaggine, col risultato finale di impoverire sia i privati che lo Stato.

Mentre, data la ben diversa indole della popolazione dei Paesi Bassi, l'unione politica dei due paesi divenne sempre più una cosa poco naturale. Invece di rendersi conto della situazione mutata ed agire in conseguenza, la corona spagnola tentò anche in questo caso di imporsi con l'intimidazione e con le armi; ma ad altro non riuscì se non a spingere quelle ricche e industriose province alla insurrezione e da ultimo a distaccarsi completamente dalla Spagna con l'aiuto della nazione affine di razza e di religione, l'Inghilterra.

Questo avvenimento provocò un profondo mutamento nella situazione politica: la Spagna latina e cattolica passò in secondo piano, mentre le nazioni germaniche ed evangeliche, Olanda ed Inghilterra, divennero dominanti.

Più infelici ancora delle sorti della Spagna furono quelle della Germania. Il suo grande contributo nell'ordine culturale, la Riforma, le riuscì fatale nell'ordine politico. Non l'unità di religione, ma lo scisma e la discordia furono le conseguenze dell'opera di Lutero.
La Germania inoltre non poté neppure decidere con le armi questa contesa come una questione puramente interna, allo stesso modo la Francia con la guerra contro gli Ugonotti, ma restò coinvolta nella guerra dei trent'anni, che quasi la portò alla sua completa rovina.

Il generale movimento religioso sboccò in una guerra mondiale che fu combattuta sul suolo tedesco. Svedesi, Francesi, Spagnoli, Italiani, Danesi, Croati ed Ungheresi percorsero in lungo e in largo i suoi campi fiorenti e li mutarono in un deserto colmo di rovine fumanti dove ogni vita era spenta. Politicamente la Germania aveva in pochi anni cessato di esistere.

Se guardiamo nel suo insieme il nostro periodo, riscontriamo che durante il suo decorso si verificarono profondi mutamenti nella situazione europea.
Al suo inizio l'Italia, la Germania e la Francia si trovano alla testa dello svolgimento storico; l'Italia come patria del Rinascimento con le sue piccole, ma vigorose organizzazioni statali, la Germania con le sue superbe città libere ed anseatiche, con i suoi potenti principati territoriali e la sua politica absburghese imperialista, la Francia col suo Stato nazionale retto da una forte monarchia e con la sua fiorente popolazione e nobiltà.

Ma poi le cose cambiano alla fine del periodo, dopo 150 anni. Allora troviamo l'Italia, ed ancor più la Germania, impoverite e prostrate, la Spagna in continuo deperimento e prossima alla paralisi completa, mentre il centro di gravità della vita politica ed economica europea si è spostato verso la Francia, l'Olanda e l'Inghilterra. Nel frattempo i Turchi erano avanzati, ma vennero definitivamente sconfitti sul mare a Lepanto, memtre per terra arginati almeno provvisoriamente in Ungheria.

Ai mutamenti esteriori andarono uniti mutamenti di natura più intima. L'Europa si divise in due gruppi principali: l' uno assolutista, rappresentato soprattutto dalla Francia, dalla Spagna e dalla Germania, l'altro democratico, rappresentato dai Paesi Bassi, dall'Inghilterra e dalla Svizzera. Nel primo, la religione aiutò a rafforzare il trono, nel secondo il protestantesimo risvegliò nel cittadino il sentimento dell'autonomia e la fiducia in sè stesso.

All'uomo cosmopolita del Rinascimento subentrò il cittadino animato da sentimento nazionale che si reputa legato per la vita e per la morte alla propria patria.
Tuttavia non si riuscì che lentamente a liberarsi del tutto dai ceppi del Medio-Evo, e assai faticosamente si giunse a convertire la vecchia mentalità impregnata di preoccupazioni confessionali in una mentalità puramente laica.

L'avvenimento culminante dell'epoca, la Riforma, fu un movimento religioso. Nella sua prima lettera lo scopritore dell'America, Colombo, esclama: «Esulti Cristo in terra, come esulta in cielo, vedendo che vengono salvati le anime di tanti popoli, prima votati alla perdizione».

Lo stesso spirito anima le gesta mirabili dei conquistadores; nella notti di S. Bartolomeo i cattolici massacrarono i loro connazionali ugonotti a maggior gloria di Dio come essi la intendevano ("uccideteli tutti, Dio saprà ben fare la scelta degli innocenti"); e la regina Elisabetta d'Inghilterra ordinò il supplizio di Maria Stuarda per la giusta causa dell'evangelo e per la pace del regno.

Una profonda scissione divise i popoli civili dell'Occidente, a seconda della loro confessione, in due campi avversi, da dove si guardavano diffidenti, col cuore pieno d'odio e con la mano sull'elsa della spada. Tutto ciò è ancora gretta mentalità medioevale.
Anche i luterani e i riformati non si sentirono spesso fratelli, ma nemici; all'interno della stessa confessioni i dissidenti furono spietatamente perseguitati e la Ginevra calvinista vide ancora roghi di eretici e roghi di streghe.

In Italia pittori ed architetti glorificarono la chiesa cattolica; di là dalli Alpi Durer, Holbein e Cranach lavorarono secondo lo spirito della chiesa evangelica. Il distacco dei Paesi Bassi dalla Spagna fu una rivolta della coscienza evangelica di quei popoli contro il dispotismo cattolico straniero; l'Inghilterra fu spinta da motivi religiosi a fianco dei suoi rivali nel commercio, ed ancora l'ultimo, decisivo avvenimento dell'epoca, la guerra dei trent'anni non é che una lotta confessionale e schierò i popoli dall'uno o dall'altro lato in sostanza secondo la religione da ciascuno professata.

Nella guerra come nella politica i moventi politici ed i religiosi si trovano sempre intrecciati e confusi. Il primo paese che si liberò da questo ibridismo e fece una politica scevra da preoccupazioni confessionali, puramente laica, fu la Francia; e chi fece ciò fu il cardinale cattolico Richelieu (1585-1642).

Di modo che la prima metà del secolo - di cui nei successivi capitoli trattereremo ancora - fa sì parte dell'età moderna, ma più nel senso del divenire che non del fatto compiuto.

Le figure più significative di questo primo periodo non sono ancora degli uomini di Stato o degli uomini di spada, ma sono i campioni dell'una o dell'altra confessioni religiosa: Lutero e Loyola.

È infatti, la questione confessionale che domina tutta l'epoca,
che accenneremo partendo dall'inizio
nel prossimo capitolo...

LA POTENZA TERRENA DELLA CHIESA NEL MEDIO EVO > >

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