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109 f - LA CIRCUMNAVIGAZIONE DELLA TERRA

Con tutte le scoperte che si succedevano una dietro l'altra, e con la ormai diffusa opinione che il pianeta terra era un grande globo da esplorare, un nuovo spirito si era diffuso per il mondo e spinse una parte dell'umanità verso, l'ambita meta: la circumnavigazione della terra. È significativo che questa impresa sia stata compiuta in comune da portoghesi e spagnoli, i quali si combattevano da anni con invidia.
Il governo spagnolo non vide fin dall'inizio i risultati della colonizzazione corrispondere alle sue aspettative. Essi erano piuttosto scarsi rispetto a quelli ottenuti dai Portoghesi nelle indie orientali, giacché nelle Indie occidentali non si era trovato né oro né droghe.

Dell'unico prodotto naturale sino allora completamente sconosciuto, il tabacco, non si immaginava ancora l'importanza economica che più tardi acquistò. Non desta meraviglia dunque che Carlo V abbia voluto tentare di seguire le orme degli invidiati vicini, naturalmente in direzione opposta. Egli ebbe la fortuna di trovare in Magellano l'uomo ad hoc per l'esecuzione del suo progetto. Si trattava, per dirla breve, di riprendere e proseguire il disegno di Colombo: raggiungere l'India per la via dell'Ovest.

Lo stesso Colombo nel suo quarto viaggio aveva già cercato inutilmente un passaggio in tale direzione. Ora però si era sempre più giunti nella certezza che nell'America centrale lo si sarebbe cercato inutilmente; quindi occorreva mutare sistema, proponendosi di passare girando o dal nord o dal sud attorno al nuovo continente scoperto. Dato l'orientamento generale della navigazione spagnola verso il Sud-America non poteva per il momento trattarsi che di tentare quella strada proprio da sud.
Il primo a concepire un piano di circumnavigazione di questo genere fu Amerigo Vespucci. Nel 1503 ne intraprese l'esecuzione e costeggiò per un buon tratto il Brasile, ma per l'inabilità del capitano della nave fu costretto a tornare indietro.
Recatosi in seguito in Spagna, Vespucci riuscì a persuadere il governo a ritentare l'impresa, ma in questo suo sostegno egli cadde nello stesso errore in cui erano caduti i portoghesi rispetto all'Africa, quello di raffigurarsi l'America meridionale molto meno estesa di quanto era realmente e perciò di sottovalutare le difficoltà dell'impresa.

E infatti nel 1508 salparono due navi al comando di Pinzon e de Solis, ma non ottennero alcun risultato. Tuttavia l'idea rimase viva, nelle carte si segnò l'esistenza di uno stretto a sud, e nel 1514 De Solis strinse un contratto col governo assumendosi l'impegno di scoprire la strada verso l'Oceano indiano. Nel 1515 egli iniziò il suo viaggio con tre navi ed arrivò alla vasta imboccatura del Rio de la Plata, che venne denominato Rio de Solis; ma fu ucciso e divorato dagli indiani.

Perché l'impresa potesse compiersi doveva apparire un uomo di ben più alto valore quale Ferdinando Magellano. Egli era portoghese. In occasione dell'assedio di Goa nel 1510 si era distinto per la sua particolare bravura. Poco dopo in un consiglio di guerra osò, calmo e deciso, mettersi in opposizione col suo comandante in capo Alburquerque, che geloso della sua autorità, licenziò su due piedi l'arrogante capitano.
Magellano ritornò in Portogallo, ma la sua pensione era così misera da non permettergli di vivere. Inutilmente diresse una supplica al re perché gliela elevasse. Irritato allora, quest'uomo per il quale l'attività marinara era un bisogno, abbandonò la patria e si recò in Spagna, dove per l'appunto si cominciava a svolgere una politica coloniale in grande
stile.

Questi disertori, pratici delle Indie orientali e delle relative imprese potevano riuscire utili, e Magellano fu assunto in servizio dal governo spagnolo. Carlo V comprese l'importanza che avrebbe avuto il riuscire ad attuare l'intenzione manifestatagli da Magellano di trovare una via per girare il continente americano e di là raggiungere l'Asia. La corona spagnola concluse infatti con lui un contratto che gli fissava come compito principale di arrivare alle isole delle droghe. Egli ebbe la dignità di ammiraglio e cinque navi con le quali si lanciò nell'Oceano Atlantico come un secondo Colombo.
Salpò da Guadalquivir il 20 settembre, con a bordo una squadra di 262 marinai la maggior parte quasi tutti spagnoli.

Naturalmente il viaggio non andò liscio; l'idea di servirsi per gli interessi della Spagna di un abile marinaio portoghese, che al governo spagnolo era parso atto di accorta politica, sembrò invece ai rozzi equipaggi privi di educazione politica una offesa al sentimento nazionale: essi rifiutarono di sottostare al comando di uno straniero, e Magellano dovette fare appello a tutta la sua energia per ridurli all'obbedienza.
Egli soffocò la rivolta con rigore spietato; ma poco dopo una delle navi proditoriamente lo abbandonò e se ne tornò in Spagna; un'altra naufragò sulla costa americana.
Ciononostante il 21 ottobre 1520 l'intrepido ammiraglio entrò risolutamente in una stretta, poco promettente insenatura nella quale credette di riconoscere la via che cercava. Il suo occhio acuto non lo aveva ingannato. Quella che avrebbe potuto essere una semplice sinuosità della costa si rivelò invece un tortuoso canale chiuso fra tetre montagne coperte di ghiacci; quel canale che la posterità riconoscente ha segnato sulle carte col nome di stretto di Magellano.

Più di cinque settimane durò la difficile navigazione attraverso gli scogli dello stretto, quasi a tentoni cercò il passaggio, fin quando un marinaio che era andato in perlustrazione (in mezzo a quelle isole che formano la Terra del Fuoco), tornando disse che a ovest aveva visto il mare aperto.
Ripresero la navigazione il 28 novembre, entrando in un mare così calmo e così grande che lo chiamarono Oceano Pacifico. La fortuna volle - cosa insolita per l'infido Pacifico - che lo percorsero interamente fino alla Filiipine, senza incontrare una tempesta. Vi giunsero stremati dopo 99 giorni.

I fuochi che i naviganti avevano di notte osservati alla loro sinistra sull'isola staccata dal tronco principale dell'America Meridionale, fuochi che i nativi del luogo i Pescerah, usano accendere ancora oggi come cinque secoli fa, furono la ragione per cui all'isola venne apposto il nome di Terra del fuoco.

Ma le pene e i pericoli del viaggio, invece di diminuire, cominciarono proprio ora. Finché si ebbe sulla destra la costa cilena, risalendola, si poté in qualche modo provvedere ancora al rifornimento di vettovaglie; ma allorché venne il momento di doversi affidare all'alto mare sopraggiunsero seri problemi e la fame con tutti i suoi tormenti. Il caso volle che le navi di Magellano attraversassero tutta la Polinesia e la Melanesia senza mai avvistar terra, se si tolgono un paio di sterili scogli di corallo.
Più di tre mesi gli equipaggi lottarono con quel terribile nemico che é la fame, e già erano arrivati al punto di mangiare cuoio ed altre cose simili, quand'ecco il 6 marzo 1521 apparve finalmente un gruppo di isole abitate. Qui gli spagnoli poterono rifocillarsi e riprender forze. Tuttavia le ruberie che gli indigeni dei luoghi esercitarono, anche se non arrecarono gran danno, li convinse ad abbandonare in gran fretta il luogo; l'arcipelago venne denominato arcipelago dei Ladroni, nome che più tardi fu sostituito dal più onesto titolo di Isole Marianne.

Dopo pochi giorni le navi ripresero il mare per approdare ben presto ad un altro gruppo maggiore di isole, S. Lazzaro. Sino al 1898, epoca in cui venne conquistato dagli Stati Uniti, questo gruppo di isole rimase alla Spagna; sotto Filippo II iniziò l'uso di denominarle Filippine.
Qui gli spagnoli cominciarono a non dover più trattare con soli selvaggi, perché incontrarono le prime navi mercantili arabi e malesi. Essi compresero che erano entrati nelle vere Indie, cioè nel dominio della bandiera portoghese. La semplice affermazione che il re di Spagna era assai più potente del re di Portogallo fu presa piuttosto male, e perciò Magellano credette necessario di imporre la sua autorità e quella del suo signore con una qualche audace impresa guerresca.

Si intromise perciò nelle contese tra i capi locali, passò nell'isola di Matan, dove però dopo eroiche lotte, rimase ucciso. Il suo cadavere venne abbandonato a Matan. Dalle loro navi gli spagnoli dovettero assistere al terribile eccidio senza poter recare aiuto. Ma non era finita, quelli perfidamente li attaccarono anche in mare.

E siccome nel frattempo era andata perduta una terza nave, le due ultime rimaste, la «Trinidad» e la «Vittoria» solo con grandi fatiche poterono sottrarsi alla caccia loro data e riprendere il viaggio.
I capitani Lopez de Carvalho e Gonzalo Vaz d'Espinosa condussero i resti della squadra sulla costa settentrionale di Borneo, dopo aver toccato Mindanao e Palavan. Qui nuove lotte ridussero talmente gli equipaggi che soltanto un pugno d'uomini riuscì a raggiungere l'isola di Tidore.
Qui gli Spagnoli poterono comunque allacciare buone relazioni commerciali con il rajah regnante, ma nel tempo stesso dovettero constatare che avevano raggiunto la sfera di protezione degli interessi portoghesi allargatasi nel frattempo molto verso Oriente.

Se il governatore di Ternate avesse seriamente vigilato all'osservanza dell'ordine impartito di non lasciar passare gli spagnoli segnalatigli quali nemici, costoro avrebbero dovuto considerare già finita la loro impresa. Invece egli si accontentò di trattenere l'equipaggio della «Vittoria» che le avarie avevano resa inadatta a navigare, compreso l'equipaggio le cui miserevoli condizioni avevano destato la compassione persino degli avversari.

Più fortunata fu la «Trinidad», comandata dall'incrollabile Sebastiano del Cano e con a bordo il pilota Pigafetta. Essa attraversò il mare della Sonda, passò oltre l'isola di Timor, e navigando nelle plaghe più meridionali dell'Oceano Indiano, avvistò l'isola vulcanica oggi chiamata Nuova Amsterdam, poi approdò sulla costa d'Africa nei pressi del gran fiume dei Pesci. A questo punto la rotta era per così dire nota, ma per gli spagnoli continuò ad offrire delle difficoltà perché temevano dappertutto di essere avvistati e inseguiti dai portoghesi, di modo che anche alle isole del Capo Verde non osarono fermarsi che brevissimo tempo.

Il 6 settembre 1522, tre anni dopo la partenza, la «Trinidad» entrò finalmente nel porto di S. Lucar. L'accoglienza fatta al piccolo manipolo rimasto di una intera squadra fu giustamente onorevole; il suo capitano ebbe il privilegio di fregiarsi di una nuova arma portante un globo col motto «Primus circumdedisti me».
E le cose stavano proprio così: la circumnavigazione della terra era un fatto compiuto, e si era avuta la prova che essa costituiva un corpo liberamente sospeso nello spazio.

La sfericità della terra verso il 1522 non era più contestata da alcuna persona intelligente. Tuttavia quanto si fosse ancor lontani dal trarne sia pure le più ovvie conseguenze é dimostrato da una annotazione fatta da Pigafetta nel suo giornale. Fin da quando arrivò al Capo Verde egli cioè rimase sorpreso nel vedere che la sua cronologia si trovava di una intera giornata in arretrato a confronto di quella locale, e di questo fatto ebbe conferma al suo arrivo in Spagna; operata una revisione del giornale, constatò che era senza errori dato che ogni ora e giorno di navigazione era stata riportata in cascata giorno per giorno.
La cosa apparve a lui un mistero. E solo a poco a poco si capì che non poteva essere diversamente.
Ma 300 anni prima il dotto arabo Abulfeda nel XII secolo non aveva alcun dubbio sulla sfericità della Terra, e immaginando un viaggio intorno ad essa, aveva fatto osservare che il giro del globo, se fatto in direzione est avrebbe dovuto far guadagnare un giorno, e se fatto in direzione ovest ne avrebbe fatto perdere uno. Sembrò una cosa campata in aria. E come abbia potuto concepire un'idea simile non lo sappiamo.

E per l'appunto la seconda alternativa calzava al viaggio di circumnavigazione compiuto da Magellano. Per le scoperte di questo ardimentoso si sapeva ora che il Sud-America (Brasilia sine Papagalli, come é chiamato nel Globo dello Schùner del 1520) era tagliato da un canale ad una latitudine che si stimava al 540 grado circa. Ma naturalmente il viaggio di Magellano non offriva elementi per stabilire quanto potesse essere estesa la porzione situata a sud del canale. Invece nel 1531 sulla carta di Oronzio Fineo la relativamente piccola Terra del fuoco si trova gonfiata sino alla dignità di una nuova parte del mondo, la «Terra australis», e questa arbitraria asserzione non si è lasciata scuotere per la durata, di due secoli ad onta delle più evidenti prove contrarie.
Assai più esattamente vedeva le cose Pigafetta, cui deve riconoscersi il primato nell'aver sostenuto che l'emisfero meridionale era in sostanza un emisfero oceanico.
Il vicentino Antonio Pigafetta di questo intero viaggio, ci ha lasciato una delle più interessanti relazioni, del più strano ardito e drammatico viaggio marittimo di tutti i tempi.

Il nome di Magellano ed i risultati del suo viaggio fecero il giro dell'Europa stupita assai più presto di quanto fosse avvenuto trent'anni prima per le scoperte e per il nome di Colombo. Per la geografia il viaggio di circumnavigazione fu il grande avvenimento del XVI secolo. Solo molto tempo dopo, cioè quando sir Francis Drake compì il secondo viaggio dello stesso genere ( e con intenti ben diversi: quelli di rapinare le varie colonie!) la fama dell'antica gesta nautica cominciò ad impallidire.


Il governo spagnolo credette che la scoperta di Magellano gli offrisse la possibilità di strappare ai Portoghesi il monopolio del commercio delle droghe. Carlo V fece fondare una casa di commercio apposita a La Coruna, da qui, come da Lisbona, dovevano annualmente partire flotte mercantili dirette ai paesi delle droghe per la nuova via dell'ovest. Per dare alla impresa una vasta base, egli ammise che vi partecipassero, oltre gli spagnoli, anche i sudditi non spagnoli della casa d'Absburgo. Egli ne scrisse persino al consiglio municipale di Lubecca. Tutti i territori soggetti alla corona spagnola contribuirono pertanto all'allestimento della prima flotta che partì nel 1526 al comando di Loaisa.
Essa raggiunse le Molucche, ma soccombette alle ostilità degli indigeni. Una seconda squadra fu guidata da Sebastiano Caboto. Egli sperò di poter trovare una via più breve di passaggio oltre l'America e credette erroneamente di scoprirla nella vasta massa d'acqua del Rio de la Plata; ritornò indietro con pochi compagni, deluso e pessimista in ogni altra iniziativa.
A partire da lui ebbero fine le spedizioni di questo genere. Da un lato altri impegni si presentarono a Carlo V, e dall'altro l'America cominciò ad offrire ciò che si era voluto andare a cercare in India.

Ma politicamente le cose non potevano rimanere come erano, dopo che i Portoghesi avevano occupato il Brasile, invadendo la sfera riservata alla Spagna, e gli Spagnoli si erano insediati alle Filippine e alle Molucche, invadendo la sfera portoghese.
Il trattato di Tordesillas del 1494 avena tentato di stabilire al 55° grado di longitudine una linea di separazione tra le due potenze marittime; ma questa era stata scelta male ed era stata abbattuta dalla forza dei fatti compiuti.
Per correggere le disposizioni del trattato anzidetto si adunò nel 1524 una commissione speciale a Badajoz, dalle cui interminabili discussioni venne fuori il trattato di Saragozza del 1529.
Esso stabilì la linea di separazione a 297 leghe ad est delle Molucche, vale a dire quasi sul 143° meridiano long. est. Cosicché le tanto contese Molucche andarono al Portogallo. Malgrado tutto ciò la scarsa conoscenza di quelle plaghe provocò ancora in seguito litigi ed attriti per le isole del Mare Indiano.

Solo dopo il 1570 Legaspi poté stabilire saldamente la sovranità spagnola a Manila. Poco dopo Filippo II riunì sulla sua testa le due corone di Spagna e di Portogallo, ma l'amministrazione coloniale dei due paesi rimase tuttavia separata in notevole misura.

Ma a questo punto è doveroso fare alcune considerazioni. Non è molto chiaro il motivo per cui sono state proprio le due nazioni più cattoliche d'Europa, quelle peraltro che si trovavano nelle peggiori condizioni per uno sviluppo capitalistico (si pensi soprattutto alla Spagna), a dare il via al moderno colonialismo borghese.
Probabilmente Spagna e Portogallo (i due Paesi cattolici più fanatici e con al loro fianco la Chiesa) cercavano nelle avventure coloniali internazionali un modo pratico per non far morire l'ideale della cristianità, che nell'Europa umanistica e rinascimentale era entrato fortemente in crisi. Spagna e Portogallo, rimaste troppo indietro rispetto ai processi emancipativi del continente europeo, credettero di trovare nel colonialismo l'occasione della propria sopravvivenza in quanto nazioni "cattoliche".
In questo senso la Riconquista antislamica non sortì l'effetto sperato, poiché alla omologazione ideologica non seguì il benessere economico. Eliminando ebrei e musulmani (cioè le classi e i ceti artigianali, commerciali e finanziari), gli spagnoli e i portoghesi non furono capaci di sostituirli con proprie forze sociali di tipo borghese, né seppero edificare un tipo di società più democratica. Il fallimento economico della Riconquista rese in un certo senso inevitabile, se si voleva salvaguardare inalterata l'ideologia cristiana, la sua prosecuzione aldilà dei confini nazionali.
Solo col passare del tempo, non senza drammi e tragedie, Spagna e Portogallo saranno costrette ad ammettere che il medioevo cattolico non aveva alcuna possibilità di contrastare l'emergente capitalismo protestante. L'ideale cristiano poteva sperare di sopravvivere solo dopo averlo negato.

Questo re poté dire: «Io sono l'uomo più ricco del mondo battezzato; nei miei regni il sole non tramonta mai »: ma proprio verso quest'epoca apparvero sulla scena i suoi più temibili rivali: gli Olandesi e gli Inglesi.

A quel punto
i regni Ispano-Portoghese
cominciarono ben presto a "tramontare".

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