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72. RITORNO ALL'UNITA' CON NOBUNAKA - 1573-1600

 

Il ritorno dell'unità dello Stato sotto Nobunaka e Hideyoshi
(1573-1600).

Dopo la caduta dello sciogun della casa Ashikaga, Nobunaka, anche senza conservare il titolo dl sciogun fu il rappresentante riconosciuto del potere centrale dell'impero. In Kyoto, nella capitale spaventosamente devastata e spopolata per le continue agitazioni e guerre civili, Nobunaka edifica un nuovo palazzo imperiale ed assicura di nuovo una entrata sufficiente a lui, ed alla sua Corte da tempo piuttosto impoverita.
Il ristabilimento dell'ordine pubblico nella capitale era soltanto il primo passo sulla difficile via per restituire al governo centrale la potenza avuta in precedenza su tutto l'impero e d'impedire lo sfasciarsi minaccioso di questo in singoli Stati fra loro separati.

Anche il dominio di Nobunaka (1573-1582) non rappresenta quindi ancora un tempo di pace indisturbata, ma soltanto una serie interrotta di lotte nelle diverse province dell'isola principale Hondo con tutti quei daimyo, che qui si trovavano in possesso del potere e non erano disposti a sottomettersi al governo centrale.

Del resto Nobunaka aveva da combattere non solo contro i daimyo ostili, ma anche contro i potenti monasteri buddistici, alleati con quelli, e che appunto allora poptevano anche disporre di considerevoli forze combattenti.
Già nelle lotte, che precedettero la deposizione dell'ultimo sciogun, Nobunaka aveva intrapreso una spedizione di sterminio, dipinta con terribili colori, contro i monasteri ricchi e ben difesi del monte Hiei-san vicino alla capitale; si vuole che 400 templi siano stati incendiati e che tutti coloro che erano sfuggiti alle fiamme, siano stati passati a fil di spada (1571).

Naturalmente in queste lotte non si tratta proprio per nulla di persecuzioni religiose, ma di pure contese per il potere politico, e quindi come in Occidente i religiosi guardavano più che al potere spirituale a quello temporale.
Forse la resistenza divenuta seria da parte di quei monasteri contro un'altra religione aiutò Nobunaka verso questa a rivolgere il suo favore; erano questi gli annunciatori di un'altra dottrina, giunti in Giappone da paesi remoti e ancora del tutto sconosciuti: cioè i Gesuiti, che naturalmente per i sacerdoti buddistici, minacciati gravemente da una simile competizione di autorità e di interesse, stavano diventando l'oggetto di un ardente odio persecutore.

Ma é difficile che nel Giappone si avesse allora un'idea giusta dell'importanza anche politica della nuova dottrina; questa all'inizio fu presa soltanto per un'altra delle tante sette derivate dal Buddismo, che così spesso e in tanti modi incontravano un certo successo.
Lo stesso Nobunaka, trovandosi con i suoi consiglieri, a chi lo metteva in guardia contro quei preti stranieri, avrebbe risposto che delle dottrine straniere nel Giappone ne erano già state predicate tante che una in più non poteva ormai fare alcun male. Ad ogni modo il fatto é che non solo nell'isola occidentale di Kiushiu, allora pressoché indipendente dal governo centrale, il Cristianesimo cresceva e prosperava, ma anche nella capitale e in diverse parti dell'isola maggiore la fede cristiana con il favore di Nobunaka cominciò a diffondersi.

Secondo le relazioni dei missionari nel 1581 vi erano già nel Giappone 150.000 cristiani, 59 gesuiti e 200 chiese, fra le quali la più bella era la «Nambangi» a Kyoto, sussidiata da Nobunaka con una rendita fissa; il suo nome proveniva da «Namban», che é la consueta designazione degli stranieri, cioè "barbari del sud", poiché giungevano in Giappone dai mari meridionali.
Oggi si conserva ancora a Kyoto in un tempio buddistico (Mio..shin) una campana con la data 1577 (stile occidentale), che si vuole provenga dalla Nambangi.
Ad Azuci, sulla riva orientale del lago Biwa, dove Nobunaka si era stabilito e si era edificato uno splendido palazzo, i Gesuiti possedevano oltre la chiesa anche un seminario, nel quale dei giovinetti samurai erano istruiti nella scienza occidentale.

Anche nell'isola di Kiushu il Cristianesimo era nel frattempo divenuto un fattore rispettabile per potenza; e anche diversi daimyo e con loro pure i loro seguaci avevano aderito alla nuova dottrina. Al visitatore generale Valignano, mandato nel Giappone, riuscì perfino d'indurre alcuni congiunti di questi principi ad un viaggio in Europa quali ambasciatori, intrapresa in tempi ancora pericolosi e lunga, perché con i loro propri occhi potessero contemplare tutta la magnificenza della Chiesa cattolica e del suo potente sovrano, che i Gesuiti sapevano dipingere a splendidi colori.

Tutto questo serviva alla loro crescente potenza nel Giappone, il condurre da questi regni dell'estremo oriente a Roma presso il Santo Padre principi giapponesi per il bacio del piede al Papa. Significava un rilevante trionfo del loro ordine agli occhi di tutta l'Europa e una vittoria della Chiesa cattolica, che a questa doveva riuscire doppiamente gradita, appunto in un tempo, nel quale la sua autorità stava soffrendo per il distacco dei paesi eretici a nord delle Alpi (Lutero).

Sotto la guida di alcuni gesuiti l'ambasciata lasciò il Giappone nel 1582 con lettere di omaggio, indirizzate al Papa dai daimyo cristiani di Bungo, di Arimu e di Omura, qui designati come re; ne facevano parte due congiunti di quei principi e due dei loro samurai, tutti e quattro in età ancora molto giovane. Soltanto nel 1585, dopo navigazioni piene di pericoli, sbarcarono in Portogallo. Qui, come nell'intero viaggio attraverso la Spagna e l'Italia, furono dovunque accolti con onori, regali e grandi feste, nelle quali si ricorse alle più splendide pompe della Corte e della Chiesa.

Relazioni molto particolareggiate sul viaggio dell'ambasciata e sulla sua patria lontana, che ora si contano fra le più rare preziosità delle biblioteche, furono diffuse dai Gesuiti in tutte le lingue. Questi rappresentanti di una terra così lontana e che appena allora si cominciava a conoscere destarono l'attenzione generale molto al di là dei paesi da loro visitati.
Si tacque bensì che quei daimyonon non erano veri re, ma solo dei piccoli sovrani, dei quali nel Giappone, appunto come nell'impero tedesco d'allora, ve n'erano a centinaia.


L'avvenimento, stimato in Europa molto più del suo valore e celebrato anche da una medaglia commemorativa papale, riuscirono a maturare conseguenze serie e di grande importanza, perché al ritorno dell'ambasciata, avvenuta soltanto nel 1590 la situazione politica nel Giappone era molto mutata.

Nobunaka, che si era alienati diversi dei suoi partigiani con improvvisi scatti d'ira, molto facili a trasformarsi in violenze, subito dopo la partenza dell'ambasciata a Roma, era stato vittima di una congiura (1582), promossa da uno dei suoi generali, Akeci Mitsuhide, che gli serbava rancore per un torto da lui ricevuto o per essere stato maltrattato.

Questi col rimanente dell'esercito doveva raggiungere le truppe, che combattevano in favore di Nobunaka nella parte occidentale dell'isola maggiore; approfittò di questa occasione favorevole per convincere e quindi condurre le sue forze a Kyoto per assalire improvvisamente il tiranno Nobunaka, che senza sospettare nulla soggiornava in uno dei templi. Sprovvisto di truppe, quindi senza alcuna speranza di uscir vivo da quella situazione, mise il tempio in fiamme e si fece Karakiri con la propria spada.
Aveva soltanto 48 anni quest'uomo valoroso e potente, e prima che potesse compiere l'opera della sua vita, quello di assoggettare tutti i daimyo al governo centrale e quindi andare verso una nuova fondazione dell'unità dell'impero, purtroppo fu abbattuto improvvisamente dal destino, da una specie di Wallenstein giapponese.

Ma non visse neppure l'infido vassallo traditore Akeci Mitsuhide, che fu dopo pochi giorni annientato da Hideyoshi, accorso rapidamente a vendicare il suo signore; lui era il più eminente fra tutti i generali di Nobunaka, ed a lui doveva ora toccare a dirigere le sorti del Giappone.

Nel gruppo molto aristocratico dei celebri statisti e capitani dell'impero insulare, Hideyoshi (1536-1598), che a preferenza si é chiamato il "Napoleone giapponese", è un'eccezione non del tutto unica in quei tempi agitati e d'incertezza politica, essendo di bassi natali.
Come soldato semplice era entrato un tempo al servizio di Nobunaka, che ben presto riconobbe e ricompensò le sue attitudini e la sua straordinaria sagacità in difficili situazioni, come la sua fedele devozione. Così di grado in grado salì in alto fino a divenire uno dei condottieri più stimati di Nobunaka e ad essere ricambiato con titoli prestigiosi.


Degli scrittori giapponesi mettono in rilievo la sua figura straordinariamente brutta, anzi
ripugnante. In questo giudizio dei contemporanei a proposito di un uomo nuovo così eminente e fortunato, può tuttavia avere la sua parte un po' di esagerazione e d'invidia; anche se in diversi ritratti di Hideyoshi, a noi tramandati, il suo volto ci mostra lineamenti duri e preoccupati.
Gli altri partigiani di Nobunaka, accorsi pure loro con i loro eserciti contro il ribelle Akeci, trovarono che a tutto aveva già provveduto Hideyoshi così pronto all'azione.
Nonostante un forte contrasto, questi nel consiglio, tenuto dai maggiori personaggi a proposito della successione, ottenne che questa non passasse ad uno dei figli già adulti di Nobunaka, ma ad un suo nipotino di tre anni, sotto la sua tutela, e con questo Hideyoshi ottenne naturalmente per se stesso il sommo potere, che dovette, a dire il vero, assicurarsi con molte altre lotte.

Con la nomina imperiale a Kuampaku (1685), all'ufficio di reggente, concesso sino allora e anche più tardi esclusivamente alla casa dei Fujiwara, e divenuto veramente da lungo tempo un vuoto titolo, fu riconosciuto formalmente anche come rappresentante competente del governo centrale.
Quando il potente daimyo di Satsuma, della casa degli Shimazu, minacciava d'impadronirsi di tutta l'isola di Kiushiu, Hideyoshi fu chiamato in soccorso dagli altri sovrani ridotti in miseria. Con un grosso esercito e con accorti provvedimenti gli riuscì di ristabilire in pochi mesi la pace (1587), nella quale con un calcolo ben ponderato lasciò il daimyo sottomesso di Satsuma in possesso del territorio dei suoi padri.
Così egli sapeva con una saggia moderazione creare a se stesso buoni partigiani anche presso gli avversari.

In questa campagna militare il potere centrale per la prima volta era venuto in immediate e prossime relazioni con i naviganti e mercanti portoghesi, che esercitavano il traffico con Kiushu e allo sguardo acuto di Hideyoshi non poteva naturalmente sfuggire quanti vantaggi i daimyo cristiani di quell'isola, ormai quasi del tutto convertita traessero dal commercio straniero nei loro porti.
Ma Hideyoshi era poi giunto a vedere ben più lontano di Nobunaka sull'influenza dei missionari stranieri, legati essi strettamente ai loschi disegni politici dell'impero mondiale spagnolo, allora unito col Portogallo. Certo non senza ragione egli credette di riconoscere in loro - degli abili strumenti, capaci di contribuire a sostenere i daimyo nelle loro brame d'indipendenza contro il potere centrale della nazione e così d'impedire a questo di prendere nelle sue mani il commercio con i Portoghesi, così ricco di profitti.
Il tanti staterelli disuniti, ovvero il caos, non poteva che giovare agli occidentali.

E questo aveva capito Hideyoshi. Ancora nell'anno 1587 i Gesuiti, che fin allora avevano avuto varie prove anche del favore di Hideyoshi, furono sorpresi nel modo più grave da un editto del governo, che ordinava ai sacerdoti stranieri di lasciare immediatamente il Giappone nel termine di venti giorni; si dava tuttavia l'assicurazione esplicita che si lascerebbero indisturbati i mercanti portoghesi, purché non conducessero con se ecclesiastici stranieri.
Naturalmente questo duro ordine non poteva del resto essere rapidamente eseguito per mancanza di navi e con la dilazione loro concessa parve ai Gesuiti, così severamente minacciati, essere giusto chiedere una ulteriore tolleranza. E quindi il tempo necessario per abbandonare il Giappone.

Tutto questo atteggiamento aveva una sua ragione di essere, perchè erano molto più vasti ed importanti i disegni di Hideyoshi; lui per questi progetti aveva urgente bisogno anche dell'esercito dei principi dell'isola di Kiuschu, divenuti in gran parte cristiani.
Ed essi assorbirono tutta la sua energia! Al suo spirito assetato di gloria era sempre presente una grande ambiziosa impresa: la conquista della Cina dopo aver riconquistato prima la Corea. E forse fu questo grande progetto che convinse i principi di Kiuschu a unirsi a lui e a far rispettare l'ordine di espulsione dei gesuiti. Anche se poi fu debolmente rispettato. (vedi oltre).

Primo risultato di questa nuova politica dopo appena tre anni: nell'anno 1590, dopo guerre secolari dei daimyo, l'intero Giappone era finalmente di nuovo riunito sotto un governo centrale forte e consapevole dei suoi fini, sostenuto da un numeroso esercito, pronto alla lotta e abituato alla vittoria.
Parve allora a Hydeyoshi giunto il momento giusto di mandare ad effetto anche nella politica estera i suoi vasti disegni. Se fino allora l'energia e l'abnegazione dei guerrieri giapponesi si erano dissipate in mortali lotte fraterne, dovevano ora essere ora dedicate a un compito comune e più degno, quello di combattere per la gloria e per la potenza dell'intero Stato nazionale giapponese.

Con le conquiste continentali Hideyoshi pensava d'indennizzare i daimyo da lui sottomessi, che avevan perduto i loro feudi in tutto o in parte a favore dei suoi partigiani. Poteva così sperare di liberarsi dei suoi avversari nel proprio paese inviandoli nelle nuove terre conquistate e di rafforzare durevolmente la propria dinastia all'interno della sua isola.
Hideyoshi prima minacciò con le sue armi e con un assedio la Corea, Stato protetto dalla Cina; poi dopo avere inutilmente invitato il suo re a farsi suo alleato e ad assalire insieme con lui l'Impero del Mezzo....

i due eserciti giapponesi, nel 1593 la invasero e con una rapida serie di vittorie riuscì presto la conquista della penisola, solo debolmente difesa dai Coreani, da lungo tempo non più abituati alla guerra.
Ma quando poi intervennero le truppe ausiliari cinesi, andarono di nuovo perdute le conquiste all'inizio facilmente conseguite dalle truppe giapponesi; alla loro testa non stava Hídeyoshi in persona, ma due dei suoi generali, uno dei quali cristiano, valentissimi certo, ma in pessimi rapporti per discordie nella strategia e per tante reciproche gelosie, che così intralciarono l'efficacia del loro comando.

Dalla spedizione di conquista, incominciata così brillantemente dai Giapponesi, si svolge in seguito una guerra con varie vicende non sempre fortunate, la quale, sebbene con qualche interruzione, dura sette anni (1592-1598) con gravissime perdite di uomini, non giustificabili rispetto ai successi molto modesti e anche molto dubbi.

Un avvenimento inaspettato e improvviso mise termine alla lunga guerra, una fine del conflitto desiderata da lungo tempo da ambedue le parti. Hideyoshi é colto da una grave malattia; preoccupato per l'esistenza della sua dinastia, richiama indietro l'esercito, la cui vicinanza per la protezione di suo figlio Hideyori di soli sei anni gli sembra ora molto più importante del possesso malsicuro della Corea, per tacere della conquista della Cina, che pare abbandonata ormai da tempo, visto che in sette anni non era riuscito nemmeno a sottomettere la Corea.

Hideyosci chiama al suo letto di morte il più potente ed autorevole di tutti i principi feudali del tempo, il daimyo Ieyasu (pron. Igegiass) della casa dei Tokugawa, che si vantava di discendere dai Minamoto e a cui Hideyoshi era debitore del possesso del Kuanto, cioè delle otto province orientali più importanti dell'isola maggiore e che da lungo tempo contava tra i suoi più fedeli e valenti compagni d'arme.
A Ieyasu conferisce la tutela del suo figlio minorenne, il cui avvenire rende anche più sicuro, stipulando il suo matrimonio con una nipotina di Ieyasu. Fatto questo in quello stesso anno 1598 Hideyoshi soccombe alla lenta malattia all'età di 62 anni.

A lui la patria é debitrice del definitivo ristabilimento dell'unità dello Stato, la fine dei disordini interni, durati dei secoli, e le splendide vittorie militari, all'interno come all'estero; egli cercò inoltre di promuovere la politica amministrativa ed economica, molto trascurata prima e seppe accrescere le entrate dello Stato, per es. con una nuova misurazione dei possedimenti fondiari soggetti ad imposta; fu anche nuovamente regolato il sistema monetario e si coniarono anche monete d'oro.

Aveva già nel 1588 per amministrare gli affari dello Stato istituito cinque magistrature («bughio») sulle quali aveva posto, finché durasse la minorità del figlio, un consiglio di Stato (go tairo) di cinque membri, nel quale furono nominati da lui oltre Ieyasu quattro altri dei daimyo più potenti.
Splendida si era mostrata alla prova l'intelligenza di Hideyoshi, sempre pari anche alle situazioni più difficili, in tutte le sue grandi imprese, compiute con tanta avvedutezza nello stesso Giappone.

Invece la sua politica estera pare fondata sopra una insufficiente conoscenza dei fattori effettivi della potenza, ed egli stesso appare privo di quella prudenza chiaroveggente e di quella costanza consapevole del suo scopo in così larga misura a lui proprie in altri casi. Il disegno di una conquista non solo della Corea, ma anche della Cina, non sarebbe stato in se stesso un compito troppo grave per il Giappone, data la sua eccellente educazione militare e l'insuperato valore del suo esercito, già provvisto di armi da fuoco europee; ma sarebbe forse stata un'impresa non proprio molto benefica per il paese.

Questa conquista era riuscita pochi secoli prima anche ai guerrieri mongoli di Kublai, come doveva riuscire alcuni decenni più tardi ai Manciù. Le trattative diplomatiche, che in questa lunga guerra si avvicendarono in vario modo con le ostilità, dimostrano però che veramente da ambedue le parti non conoscevano in modo realistico le vere situazioni e i veri scopi reciproci; si aggiunga presso i Giapponesi la pericolosa disunione dovute alle gelosie dei capi.

Ma Hideyoshi non aveva giustamente solo sottovalutato il suo avversario solamente in questa impresa, che ad onta di varie vittorie e d'immensi sacrifici, in sostanza finì con l'insuccesso del ritiro dopo sette anni.
Egli aveva gettato pure il suo occhio avido anche sulle Filippine e nel 1592 aveva minacciato di sterminio il governatore di quelle isole, nel caso che non riconoscesse l'alta sovranità giapponese, appunto come se allora la Spagna non fosse una potenza mondiale ancora molto pericolosa.
A queste minacce Hideyoshi non diede veramente in realtà alcun seguito; anzi subito dopo parve così soddisfatto delle splendide ambasciate dei Portoghesi da Goa e degli Spagnoli da Manila, formate per lo più da ecclesiastici giunti con ricchi donativi per lui, che il suo editto d'esilio contro i sacerdoti stranieri parve caduto del tutto in dimenticanza:
La propaganda di questi religiosi raggiunse nuovi grandi risultati, anche se presso i Gesuiti sorse una zelante concorrenza da parte dei Francescani, Domenicani, Agostiniani; rivalità osservate dai giapponesi non senza diffidenza.

Da Roma perfino un vescovo fu nominato dal Papa per il Giappone e ricevuto da Hideyoshi con benevolenza (1596). Poi ad un tratto gl'inviati cristiani furono strappati di nuovo alle loro più belle speranze da un cambiamento apparentemente repentino.
Il sospetto di Hideyoshi, non mai del tutto accantonato, riguardo al pericolo che offrivano quei pii padri per l'indipendenza dello Stato giapponese, a causa dei loro intimi rapporti con l'impero mondiale ispano-portoghese così bramoso di conquiste, sembrò improvvisamente - con il nuovo arrivo dei Francescani, Domenicani, Agostiniani- avere ricevuto un nuovo e seria conferma; la trasgressione del divieto di Hideyoshi, già accennato sopra, dove affermava di non volere altra propaganda e tantomeno nuovi arrivi, un po' troppi, e con troppo zelo fino al punto di causare tra di loro forti contrasti, parve avere eccitato la sua collera.

Per dare uno spaventoso esempio dietro suo ordine sei dei Francescani spagnoli, tre Gesuiti indigeni e un certo numero di altri cristiani giapponesi furono crocifissi a Nagasaki, per aver diffuso contro il divieto di Hideyoshi la dottrina straniera. Furono queste le prime sventurate vittime di quella interminabile serie di martiri, del cui sangue il suolo giapponese doveva macchiarsi nei decenni successivi.
Anche dopo la morte di Hideyoshi, il suo editto fu applicato alla lettera dai suoi successori e seguendo il suo spaventoso esempio, il 10 settembre 1622 mandarono al patibolo altri 52 cristiani rei di aver trasgredito e di non aver abbandonato l'isola.

Dopo la morte precose di Hideyoshi
e dopo questi prima drammatici fatti, iniziò un brutto periodo.

LO STATO POLIZIESCO DEI TOKUGAWA - 1603 - 1616 > >

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