Un convegno di studio promosso dal Dipartimento giuridico-politico dell'Universit� Statale di Milano evidenzia l'esperienza autonomista sotto la repubblica dei Dogi. |
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... A BERGAMO E DINTORNI FU UNA SPLENDIDA REALTA' |
Federalismo, autonomismo locale, commistione e separazione dei poteri e delle funzioni della magistratura. Sono i temi attualissimi al centro dell'acceso e controverso dibattito politico che da mesi infiamma gli animi dei componenti la Bicamerale, il vasto schieramento parlamentare da cui è composta la "commissione straordinaria" che si è accollata l'arduo compito di varare le nuove, fondamentali riforme istituzionali. Che hanno lo scopo di imprimere all'ordinamento politico e costituzionale della neonata seconda repubblica quella svolta indispensabile alle sorti di uno Stato moderno ineluttabilmente proiettato nell'ambito dell'Unione europea.
Eppure queste esigenze di "cambiamento", a tutt'oggi relegate nel fumoso contesto delle aspirazioni futuribili e del processo alle intenzioni, registrano in un passato lontano di secoli la fattiva attuazione di una singolare e avanzatissima esperienza giuridico-politica vissuta sotto l'illuminato tallone della Serenissima Repubblica di Venezia da parte della provincia bergamasca.
Una dominazione iniziata nel 1428 e protrattasi fino alla notte sul 13 marzo 1797, con l'avvento della Repubblica Democratica di Bergamo, nata dalla propagazione degli influssi e dall'impatto dell'ideologia rivoluzionaria giacobina in Italia con il supporto determinante dell'occupazione napoleonica di Milano. Le caratteristiche storiche di una realtà statuale, quella di Venezia, il problema delle "autonomie locali" e della loro natura entro lo Stato Veneto, con particolare riferimento a quello delle terre bergamasche e infine, sul piano più strettamente riferito alle idee politiche, il problema delle proposte di riforma dello Stato Veneto e delle sue Terre nel XVIII secolo, quando le nuove filosofie di riorganizzazione integrale degli Stati andarono sempre più progredendo e preparando l'affermazione del "giacobinismo" francofilo sono gli argomenti del Convegno di Studio organizzato recentemente a Bergamo dal Dipartimento Giuridico-Politico dell'Università degli Studi di Milano, con il patrocinio e il finanziamento della Provincia di Bergamo e della Regione Veneto.
Il Convegno, intitolato "Bergamo tra tradizione, autonomismo locale e rivoluzione giacobina (1797)", ha affrontato argomenti legati a un pensiero politico che paradossalmente travalica il passato per inserirsi nell'ambito della più stringente attualità e si è avvalso dell'opera di eminenti accademici dell'Università Statale di Milano sulla base di studi che sono stati condotti anche in collaborazione con accademici facenti parte dell'Istituto di Storia moderna e contemporanea dell'Università Cattolica di Milano.
La relazione introduttiva al Convegno, che rientra nell'ambito delle ricerche che hanno preso impulso dalla ricorrenza del secondo centenario della fine della Serenissima Repubblica di Venezia, è stata condotta da Ettore A. Albertoni, professore Ordinario di Storia delle dottrine politiche e direttore del Dipartimento giuridico-politico dell'Università degli Studi di Milano. Ecco i passi più salienti del suo intervento: "Desidero, come si suol dire, mettere le mani avanti per evitare che qualcuno possa pensare che si sia già oggi in condizione di offrire un quadro completo ed esauriente su una rivisitazione come quella che, invece, viene solo avviata e che concerne il rapporto tra le istituzioni proprie del Dogado e del Comune di Venezia con quelle dei due Stati con i quali esse erano diventate intrinseche e strettissimamente connesse: lo Stato "da mar" e quello "da terra".
Bergamo era componente rilevante di quello Stato "da terra" che si stabilizzò in termini istituzionali e definitivi e che fu legittimato anche internazionalmente con il Congresso di Bologna (1529-1530) il quale, dopo la grave sconfitta di Agnadello (1509) che vide tutte le potenze europee e il Papa coalizzati contro Venezia, assicurò per quasi tre secoli un fermo e pacifico governo del nucleo delle terre che da allora fecero parte dell'organizzazione politico-costituzionale veneziana. Tra esse c'era la Terraferma Veneta, parte del Friuli con Udine, Crema, Brescia e appunto Bergamo. Questo processo aggregativo che nel Cinquecento assunse forme assai organiche ovunque e, quindi, anche nelle terre orobiche, è stato definito da uno dei più attenti studiosi contemporanei di storia veneta, Giovanni Scarabello, un vero e proprio 'assemblage'; assemblaggio di molteplici ed eterogenee forme di potere municipale, comunitario, valligiano entro lo Stato veneto.
Un assemblaggio che, contro tutte le pretese razionalizzatrici di coloro che si dilettano di professare l'ingegneria costituzionale o gli astratti furori ideologici, ha dimostrato storicamente sia la sua capacità di essere effettivo ed apprezzato governo, sia di sapersi conservare non solo nell'immaginario popolare (che di per sè è già un fatto assai importante e positivo), ma anche in quello degli studiosi e dei ricercatori. Ne è conseguito che lo Stato "da terra" assunse la sua forma iniziale con la prima metà del Quattrocento attraverso i 'patti di dedizione' che videro Territori e Città, come quelli bergamaschi, contrattare in modo effettivo la loro aggregazione in una Signoria come quella veneziana la quale non era affatto dispotica e assolutistica come allora era, invece, del tutto normale.
Non va mai dimenticato che è proprio in quest'epoca che si forma lo Stato moderno nella sua espressione assolutistica che prevedeva un dominio senza condizioni del potere sovrano sui sudditi. Invece tra il potere veneziano e le Comunità del retroterra friulano, veneto e lombardo si stabilì in forma negoziata quella che legittimamente si può definire secondo la terminologia giuridico-istituzionalistica un vero e proprio tipo di unione federativa. Quest'ultima si presentava come nettamente pattizia, frutto di una ricerca di alleanza permanente con la Repubblica di San Marco, e collegava Venezia con le diverse organizzazioni politiche locali. Queste conservarono, però, i loro ordinamenti, le loro amministrazioni, i loro tributi, oltre ovviamente alle loro culture e tradizioni.
Ritengo che siano sufficienti questi pochi accenni perchè tutti si rendano conto che il bilancio culturale e scientifico che oggi presentiamo ha un carattere di tipo pregiudiziale per approfondimenti e sviluppi dei quali sempre più sentiamo la necessità. E' un'esigenza che è viva sempre più nella nostra contemporaneità e lo sarà sempre più nel presente e nel futuro. Infatti è ormai venuto il tempo di riflettere con spirito critico sul fatto che oggi un ciclo tanto vasto e impegnativo della storia appare definitivamente concluso. Mi riferisco in modo specifico a quello aperto dalla pratica cinquecentesca del centralismo uniformatore e omologante degli Stati moderni, della moderna statualità, per usare un termine che mi è caro e che non è solo istituzionale ma che coinvolge anche il pensiero politico e gli atteggiamenti psicologici e comportamentali.
Non possiamo avere la pretesa di esaurire oggi con questo nostro incontro argomenti che investono tanto la meditazione storica sui fatti e gli eventi, quanto l'approfondimento sulle dottrine politiche e su quelle istituzionali; la scienza del buongoverno e quella del corretto speculare sulle forme di Stato e sui loro risultati. Possiamo invece iniziare a puntualizzare idee e metodologie per problemi scientifici e di indirizzo storiografico sul piano della cultura politica e istituzionale i quali evidenziano sempre più il gravissimo errore ideologico e di metodo che è stato commesso (e che si continua a commettere) quando, accettando la retorica del nazionalismo francese e della nuova concezione dello Stato razionalizzato e modernizzato creato dalla cultura giacobino-napoleonica, si sono archiviati centinaia di anni di storia politica e istituzionale.Mi sembra che in una mutata cultura come quella che sta sempre più emergendo ovunque, il valore di un'esperienza come quella di Venezia e dei suoi ordinamenti assuma oggi assai più di ieri un interesse rilevante e attualissimo. E ciò sia che si consideri la struttura politico-costituzionale veneziana dal suo centro che dalle sue realtà collegate come faremo oggi. Nessuno ritengo possa sottrarsi all'ovvia considerazione che Venezia fu il più duraturo e antico Stato d'Europa e che le sue istituzioni, dal primo Doge, Paoluccio Anafesto ( 697-717), ancora circonfuso dai vapori della leggenda o, se si vuole, da un'incerta storia, sino all'ultimo Doge, Lodovico Manin (1789-1797), abbiano rappresentato una continuità che è impressionante in massimo grado.
La storia veneziana, sia per quanto riguarda il 'mar' che arrivava ad Antiochia e a Costantinopoli, sia la 'terra' che dal Friuli scendeva fino all'Adda va, prima di tutto, collocata entro uno scenario che ha come suo centro la complessissima rete di ordinamenti e di governi dotati di autentiche autonomie.Il connotato politico dominante di Venezia, quel tratto che faceva di essa la Dominante (scritto proprio così, con la D maiuscola) è nella solidità di ordinamenti pensati empiricamente da una classe patrizia che era fatta di armatori, navigatori, mercanti, banchieri i quali avevano cultura, prudenza e il coraggio di battersi con le armi per la difesa dei loro interessi che coincidevano con quelli della Serenissima.
Accanto a questo dato sociale e politico c'era poi la flessibilità istituzionale che, attraverso la pratica di una grande capacità di negoziare sostanzialmente alla pari con chi a Venezia voleva aggregarsi, diede vita a quella 'Republica de' Vinitiani' (1540) che ebbe nel repubblicano Donato Giannotti (1492-1573), erede di Machiavelli e continuatore della tradizione della 'florentina libertas' di Coluccio Salutati (1331-1406) e di Leonardo Bruni (1370 / 74-1444) uno dei suoi maggiori esaltatori".La relazione introduttiva del professor Albertoni ha aperto il campo alla ricostruzione dell'espansione veneziana nelle terre di terraferma sino all'Adda (relazione del professor Mozzarelli), alla conservata specificità dell'identità bergamasca entro la statualità veneziana (relazione del dottor Cappelluzzo, presidente della Provincia di Bergamo), nonchè alle caratteristiche del giacobinismo bergamasco ed alla breve esperienza della repubblica Orobica prima del suo assorbimento entro la compagine della Cisalpina (relazione del professor Ghiringhelli). Interessanti anche le comunicazioni dei professori La Rosa, Aguzzi e Galli, che hanno fornito una documentazione ed una riflessione filologica ed originale proprio sul clima culturale e psicologico che segno l'avvio della nuova esperienza politico-statuale dominata dalla personalità di Napoleone I.
Ma com'era articolato il "negoziato" politico-costituzionale che conferiva a Bergamo e ai territori circostanti quell'avveniristica autonomia locale nei confronti del potere centrale dominante della Serenissima?
La dominazione veneziana di Bergamo era iniziata sotto il Dogato di Francesco Foscari che, il 20 gennaio 1428, nominava Marco Giustiniani primo podestà e capitano di Bergamo. Con lettera ducale del 9 luglio 1428 venivano concessi alla città i primi privilegi. Si univano cioè a Bergamo, nella giurisdizione civile e "criminale", tutti i territori storicamente legati alla città, quali tutte le Valli, Martinengo, Romano, Cologno, Lovere e Almenno. Era inoltre stabilito che il podestà di Bergamo, la sua Corte e tutti gli altri "giusdicenti" di Bergamo e territori annessi erano competenti a giudicare i loro amministrati sia nel civile, sia nel penale e che i sudditi stessi non potevano essere convenuti dinanzi a nessun giudice se non residente a Bergamo o nei territori. Veniva inoltre confermata la vigenza degli Statuti di Bergamo già in vigore prima della conquista veneziana.L'amministrazione dello Stato della Repubblica Serenissima in terraferma si basava su magistrati, i rettori, patrizi veneziani eletti dal Maggior Consiglio i quali, nella città e territori conquistati erano le massime autorità e rappresentavano, e di ciò erano ben coscienti e orgogliosi, una delle prime nazioni d'Europa.
Nelle città più importanti, fra cui Bergamo, Venezia era rappresentata da due Rettori, un podestà o pretore, che recava con sè una sua "curia" o "corte" di magistrati, e da un capitano o prefetto con propri "stipendiarii". Era poi presente anche un camerlengo, sempre scelto fra la nobiltà veneziana, responsabile della locale camera fiscale, vale a dire la tesoreria statale, nella quale convogliavano le imposte. Le funzioni dei due rettori non erano rigidamente differenziate, per la nota questione della commistione dei poteri tipica della magistratura dell'età moderna. La situazione vigente a Venezia era ovviamente riprodotta in sede di governo dei distretti e delle città suddite. Era inoltre previsto che, in caso di assenza o di impedimento di uno dei due rettori, l'altro ne assumesse competenze e poteri.Come a Venezia ogni organo costituzionale era controllato ed era a sua volta controllore degli altri organi, così anche in periferia la capitale aveva creato un sistema analogo di reciproca vigilanza tra i due magistrati pur nella complementarietà della loro azione amministrativa e giudiziaria. I rettori duravano in carica, in condizioni di normalità, sedici mesi. Pur tenendo in considerazione il problema della commistione delle funzioni, è tuttavia corretto arguire che, ordinariamente, le attribuzioni del podestà fossero di natura civile e giudiziaria, mentre quelle del capitano di natura militare e finanziaria. Tale ordinamento rimase pressochè immutato in Bergamo dal 1428 fino all'ammainabandiera dello stendardo di San Marco nella fatidica notte sul 13 marzo del 1797.
Era nata la Repubblica di Bergamo, un'esperienza di governo autonomo fuggevole, durata meno di cinque mesi, dal 13 marzo al 5 agosto 1797, costellata dai contraddittori fermenti rivoluzionari di matrice giacobina. Una rivoluzione a due facce cui aderirono i veri "repubblicani", quelli che anelavano alla costituzione di una patria reale affrancata da ogni dominazione esterna al territorio natìo, e i falsi patrioti che si schierarono sul fronte degli accomodamenti e dei compromessi per ingraziarsi il nuovo regime, l'occupante francese. Dopo l'effimera parentesi libertaria Bergamo fu assorbita dalla Repubblica Cisalpina asservita al potere napoleonico. I tempi illuminati dell'autonomia giuridico-politica erano tramontati per sempre.
di GIAN PIERO PIAZZA
Ringraziamo per l'articolo
(concesso gratuitamente)
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