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ALESSANDRO
MANZONI |
LA MODERNITA' DEL MANZONI
L'ORIGINALITA' - L'IDEALE CALATO NELLA REALTA'
Il vecchio concetto della poesia italiana, cioè il trionfo cristiano dello spirito sul senso, o della ragione sulle passioni, cantato in vari modi da Dante a Metastasio, pure qui riappare guardato da nuovi aspetti e in un ambiente tutto moderno. Lo spirito cristiano, purificato d'ogni sua esagerazione ascetica, dommatica, simbolica e liturgica, è qui avvicinato possibilmente a un puro umanismo etico e artistico, quale possono concepirlo e ammetterlo anche quelli che lo guardano e lo spiegano attraverso alla scienza. È lo spirito religioso nel senso più elevato e generale, incarnato in una forma storica, pure superiore a quella, e quale una vista puramente umana potrebbe concepirlo in tutte le forme.
E non in questo solo si rivela il suo carattere moderno, perchè vi è collegato uno spirito patriottico e democratico. Trovi qui un quadro animato della dominazione straniera, con un'aria quasi d'indifferenza, che aggiunge allo strazio; perchè il dominatore non ha coscienza della sua violenza, e il dominato non ha coscienza della sua servitù, e uno stato di cose innaturale e violento ha quasi faccia di un assetto normale e tranquillo. La verità storica s'impone all'autore che ti fa un quadro muto, senza spiegazione e senza indignazione, un quadro muto nella sua crudele verità, pure di maggiore efficacia sugli animi finamente educati, che non sono in altri scrittori le plebee violenze del linguaggio.
Questo contenuto religioso e patriottico è penetrato visibilmente da un soffio democratico. E non già la democrazia, come la s'intendeva nel secolo XVIII, lotta e vittoria delle classi inferiori sulle altre. Chi guardi l'esterna ossatura del romanzo, vedrà personaggi plebei tenere il primo luogo nell'attenzione de' lettori, e lottare e vincere di rincontro a nobili violenti e a borghesi corrotti. Pur questa non è lotta di classi, nè lotta simile poteva aver luogo senza sciocco anacronismo in un secolo, dove non era ancora alcun sentore di uguaglianza sociale e di diritti individuali. Lotta non c'era, perchè non ce n'era il sentimento. E il popolo non c'era, e per dir meglio c'era il popolo, quale con una conoscenza così profonda e insieme così ironica l'ha messo in scena Manzoni. Gli stessi eroi del romanzo, Renzo e Lucia, non perdono mai la coscienze del loro stato, e senza meraviglia mangiano e tavola distinte nel banchetto dato in loro onore del signore del castello, anzi la loro meraviglia fu di essere visitati di quello, sì che parea che « anche le scabre e nude pareti, e le impennate e i deschetti e le stoviglie si meravigliassero di ricevere fra loro un ospite così straordinario !». (De Sanctis cita qui l'edizione del 1825 - Ndr.)
Qui c'è democrazia in un senso più elevato; perchè qui gli individui sono interessanti non per le loro qualità intellettuali o sociali, o di classe, o di fortune, me per il loro valore morale. Lucia e Renzo interessano, ancora che plebe, e padre Cristoforo interessi non meno che il cardinale Borromeo, la cocolle non meno che la porpora. Non è il titolo, e non la ricchezze, e non le dignità, e neppure la scienze, che crea l'interesse estetico; è il carattere morale, non privilegio di classe o di professione, ma partecipe a tutti : ideale democratico, che è la negazione di ogni aristocrazia di convenzione.L'ORIGINALITA' - L'IDEALE CALATO NELLA REALTA'
Le prima cosa che dove colpire i sagaci lettori dei Promessi Sposi, fu la sua originalità, come affetto nuovo e nel suo spirito e nella sua materia. Il suo spirito è un concetto morale e religioso, vivente ancore in mezzo agli strati sociali, ancorchè pervertito, e ricondotto nelle sua purità primitive, e insieme informato del pensiero e del sentire moderno. Le sua materia è tutta particolare, legata nelle più minute circostanze con una data epoca, e appoggiata ad un intrigo uscito dalle viscere stesse della cronaca e perciò nuovissimo. Nè è meno originale la forma, dove trovi scolpita la ricca personalità dell'autore e insieme i caratteri più spiccati del genio moderno. Sicchè questo romanzo è uno di quei lavori capitali, che nella storia dell'arte inaugurano un'èra nuova, l'èra del reale.
Non è già che l'ideale qui faccia difetto, anzi l'ideale è qui tutto un mondo morale e religioso che si sviluppa in mezzo al movimento del secolo decimosettimo, e diviene la tendenza, se non vogliamo dir proprio lo scopo del racconto. Come ne' drammi e ne' romanzi del passato secolo, qui è chiara la tendenza dell'autore a inculcare negli animi il suo mondo morale, il mondo della rassegnazione, della carità e della preghiera, che emerge vittorioso e lucente tra le passioni e i pervertimenti della realtà storica. E non solo è qui un mondo ideale, che tende a separarsi dal contenuto e a porsi solo esso nella immaginazione de' lettori, ma non si può neppur dire a prima vista che esso emerga naturalmente dal seno del contenuto. Anzi è chiaro che esso è un mondo perfetto e divino che preesiste nella mente dello scrittore, a quel modo che dicono l'anima non solo distinta dal corpo, ma preesistente a quello. Mantenere l'ideale nella sua purezza e nella sua perfezione, considerare la vita come un semplice velo, di sotto a cui esso traspare nella sua integrità, questo era il domma dell'arte antica, l'assioma di tutte le critiche. Quelli che avevano più vivo il sentimento del reale vi aggiungevano un cotal processo di formazione, sicchè l'ideale fosse pienamente calato nella vita e vi simulasse tutta l'apparenza di quella. Ma, volta e gira, l'ideale rimaneva pur sempre quello, puro e astratto, e il reale non era altro che un velo o involucro più o meno denso, più o meno vicino alla vita.
Questa concezione a priori di un mondo ideale assoluto, voglio dire in tutta la sua perfezione morale, determinava anche il congegno del racconto. Perchè, essendo quell'ideale una vera forza o anima di tutto il materiale, vi stava al di sotto come un vero Deus ex machina, e lo componeva e disponeva secondo una sua propria logica. I fatti vi erano ordinati come momenti esteriori del suo organismo, vi s'immaginava una opposizione fittizia alzata a quel livello e perciò anch'essa maggiore del vero, nasceva un intrigo che si avvolgeva e si svolgeva secondo l'impulso e l'indirizzo che gli veniva da quello. L'ideale dunque non era solo un mondo perfetto in opposizione alla natura e alla storia; ma era pure una trattazione conforme, una specie di etica e di logica in azione e in tutta la simulazione della vita. Da Dante ad Alfieri questo era il mondo poetico, di cui ultimo esempio fu l'Ortis di Foscolo.
Sono visibili le orme di questo mondo antico dell'arte, divenuto convenzione, in questo romanzo, guardando al modo com'è stato concepito e condotto. Lucia, padre Cristoforo e Federigo Borromeo, sono esemplari perfetti di un mondo ideale, il cui modello astratto e scientifico è la Morale Cattolica dello stesso autore. Gli altri personaggi sono visti da questo stesso punto, sono gradazioni e degradazioni di questo stesso ideale. A quegli esemplari perfetti rispondono esemplari di opposizione, come sono don Rodrigo e l'Innominato, e in mezzo errano personaggi più o meno vicini all'uno o all'altro esemplare. Il congegno poi è tale, che nel conflitto rimanga sempre vittorioso quel mondo ideale, fino a che in ultimo con persuasione irresistibile si impadronisce dell'animo.
Il contenuto è nuovo, è un mondo ringiovanito e rimodernato; ma la forma è vecchia, è il solito ideale che si pone e s'impone, sovrapponendosi alla natura e alla storia.
Da questo lato, il romanzo è un mondo poetico a tendenza e a propaganda, in servizio d'idee morali e religiose, secondo l'impulso impresso alla coltura nel secolo XVIII, e continuato sino a' nostri giorni. Lamennais e Sue rispondono a Voltaire e Alfieri. C'è sempre ne' loro lavori un marchese di Posa, personale o impersonale, che imprime in una società dissimile un marchio soggettivo e contemporaneo, cioè il poeta e il suo tempo, penetrato tra altri uomini e in altri tempi, e rimastovi come materia estranea, incapace di assimilazione.
Si può dire che ciascun mondo poetico contiene in sè elementi ideali, cioè un complesso d'idee religiose, morali, politiche ed economiche, che sono la sua sostanza spirituale, la sua anima. E questo è vero. I poemi indiani e greci, la Divina Commedia, la Gerusalemme Liberata, il Paradiso perduto, i Lusiadi, il Messia, tutti i poemi nella loro serietà e nella loro parodia, hanno per base un certo stato sociale, informato di queste o quelle idee. Ma ecco la differenza. In questi poemi le idee non ci stanno come fini o aspirazioni personali del poeta e dei suoi tempi; ma sono elementi vivi di quella società, parti sostanziali di quell'organismo : gl'ideali sono vere realtà storiche, membri effettivi della natura e della storia. Al contrario, in questa letteratura gl'ideali sono mondi etici e filosofici e politici ed economici, staccati ed isolati, colti nella loro astrattezza e perfezione scientifica, fuori dell'esistenza, e viventi come tali nello spirito del poeta. Essi entrano nella natura e nella storia, talora sovrapponendosi ad essa e falsificandola, mescolandosi senza intima fusione con elementi positivi, talora ponendovisi dirimpetto, come opposizione inconciliata, come un di là a cui bisogna mirare; e più il poeta vi si studia e vi si incalora, più l'ideale fa stacco, e rimane fuori della tela, rimane un altro nell'uno. Di che segue una composizione disordinata e concitata, che nell'armonica esistenza della storia introduce elementi satirici, polemici e rettorici, e crea un dualismo tra il dovere e l'essere, tra il mondo come lo concepisce il poeta e il mondo come la natura lo ha fatto.
Questi fenomeni non sono già accidentali e capricciosi; sono diverse forme letterarie sviluppatesi tra le diverse forme sociali, le une riflesso delle altre. I posteri, innanzi a questo dualismo oratorio, scettico, umoristico, lirico, indovineranno una società in trasformazione, dove il vecchio non è ancora sciolto, e il nuovo non è ancora formato. Lotta nella cosa, è scissura nella parola, nè l'arte vi si poteva sottrarre, nè vi si poteva sottrarre Manzoni.
Ma l'ideale manzoniano ha un gran vantaggio. Esso non è già un mondo puramente spirituale vivente nella immaginazione di uomini colti, non ancora realtà, ma semplice aspirazione, perciò lirico, polemico, satirico, com'è l'idea in opposizione col fatto ; ma è un vero organismo storico, ove l'ideale vive ne' più, alterato, pervertito, invecchiato, pura diversamente graduato, dal più basso al sommo della scala, da don Abbondio sino a Federigo Borromeo. L'idea è dunque lo stesso fatto sociale, così come si mostra nei suoi diversi aspetti, e i giudizi, le tendenze, le simpatie dell'autore non sono elementi postumi e personali e sovrapposti, ma sono parti anch'essi di quell'organismo storico, entro il quale, se molti facevano altrimenti, tutti giudicavano nella loro coscienza allo stesso modo. Abbiamo così la base di un vero romanzo storico, dove l'idea non fa stacco, perchè nelle sue varia gradazioni, nella sua purità eroica, nella sua mezzanità, ne' suoi pervertimenti, trova riscontro nelle simili gradazioni dallo stesso fatto sociale, o che gli avvenimenti siano inventati, o che siano positivi. E la grande originalità dal romanzo è appunto questa, che la sua base non è una storia mentale, preesistente ai fatti e impostasi a quelli, ma è una storia reale o positiva, nella quale si sviluppa naturalmente tutta quella serie d'idee, che costituiscono il mondo morale del poeta.
Quello che a Manzoni pareva un genere ibrido, è appunto la grande novità che caratterizza questo secolo, e dov'egli è sommo, l'aver sostituito agl'ideali assoluti a astratti storie concrete e positive, in cui quelli acquistano un limite a diventano vari organismi storici. E il secolo in questa via ha talmente camminato, cha oggi siamo giunti proprio all'opposto, all' assorbimento dell' ideale nel realismo ; dico assorbimento, e non eliminazione o negazione; che sarebbe non un progresso, ma un'assurda caricatura.
L'originalità del romanzo è dunque in questo, che l'ideale non è una idea del poeta, un suo proprio mondo morale, foggiato dal suo spirito e cha faccia stacco nel racconto, ma è membro effettivo ed organico d'una storia reale e concreta. Non è un ideale realizzato dall'immaginazione con processi artificiali, ma è un ideale divenuto già una vera realtà storica, e colto così come si trova in una data epoca e in un dato luogo; onde nasce la perfetta obbiettività del racconto, e la concordia e l'armonia della composizione nella maggior semplicità dell'intrigo; sicchè tu leggi tutto di un fiato sino all'ultimo, e il disegno ti rimane innanzi e non lo dimentichi più. L'autore non vi si mescola, se non come un tuo aiuto, una specie di cicerone, che ti dà la spiegazione e l'impressione di quello che vedi, non senza qualche malizia a tue spese; ma chi ben nota, il suo spirito erra dentro al racconto come un alito armonico e sereno, che regola e contiene i movimenti, serbando nell'alterno corso delle cose e degli uomini l'equilibrio e la misura. Ciò che Manzoni andava cercando, e che gli parve non raggiunto e non possibile a raggiungere, cioè l'unità della composizione e l'omogeneità de' suoi elementi, ancorchè alcuni storici e alcuni inventati, e perfettamente conseguito, anzi è qui la sua originalità, qui il grande posto che tiene nella storia della nostra letteratura. Il suo romanzo storico non è solo un bel lavoro artistico, ma è un vero monumento, che occupa nella storia dell'arte quel medesimo luogo che la Divina Commedia e l'Orlando Furioso.
Questa nuova posizione presa dall'arte sotto la forma di romanzo storico, e penetrata ora in tutti i rami, ha questo effetto, che non hai più un ideale che si appropria natura e storia come una sua manifestazione, ma un vero mondo storico nel tal tempo e nel tal luogo, che dà non ad una idea estranea e mentale, ma al "suo ideale", il limite e la misura, cioè a dire vita piena e concreta. Dico suo ideale, perchè l'ideale non è un mondo a parte, segregato dalle cose, nella sua perfezione logica e morale, e non è neppure il genere e la specie delle cose, non il loro tipo o esemplare rappresentato sotto forma individuale; ma è un proprio e vero individuo, dove si spoglia della sua perfezione e prende un carattere e una fisionomia, cioè un complesso di parti buone e cattive, di elementi sostanziali e accidentali, che, gli tolgono la sua generalità e lo fanno esser questo e non quello. Sicchè l'ideale non è l'uno e lo stesso nella infinita varietà della natura e della storia, ciò che fu detto l'uno nel vario, ma è il proprio e l'incomunicabile, l'individuo o il vivente, di là dal quale non sono che astrazioni. Ciascuna cosa che vive, ha un ideale suo, il caratteristico, che la fa esser sè e non altri; ciò che si dice individuo. Non si vive che come individuo. E meno la vita è sviluppata, minore è la forza caratteristica individuale, più rassomiglia a genere o tipo: e più la vita è ricca e varia, più vi è scolpita la sua individualità, più il suo ideale vi s'incorpora e vi si distingue. Ma se ciascun individuo ha un ideale suo, segue che ci ha di ogni sorta d'ideali, belli e brutti, buoni e cattivi, e che don Abbondio e don Rodrigo, e perfino Tonio e Griso sono personaggi non meno ideali e non meno poetici che Lucia e Borromeo. Anzi chi va a fil di logica, è sforzato a concludere che base così dell'arte come della vita è non il perfetto, ma l'imperfetto, se è vero che l'ideale, perchè viva, dev'essere un individuo, avere le sue miserie, le sue passioni e le sue imperfezioni.
Cosa dunque farà l'artista ? Cercherà non l'ideale, ma l'individuo, così com'è; avrà innanzi un modello non mentale, ma vivente; terrà dietro non alle idee, ma alle forze che mettono in moto natura e storia, e producono l'individualità, cioè a dire la vita. E chi guarda all'ideale nella storia del mondo moderno, vedrà che dalle cime del più astratto ascetismo essa è uno scendere lento, ma assiduo verso la terra, incorporandosi esse sempre più ed entrando in tutte le differenze e le sinuosità della vita. In questo cammino noi ci siamo lasciati oltrepassare, rimasti stazionarci e vuoti e oziosi arcadi, più sognando che vivendo; ora ci siamo risvegliati, e cominciamo una nuova storia, e la pietra miliare della nostra nuova storia è questo romanzo, dove risuscita con tanta potenza il senso del reale e della vita.
In effetti, la straordinaria importanza di questo lavoro non è solo che un mondo mentale sia calato in modo nella storia, che vi acquisti tutte le apparenze della realtà, ciò che sarebbe lo stesso processo antico e consueto recato a maggior perfezione; ma che quel mondo sia modificato nella stessa sua sostanza, e sia non apparenza di realtà, ma realtà positiva, parte organica di un'epoca storica. Non è l'ideale artificiosamente realizzato con processi artistici, sì che la realtà, divenuta la sue faccia e la sua apparenza, vi sia abbellita e perfezionata; ma e l'ideale limitato nella sua natura, partecipe di tutte le imperfezioni dell'esistenza, non più un ente logico o un tipo, ma divenuto una vera forza vivente, non più una individuazione, cioè a dire un'apparenza d'individuo, ma una vera individualità: ciò che dicesi il limite e la misura dell'ideale. Ora Manzoni ha pochi pari nelle finezza e profondità di questo senso del limite o del reale, che è il segno caratteristico di un mondo adulto e virile. Tutto ciò che esce della sue immaginazione, ha il carattere severo di une realtà positiva, esce cioè dal limitato, misurato, così minutamente condizionato al luogo, al tempo, a' caratteri, alle passioni, a' costumi, alle opinioni, che ti balza innanzi una individualità concreta e piena, un vero essere vivente. I più studiano ad abbellire, a produrre effetti maggiori del vero; il suo studio è limitare disegni, proporzioni, colori, secondo natura e storia, sì che tu dica: è vero. Il meraviglioso e l'eroico, il perfetto, ciò che dicesi l'ideale, non lo alletta, anzi lo insospettisce, e mette ogni cura a ridurlo nelle proporzioni del credibile e del naturale. Dove i più si affannano ad ingrandire, lui si affanna e ridurre a giusta misura. Onde quel suo mondo religioso e morale, preconcetto nella mente con tenta perfezione, entrando nella storia tra avvenimenti veri e finti, vi s'innatura e vi s'incorpora, imperfetto appunto perchè vivo. O per dir meglio, se quel mondo si può chiamare imperfetto di rincontro alla sua esistenza logica o mentale, è perfettissimo come mondo vivente, e perciò mondo dell'arte.
Certo, niente vi è di più meraviglioso che la conversione dell'Innominato. Il pianto di Lucia, che ispira nel Nibbio un sentimento nuovo, la compassione, produce in lui una trasformazione così profonda, che lo converte, lo fa un altro essere. Si veda con quanta industria il poeta, un fatto così straordinario, che il volgo attribuisce a miracolo della Madonna, riconduce nelle proporzioni di un fenomeno psicologico. E se Borromeo compie il miracolo con la sua ardente parola, si deve non solo a quella fiamma di carità che lo divora, a quella sua eroica esaltazione religiosa, ma a qualità più mondane, che pare diminuiscano il santo, eppure lo compiono e lo perfezionano. Perchè il poeta alleato al santo fa apparire il gentiluomo, l'uomo di mondo e di esperienza, dotato di cultura, di un tatto squisito, di una grande conoscenza de' caratteri e delle debolezze umane, che indovina i pensieri e le esitazioni più occulte de' suoi interlocutori, e sa tutte le vie che menano al loro cuore, sì che vince le ultime resistenze dell'Innominato e di don Abbondio, e più si accosta e si abbassa a quelli, più il santo ci si fa accessibile, più lo sentiamo a noi vicino. Vedasi pure che, se le parole di padre Felice fanno un così grande effetto, si deve a quel complesso di fatti e di circostanze che lo ispirano e lo mettono in comunione con gli uditori, e lo rendono eloquente più che non sono tutti i nostri oratori sacri presi insieme.
Nondimeno l'Innominato e Borromeo sono qui i personaggi più ideali, nel significato ordinario di quella parola, cioè a dire, più perfetti, più vicini al loro tipo, l'esemplare più puro del mondo religioso e morale del poeta, l'uno come affermazione, l'altro come negazione. E se dovessero avere nel romanzo una parte fissa e durevole, verrebbe stanchezza ed uniformità da quella santità e da quella malvagità in permanenza. Questo sarebbe il caso, se la conversione dell'Innominato fosse base del racconto, e non piuttosto, come è, una sua parte accessoria. Ond'è che essi sono apparizioni straordinarie e fuggitive, meteore che illuminano e passano, lasciando dietro di sè stupore e ammirazione. E' una specie di epopea, che fa la sua ultima apparizione nel nostro mondo borghese, messa al s�guito di Renzo e Lucia.RITORNO ALLA TABELLA ANTOLOGICA