lettere di...  

Napoleone, il Re e....
 Mazzini
(qui ...poco repubblicano)


20 ottobre 1859

Lettera di Napoleone III  a Re Vittorio Emanuele II

"Signore, mio fratello.

"Io scrivo oggi a V. M. per esporle la situazione presente degli affari, per rammentarle il passato e per mettermi d’accordo con lei, sulla condotta che dev’essere tenuta per l’avvenire. Le circostanze sono gravi; � necessario lasciar da parte le illusioni e gli sterili rimpianti, ed esaminare accuratamente la reale situazione degli affari. Cos�, non si tratta oggi di sapere se io abbia bene o male operato nel conchiudere la pace a Villafranca; ma piuttosto di ottenere dal trattato i risultati pi� favorevoli per la pacificazione dell’Italia e per riposo dell’Europa.

"Prima di entrare nella discussione di questa questione io desidero vivamente rammentare ancora una volta a V. M. gli ostacoli che resero tanto difficile qualunque negoziazione e qualunque trattato definitivo.

"In punto di fatto, la guerra presenta spesso minori complicazioni della pace. Nella prima due soli interessi stanno a fronte l’uno all’altro: l’attacco e la difesa; in questa al contrario si tratta di conciliare una moltitudine d’interessi, sovente di opposto carattere: e questo precisamente avvenne al momento della pace. Era necessario conchiudere un trattato che assicurasse nella migliore possibile maniera l’indipendenza dell’Italia, che soddisfacesse il Piemonte, ed i voti della popolazione, che pertanto non ledesse il sentimento cattolico, e i diritti dei Sovrani, pei quali l’Europa provava un interesse.

"Io quindi credetti, che, se l’Imperatore di Austria desiderava venire a un leale accordo con me, allo scopo di ottenere questo importante risultato, le cagioni di antagonismo che per secoli aveano diviso i due imperi, sarebbero scomparse, e la rigenerazione d’Italia si sarebbe effettuata di comune accordo, e senza nuovo spargimento di sangue.

"Indicher� ora quali, a mio credere, sono le condizioni essenziali di questa rigenerazione.

"L’Italia deve essere formata di pi� Stati indipendenti, uniti da un vincolo federale.

"Ciascuno di questi Stati deve adottare un particolare sistema rappresentativo e salutari riforme.

"La Confederazione allora ratificher� il principio della Nazionalit� italiana; avr� una sola bandiera, un solo sistema di dogane, e una sola moneta.

"Il centro direttivo sar� Roma, e si comporr� di rappresentanti nominati dai Sovrani sopra una lista preparata dalle Camere, affinch� in questa specie di Dieta, l’influenza delle famiglie regnanti sospette di una inclinazione verso l’Austria, venga controbilanciata dall’elemento risultante dalla elezione.

"Coll’accordare al S. Padre la presidenza onoraria della Confederazione il sentimento religioso dell’Europa cattolica sara soddisfatto; la influenza morale del Papa sarebbe accresciuta in tutta l’Italia, e gli sarebbe permesso di dar concessioni conformi ai voti legittimi delle popolazioni. Ora il disegno che io ho formato al momento di conchiudere la pace, pu� ancora essere eseguito, ove V. M. voglia impiegare la sua influenza a promuoverlo. Inoltre si � gi� fatto un passo considerevole in questa direzione.

"La cessione della Lombardia con un debito limitato � un fatto compiuto.

"L’Austria ha rinunciato al suo diritto di tener guarnigione nelle fortezze di Piacenza, Ferrara e Comacchio.

"I diritti dei Sovrani furono, � vero, riservati, ma fu pure guarentita la indipendenza dell’Italia centrale, essendo stata formalmente rigettata ogni idea d’intervento straniero, ed infine Venezia dovr� diventare una provincia puramente italiana. � cosa di reale interesse per V. M., come pure di quello della Penisola, il secondarmi nello svolgimento di questo disegno allo scopo di ottenerne i migliori risultati; perch� V. M. non pu� dimenticare, che io sono legato dal Trattato: e nel Congresso che sta per aprirsi io non posso ritirarmi dai miei impegni. La parte della Francia � tracciata gi� da prima.

"Noi domandiamo che Parma e Piacenza siano unite al Piemonte, perch� quel territorio gli � indispensabile dal punto di vista strategico.

"Noi domandiamo che la Duchessa di Parma sia chiamata a Modena.

"Che la Toscana, aumentata forse da una porzione di territorio, venga restituita al granduca Ferdinando.

"Che un sistema di saggia libert� venga adottato in tutti gli Stati d’Italia.

"Che l’Austria si sciolga francamente da cagioni incessanti di imbarazzi per l’avvenire, e consenta a completare la nazionalit� della Venezia, creando non solamente una rappresentanza e una amministrazione separata, ma anche un’armata italiana.

"Noi domandiamo che Mantova e Peschiera debbano essere riconosciute come fortezze federali.

"E finalmente che una Confederazione, basata sui reali bisogni, come sulle tradizioni della Penisola, ad esclusione di qualunque influenza straniera, abbia a consolidare l’edificio della indipendenza d’Italia.

"Io nulla tralascer�, onde ottenere questo grande risultato. Si convinca V. M. che i miei sentimenti non cangeranno, e che in quanto non vi si oppongano gli interessi della Francia, io mi chiamenr� sempre felice di servire la causa, per la quale abbiamo combattuto insieme.

"Palazzo di S. Cloud, 20 ottobre 1859.

"Napoleone".


 Risposta di Re Vittorio Emanuele II  a Napoleone
"Torino 28 ottobre 1859.

"Sire,

"La lettera di V. M. mi prova una volta di pi� la costante sollecitudine che prendete al bene del popolo italiano. Io vi sono sensibile ed a nome di questo ve ne ringrazio.

"V. M. fa un appello alla mia cooperazione onde far prevalere i suoi piani nella rigenerazione d’Italia. Io ho il dolore di esporre alla V. M. le ragioni per le quali la mia cooperazione sarebbe incompatibile col mio onore, col mio diritto, con la giustizia e col mio dovere.

"Io non mi feci giamma illusione sulla situazione degli affari d’Italia, perch� io sono soldato e non poeta, non ho quindi da lasciare da banda n� sterili illusioni, n� sterili rincrescimenti. Ed � perci� che prego la M. V. a considerare nei disegni della nuova organizzazione d’Italia, non l’opera speciosa di un giorno, ma la sua durata e la sua sicurezza.

"Lungi da me l’idea di ritornare sulla questione, se V. M. fece bene o male prendendo d’assalto la pace di Villafranca. Male udita allora, sarebbe inutile e indegno di me, turbare adesso la calma d’animo di V. M. con considerazioni intempestive. So pur troppo le difficolt� che si sono dovute sormontare per dare una apparenza di provvisoria conciliazione ad interessi inconciliabili. Per� come dopo la pace di Villafranca sono sopravvenuti avvenimenti, allora non solo non preveduti, ma neppure sospettati, egli mi sembra che questi nuovi elementi debbano entrare nelle considerazioni che guidano la politica attuale di V. M.

"A Villafranca la M. V. e S. M. Apostolica non previdero due cose. Primo, che i popoli dell’Italia centrale avrebbero potuto opporre una resistenza determinata al ritorno dei loro Sovrani; secondo, che questi popoli per mezzo di assemblee elette a suffragio pi� o meno esteso avrebbero decretato l’annessione di quelle contrade al paese, che Iddio ci ha dato a governare. Ora la M. V. sa bene che questi non sono gi� atti rivoluzionar�, di cui non debbasi tener conto. — Un’assemblea dette la Corona di Carlo X alla casa d’Orleans, e l’Europa tutta riconobbe Luigi Filippo. Un’assemblea decret� la reggenza della regina Isabella in Ispagna e riconobbe D. Maria di Gloria in Portogallo, e l’Europa tenne questi voti come validi. Un’assemblea decret� la decadenza della Casa d’Olanda dal trono del Belgio, e l’Europa ne sanzion� l’atto. Un’assemblea, non ha guari cancellava perfino un atto di un congresso europeo nei Principati Danubiani, e l’Europa ne ha annuito. Un voto popolare infine portava gloriosamente al Trono la M. V. — Perch� dunque al popolo italiano solamente si contesterebbe il diritto di dichiarare decaduta una dinastia, proclamarne un’altra, cangiare i gruppi territoriali composti da un trattato che la M. V. lacerava definitivamente a Magenta ed a Solferino? Se la condotta degli Italiani � ribelle, ed il loro voto nullo, si ricominci dal ricomporre l’Europa del 1815; io rinunzio alla annessione ed anche alla Lombardia, e che la M. V. ceda il trono al Duca di Bordeaux.

"Sire,

"Non abbiamo due pesi e due misure; il diritto � uno ed eterno, e risiede non nelle dinastie che si estinguono, che cangiano e degenerano, ma nel popolo che permane.

"Quanto alle condizioni essenziali che la M. V. mette alla rigenerazione d’Italia, voglia, la prego, prendere in considerazione gli ostacoli enormi che vi si oppongono. — Una federazione durevole non � possibile che fra Stati omogenei, senza di che la federazione � inefficace come in Germania, produce dei sunderbund come in Svizzera, o minaccia ad ogni momento risolversi come negli Stati Uniti. Non � n� l’unit� economica, n� l’unit� amministrativa, n� l’unit� della bandiera che costituisce l’unit� politica di un popolo, � l’unit� di essenza del Governo. Ora l’essenza del Governo austriaco, del Governo pontificio, del Governo di Napoli e del mio Governo � incommensurabilmente diversa: l’essenza del popolo italiano � antagonista a quella dei detti Governi. Quindi mala intelligenza tra i popoli ed i Governi, non accordo tra un Governo e l’altro. — Su che base poserebbe la Confederazione? Il popolo italiano ha due istinti indomabili, la indipendenza e l’unit�. Pu� il Governo austriaco, o il Governo pontificio far ragione a questa impulsione permanente della opinione pubblica, che si traduce in tutte le manifestazioni della vita nazionale?

"La Dieta di Roma inoltre o � puramente consultiva o � sovrana. Se � consultiva solamente, la � inutile come la Consulta di S. M. Siciliana ed il Consiglio di finanza di Sua Santit�. Se � sovrana, vale a dire che rappresenta la nazione fuori, e dispone delle forze di terra e di mare dentro, la Confederazione � inutile, i singoli Governi saranno aboliti col primo decreto di questo areopago, e l’Italia � fatta, o la guerra civile � in piedi.

"La S. M. propone un sistema rappresentativo speciale per ciascuno Stato e una saggia libert�. Ci� sarebbe un altro elemento di discordia tra i popoli ed il Governo, e di anarchia nella Dieta generale, e per me un imbarazzo. Il mio popolo non pu� rinculare, rinunziando alla larghezza della libert� goduta finora. Napolitani, Toscani, Romagnoli, Modenesi, Veneziani non si credono da meno dei Piemontesi e dei Lombardi. Una libert� per tutti dunque, o nessuna per nessuno.

"Possono il S. Padre, e gli altri Principi accordare ai loro popoli la libert� della stampa, del culto e della parola che io lascio ai miei popoli?

"La M. V. opina che la presidenza della Dieta aumenterebbe la influenza morale del Papa. Ma chi mai e quando mai si attent� in Italia a questa influenza?

"Che il Pontefice Romano non ne domandi altra, e sovrano al mondo non sar� stato pi� potente e pi� venerato di lui. Ma in questa presidenza risiede precisamente il pericolo d’Italia. Il Papato � elettivo, che il Cardinale Antonelli, per esempio, succeda un d� a Pio IX, tra la Dieta italiana e il suo presidente la guerra � in piedi, o un colpo di Stato inevitabile.

"La presidenza della confederazione poi compensa le riforme che si domandano al Governo ecclesiastico? Imperocch� queste riforme versano sulla natura stessa del Governo, se il Papato deve esser discusso in una camera di deputati, il Papato � finito. Val meglio ucciderlo con un decreto, che comprometterlo e disonorarlo con rilevarne le magagne.

"Io non espongo a V. M. che una sola considerazione, quanto alla partecipazione dell’Austria alla Confederazione italiana, una ipotesi. Che domani l’Austria si trovi in guerra con la Francia, che far� l’Italia? Se io avessi la maggioranza nella Dieta, non potrebbe l’Italia che restare neutrale, ma siccome la maggioranza con Napoli, Roma, Firenze, Modena e Parma sarebbe all’Austria; l’Italia dovrebbe muover guerra alla Francia. Ora questa nobile e generosa nazione avrebbe speso tanti milioni e tanto sangue per mettersi una spada nei fianchi, e nell’ora del pericolo avere un popolo, come Giobbe aveva degli amici?

"L’Austria ha abbandonato il diritto di avere guarnigione a Piacenza, a Ferrara, a Comacchio, perch� queste guarnigioni non vi sono pi�; e perch� per rimetterle � mestieri ormai riposare sull’esercito della M. V. e sul mio e su quello dell’Italia centrale, vale a dire ricominciare la guerra. La M. V. sa del resto che lasciarmi Piacenza e Parma, come indispensabili al punto di vista strategico per il Piemonte, non copre in nulla le mie frontiere; il Piemonte non ha che un nemico: l’Austria, e l’Austria pu� senza intoppi passare il Mincio dovunque, ed il Po a Borgoforte. L’Austria in fine ci ha venduta la Lombardia, conquistata con tanto sangue, e ha guardato le porte e le chiavi. Ma la M. V. ha voluto cos�.

"V. M. crede che la Venezia pu� restare una provincia puramente italiana col Governo austriaco. La Ungheria ha potuto restare Ungheria malgrado la sua Dieta e l’Imperatore d’Austria suo Re speciale? Gli Stati buon grado o malgrado debbono seguire la nazionalit� dei Governi, senza di che vi � anarchia. Venezia, finch� piaccia a Dio, sar� la Gerusalemme dell’Europa attuale, terra di pianto che appella redentori. Un’Assemblea italiana, un esercito italiano negli Stati austriaci di Italia, con Verona dove batte il cuore dell’Austria, � una mistificazione, � un pericolo per tutti. La guarnigione austriaca a Verona ed a Legnago rende frustranea la guarnigione federale di Mantova e di Peschiera, senza contare che le guarnigioni miste difendendo sempre male le piazze, ingenerano talora dissid�, sempre rencori e gelosie tra i corpi speciali.

"V. M. in fine domanda la restaurazione del Granduca con aumento di territorio, ed un cangiamento di domicilio per la Duchessa di Parma, protestando nel tempo stesso volere rispettata l’indipendenza dell’Italia centrale, e messa formalmente da banda la intervenzione straniera. In che modo allora la restaurazione avr� luogo? Una restaurazione spontanea e pacifica � ormai impossibile. Provocare per occulti maneggi un’insurrezione dei partigiani dei Principi espulsi, � mezzo incerto di successo, immorale, sanguinoso, terribile, � la guerra civile. Stancare i popoli coll’anarchia � pericoloso. Da prima perch� anarchia non vi sar�, di poi perch�, Sire, questi popoli spinti agli estremi potranno ricordarsi le storiche loro tradizioni e considerare che oltre del Governo monarchico assoluto che hanno respinto, del Governo costituzionale che loro si rifiuta, havvi il Governo repubblicano dei loro padri. Ed allora?

"Le restaurazioni, Sire, sono sempre funeste. Un Principe che torna, � condannato ad essere o nullo, o tiranno, senza autorit� se si appoggia su i suoi nemici; vendicativo, reazionario se si appoggia su i suoi amici; se il Granduca, la Duchessa si appoggeranno sul partito che ora regna nell’Italia centrale, questo li condurr� alla indipendenza ed alla unione per mezzo della libert�, vale a dire alla negazione dinastica; se questi Principi cercheranno la mano dell’Austria di nuovo, essi prepareranno un altro asilo per loro, e la guerra contro l’Austria di nuovo. In ambo i casi nuove proscrizioni, nuovi torbidi, nuove vendette, nuovi rancori, e non pi� pace nella Penisola.

"Per queste considerazioni, Sire, e per altre moltissime io non posso secondare la politica di V. M. in Italia. Se V. M. � legata dai Trattati e non pu� nel Congresso ritirare i suoi impegni; io sono, o Sire, legato altres� ad una politica tutta opposta, legato dall’onore in faccia all’Europa, dal diritto, dal dovere della giustizia, dall’interesse in faccia alla mia casa, al mio popolo ed all’Italia. 

La mia sorte � congiunta a quella del popolo italiano; possiamo soccombere, tradire non mai. I Solferino e San Martino, riscattano tal volta le Novara e Waterloo, ma le apostasie dei Principi sono irreparabili. Io potr� dunque restar solo nella grande lotta in cui la M. V. aveva cominciato per darmi la mano: ma rester�. Perocch� se la M. V., forte dell’ammirazione del suo popolo, non ha nulla a fare per la riconoscenza della simpatia dell’alleanza del popolo italiano, io sono commosso nel profondo dell’anima mia dalla fede, dall’amore che questo nobile e sventurato popolo ha in me riposto; e piuttosto che venirgli meno, spezzo la mia spada e getto la mia corona come il mio augusto genitore".
(Calza proprio bene con la "fuga" dell'8 settembre 1943, di suo nipote Vittorio Emanuele III.  Ndr)

 Alcun interesse personale non mi guida alla difesa dell’annessione. La mia casa non si � fatta pei voti di assemblee; la spada e il tempo ci han portati dal vertice delle Alpi alle sponde del Mincio, e questi due Angeli Custodi della Casa sabauda la condurranno pi� in l�, quando a Dio piaccia.

"Qualunque sia la vostra politica dell’avvenire, o Sire, che la M. V. e la grande nazione cui la M. V. conduce siano sicuri, che giammai mi troveranno nelle file dei vostri nemici". (*)

"Torino 28 ottobre 1859.

"Vittorio Emanuele II"

 

(*) Nel 1871 sappiamo come andò a finire! (Ndr)


Lettera di Giuseppe Mazzini a Vittorio Emmanuele II

Il Diritto, nel suo numero del 3 ottobre 1859, pubblicava i brani principali della lettera di Mazzini al Re galantuomo in data del 20 settembre, da Firenze. Il Diritto sosteneva che questa lettera "� il documento pi� esplicito e pi� avvicinatore che sia uscito mai dal partito repubblicano", e che "il Monarca d’Italia ne pu� andar superbo" :
(sembra una vero e proprio panegirico di Mazzini al Re - Quel "Voi cingerete la corona d'Italia" c'� tutta l'incoerenza)

"Sire

"Repubblicano di fede, ogni errore di Re dovrebbe, s’io non guardassi che al mio partito, sorridermi come elemento di condanna alla monarchia. Ma, perch� io amo pi� del mio partito la patria, e voi poteste, volendo, efficacemente aiutarla a sorgere e vincere, io vi scrivo da terra italiana...

"...Sire, voi siete forte: forte, sol che voi vogliate, di quella vita; forte di tutta la potenza invincibile che � un popolo di ventisei milioni concorde in un solo volere; forte pi� di qualunque altro principe che or vive in Europa, dacch� nessuno ha in oggi tanto affetto dalla propria nazione, quanto voi potreste suscitarne con una sola parola: Unit�... L’Italia cerca Unit�. Essa vuole costituirsi nazione una e libera. Dio decretava questa unit� quando ci chiudeva tra le Alpi eterne e l’eterno mare. La storia scriveva unit� sulle mura di Roma; e il concetto unitario ne usciva cos� potente che, varcando i limiti della patria, unificava due volte l’Europa... Nel nome dell’unit� muoiono da mezzo secolo, col sorriso sul volto, sui patiboli, o con le armi in pugno da Messina a Venezia, da Mantova a Sapri, i nostri migliori. Nel nome dell’unit� noi iniziammo e mantenemmo, privi di mezzi ed influenza, e perseguitati, e cento volte sconfitti, tale una crescente agitazione in Italia, da fare della questione italiana una questione europea, e somministrare a voi, Sire, ed ai vostri, il terreno che oggi vi frutta lodi e potenza.

"L’unit� � voto e palpito di tutta Italia. Una patria, una bandiera nazionale, un sol patto, un seggio tra le nazioni d’Europa, Roma a metropoli: � questo il simbolo d’ogni italiano.

"...Fummo sistematicamente calunniati presso le moltitudini noi che insegnammo ad esse — in nome dell’unit� (unit� inevitabile, regia, se il Re la facesse) — la virt� della lotta, del sacrificio e del saper morire... ecc.

"Sire, volete averla? averla splendida davvero di entusiasmo, di fede e di azione? Averla con forze tali da far s� che ogni diplomazia s’arresti impaurita, ogni disegno d’avversi si disperda davanti ad essa? Osate!

"La prudenza � la virt� dei tempi e delle condizioni normali. L’audacia � il genio dei forti in circostanze difficili. I popoli la seguono, perch� vi scorgono indizio di chi non la tradiva nel pericolo. La fede genera fede. Maturi i tempi per un’impresa, nella potenza dell’iniziativa sta il segreto della vittoria...

"...Sire! l’Italia vi sa prode in campo, e presto, per l’onore, a far getto della vostra vita. Sire! il giorno, in cui sarete presto, per l’unit� nazionale a far getto della vostra corona, voi cingerete la corona d’Italia.

"...L’Italia vi sa prode in campo. Ma, comunque virt� s� fatta rara sia in un Re, l’ultimo tra i vostri volontar� pu� farne mostra.

"...L’Italia ha bisogno or di sapervi prode nel consiglio, potente di quella volont� che fa via di ogni ostacolo, forte di quel coraggio morale, che, intraveduto un dovere, un’altra impresa da compiere, ne fa una stella e la segue, intrepido, irremovibile sulla via, senza arrestarsi davanti a lusinga o minaccia. Voi potete, io lo credo, mostrarvi tale, e per questo vi scrivo... Sire... Io credo che viva in voi una scintilla d’amore e d’orgoglio italiano. Ma se � vero, — se ci� che io sentii, leggendo alcune vostre recenti, semplici, spontanee parole di risposta a non so quale adulatrice deputazione, non � illusione di chi desidera, — non avete energia che basti per vivere di vita vostra?

"...I padri nostri assumevano la dittatura per salvare la patria dalla minaccia dello straniero. Abbiatela, purch� siate liberatore.

"Sire..., io vi chiamo in nome d’Italia a una grande impresa, a una di quelle imprese, nelle quali il forte numera gli amici, non i nemici... La diplomazia � come i fantasmi di mezzanotte, minacciosa, gigante agli occhi di chi paventa, si dissolve in nebbia sottile davanti a chi le move risolutamente all’incontro. Osate, Sire...

"Dimenticate per poco il Re per non essere che il primo cittadino, il primo apostolo armato della nazione. Siate grande come l’intento, che Dio vi ha posto davanti, sublime come il dovere, audace come la fede. Vogliate e ditelo. Avrete tutti, e noi per primi con voi. Movete innanzi, senza guardare a dritta o a manca, in nome dell’eterna giustizia, in nome dell’eterno diritto, alla santa crociata d’Italia. E vincerete con essa.

"E allora, Sire, quando di mezzo al plauso d’Europa, all’ebbrezza riconoscente dei vostri, e lieto della lietezza dei milioni, e beato della coscienza d’aver comp�to un’opera degna di Dio chiederete alla nazione quale posto ella assegni a chi pose vita e trono, perch� essa fosse libera ed una, sia che vogliate trapassare ad eterna fama tra i posteri col nome di preside a vita della repubblica italiana, sia che il pensiero regio dinastico trovi pur luogo nell’anima vostra, Dio e la nazione vi benedicano. Io, repubblicano, e presto a tornare a morire in esilio per serbare intatta fino al sepolcro la fede della mia giovinezza, esclamer� nondimeno coi miei fratelli di patria: Preside o Re, Dio benedica a voi come alla nazione per la quale osaste e vinceste".

Giuseppe Mazzini

  Giornale Il Diritto,  3 ottobre 1859


(*) vedi PROCLAMA STUDENTI DI PAVIA -  ...AGLI ITALIANI

(*) vedi ENCICLICA DI PIO IX DEL 19.01.1860


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