4. LA CONQUISTA DEL DOMINIO DEI MARI
I più antichi centri cittadini della Grecia, le sedi regie dell'età eroica celebrate dalla leggenda, erano sorti quasi tutti a distanza dal mare; così Micene e Sparta nel Peloponneso, Atene, Tebe, Orcomeno nella Grecia centrale, Cnosso e Festo nell'isola di Creta. Questo fenomeno é l'indice esterno caratteristico dello stadio di sviluppo economico di quell'età in cui l'agricoltura e l'allevamento del bestiame costituivano le principali fonti di ricchezza, mentre il commercio era tuttora completamente trascurato.
Ma questa condizione di cose non poté a meno di mutarsi a misura che i rapporti fra le varie parti della nazione greca divennero più attivi. Siccome la natura montuosa della penisola oppone allo svolgimento del traffico ostacoli gravissimi, la via che costituisce il vero mezzo di comunicazione tra le singole regioni del paese é il mare; è perciò che ora, all'incirca nella stessa epoca in cui i Greci giunsero ad acquistare coscienza della loro unità nazionale, vediamo salire in auge una serie di città marittime che nella preistoria o non avevano avuto alcuna importanza o ne avevano avuto una relativamente subordinata.
Il traffico mercantile sulle coste greche ha i suoi fuochi naturali in due punti: sull'Istmo, dove i due mari, l'Egeo e lo Jonio, si ravvicinano tanto da essere separati da pochi chilometri soltanto, ed all'Euripo, lo stretto che separa l'Eubea dal continente e costituisce la più breve e soprattutto la più sicura via di comunicazione fra il Sud ed il Nord della Grecia. Ed é infatti in questi due luoghi che sorsero nella madre-patria greca le prime città commerciali di considerevole importanza: sull'istmo Corinto e Megara; sull'Euripo Eretria e Calcide. Ad esse poi va aggiunta la piccola isola di Egina, nel centro del golfo saronico, i cui abitanti molto precocemente si acquistarono la fama di essere i più valenti marinai di tutta la Grecia. Fra le città coloniali della costa dell'Asia Minore quelle che salirono a maggior fiore furono Mileto e Focea, che dominavano le foci dei due più grandi fiumi dell'occidente della penisola, il Meandro e l'Ermo, e quindi le due più importanti strade- commerciali che portano dal mare Egeo nell'interno del paese.
Qui, sulla costa occidentale dell'Asia Minore, fu fatta verso quest'epoca la scoperta che dimostra più d'ogni altro quale importanza aveva assunto già allora, il commercio nel mondo greco e che esercitò una immensa influenza sullo sviluppo economico di tutte le epoche avvenire: la scoperta della coniazione della moneta. L'oro e l'argento avevano probabilmente già da tempo servito come misura del valore negli Stati inciviliti dell'Oriente ed anche nel mondo greco, e può darsi che già fossero in circolazione in barre di determinato peso, ma ancora a nessuno dei governi era venuto in mente di munire queste barre di un bollo che garantisse il peso e il grado di purezza del metallo e risparmiasse al commercio la necessità continua di procedere volta a volta alla pesatura ed al saggio di esso.
Le prime monete coniate dopo questa scoperta furono di «electron», cioè d'oro, che si estraeva dalla sabbia dei fiumi della Lidia, con una forte lega d'argento; esse non recavano ancora leggenda di sorta ed erano segnate da un lato soltanto con lo stemma dello Stato che le coniava, mentre l'altro lato era vuoto. La nuova scoperta si diffuse rapidamente nelle città litoranee dell'Asia Minore ed emigrò molto presto anche nella madre-patria greca, dove le città mercantili di Egina, Calcide ed Eretria cominciarono sin dai primi tempi del VII secolo a coniare monete; siccome peraltro qui poteva press'a poco dirsi che di oro in commercio non ce n'era, queste città coniarono le loro monete in argento.
La nazione greca pertanto sul passaggio dall'VIII al VII secolo si trovava già salita ad un grado relativamente elevato di sviluppo economico, ed in conseguenza cominciò ad espandersi al di fuori dell'angusto spazio entro il quale sinora si era svolta la sua storia. Arditi esploratori sin dal IX secolo si erano arrischiati sugli ancora sconosciuti mari dell'occidente e del nord; la tradizione non ci ha conservato i loro nomi, ma le avventure cui dovettero andare incontro divennero uno dei temi più preferiti dei canti epici e sopravvivono anche oggi nella narrazione poetica delle peregrinazioni di Ulisse. Ora
Poi venne il periodo che all'esploratore successe il colono. Le terre che soprattutto attirarono l'emigrazione furono i vasti paesi bagnati dalla parte occidentale del Mare Jonio; qui i Greci ritrovarono il clima che era loro abituale ed un terreno vergine e di inesauribile fertilità, quale la loro patria rocciosa non era in grado di offrire. Gli indigeni erano prodi e bellicosi, ma si trovavano ad un gradino assai basso nella scala dell'incivilimento e soprattutto difettavano di qualsiasi coesione politica, di modo che non furono in condizione di opporre efficace resistenza alla conquista.
Rapporti con l'Occidente ve n'erano stati sin da tempi molto antichi. Nelle tombe preelleniche di Siracusa si é trovato qualche vaso miceneo; al luogo ove sorgeva l'antica Tarento si é riscontrata persino l'esistenza di una intera stazione rimontante all'età micenea più recente, che forse deve la sua origine ai Caoni. Ma una vera e propria colonizzazione greca di queste regioni non cominciò se non sulla fine dell'VIII secolo. Aprirono la serie i Calcidesi dell'Eubea, i quali, ad una pretesa data del 736 fondarono a piedi dell'Etna la prima colonia greca di Sicilia, Nasso. Muovendo da questa base furono poi occupate le sponde dello stretto che separa l'isola dall'Italia continentale e fondate Zancle (l'odierna Messina) e sull'opposta spiaggia Rhegion (Reggio) ; inoltre alle falde meridionali dell'Etna sorse Catane e nella fertile pianura, bagnata dal corso inferiore del Simeto, Leontini.
Così nel nord-est della Sicilia si formò un dominio coloniale calcidese compatto e continuo, dal quale furono poi spinte sentinelle avanzate verso il nord con la fondazione di Cuma sul golfo di Napoli (avvenuta verso il 700) e un po' più tardi verso la costa settentrionale della Sicilia con la fondazione di Imera (avvenuta verso il 640).
Forse contemporaneamente ai Calcidesi o comunque non molto tempo dopo cominciarono a partecipare alla colonizzazione dell'Occidente anche le città dell'Istmo. Corinto occupò la fertile isola di Cercira all'ingresso del Mare Adriatico e poco dopo sulla piccola isola di Ortigia presso la costa orientale della Sicilia ed a mezzogiorno del territorio coloniale calcidese, fondò Siracusa, che a sua volta nel corso del VII secolo con la sua ottima posizione ben presto divenne una delle prime città della intera isola. Da essa, circa un secolo più tardi (verso il 580 a. C.) fu fondata Acraga (Girgenti).
Così nel corso di poco più d'un secolo le coste dell'Italia da Taranto al Golfo di Napoli e la sponda orientale e meridionale della Sicilia dal capo Peloro al capo Lilibeo si guarnirono di una quasi ininterrotta collana di colonie greche; con ciò la nazionalità ellenica aveva guadagnato un territorio che non era inferiore per estensione a quello della madrepatria a sud delle Termopili e che, per le vaste regioni che si aprivano alle sue spalle, sembrava prestarsi ad una ulteriore indefinita espansione.
Non é del tutto ingiustificato che i coloni greci passati oltre il Mare Jonio abbiano designato il loro paese col nome di «Grande Ellade» (Magna Grecia) in confronto alle anguste condizioni topografiche della patria d'origine.
Durante lo stesso periodo era avvenuto in Grecia un non meno importante movimento di espansione verso nord e nord-est. Nel corso del VII secolo sorse sulla costa settentrionale del Mare Egeo una densa fioritura di colonie greche. Anche qui furono all'avanguardia gli abitanti dell'Eubea; essi occuparono la penisola prospiciente la loro patria che si protende molto avanti verso mezzogiorno e che deve a questa colonizzazione il suo nome di penisola Calcidica. Ed anche qui essi furono seguiti dai Corinzii; costoro fondarono sull'istmo che unisce la piccola penisola di Pallene al tronco principale della Calcidica, la colonia di Potidea (verso il 600 a. C.) che rimase per lungo tempo la prima città di tutta questa regione.
L'isola di Taso, ricca di giacimenti aurei e situata ad oriente della Calcidica, venne colonizzata verso la metà del VII secolo da quei di Paro. Sul continente di fronte a Taso coloni Joni di Clazomene, cui tenne dietro in seguito una colonia, proveniente da Teo, anch'essa jonica, edificarono Abdera, ed emigrati Ioni Chio Maronea; più ad oriente, alle foci del massimo fiume della Tracia, l'Ebro (Maritza), fu fondata Eno da coloni di Lesbo.
Gli stessi Lesbii colonizzarono la Troade situata a fronte della loro isola. Le coste dell'Ellesponto e della Propontide si coprirono di colonie milesie, le più importanti delle quali erano Abido e Cizico (ambedue fondate verso il 670); la vicina di Abido, Lampsaco, anch'essa una città importante, era una colonia di Focea. Sul Bosforo tracico i Megaresi fondarono sulla sponda asiatica Calcedone (675 a. C.) e sulla opposta sponda europea Bisanzio (658 a. C.), e poi, un secolo più tardi, edificarono sulla costa meridionale del Ponto nel paese dei Mariandini, Eraclea.
Ma furono soprattutto i Milesii quelli che fecero del Ponto un mare greco, un «mare ospitare» (Pontos Euxeinos), come da allora fu denominato. Si dice abbiano fondato su di esso e sulla Propontide non meno di 90 colonie, fra le quali salirono a notevole importanza specialmente Sinope (fondata verso il 630) sulla costa dell'Asia Minore non lungi dalla foce dell'Halis, Olbia (644 a. C.) alla foce del Boristene (Dnieper) e Panticapeo sul Bosforo cimmerio (sulla strada di Kertsch).
Tuttavia queste colonie del Ponto non poterono che in misura limitata ridurre sotto il proprio dominio le regioni più interne poste alle loro spalle e abitate da barbari bellicosi, di modo che qui non si giunse mai, come in Italia e in Sicilia, ad una vera e propria ellenizzazione del paese.
Al contrario verso mezzogiorno, sulla costa libica, i Greci non riuscirono a colonizzare se non l'altipiano della Cirenaica; la colonizzazione fu iniziata dagli abitanti di una delle Cicladi, la piccola isola di Tera (verso il 630), cui fecero poi seguito coloni provenienti da altre regioni della Grecia e specialmente da Creta e dal Peloponneso.
Qui all'ulteriore espansione ellenica offrirono un ostacolo insormontabile ad ovest le colonie fenicie sulle Sirti e nell'odierna Tunisia e ad est la popolosa valle del Nilo con la sua antica civiltà.
Non era cosa nuova - da cinque secoli- in Egitto. A fermare prima e respingere poi quello strano ed esplosivo miscuglio di avventurieri e pirati di razze diverse, che passeranno alla storia con il nome di POPOLI DEL MARE furono i Faraoni Merenpthah (1224-1214 A.C.) e Ramses III (1218-1166 A.C.). Un dettagliato elenco di queste popolazioni lo forniscono gli scribi egiziani, che cantano le lodi dei due faraoni vittoriosi. Apprendiamo così trattarsi di Derden, Luka, Akawasha, Tursha, Sheklesh e Sherden. Dietro questa grafia si riconoscono, a giudizio concorde di molti autorevoli studiosi, nomi a noi familiari: Dardani, Lici, Achei, Tusci, o Tirreni, Siculi e Sardi.
Tuttavia con l'andar del tempo i re d'Egitto pensarono di utilizzare per i propri fini i pirati greci che incessantemente molestavano le loro coste. Così Psammetico, il signore di Sans e di Menfi, assoldò verso il 660 un gran numero di questi pirati e col loro aiuto riunì sotto il suo scettro tutta la regione che a quel tempo si era divisa in una serie di piccoli Stati. Il medesimo re ed i suoi successori cercarono anche in seguito in un esercito di mercenari greci il principale sostegno della loro dominazione e così il paese si aprì al commercio ellenico.
Ai Greci fu verso il 600 concessa una parte della città di Naucratis, non lungi dallo sbocco del braccio occidentale del Nilo, per fondarvi fattorie e viverci organizzati al loro uso nazionale sotto magistrati erettivi. A formare la nuova colonia compartecipò una serie delle più importanti città commerciali elleniche: Mileto, Focea, Samo, Chio, Teo, Clazomene per la Jonia, Alicarnasso, Cnido, le tre città esistenti nell'isola di Rodi, Faselide per la Doride asiatica, l'eolica Mitilene dell'isola di Lesbo, e finalmente dalla madrepatria greca, unica, Egina.
A differenza dunque di tutte le altre colonie, fu una stazione panellenica che qui, in un paese di antica civiltà, incarnò l'idea nazionale ellenica; il centro precursore della futura Alessandria.
Anche il più lontano Occidente si aprì verso quest'epoca ai Greci, ed il merito di averlo dischiuso spetta in prima linea alla città che accanto a Mileto, costituiva il centro commerciare più importante della Jonia: Focea. I suoi abitanti verso il 600 avevano già fondato Massalia non lungi dalle bocche del Rodano, e ben presto le spiagge vicine fino alla Spagna si coprirono di una serie di stazioni commerciali. Ma la vera e propria meta di queste spedizioni marittime era la regione argentifera di Tartesso sul Baetis ed in vicinanza delle colonne d'Ercole, un paese che per primo un navigatore samio, Coreos, era riuscito a scoprire; la fama delle ricchezze ch'egli ne aveva riportata non diede tregua ai Focesi sinché non si furono insediati anche su quelle coste, dove fondarono non lungi dall'odierna Malaga, Menace, la più occidentale di tutte re colonie greche.
Al principio del VI secolo pertanto i Greci dominavano quasi tutto il Mediterraneo; soltanto sulla costa settentrionale dell'Africa, ad occidente della grande Sirti, i Fenici impedirono tuttavia la penetrazione dell'influenza ellenica. Il passo più grande e più importante verso la conquista della signoria mondiale era fatto. E tutto ciò era stato ottenuto quasi esclusivamente dalla iniziativa privata. Salvo poche eccezioni, le colonie di quest'epoca debbono la loro fondazione ad uomini intraprendenti che, sentendosi a disagio in patria, emigrarono di propria iniziativa, guidati da capi da loro stessi eletti, in paesi lontani per cercarvi fortuna. É perciò che le colonie così fondate hanno per lo più un'esistenza quasi del tutto indipendente dalla madre-patria, benché naturalmente di regola le loro istituzioni fossero ricalcate su quelle delle rispettive metropoli, si adorassero gli stessi Dei, si eleggessero i medesimi magistrati e vi regnassero lo stesso dialetto e le stesse costumanze. Solo un certo numero fra le colonie più recenti, costituitesi verso la fine del VII e nel VI secolo, furono fondate dai governi delle città greche e quindi rimasero politicamente dipendenti da esse; tali sono in particolare le colonie corinzie dell'epoca dei Cipselidi. Peraltro, anche quando mancò tale vincolo di dipendenza, le colonie si conservarono di regola in rapporti strettissimi con la patria d'origine, fecero cittadini di questa che si recassero in colonia una condizione privilegiata, e furono un sicuro punto d'appoggio per il commercio della madre-patria ed i migliori mercati di consumo dei prodotti della sua industria.
Ciò non poté a meno di reagire potentemente sulle condizioni economiche della madrepatria. Al loro sorgere e per lungo tempo ancora le colonie (come poi accadde secoli dopo negli Stati Uniti d'America) non furono in grado di sopperire da sé stesse ai loro bisogni nei riguardi dalla produzione industriale e si trovarono quindi costrette a ricorrere all'importazione della madre-patria. Ne derivò che in quest'ultima prese sviluppo una attività industriale tutta nuova, appositamente intesa a produrre per l'esportazione. Naturalmente essa si accentrò principalmente in quelle stesse città che erano state come le sorgenti da cui aveva preso le mosse la corrente colonizzatrice, nelle città della Jonia, nell'Eubea e sull'Istmo. Mileto divenne la sede principale dell'industria tessile, l'industria metallurgica fiorì nella Calcide, ricca di miniere di metalli, ed inoltre anche a Corinto e città vicine, mentre la fabbricazione dei vasi ebbe i suoi maggiori centri la stessa Corinto e ad Atene.
Ben presto cominciarono a difettare le braccia e si fu costretti ad importare operai dall'estero. Naturalmente ciò avvenne prima che altrove nell'Asia Minore, dove i vicini paesi barbari offrivano un campo inesauribile di reclutamento; l'isola di Chio ha la triste fama di essere stato il primo Stato greco che abbia organizzato la sua produzione sulle basi del lavoro servile. Dalla Jonia poi l'uso di impiegare gli schiavi si diffuse ben presto nei centri industriali della Grecia, e principalmente a Corinto; qui il governo cittadino già verso il 600 si vide costretto ad emanare in proposito misure di legge proibitive senza naturalmente ottenere risultati durevoli.
Ogni esercizio di industria che sia impiantato su scala alquanto vasta, specialmente se basato sul lavoro servile, presuppone la disponibilità di capitali; né la esige in minor misura il commercio in grande, quale era quello che ora veniva esercitato con le colonie. Di conseguenza chi non aveva capitali propri a sufficienza era costretto a procurarseli chiedendoli in prestito ad altri, e naturalmente doveva in tal caso adattarsi a pagare un proporzionato compenso (più tardi uno dei primissimi stati in Europa ad adottare questo sistema fu la Serenissima Venezia).
Per tal via penetrò nella vita economica greca un fattore nuovo, l'usura. E siccome i capitali disponibili sul mercato erano tuttavia molto limitati, mentre il rischio del loro impiego, segnatamente nel commercio marittimo, era grande, il tasso delle usure non poté a meno di essere molto elevato, come avviene sempre in ogni ambiente economico con scarse risorse di capitali. L'introduzione di questo nuovo elemento ebbe a sua volta una ripercussione all'intero organismo sociale. Il piccolo agricoltore sinora ove si trovasse in bisogno, aveva potuto ottenere senza gran fatica dal suo vicino più ricco un mutuo che normalmente consisteva in grano poi restituito dopo il raccolto; e se anche era d'uso restituire qualcosa di più di quello che si era ricevuto, pur non essendoci l'obbligo di farlo, tale onere era comunque accettabile.
Ora invece che i capitali trovavano un impiego remunerativo i creditori si fecero promettere un ben determinato tasso di interesse del cui puntuale pagamento, come pure della restituzione del capitale, doveva essere garante la piccola proprietà del debitore, e se questa non bastava, il debitore stesso ne rispondeva con la sua persona e con le persone dei membri della sua famiglia. Ben presto le terre si coprirono di pilastri di pietra sui quali erano registrati i debiti garantiti su ciascun fondo. E, dato l'elevato tasso delle usure, l'assunzione di una simile ipoteca non poteva a meno di portare presto o tardi alla rovina del debitore, il quale alla fine si vedeva espulso dalla sua proprietà o cadeva addirittura in servitù del creditore.
Naturalmente questo stato di cose regnava soltanto nelle regioni economicamente più progredite del mondo greco, negli Stati commerciali ed industriali, mentre la maggior parte della penisola ellenica, dove ora come prima l'agricoltura costituiva la fonte press'a poco unica di reddito, rimase immune da simili mali. Mentre nelle prime dove gli speculatori abbondarono ben presto portarono alla quasi distruzione della classe dei liberi agricoltori, perchè non erano in grado di difendersi con le sole loro forze contro la strapotenza economica dei grandi proprietari.
Se non si arrivò alla distruzione totale o se per lo meno vi si arrivò soltanto assai più tardi, lo si dovette al sorgere di una forte classe di artigiani nella quale la classe degli agricoltori trovò appoggio contro la nobiltà terriera.
Sono queste le prime lotte delle classi lavoratrice contro la classe dei padroni.
Che produssero un totale mutamento nel sistema, risvegliando un'ardente desiderio di libertà che d'allora in poi così fortemente distinse il carattere di questo maraviglioso popolo.Ma prima di iniziare il capitolo della "EMANCIPAZIONE GRECA",
diamo uno sguardo alle...