SCHEDE BIOGRAFICHE
PERSONAGGI
ALESSANDRO MANZONI

ANTAGONISTI E VITTIME
IDEALITA' DI LUCIA

Protagonisti del mondo ideale sono padre Cristoforo, che è il suo cavaliere errante, il suo tipo; don Rodrigo, che è il suo lato negativo; e don Abbondio, che è il suo lato comico. Lo studio dell'autore non è di accentuare quei tipi, anzi è di raddolcirli e individuarli, introducendovi un complesso di circostanze e di condizioni particolari e locali.
Padre Cristoforo è una buona natura guasta dall'educazione, fino a che, percossa la mente da un fatto di sangue, si spoglia la ruggine e ricompare di sotto il buon metallo. La sua vita è una lunga espiazione, una reazione contro l'uomo antico. Le stesse sue cattive abitudini si trasformano. Quel suo umore battagliero e avventuroso diviene energia e iniziativa nel bene. Quel suo falso orgoglio, quel fare stare e prepotente, prendono forma di ardente carità, di olocausto della sua persona al bene del prossimo. Sotto altro nome è sempre lo stesso Ludovico, mutato scopo e indirizzo e teatro. Ma le macerazioni, le penitenze, le volontarie umiliazioni non valgono a spegnere in tutto l'antico Adamo, che pur talora risorge e si ribella, ciò che rende più drammatica la vittoria del convertito. Il suo ideale è l'umiltà evangelica, il perdono delle offese, che brilla ancora più in animo naturalmente violento. L'opposizione non è così importante che costituisca un serio interesse drammatico, ma basta a gettare una varietà di accento e di colore in un ideale troppo assoluto di santo.

Don Rodrigo è lo stesso ideale preso a rovescio: natura violenta e inculta, guasta ancora più dalla falsa educazione e dalle male abitudini della sua posizione sociale. Non è già un tipo di malvagio, un vero contro-ideale. Questo è certo il posto assegnatogli nel romanzo, questo il suo significato: ma solo come genere. La sua individualità è prodotta da un complesso di motivi storici. Egli è il nobilotto degenere di villaggio, l'antico feudatario che reputa tutto intorno, uomini e cose, come roba sua, e cerca far valere il suo diritto con la forza, circondato di bravi. Il mondo non è più lo stesso; c'è lo Stato e la legge; c'è un'ombra di borghesia incontro a lui, il podestà, il console, il notaio, l'avvocato; questo lo rende anche più cattivo, costringendolo a congiungere con la violenza l'intrigo e la corruzione. La sua vita non ha scopo; l'ozio rode in lui tutto ciò che di elevato vi aveva posto natura e lo volge al male. Pesa su di lui l'atmosfera della sua classe. Ciò che lo spinge e lo frena è questa interrogazione: Cosa diranno di me i miei pari? Onde nasce il puntiglio, il falso punto d'onore, che lo rende ostinato in un primo passo, e cangia la velleità in volontà, e lo tira di grado in grado sino al delitto. Le beffe del cugino e i ritratti dei suoi antenati operano più in lui che la stessa sua libidine. Una scommessa è il piccolo principio, da cui nascono avvenimenti molto seri, dov'egli si trova imbarcato e inchiodato al di là di ogni sua intenzione. Casi simili hanno per lo più a movente la libidine o la passione; il motivo è qui un puntiglio, un voler spuntare l' i n g e g n o, motivo comico pure altamente tragico per l'importanza che ha nella coscienza di tutta una classe. Chi guarda ben addentro vedrà che don Rodrigo non è il peggiore de' suoi pari. C'è nel fondo del suo cuore un avanzo di buoni sentimenti, che lo rende pensoso innanzi alle parole di padre Cristoforo, e benchè spesso tra banchetti e stravizi, pur non vi si mostri così cinico, come i suoi compagni di orge. Egli è come tutti gli altri, pure il men tristo di tutti gli altri. Il suo peccato è di esser nato tra quei pregiudizi e in quell'atmosfera viziata: ciò che falsifica nella sua coscienza la nozione del bene e del male e gli dà un torto concetto dell'onore. Pure la fatalità della sua posizione morale non lo giustifica e non lo assolve. C'è un mondo superiore, le cui leggi non si violano impunemente. L'espiazione di don Rodrigo, così piena di terrore e di compassione, è la reintegrazione nella coscienza di quel mondo superiore offeso. Il sentimento umano che se ne sviluppa, è quel medesimo che provano padre Cristoforo e Renzo innanzi alla sua agonia. Così don Rodrigo, lo scelto antagonista dell'ideale manzoniano, rimane un individuo storico e reale. Se per la sua lotta con padre Cristoforo e per la sua espiazione riflette in sè negativamente quel mondo religioso e morale, ciò è conseguenza e corona di una idealità ancora più profonda, il tipo del nobile degenere nel tal secolo e nel tal luogo.

Con la stessa chiarezza e decisione è concepito il don Abbondio. Esso è l'ideale alterato e indebolito nell'esercizio della vita e spesso sacrificato per quella specie di codardia morale che accompagna i popoli nella loro decadenza. Come in don Rodrigo, così in don Abbondio il senso del bene e del male è oscurato e il mondo è guardato e giudicato attraverso di un'atmosfera viziata. Il demonio del potente don Rodrigo è l'orgoglio; il demonio del debole don Abbondio è la paura. La contraddizione fra il suo dovere e la sua paura genera una situazione di un comico tanto più vivace, quanto più egli cerca dissimularla. E la dissimulazione non è già ipocrisia e doppiezza, che lo renderebbe odioso e spregevole, ma è un fenomeno essa medesima della paura. La quale gli fabbrica un mondo sofistico fondato sulla prudenza o l'arte del vivere, col suo codice e con le sue leggi, un vangelo a cui crede e vuol far credere, e che gli forma i suoi giudizi e gli detta le sue azioni. E perchè tutti indovinano, fuorchè lui, il vero motivo de' suoi giudizi e delle sue azioni, scoppia il riso. Natura buona e pacifica, sincera e passiva, subitanea nelle sue impressioni, originale ne' suoi giudizi, con scarsa coscienza di sè e con nessuna coscienza degli altri, egli è l'inconscia macchina da cui escono tanti avvenimenti. Il puntiglio di don Rodrigo e la paura di don Abbondio sono le forze ignobili che con sì piccola sapienza generano questo mondo poetico, Il quale si restaura con l'espiazione dell'uno, e si purifica e si afferma con la correzione dell'altro. La saviezza mondana di don Abbondio invano ricalcitra e si dibatte contro il mondo ideale evangelico di Federigo Borromeo, oscurato ma non cancellato nella sua coscienza. Così un mondo nato dall'orgoglio e dalla paura è alzato nel mondo superiore della carità e dell'amore: Se don Abbondio nel suo significato generale si rannoda a quel mondo superiore e forma il suo lato comico, pure rimane un individuo compiutamente libero, con una idealità propria, col suo carattere, con la sua fisionomia, co' suoi fini e co' suoi mezzi.
Questi personaggi principali hanno intorno a sè una moltitudine di personaggi secondari, che pel loro significato si riannodano a padre Cristoforo, o a don Rodrigo, o a don Abbondio; la quale relazione rimane così in astratto, e non impedisce il loro libero e individuale movimento nella storia, con grande varietà di classi, di costumi, di opinioni e di caratteri. Vi domina soprattutto il comico, come Perpetua, l'oste e Tonio nella loro bassa sfera, e, in una sfera più ampia, donna Prassele e don Ferrante..

IDEALITA' DI LUCIA

Lucia è un personaggio ideale, cioè vicinissimo al suo tipo, ma d'altra natura e forse fra' più originali della poesia italiana. Nuova alla vita, d'indole soave e pudica, purissima, tutta al di fuori, semplice di fede e di cuore, il poeta che vagheggiava un tipo femminile del suo ideale ha trovato nel contado un modello, che verso quel tipo si può dire imperfetto e perciò appunto è perfetto nel giro della sua vita propria. Essa non ha immaginazione e non ha iniziativa, non ha ricchezza sufficiente per rappresentare degnamente l'ideale del poeta. È un ideale, se posso dir così, iniziale e passivo rimasto così com'è stato stampato e fazionato dalla madre e dal confessore, senz'alcuna discussione e opposizione interna, senz'alcuna deviazione o transazione venutale dall'esperienza della vita, senz'alcuna capacità di malizia e di riflessione. La vita appena schiusa, rimane lì, ignorante e incosciente, e senz'alcuna forza di resistenza e di difesa. Fanciulle simili vennero poi in
moda, Ildegonde e Lide e Ide e Marie ed Eugenie, nuove Arcadie e nuove pastorellerie. Sono degenerazioni di quella giovinetta così semplice e così terribile nella sua debolezza. Perchè ella è in fondo il sentimento religioso e morale comune a tutti, alterato e diminuito nell'esercizio della vita, e in quel cuore adolescente intero, tranquillo, sicuro, naturale come in sua propria sede, che tocco appena manda suoni tanto più terribili, quanto meno consapevoli.

Che sa Lucia, quale terribile effetto debbano produrre sull'animo dell'Innominato queste parole così semplici: « Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia? ». Il nome di Dio, pronunziato con energia di predicatore da padre Cristoforo, irrita e provoca don Rodrigo; uscito con semplicità, senza alcuna intenzione di effetto, da quelle labbra innocenti e supplichevoli, vince e trasforma l'Innominato. « Perdona tante cose! ». Frase vaga, come un suono musicale, ma terribilmente concreta per quell'uomo, che si vede sbucare avanti tutta la serie de' suoi delitti. Quell'ideale, rifuggitosi nell'ingenuo e inconscio petto di una fanciulla è una immagine assai più poetica e più persuasiva, che non le parole più ardenti e più calcolate di padri e di cardinali. Certo è in lei non so che troppo elevato, troppo tipico, che la tiene a distanza come fosse una Madonna, c'è in lei troppo della santa, ed assai poco di quel femminile, che ci rende così amabili le Giuliette e le Margherite; soverchia idealità, corretta dalla vicinanza di due personaggi stupendamente concepiti e umanizzati, Renzo e Agnese, la cui bontà nativa, profondamente modificata e variata dalla esperienza della vita, dall'azione della società, dalla qualità degli avvenimenti, comunica loro una compiuta e interessante individualità.

Agnese è una Lucia in reminiscenza, così buona e credente, così educata e fazionata, ma divenuta nel corso degli anni, tra gli accidenti della vita e in quell'atmosfera paesana, un po' come tutte le altre: larga di maniche, con non troppi scrupoli, con la sua malizia, col suo saper fare, massaia, ciarlona, semplice e vera nella sua volgarità, con tutti gli abiti buoni e cattivi contratti nella bassa sfera in cui è nata, è una brava donna di villaggio. La stessa bontà è in Renzo, con gli stessi abiti contratti nella sua sfera, ha l'aria del paese; ce lo rende amabile quella sua forza ed inesperienza giovanile, accompagnata con un ingegno ineducato, ma pronto, vivo, perspicace, pieno di spontaneità e di originalità nei suoi giudizi e nelle sue mosse improvvise, spesso spiritose senza cercar lo spirito, col suo latinorum, e con la sua "lega dei birboni" sempre vero. In tutti e due c'è una certa vena di comico, che nasce appunto da quelle imperfezioni e abitudini e inesperienze, penetrate in quel fondo di bontà e di sincerità.

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