E COSI' FINI' IL "MASSIMO"
Del Teatro di Palermo � rimasto solo pi� il ricordo di quel 29 gennaio 1974 


 Che tempi! quando qui cantava  Caruso, Gigli (in foto) Tamagno, Caniglia, Bechi, De Stefano, Gobbi, Callas ecc.
Poi il SILENZIO!

�I ricordi di Lillo Marino

"Gino mio, l'ingegno umano /Partor� cose stupende / Quando l'uomo ebbe tra 
mano / Meno libri e pi� faccende."

Quanta verit� in questo epigramma dedicato da Giuseppe Giusti all'amico Gino Capponi! S�, perch� quando alle "Words! Words! Words!" di shakespeariana memoria (Amleto) fecero seguito le faccende, cio� il fare, l'incubo si dissolse.

Dico del teatro Massimo Vittorio Emanuele di Palermo.
Dico delle vicende del "Massimo" che, per due decenni e mezzo, hanno irritato, indispettito, offeso tre generazioni di palermitani.

Quelle vicende, i cittadini della Capitale dell'Isola le avevano vissute e sofferte fino a quando tutte le speranze si erano ridotte al lumicino. Si poteva forse pi� dare credito alle "Parole! Parole! Parole! " dispensate, a cuor leggero, da politici, tecnici, addetti ai lavori? Certo che no!
Non c'era dunque da prendersela poi tanto se i pessimisti (ma c'erano pi� ottimisti?), nei giorni dell'illusione perenne, tra un sorriso all'agro dolce e un'eloquente scrollata di spalle, coronavano il loro dire sul teatro "Massimo" con uno sfottente: "s�, un bel d� vedremo!". Con macabra allusione allo sfortunato amore tra il tenente Pinkerton e la piccola Butterflay che, disperata, si immerge un pugnale nel petto.

Il "Massimo", invece, dopo un quarto di secolo, come novella Fenice, risorge dall'avello del lungo silenzio e torna alla vita, salutato da una commovente cerimonia di apertura - di riapertura, direi - che - Auf Flugen des Gesanges - raggiunge i piccoli schermi televisivi del Bel Paese.
Protagonisti assoluti, in quella sera felice, l'orchestra e il coro del "Massimo" in una splendida esecuzione di un canto mistico e solenne, il: "Va' pensiero" dal Nabucco di Giuseppe Verdi.
Una felice scelta artistica, perch� ............

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Fu la sera del 29 gennaio 1974 che il suggestivo Tempio della musica e del bel canto si apr� al suo pubblico per l'ultima volta.
Recava gi� i segni del tempo, visibili in alcune sue strutture; la parziale inagibilit� aveva impedito che l'ultima opera in programma potesse essere rappresentata completa di impianto scenografico.
L'opera il "Nabucco" fu perci� presentata in forma di oratorio con la direzione orchestrale di Oliviero de Frabitiis. Tre grandi nomi nel cast artistico: il soprano Elena Suliotis, il basso Boris Christoff, il baritono Corneil Mac Neil.
Da quella sera dell'anno 1974 appena nato, rimase, solo, a tenere alta la bandiera della tradizione lirica della Sicilia, il glorioso Teatro Massimo Bellini di Catania.
Aveva riaperto i battenti alcuni anni dopo la fine del devastante conflitto mondiale e, anno dopo anno, era stato un susseguirsi di grandi eventi artistici che certamente sono scolpiti nel cuore e nella mente di quanti vissero quegli anni indimenticabili.
Ricordo la "Traviata" con Beniamino Gigli, con la figlia, debuttante, e con Gino Bechi; una stupenda "Norma" con la Callas e il tenore Sutherland; "Amico Fritz" con Giuseppe Di Stefano e Maria Caniglia; il "Rigoletto"con Mariano Stabile, Gina Cigni e Tito Gobbi; e ancora tante e tante opere liriche firmate da celebri musicisti e con protagonisti di grande talento.
Certo, nel ricordare gli anni lontani dei "trionfi del Teatro Massimo Bellini" (trionfi che, del resto, si sono rinnovati negli anni a venire) la memoria pu� avermi tradito nella citazione di un protagonista anzich� di un altro, ma ci� nulla toglie alla grandiosit� di quegli avvenimenti di eccelsa arte lirica.

Tutto ci� accadeva a Catania, quando, a Palermo, il suo bel Teatro si avviava verso il declino e un lungo, colpevole silenzio. 
"Chiusura provvisoria per restauri" si disse e si scrisse; ma � ben noto che dalle nostre parti nulla � pi� definitivo (o con scadenza a lungo termine) del provvisorio: i due anni preventivati per le opere di ristrutturazione divennero venticinque. Si ha il sospetto che i tempi lunghi e i rinvii siano stati scritti, dall'Onnipotente, sul libro del destino del teatro palermitano.
Non c'erano voluti, forse, quarantasei anni, per la sua realizzazione, dal giorno dell'approvazione della delibera con la quale il Decurionato di Palermo chiedeva al Real Governo di Ferdinando II di "degnarsi di autorizzare Palermo a costruire un nuovo teatro"?
Senza dir poi di quanto aspri e duri furono quegli anni il cui trascorrere fu scandito da episodi di reciproca intolleranza tra i pi� bei nomi del tempo: politici, amministratori, architetti, in un alternarsi convulso di polemiche, invidie insinuazioni, intrighi, maldicenze.

C'� baruffa, al Decurionato, allorch� � il Pretore - che � il Principe di Manganello - propone che il teatro che deve ancora sorgere porti il nome di "Real Teatro Ferdinando II". La proposta viene respinta dal gruppo dei notabili che sta con i piedi a Palermo e la mente ed il cuore a Torino dove prende sempre pi� corpo il sogno dell'Italia unita); si litiga di brutto, nel settembre del 1864, al Municipio, a causa del bando di concorso per un progetto di teatro, aperto ad architetti italiani e stranieri; succede il finimondo, nell'agosto del 1868, nella Basilica di San Domenico, tra i componenti ella Commissione costituita per esaminare i venticinque progetti pervenuti da tutta Europa; non si va per il sottile, in tema di sospetti e di accuse di presunti interessi privati, quando in Consiglio comunale c'� da indicare il luogo dove ubicare il teatro; e sempre in Consiglio comunale - � il maggio del 1881 - scoppia il finimondo a seguito di un intervento dell'assessore ai lavori pubblici, Fortunato Vegara di Craco, che, indignato per un eccesso di spesa ammontante a lire 420.000, accusa, senza mezzi termini, il progettista del teatro Giovan Battista Filippo Basile di avere voluto artatamente gonfiare i conti.

Il Basile, offeso ed irritato, prende carta e penna e scrive al Sindaco: Eccellentissimo Sindaco, maggiore oltraggio in un pubblico consesso - il pi� Alto della Citt� - non mi si sarebbe potuto fare! Non lo accetto e anzi lo respingo con animo sdegnato. Sono un artista, non un affarista. Sono un gentiluomo, non un ladruncolo!
Parole al vento: al Basile viene revocato l'incarico di direttore dei lavori e i lavori stessi vengono sospesi. 
Effervescente � anche l'immediata vigilia della "prima" inaugurale.
Le cronache del tempo narrano di una burrascosa riunione - conclusasi tra ingiurie, minacce e manrovesci - indetta dal Comitato di Gestione del teatro (presidente Vincenzo Florio) per scegliere l'opera lirica con la quale inaugurare il bel Massimo vagheggiato al tempo dei Borboni e, finalmente, consegnato ai palermitani nell'era dei Savoia col nome di Teatro Massimo Vittorio Emanuele.

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Il ricordo degli anni tumultuosi del suo nascere e del suo realizzarsi, il Teatro Massimo, lo cancella in sol colpo, nella incantata esaltazione di una tiepida sera di met� maggio del 1897: � il sedici, giorno di Sant' Ubaldo.
Sotto gli occhi dei palermitani, sbalorditi e commossi, c'� la maestosit� di una monumentale struttura, l'affascinante ornamento dell'architettura, la sala sfolgorante di luci; c'� il leggiadro incedere, su per la scalinata, verso la platea e i palchi, delle dame della "aristocrazia" e dell'alta borghesia: donna Franca Florio, la contessa Trigona, la principessa Patern�, la duchessa dell'Arenella, la principessa di Trabia...
E', quel teatro, il "do di petto" di due grandi maestri dell'Ottocento architettonico, i Basile padre e figlio; �, quel teatro, la prestigiosa testimonianza della genialit� degli artigiani di Palermo che hanno profuso, nella realizzazione del progetto, valentia, estro ed entusiasmo, � il "Massimo" l'orgoglio di tutta una citt�.
La grande avventura del "Massimo" nell'aulico mondo del bel canto e della lirica incomincia la sera del 16 marzo del 1897.

In programma c'� di Giuseppe Verdi con Leopoldo Mugnone sul podio. Tredici giorni dopo andr� in scena la "Gioconda di Amilcare: Ponchielli: il tenore � il giovanissimo Enrico Caruso che, a furor di popolo, dovr� eseguire per ben tre volte, la romanza: "Cielo e mar". 
La notizia del trionfo al "Massimo" corre per mondo e al giovane tenore napoletano (ha ventiquattro anni) si schiuderanno le porte di tutti teatri pi� celebrati de mondo: la "Scala" di Milano, il "Costanzo" di Roma, i Teatri imperiali di Pietroburgo e Mosca," il Konigliche Oper" di Berlino, l'"Oper�"di di Parigi, il "Metropolitan" di New York.
Nel prosieguo degli anni, sul palcoscenico del teatro palermitano si avvicenderanno tutti i pi� grandi protagonisti dell'opera lirica: Margherita Strepponi, Francesco Tamagno, Beniamino Gigli, Maria Caniglia, Mariano Stabile, Gino Bechi, Tito Gobbi , Gina Cigni, Giuseppe Di Stefano e ancora, Sutherland, Tebaldi, Callas.
Ad assistere allo spettacolo inaugurale sono stati ammessi tre mila spettatori, quanti, cio�, ne pu� contenere il teatro. Gli altri sono rimasti fuori e possono consolarsi ammirando i due gruppi scultorei su due podi laterali della scalinata di ingresso (quello di destra di Bruno Civiletti, quello di sinistra di Mario Rutelli) o estasiandosi davanti alle armoniose basi dei candelabri che sostengono i lampioni per l'illuminazione della piazza e ai due chioschi (Dio li salvi!), il Ribaudo e il Vicari, che sono ancora oggi mirabile esempio di arredo urbano.
Ed � anche, per quanti quella sera si attardano ai piedi della scalinata, motivo di dotte disquisizioni sulla paternit� dell'epigrafe posta nel fregio del portico: " L'arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano � delle scene il diletto, ove non miri a preparare l'avvenire".
Sulla paternit� dell'epigrafe non vi sono conclusioni convincenti e la strana vertenza letteraria rimane ancora aperta. Secondo Rosario La Duca, l'iscrizione potrebbe essere stata dettata o da Vincenzo Gioberti o da Francesco Paolo Perez. Di diverso avviso � Giovanni Pirrone che, in un suo approfondito studio sul teatro "Massimo", scrive: l'epigrafe sembra troppo da presso rispecchiare il pensiero stesso del Basile padre e certo suo scoperto determinismo nel rapporto fra arte, architettura e societ�. Ma poi aggiunge che essa (l'epigrafe) non sarebbe dispiaciuta a quel marchese, Domenico Caracciolo, vicer� di Sicilia, che nella sua illuminata visione pedagogica, un secolo prima, avrebbe voluto a Palermo un teatro nuovo per una nuova citt�.
Per�, quanti padri per una epigrafe! 

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Gli anni passarono e il teatro Massimo non venne mai meno ai suoi appuntamenti stagionali con la sola parentesi degli eventi bellici che non lo sfiorarono. 
Alcuni anni dopo la fine della guerra, l'ex tenente USA, Antony Carcione, addetto ai collegamenti, mi confess� che i piloti e i puntatori dei bombardieri, durante le incursioni su Palermo, avevano avuto l'ordine di tenere fuori mira la sede del Cardinale, il Duomo e il teatro Massimo. Cos� fu! 
Poi la tristezza di quella fredda sera del 29 gennaio 1974, quando le note del "Nabucco" segnarono l'inizio del lungo calvario. Che oggi, dopo la serata inaugurale della nuova era nella storia del Teatro palermitano, nessuno vuol pi� ricordare.

Lillo Marino

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