46. IL DISPOTISMO MILITARE - LA MONARCHIA ASSOLUTA
Settimio Severo -------------- Caracalla -----------------
Eliogabolo ------------- Alessandro Severo
Mancando alla morte di Commodo un erede legittimo del trono, tornò subito ad entrare in azione - come alla morte di Nerone - la soldatesca.
Quando il vecchio imperatore Pertinace, salito al trono con l'aiuto del prefetto del pretorio, tentò di instaurare un governo civile nell'indirizzo del senato e di metter fine all'indisciplina penetrata nel corpo della guardia sotto il regno di Commodo, i pretoriani si sollevarono apertamente, uccisero l'imperatore dopo un regno di appena tre mesi e vendettero il trono, verso la promessa di un enorme donativo, al ricco senatore Didio Giuliano, il quale peraltro urtò immediatamente nell'opposizione del senato, della plebe romana e delle legioni, le quali non erano disposte ad abdicare nelle mani dei soli pretoriani il diritto di nominare gli imperatori con i conseguenti vantaggi.Le legioni d'Oriente, della Britannia e del Danubio acclamarono per proprio conto i loro imperatori, fra i quali chi riportò la vittoria definitiva fu naturalmente il capo dell'esercito più forte e più vicino all'Italia, il governatore della Pannonia superiore, L. SETTIMIO SEVERO (193).
Con questo imperatore, derivante da una famiglia di africani romanizzati e da ultimo unito in matrimonio con una donna siriaca, Giulia Domna di Emesa, comincia quel grande processo di parificazione e di livellamento tra le varie parti dell'impero che portò al definitivo tramonto delle tradizioni della costituzione augustea e della tradizionale supremazia di Roma e dell'Italia.
Per questa via si pose Settimio Severo fin dal principio del suo regno con la trasformazione operata del corpo dei pretoriani. Questo corpo, sinora composto a preferenza di Italici, fu d'ora in poi reclutato per la massima parte fra i veterani delle legioni, e quindi venne aperto a tutti i sudditi la possibilità a prestar servizio in questa truppa scelta. Nel tempo stesso, per tenere più sicuramente in pugno Roma e l'Italia, fu posta di guarnigione una legione ad Albano e messa agli ordini del prefetto del pretorio.
Un passo ulteriore sulla via della parificazione delle province all'Italia, parificazione proseguita nello stesso senso da suo figlio Caracalla, che largì la cittadinanza romana ai provinciali, fu l'estensione del ius italicum (immunità dalle imposte) ad alcune città asiatiche ed africane, come Cartagine, Utica, Tiro, ecc. e la concessione del diritto municipale ad Alessandria, mentre tuttavia in generale sotto Severo predomina spiccatamente la tendenza a restringere l'autonomia municipale.Del resto anche questa avversione all'autonomia delle città é sintomatica come indizio dell'indirizzo generale dell'epoca, della tendenza a romperla definitivamente con la costituzione augustea e a trasformare sistematicamente il principato in autocrazia pura.
Come l'influenza del senato nel governo subì un grave colpo per il fatto che la classe da cui erano tratti i funzionari propriamente imperiali, l'ordine equestre, fu ammessa ad occupare la maggior parte delle cariche sinora riservate all'ordine senatorio, così pure la partecipazione del senato alla direzione della cosa pubblica fu resa completamente illusoria dal sistema di governo instaurato da Severo.
Come nel salire al trono egli non aveva chiesto la conferma del senato e si era contentato di fargli una semplice partecipazione del fatto compiuto, così anche in seguito assunse sempre più il contegno di padrone, cui spetta di decider tutto in ultima istanza, di dominus, come normalmente lo designano le iscrizioni onorarie delle città e delle corporazioni. Perciò d'ora in poi non é più questione di nomine di funzionari da parte del senato. Persino nel diritto penale si rivela il mutamento di posizione dell'imperatore rispetto al senato: nei processi di lesa maestà la considerazione di classe non esenta più alcuno dall'applicazione della tortura; ma è anche vero che di fronte al dominus anche chi occupa una posizione elevatissima è divenuto ormai un servitore come tutti gli altri.Assai significativa -finalmente- è la chiamata sistematica di giuristi, come ad es. Papiniano, che occupa il posto di prefetto del pretorio, ma fa anche parte del consiglio del principi. Furono questi giuristi che costruirono quella teoria di diritto pubblico costituzionali chi formò d'ora in poi la base giuridica dell'assolutismo monarchico.
Per la teoria dei giuristi l'origine tradizionale del principato dalla sovranità popolare è una mera reminiscenza storica. Gli organi della sovranità popolare, i comizi ed il senato, giusto il concetto di Ulpiano accolto nelle Pandette, hanno abdicato a favori del principe con la legge chi gli ha conferito l'imperium.
La volontà dell'imperatore è senz'altro legge. Egli è « re » e « padrone » dello Stato. Perciò pure la legge -con cui il popolo rimette nelle sue mani tutti i suoi diritti sovrani, porta il nome di lex regia.È perfettamente conforme allo spirito di questo sistema il consiglio, che, giusto uno storico contemporaneo, Cassio Dione, Severo avrebbe dato morendo ai suoi figli, Caracalla e Geta: «Siate concordi, arricchite i soldati; di tutto il resto non vi dati pena».
Purtroppo CARACALLA (211-217) non tenne conto del primo consiglio, assassinando il fratello a lui socio nel regno, ma si attenne tuttavia scrupolosamente al secondo. In lui ogni altra considerazione tace di fronte al sentimento brutale della propria potenza, e lo si é caratterizzato bene, quando, a causa della sua paternità africana, della sua maternità siriaca e della sua nascita a Lione, é stato detto che egli riunì in sè i vizi di tre razze: la leggerezza gallica, la ferocia africana e la bricconeria siriaca.Nello stesso indirizzo regnò dopo la morte di Caracalla il quattordicenne sacerdote del dio del Sole, Elagabalo ovvero ELIOGABOLO (218-222), acclamato imperatore da una delle legioni della Siria contro Macrino, l'uccisore e successore di Caracalla.
Con Eliogabalo l'autocrazia assume una tinta spiccatamente orientale. Come il senato, già di per sé profondamente decaduto, perde completamente la sua impronta romana a causa della intrusione di una schiera di elementi orientali che il nuovo imperatore si era portato dietro, così pure lo stesso imperatore non si comporta più come un'imperatore romano, ma sotto ogni aspetto come un sultano orientale.Eliogabalo si presentò in pubblico cinto del diadema e pretesi l'adorazione. I senatori per lui non erano che schiavi togati. La corte del pari acquistò una impronta orientale. Si diffuse l'uso degli eunuchi e degli harem, ed alla fine Roma dovette assistere allo spettacolo che il suo stesso pontefice massimo calpestasse tutte le tradizioni nazionali da spodestare formalmente il culto dello Stato a favore delle sue divinità asiatico-africani, del dio siriaco del sole, di Astarte, della Venus Caelestis od Urania.
Nè basta, poichè Roma dovette assistere anche all'altro spettacolo grottesco delle «nozze» del dio del sole con la regina del cielo fatta venire da Cartagine, nozze per le quali tutti le province furono costrette a mandare donativi. In questa occasione affluirono a Roma, per concorrere a solennizzare il trionfo del loro dio nella capitale del mondo, gli Asiatici in gran numero, come quell'adoratore del dio del sole frigio, Attis, Abercio da Iersepoli, del cui viaggio a Roma parla la famosa iscrizione che ora in Laterano è indicata come una pretesa iscrizione sepolcrale di un vescovo cristiano.
Certo contro questa orientalizzazione di Roma insorsero il sentimento nazionale romano e gli interessi civici e costituzionali rappresentati dal senato. Ed il governo di ALESSANDRO SEVERO, salito al trono dopo l'uccisione di Eliogabalo (222-235) tentò pure di soddisfare a questa corrente di idee e nel tempo stesso di sottrarsi al dispotismo dei pretoriani e dei loro prefetti col fare delle concessioni al senato; sistema questo di cui il menzionato senatore e storico Cassio Dione fece l'apologia nel programma da lui messo in bocca a Mecenate.
Se non che lo stesso regno di Alessandro Severo dimostra che era passato il tempo in cui era possibile un governo costituzionale di questo genere. Le ripetute sollevazioni dei pretoriani, onde rimase ad es. vittima il prefetto del pretorio Ulpiano, e che costrinsero, anche Dione Cassio ad abbandonare Roma, le numerose insurrezioni militari e le acclamazioni di pretendenti al trono da parte delle truppe, e da ultimo la caduta del poco marziale imperatore per opera di Massimino, un valente generale, che, figlio di contadini traci era giunto fino ai sommi gradi militari da semplice soldato, tutto ciò - poco prima della data del giubileo millenario dello Stato romano - non lasciò più alcun dubbio che: l'antica costituzione era morta e che non era più possibile sottrarsi al dispotismo militare di alcuni generali che avevano la loro base nelle province e con a disposizione le proprie truppe più o meno barbarizzate.
A datare da Settimio Severo è incontrastato il diritto dell'esercito di nominare imperatori; un diritto che ebbe le più pericolose conseguenze per la monarchia e per l'unità dell'impero rappresentata dalla monarchia. Essendo impossibile una elezione unica e concorde da parte di tutti gli eserciti, ne derivò che ogni reparto di truppe cui avesse la voglia di farlo poteva proclamare imperatore il suo generale, ed a sua volta ciò portò alla conseguenza inevitabile che queste monarchie - il Mommsen le chiama "caricature monarchiche" - ebbero poca durata perché suscitarono immediatamente l'opposizione di altri reparti di truppa e di altre province.
Si verificò alla fine un caos generale in cui i vari corpi dell'esercito, i vari generali, i veri imperatori, il prefetto del pretorio ed il senato ed i numerosi usurpatori si fecero l'un l'altro la guerra. Anzi la confusione generale arrivò al punto che i contadini della Gallia, i «Bagaudi», spinti alla ribellione dall'oppressione delle imposte e dalla miseria, elessero anch'essi un imperatore, mentre da un altro lato, in Egitto, un ricco industriale, Firmo, che si vantava di poter mantenere un esercito con carta e colla, stendeva la mano alla corona.
É questo uno stato di cose che è stato caratterizzato come una continua oscillazione tra la monarchia dispotica ed una democrazia anarchica armata, come era appunto quella incarnata dall'esercito. Da ciò derivò inoltre che anche gli ultimi residui delle tradizioni del principato sparirono dall'esercito, che ad es. l'imperatore Gallieno escluse completamente l'aristocrazia senatoria dalle cariche militari che furono prevalentemente coperte con persone venute su da semplici soldati, una genia di parvenus di cui ora divenne preda frequente lo stesso trono dei Cesari.Si aggiunga che, difettando una forte autorità centrale, le singole province furono spesso addirittura costrette nell'interesse della propria conservazione ad aiutarsi da sé con l'istituire Stati provinciali, creando un'autorità militare ed amministrativa capace di far fronte alle esigenze, proprio ora continuamente crescenti, della difesa territoriale.
Ed infatti, come conseguenza di questo disgregazione dei confini e dello indebolimento della forza difensiva dell'impero provocato dalle innumerevoli guerre intestine, vediamo per l'appunto in quest'epoca, i popoli dimoranti a Nord, Est e Sud dell'impero compiere un colossale movimento d'avanzata che dovunque inondò i confini e portò la devastazione ed il saccheggio su intere regioni.Mentre l'impero romano minacciava di cadere in dissoluzione, all'interno dei popoli suoi nemici d'oltre confine emerge invece una forte tendenza ad unirsi più strettamente fra loro. Prima di tutto ciò si osserva in Oriente, dove fino a quest'epoca l'impero dei Parti a causa della sua disgregazione politica e delle eterne lotte fra i pretendenti al trono si era trascinato in quello stesso stato di debolezza di cui ora pativa l'impero romano.
Nella prima metà del terzo secolo invece per iniziativa della Persia, e per opera della dinastia dei Sassanidi discendente da una famiglia sacerdotale, si verificò un processo di consolidamento dell'impero che da un lato fu accompagnato da una reazione in favore dell'antica religione di Zoroastro contro le tendenze ellenistiche degli Arsacidi che avevano sino allora regnato, e dall'altro segnò una ripresa della politica imperialista nell'antico Stato persiano di Ciro.Già negli anni di Alessandro Severo la potenza offensiva dell'impero persiano restaurato era ridivenuta tale che i Persiani poterono invadere la Mesopotamia, la Siria e la Cappadocia. E se allora si riuscì ancora a respingerli, non passarono venti anni che si dovette abbandonar loro una gran parte dell'Oriente. Fu allora che città come Antiochia e Tarso divennero città persiane; ed un imperatore romano, Valeriano, che volle avventurarsi in quei territori, fu vinto, e morì prigioniero dei Persiani (260?).
Ma anche in Occidente, ai confini germanici, non sono più singole tribù quelle che entrano in azione, ma leghe di popoli di maggior estensione. Compaiono infatti sotto Caracalla sul limes della Germania superiore gli Alemanni, sul Reno medio ed inferiore i Franchi e sul Mare del Nord i Sassoni. Mentre questi ultimi funestarono con le loro navi le spiagge della Gallia e della Britannia, gli Alemanni e i Franchi forzarono il limes e si impossessarono di tutto il territorio romano sulla destra del Reno. Anzi gli Alemanni attraverso la Rezia penetrarono ripetutamente sino in Italia, fino a Ravenna (nel 261 e - nel 271), mentre i Franchi giunsero fino a Tarracona nella Spagna.
Dal lato orientale, sul Mar Nero e sul basso Danubio si verificò un poderoso movimento in avanti da parte di Marcomanni, Goti, Alani, Vandali, Langobardi ed altri popoli. Le numerose invasioni e razzie dei Goti si estesero ad es. ben presto molto all'interno della Mesia e nella Tracia, nella Macedonia e nell'Acaia e arrivarono persino nell'Asia Minore. E questi movimenti migratori furono accompagnati pure da grandi spedizioni marittime. I Goti e gli Eruli fra gli altri salparono dalla sponda settentrionale del Mar Nero, saccheggiarono le coste dell'Asia Minore, presero delle città come ad es. Trapezunte, e si spinsero da ultimo fin nell'Egeo. Efeso (263), Atene (267), e altre città, vennero conquistate e molte regioni della Grecia, le coste e le isole del Mediterraneo orientale sino a Creta, Rodi e Cipro furono devastate e saccheggiate. Lo stesso stato di cose si ripetè verso la stessa epoca anche in Africa, dove la provincia di Numidia fu duramente afflitta dalle invasioni delle tribù maure.
Indizio significativo della generale dissoluzione é la maniera come allora in Oriente un dinasta straniero, il principe arabo Odenato, signore della grande città commerciale di Palmira sulla strada carovaniera tra la Siria e l'Arabia (262), e dopo la sua morte (267} la sua vedova, la geniale regina Zenobia, poterono arrogarsi il dominio di una gran parte dell'Oriente romano, e dovettero bene o male essere riconosciuti compartecipi dell'autorità cesarea, affinchè il valoroso imperatore Aureliano (illirico di nascita), elevato al trono dalle legioni del Danubio riuscì con la conquista di Palmira a ristabilire la signoria romana in Asia, ed in generale pose termine all'anarchia che abbiamo descritto, regnante nell'impero.
Con Aureliano comincia un periodo di resurrezione dell'impero che arrestò per lungo tempo ancora l'accennato movimento di invasione dei barbari. Ai Goti venne abbandonata la Dacia, ed agli Alemanni fu lasciato il possesso degli agri decumates e delle regioni retiche adiacenti, e con un vasto stanziamento di barbari presi prigionieri in guerra ristabilita la pace ai confini, politica questa che, caduto Aureliano vittima di una congiura militare, e dopo l'effimero regno del vecchio Tacito (275-276), fu seguìta con successo dal valente imperatore Probo (276-282) contro nuove invasioni degli Alemanni e dei Franchi in Gallia e dei Burgundi e Vandali nella Rezia. Persino le fortificazioni del times distrutte poterono in parte essere ripristinate; successi che peraltro avevano il loro rovescio della medaglia, in quanto anche gli stanziamenti di Germani operati su larga scala da Probo sotto la forma di colonato militare sottrassero permanentemente vasti territori all'incivilimento romano e li avviarono alla completa germanizzazione. Chi garantiva poi che questa invasione, per ora pacifica, di barbari non sarebbe divenuta coll'andar del tempo il punto di partenza di nuovi attacchi ?
E infatti, questo lo compresero già i Cesari del tempo. Da quando orde germaniche erano arrivate fino a Ravenna, la fede sulla inaccessibilità di Roma non poteva non rimanere scossa; e l'espressione monumentale di questa inquietudine è la colossale cerchia di mura, cominciata da Aureliano e finita da Probo, che circondava Roma per uno sviluppo di 1:6 chilometri.Per quanto riguarda lo svolgimento interno, l'indirizzo assolutista emerge chiaro anche in Aureliano. L'uso del diadema, le vesti adorne d'oro e di gemme, il cerimoniale orientale di corte, la designazione dell'imperatore quale «padrone e dio» sulle monete parlano a tal proposito un linguaggio non equivoco. E benché ancora una volta Tacito e Probo abbiano fatto un tentativo di tornare indietro almeno in parte, di chiamar nuovamente il senato a collaborare al governo e così procacciare al principato una maggiore indipendenza dall'esercito, tutto ciò non ha che un valore affatto transitorio.
Già l'illirico Diocleziano, elevato al trono nell'anno 284 dall'esercito d'Oriente e riconosciuto anche in Occidente dopo la morte del suo competitore Carino (285), mediante una riorganizzazione sistematica di tutto lo Stato, costruì all'assolutismo una base tale che non poté essere più scossa, e che assicurò esteriormente la sussistenza dello Stato ancora per molto tempo, mentre d'altra parte non é meno vero che fu proprio l'assolutismo ad affrettarne in modo essenziale l'interna decadenza.Tuttavia, prima di seguire ulteriormente questo processo di decadenza, con cui va di pari passo anche il tramonto di tutto l'incivilimento di Roma imperiale, ci corre l'obbligo di descrivere almeno nei suoi tratti generali l'indole e l'importanza storica di questo incivilimento dell'epoca imperiale.
Ed è appunto questa interessante descrizione
il contenuto del prossimo capitolo...