SCHEDE BIOGRAFICHE
PERSONAGGI
ALESSANDRO MANZONI


LA TRASFIGURAZIONE RELIGIOSA
DELLA POESIA POLITICA
IL SENTIMENTO EPICO

Il Manzoni vede le cose con la serenità di un Iddio che abbraccia con vista amorosa tutto il creato; non c'è uomo o cosa ch'egli non alzi in un certo spirito universale di carità e d'amore, in che è posta la sua idea religiosa; e in mezzo alle misere querele di quaggiù risuona la sua voce sempre amica e pacata
Siam fratelli ; siam stretti ad un patto !
Da cosa nasce quella sua universalità che gli fa guardare le cose nella loro interezza con sì squisite transizioni, con sì giuste gradazioni di modo che non c'è altezza tanto superba, e sia anche Napoleone, che non sia levata in quella sfera superiore e ridotta al suo giusto valore. Attirati soavemente in questo mondo sereno, sentiamo tranquillar le tempeste dell'animo, raddolcire i nostri cuori, fuggir da noi tutte le cattive passioni. Sicchè possiamo dire del Manzoni quello che fu detto di Schiller, che, se non è il più grande de' poeti, è il più nobile, il più simpatico, quello a cui vorremmo più rassomigliare.

.... Leggiamo una sua poesia politica. E' scritta nel marzo del 1821, quando gl'italiani si levavano da ogni parte per redimere la loro patria dallo straniero, ed è indirizzata a Teodoro Koerner, il Tirteo della Germania, morto sui campi di Lipsia, combattendo per il suo paese.
.... Trovate in questa poesia tutte le qualità che vi ho indicate nel genio del Manzoni. Non è una
Marsigliese, neppure una poesia del Berchet, potentissimo de' nostri poeti patriottici. Ne' versi di costui sentite una certa profondità di odio che spaventa, la tristezza dell'esilio, l'impazienza del riscatto, ed un tale impeto e caldo di azione che talora vi par di sentire l'odore della polvere ed il fragore degli schioppi: qui è il suo genio. La poesia del Manzoni non è solo un inno di guerra agl'italiani, ma un richiamo a tutte le nazioni civili; la parola del poeta è indirizzata agl'italiani ed ai tedeschi insieme. In tanta concitazione di animi non gli esce una sola parola di odio, di vendetta, di bassa passione, lontano parimente da ogni jattanza: non vi è il fremito e la spuma della collera, ma la quieta temperanza di un animo virile. Recherò ad esempio le prime strofe in cui si parla del giuramento. Gl'italiani non vi sono rappresentati nell'atto della collera, con gesti incomposti, con grida selvagge, con occhi scintillanti; ma in attitudine scultoria, « assorti nel novo destino », presenti a se stessi e consapevoli, con gli sguardi rivolti al Ticino, come a fatto irrevocabile, parati al sacrificio, sospinti da un dovere e non da inimicizia. Il giuramento non viene da entusiasmo poco durevole, ma da calmo e solenne proposito : onde le ultime parole, che precedute da vanti e da furori produrrebbero il riso, trovano fede ed inteneriscono, come ciò che è vero e sentito
O compagni sul letto di morte,
O fratelli su libero suoli

Così i dolori del popolo lombardo sono rappresentati con la sublime semplicità di Silvio Pellico ; quanto men concitata è la narrazione, tanto più solenne è il rimprovero. Il poeta non mira a destare rabbia contro gli oppressori, ma compassione verso gli oppressi: onde in mezzo al clamore delle spade spira non so che di tenero e di flebile che commuove senza infiacchirti.
Cara Italia !....
Dove ha lacrime un'alta sventura,
Non c'è cor che non batta per te.
Quante volte sull'Alpe spiasti
L'apparir d'un amico stendardo!
Quante volte intendesti lo sguardo
Ne' deserti del duplice mar !


Sono rimembranze di dolori, d'illusioni, di desiderii congiunte con la fermezza e la santità del proposito; nasce per questo popolo pietà, ammirazione e rispetto.
Tale è il linguaggio nobile che il Manzoni tiene agli italiani. Nello stesso tempo egli volge la parola al tedesco, non come nemico, ma come fratello. Ragiona senza pedanteria; ammonisce senz'acerbità; nel suo rimprovero vi è tanta dolcezza! Mentre il Germano affila la spada contro un popolo oppresso, Manzoni gli fa lampeggiare dinanzi l'immagine di Dio « padre di tutte le genti », al cui cospetto i popoli sono fratelli. Mentre il Germano affila la spada, gli si presenta tenendo amichevolmente per mano Teodoro Koerner, diletto da quanti hanno cuore tedesco, il cantore e il guerriero dell'indipendenza germanica. Bel giorno fu quello per il popolo tedesco! Dopo lunga pazienza si leva in armi contro lo straniero entratogli di forza in casa; si ode per i campi risuonare il grido di libertà e d'indipendenza; i governi invitano tutte le nazioni ad affrancarsi dal giogo straniero; nelle battaglie di Lipsia corrono a stormo le genti strette intorno al loro poeta.... Il Manzoni raccoglie queste onorate rimembranze e le rimette loro davanti, rimprovero vivente. Così la poesia s'innalza al di sopra degli odii e delle collere terrene, prendendo per base la fratellanza universale, l'eguaglianza di tutti i popoli innanzi a Dio : è la Musa del Manzoni.

IL SENTIMENTO EPICO DELL'ETERNO NELLA LIRICA MANZONIANA

Nella ricostruzione che il Manzoni ci dà di un mondo celeste, si sviluppa una lirica alta sulle collere e sulle cupidigie mondane che ha la sua prospettiva nell'altra vita. Il momento drammatico di questa lirica è la morte, e la sua forma ordinaria è la preghiera, alzamento dell'anima a Dio. Questo vivo sentimento del soprannaturale che alita sul corso agitato degli avvenimenti, e ti somiglia il convento eminente sulle città e castella, dove cercava pace l'uomo travagliato e logoro da passioni terrestri, è appunto la lirica del Medioevo, è Beatrice e Laura, visioni e fantasmi nella vita terrena, divenute vere persone poetiche nell'altro mondo. Figlia di questo mondo mistico è l'Ermengarda, creatura appena abbozzata, più simile a fantasma che a persona, intorno alla quale rugge la tempesta, mossa per lei, mentr'ella si leva su, con gli occhi al cielo. Niente poteva meglio ritrarre quel mondo feroce e sconvolto della barbarie, con le sue chiese e i suoi conventi, co' suoi angeli e i suoi santi. Nello sfondo del quadro vedi sempre su quelle agitazioni barbariche Ermengarda, la trasfigurazione della morte, quasi un risvegliarsi dell'anima alla vera vita. Questo sentimento della vanità delle cose terrestri, omnia vanitas, nel maggiore eccitamento degli odii umani, questo paradiso di pace e di obblio che ti fluttua sul capo tra' ruggiti di età ferine, è la più bella concezione della poesia in questo misticismo redivivo. L'antagonismo è ancora più drammatico, perchè si agita nell'animo stesso della morente, dove le rimembranze del tempo felice nutrono l'ultimo avanzo degli ardori terrestri, e generano uno strazio raddolcito dalla preghiera e dalla speranza. Rinasce la malinconia, quella soavità nello strazio, quel cielo nella terra, quel paradiso nell'inferno di cui si vede un preludio appena indicato e senza carattere ne' versi amabili del Pindemonte. Qui la malinconia ha il suo carattere, è il naturale effluvio di tutto un mondo poetico. Ed è di una chiarezza italiana, avendo la sua base non in quel vago de' sentimenti e dei desiderii, che fu detto romanticismo, e di cui vedi le fluttuazioni e le ombre nelle melodie del Lamartine, ma in un concetto ben determinato del nuovo mondo poetico, in quel lievito del terrestre anche tra le gioie celesti. Ermengarda morente, nella cui immaginazione si volve come un fantasma la regina cinta la chioma di gemme, amata e amante, è non meno interessante di Laura, che desidera in cielo l'amato e il suo bel velo. È un terrestre sparente, a quel modo che l'Ermengarda medesima è una creatura sparente, che ti vive innanzi nel momento appunto che muore. È uno sparire come un bel tramonto di sole, nunzio al colono di più sereno dì. E quel dì più sereno visto in lontananza inviluppa la figura del suo manto di porpora senza poter cancellare dalla mesta faccia le memorie della terra. Anzi la poesia è lì, in quelle memorie, in quel terrestre che si pone e si afferma nel momento del suo sparire. E sarebbe uno strazio, accompagnato con la disperazione e la bestemmia, se intorno alla morente non aleggiassero le immagini di una seconda vita. Questo antagonismo così drammatico i nostri antichi rendevano sensibile con quella loro battaglia dell'angelo buono e del cattivo intorno al letto della morte. È un grottesco che cercava allora di rivenir su, come elemento romantico. Ma il fantastico è stato sempre rejetto da un poeta così misurato, e sotto pretensioni romantiche plastico come un classico e preciso come un moderno. Qui è il Coro, celesti voci di sacre suore, che prega per la morente e accenna alle sue ansie, ai suoi terrestri ardori, con un riserbo e un pudore verginale; la frase contenuta liba appena gli oggetti, e pare un casto velo su quelle memorie. L'amore terrestre nelle labbra del Coro riceve una prima trasfigurazione, la sua consacrazione; lo senti sparire a poco a poco secondo che la preghiera va innanzi, fino a che nell'immagine del tramonto hai la compiuta fusione di tutti gli elementi, e la morente, e le sacre Vergini, e il Cielo sono una sola anima, una sola armonia.

Questo mondo lirico è sostanzialmente epico, anzi è la vera epica, quel veder le cose umane dal di sopra, con l'occhio dell'altro mondo. Nelle poesie eroiche ci vuole l'Eroe; ma nell'epica il vero eroe è di là dalla storia, innanzi al quale ogni eroismo terreno è ombra e polvere. L'infinito ricopre della sua vasta ombra ogni grandezza. Questo concetto rende altamente originale il
Cinque Maggio, composizione epica in forme liriche. Molti credono che l'ultima parte ci stia, come appiccicata, quasi appendice, di cui si potrebbe far senza. Altri, facendone una questione di quantità, la trovano troppo lunga. E non vedono che quella parte non è un prodotto arbitrario e sopravvenuto nell'immaginazione, ma l'apparenza ultima e quasi la corruscazione del concetto, di ciò che è la vita intima di tutto il racconto. In effetti, in questo mondo epico, l'individuo "l'eroe, grande che ci sia, e sia pure Napoleone, non " non che un' « orma del Creatore », uno strumento « fatale ». La gloria terrena, posto pure che sia vera gloria, non è in cielo che « silenzio e tenebre ». Sul mondano rumore sta la pace di Dio. E' lui che atterra e suscita, che affanna e consola. La sua mano avvia l'uomo per i floridi sentieri della speranza. Risorge il Deus ex machina, il concetto biblico dell'uomo e dell'umanità. La storia è la volontà imperscrutabile di Dio. Così vuole. A noi non resta che adorare il mistero o il miracolo, « chinar la fronte ». Meno comprendiamo gli avvenimenti, e più siamo percossi di meraviglia, più sentiamo Dio, l'incomprensibile. La storia, anche di ieri, si muta in leggenda, acquista fisonomia epica. Napoleone è un gran miracolo, un'orma più vasta di Dio. A che fine ? per quale missione ? L'ignoriamo. È il segreto di Dio. Così volle. Rimane della storia la parte popolare o leggendaria, quella che più colpisce l'immaginazione, le battaglie, le vicende assidue, gli avvenimenti straordinari, le grandi catastrofi, le miracolose conversioni. Il motivo epico nasce non dall'altezza e moralità de' fini, ma dalla grandezza e potenza del genio, dallo sviluppo di una forza eroica e quasi soprannaturale, che pur non ti dà spiegazione adeguata di quei fatti mirabili e ti lascia intravedere una forza superiore, nelle cui mani è il destino dei regni e degli eroi, che tu senti come alito dentro in tutta la storia, fino a che da ultimo se ne sviluppa e pare nella sua verità:
Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.


Quello dunque che sembra appendice, o cosa appiccicaticcia, è intimamente connesso con tutto l'insieme, anzi è lo stesso concetto o spirito della composizione. Un mio dotto amico mi dicea : « Quanto mi piace il Cinque Maggio ! Ma non ci vorrei la coda ». E quella coda è d'essa il Cinque Maggio, la sua vita interiore. Pure, quando leggo Bossuet, ricevo una impressione solenne e religiosa. Invano cerco questa impressione qui. Sento che la poesia non è lì, e che li è la cornice e non il quadro. La cornice è una illuminazione artistica di metafore, di apostrofi, di concetti biblici, una bell'opera d'immaginazione, da cui non esce un serio sentimento del divino. Il quadro è la storia di un genio rifatta dal genio. E l'interesse non è nella cornice, è nel quadro.

Dopo un magnifico preludio, a grande orchestra, che t'introduce di balzo nelle più elevate regioni dell'arte, ingrandendo le proporzioni di là dal vero, che pur paiono naturali in tanta e così sùbita concitazione di fantasia, viene la storia dell'Eroe in nove strofe, di cui ciascuna per la vastità della prospettiva è un piccolo mondo, e te ne giunge una impressione come da una piramide. A ciascuna strofa la statua muta di prospetto, ed è sempre colossale. L'occhio profondo e rapido dell'ispirazione divora gli spazii, aggruppa gli anni, fonde gli avvenimenti, ti dà l'illusione dell'infinito. Le proporzioni ti si allargano per un lavoro tutto di prospettiva nella maggior chiarezza e semplicità dell'espressione. Le immagini, le impressioni, i sentimenti, le forme, tra quella vastità di orizzonti, ingrandiscono anche loro, acquistano audacia di colori e dimensioni. Trovi condensata in tratti epici, in antitesi gigantesche, in raffronti inaspettati, in sintesi originali, la vita del grande uomo. Ti è innanzi nelle sue azioni di guerra, nella sua intimità, nelle sue vicissitudini, nella sua potenza, nella sua caduta, nelle sue memorie : possente lavoro di concentrazione, dove precipitano gli avvenimenti e i secoli come incalzati e attratti da una forza superiore in quegli sdruccioli impazienti, accavallantisi, appena frenati dalle rime. Qui è la grandezza monumentale di questa poesia.

Tale è questo mondo epico-lirico, sbocciato tra le maggiori violenze della reazione, purificato e sublimato dal Manzoni, riconciliato col mondo moderno, penetrato delle impressioni e delle tendenze contemporanee, contenuto romantico in forma classica, ispirato più dalla Bibbia che dal Medioevo, dove l'ideale più inaccessibile alle immaginazione per fuori con una precisione ed evidenze di contorni, con une misure di sentimenti, con un senso del terrestre così intimo e pregno di effetto, che rivelano nel giovane idealista le più viva e profonde coscienze del reale, uno spirito nel suo entusiasmo e nelle sue sintesi positivo, storico, finemente analitico. Da queste temperanza di elementi doveve uscir fuori il suo capolavoro, i Promessi Sposi, cioè e dire, questo suo mondo epico-lirico calato in tutta le varietà e ricchezza delle vita.

RITORNO ALLA TABELLA ANTOLOGICA


ALLA PAGINA PRECEDENTE

CRONOLOGIA GENERALE  *  TAB. PERIODI STORICI E TEMATICI