SCHEDE BIOGRAFICHE
PERSONAGGI
GIACOMO LEOPARDI

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CD-ROM CRONOLOGIA

Francesco De Sanctis "Antologia critica sugli scrittori italiani" e "Storia della letteratura italiana"

IL NUOVO LEOPARDI - DA SILVIA A NERINA
( la poesia "Le ricordanze" )

Ciascuno si forma il suo Dio: e ciascuno si forma la sua Donna. Le grandi epoche dell'umanità sono contrassegnate appunto da queste formazioni. Si può dire che la sua storia neI tratti essenziali non � se non la storia di Dio e della Donna.
Più pura � l'anima, più elevata è l'intelligenza, più sale il concetto della donna. Sicch� non è di piccolo interesse vedere come � stata concepita dagli uomini superiori.
Fra questi uno, a cui la donna per una gran parte della vita fu la sola fede rimastagli, era Giacomo Leopardi. Io voglio investigare per quali gradazioni giunse a formare quel tipo della donna, che � detto la Nerina.
La donna gli si presentò dapprima sotto le forme petrarchesche. Tale � la giovane morente del mal sottile, e la giovane del suo primo amore. Una prima concezione originale appare nel
Sogno. Lì la donna � proprio il contrario del tipo petrarchesco.

L'ideale della donna come fu concepito da Dante, e dal Petrarca, lambiccato e affinato poi e sempre più guasto dai successori, � nell'altro mondo. Lì trovi Beatrice e Laura, bellezza assoluta, bontà assoluta, verità assoluta, che compaiono in visione agli amanti, e li consolano e li ammaestrano. E di lì sono cavati i colori più smaglianti della loro vita terrestre. Sono
angelette di ciel venute, raggi divini, che mostrano la via che, al ciel conduce, un riflesso del cielo in terra. Sopra questo fondo si � ricamato per molti secoli, e ne � venuta su una retorica messa in rima.

Siccome però
Celeste, Angelico, Divino non ti offre niente di preciso, ma un semplice grado comparativo, un più emeno, un più bella e meno altera, nasce nella forma un non so che, un vago e indistinto, che � stato detto musicale, e stanca e scontenta l'immaginazione. N� il cuore rimane pago innanzi a quelle donne dell'altro mondo, che girano e girano nelle loro luci come stelle, e nella comune beatitudine sentono tutte a un modo, e pensano Dio e non pensano noi. Ci si ribella il nostro povero cuore d'uomo. Quella Beatrice che quanto più sale a Dio, e più si sente lontana dall'amato, sin che te lo pianta del tutto, quasi mi fa dispetto. Quell'amare in Dio sarà ortodosso, ma non � poetico. Vogliamo il paradiso sì, ma lo vogliamo secondo il cuor nostro. Quella beatitudine contemplativa ci sembra una monotonia, non ci va. A noi non parrebbe di godere, se non in compagnia de' nostri cari, rifacendo lassù la nostra famiglia e la nostra patria. Gli Indiani che non volevano andare in paradiso per non incontrare gli odiati Spagnuoli, non avevano gran torto. Ragionavano col nostro povero cuore di uomo. E il cuore, volete o non volete, � il giudice della poesia. Quando l'innamorata dice che andrebbe in inferno, se là � il suo amato, il pubblico applaude furiosamente. Se la ragione la condanna, il cuore l'assolve.

I poeti anche più spirituali hanno foggiato un paradiso secondo il cuore, appunto perch� poeti, com'era Salomone nella sua
Cantica. Se hanno derivato dal cielo colori per la terra, hanno insieme trasportato un pezzo di terra in cielo, dando alle anime sentimenti e forme umane, che sostentano l'immaginazione e muovono il cuore. Non importa se questo sia in s� contraddittorio e irragionevole. I poeti non ci guardano poi tanto per il sottile. Ciò � stato detto un paganizzare l'arte.
Laura � beata. Ma la sua beatitudine, che non cape in intelletto umano, perciò appunto c'interessa poco. Ciò che c'interessa e ce la rende adorabile, � quella beatitudine che cape in intelletto umano, quel desiderio del suo corpo e del suo amante, che le fa sentire una mancanza in quella pienezza di beatitudine.
Te solo aspetto!

Questa � la donna, che attraverso molte imitazioni poco felici riappare nel nostro secolo con fusioni ancora più ardite tra divino e umano. La base è sempre l'oltre umano, raddolcito e avvicinato a noi, ma sempre un di là, un maggiore del vero, come vediamo in Ermengarda e sino in Lucia. L'interesse artistico � tutto nello stretto legame di affetti e di pensieri fra terra e cielo, onde nasce la preghiera e la speranza in terra e l'apoteosi e la beatitudine in cielo. Ciò che chiamiamo vita, � un breve sonno; con la morte s'inizia la vita vera. L'altro mondo è una divina commedia, la corona e la perfezione della vita, la fonte della poesia.

Nel
Sogno di Leopardi la base è capovolta. La vita � tutta e sola in terra; la morte � separazione eterna dai nostri cari; tutto l'altro è l'ignoto, è mistero. L'altro mondo è sottratto a ogni contemplazione poetica. Forte della poesia è la vita terrena, anzi quella sola e breve parte della vita, che è detta la giovinezza. Sopravviene la morte o il vero, e tronca tutte le illusioni, tutte le gioie della vita. L'anima nell'altro mondo � triste, e ricorda la breve gioventù ed il breve amore:
Nel fior degli anni estinta,
Quando � il viver più dolce e pria che il core
Certo si renda com'� tutta indarno
L'umana speme.


Cioè a dire, prima che sopraggiunga il vero, e mostri la vanità delle illusioni e delle speranze giovanili.
La vita diviene una divina tragedia, elaborata dal Fato, conclusa con la morte:
.... felicità non rise
Al viver nostro, e dilettossi il cielo
De' nostri affanni.


La morte è l'alto motivo tragico di questa concezione. Ti fa venire il freddo quella voce cupa dell'altro mondo, che coglie l'amante in mezzo al suo oblio e al suo delirio:
Nostre misere menti e nostre salme
Son disgiunte in eterno.
A me non vivi
E mai più non vivrai.


In eterno mai più ! Questo � il motivo funebre che penetra come tossico nelle brevi gioie della vita. Le distanze sono abbreviate; gli estremi si compenetrano. Vivere � amare, e amare è morire: una triade leopardiana, sempre e tutta presente. La morte solo �; tutto l'altro è apparenza, � la vita, che in seno alla morte riappare come una ricordanza acerba, a maggiore strazio.
Appunto per sottrarsi a queste conclusioni tragiche, le quali furor dette prosaiche, incoronarono di fiori la tomba, e foggiarono una poesia della vita in un altro mondo. Nel
Sogno tutta questa poesia � andata via, ogni lieta immaginazione umana � distrutta in nome del vero. Con la morte finisce tutto, gioventù, bellezza, amore e poesia. "Di beltà son fatta ignuda" dice la morta.

E l'interesse poetico è appunto nella profonda e straziante impressione che fa sull'anima questa morte di ogni poesia, un sublime negativo. II povero cuore umano voleva questa poesia; Leopardi lacera e schianta il cuore, annichila l'immaginazione, ti precipita nell'eterno vuoto. Maggior catastrofe non ha immaginato nessuno. È la tragedia non di questo o di quello; � la tragedia del genere umano. E l'ultima poesia, una poesia fondata sulla morte della poesia, e che appunto in questa impressione funebre raggiunge i suoi fini estetici.

E', chiaro che in questa concezione spaventosa la donna tiene il principal luogo. Lo spirare della donna � lo sparire della bellezza e dell'amore. Essa � il motivo elegiaco della poesia, come l'uomo � il suo motivo tragico. La rassegnazione di Saffo raddolcisce la disperazione di Bruto. C'è soavità nella tristezza femminile,
soave e trista.

L'uomo che concepiva così il mondo e la donna, era un giovane di appena ventun anno. E non era già uno scettico o un cinico. Non era un filosofo che menasse vanto di avere demolito cielo e terra e chiarita la nullità delle cose. Era un'anima solitaria e malinconica, avida di bellezza e di amore, con desiderio intenso della giovinezza perduta. La vita appena iniziata era già per lui una memoria, e una memoria era la giovinetta che prima gli fece battere il cuore. Tutto gli parve, come avviene agli infelici, memoria, ombra e illusione, tutto un apparire sparente, e sola verità la morte e il nulla. Se il cuore umano protesta e si ribella, il primo a ribellarsi � il suo cuore. Perch� nella tragedia universale egli sente la tragedia sua, e quando a te lacera il cuore, il suo già sanguina. Questa sincerità di dolore e di convinzione ti riconcilia con il poeta, primo martire lui del suo pensiero.
La vita era già per lui una memoria, e questa memoria era la giovinezza, età sola felice, in cui le illusioni sono ancora intatte, non distrutte ancora dal disinganno. Aveva appena ventun anno, era nel fiore dell'età, eppur dice:
Giovane son, ma si consuma e perde
La giovinezza mia, come vecchiezza.


La gioventù � già una morta che gli ha lasciato di s� lungo desiderio:
E giovinezza, ahi giovinezza! è spenta.

E gli pare ancora più bella, perch� meno goduta e ancora desiderata, guardata con l'occhio amoroso del desiderio.
La donna � l'ideale della giovinezza, � la sua stella, la sua compagna nel viaggio della vita. Quella donna che non trova più in cielo, il poeta la trova nel cuore del giovane. Beatrice, morta in cielo, sopravvive nei dolci sogni della gioventù. Ciascuno di noi l'ha vista, ciascuno nei primi anni aveva la sua Beatrice. Così l'ideale femminile ricompare, ma la sua base è altra, non � in cielo, è nel cuore umano. Essa � l'eterno fantasma, che rivela la donna alla gioventù. Il giovane non sa cosa esso sia e dove sia; ma nella sua ingenua fede crede alla sua esistenza, ed � suo ignoto amante, e lo cerca in terra, e spera di trovarlo in terra.
Ma qui la gioventù � già una memoria. Morto � il cuore giovanile, e morta è la fede di trovarlo in terra. Ciò che l'occhio non trova, rimanesse almeno nell'immaginazione ! ma il fantasma,
l'alta specie, appare sempre più di rado, finch� scompare del tutto dall'immaginazione
Te viatrice in questo arido suolo
Io mi pensai. Ma non è cosa in terra

Che ti somigli.
......E potess'io
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
L'alta specie serbar! che dell'imago,
Poi che del ver m'è tolto, assai m'appago.


Qui � tutta la storia del nostro ideale femminile. Quel celeste, quell'angelico, quel divino � il fantasma generato dal cuore e dall'mmaginazione giovanile. Muore la gioventù, e il fantasma scompare.
Questo ideale immaginato e sentito, ma non veduto e non trovato, � senza contorni, fuori della forma e di ogni esistenza materiale, non ha le forme fisse e i sentimenti delle Laure e delle Beatrici, dei Celesti immaginati dai nostri padri. E' un ideale muto come una statua e sparente come un vapore, ricordato e non rappresentato. Se gli dai la parola, se gli fai esprimere un sentimento, se gli dai un contorno, una forma qualunque di esistenza, lo hai profanato. Esso non ti vede e non ti parla, sparisce quasi nel punto stesso dove appare, e tu non sei a lui che un ignoto amante. Purificato di ogni elemento mitologico o plastico, appartiene più al sentimento che all'immaginazione, simile a Dio, che si sente e non si vede, e in questo senso si può chiamar il divino.
Questa pura idea, appena un'immagine, non si trova quaggiù nuda, com'è d'ogni forma sensibile:
.... cui di sensibil forma
Sdegni I' eterno senno esser vestita.


Qualsivoglia forma più a lei somigliante non � lei:
E s'anco pari alcuna
Ti fosse al volto, agli atti, alla favella,
Sarìa, così conforme, assai men bella
.

Eppure il giovane ha fede di trovarla in terra, e crede di averla trovata in quella donna che gli fa battere il cuore e scolorire il viso, perch� ciò che vagheggia e ama in quella, � appunto lei, la sua idea. La muta parla, l'invisibile si vede, i contorni si fissano, quella donna lì � l'ideale, e il giovane vi si appaga e non cerca altro. Questo miracolo operato dalla gioventù toglie il contrasto e la fusione grottesca tra divino e umano, introduce l'ideale nella vita, lo fa umano, lo rende partecipe delle gioie e dei dolori umani.
Se il Leopardi fosse giovane e concepisse come giovane, questo miracolo avrebbe rappresentato. Avremmo visto la statua sotto le braccia supplichevoli di Pigmalione palpitare e rendere il bacio d'amore.
Ma la gioventù � ita, e non � che una memoria, divenuta essa medesima un ideale muto e sparente. E non � meraviglia che a quella immagine Leopardi figuri la donna. La sua Silvia e la sua Nerina non � che quello ideale divino sotto apparenza terrena.
La sua donna � innanzi tutto una memoria, come la sua gioventù. .E la giovinetta,
nel fior degli anni estinta, quando è il viver più dolce, rimasta viva nella memoria dell'amante.

La memoria � la regina delle muse. Essa � la grande maga trasformatrice che scorpora e idealizza la vita. Della donna amata a poco a poco non rimane nell'immaginazione che la parte più spirituale, inviolabile al tatto, il sorriso, lo sguardo, il suono della voce, la fisonomia, il sentimento. Ti � innanzi il fantasma di quello che un giorno fu corpo, e simile in tutto al primo fantasma evocato dalla fantasia giovanile. Se non che questo è il fantasma del desiderio, e quello � il fantasma della memoria. L'uno � accompagnato dalla fede che esso deve apparire, deve vivere, e il giovane si sforza di dargli un corpo, ci mette dentro le sue aspirazioni, l'impazienza del possesso, in quell'ideale pregusta il reale. L'altro, nella più splendida apparizione, � accompagnato da questo pensiero che non � più, che dà ai più smaglianti colori della vita il sentimento del muto e dello sparente, del destinato a morire. L'uno � abbellito da tutte le illusioni, l'altro � colpito dal disinganno. La tendenza dell'uno � a incorporare, la tendenza dell'altro � a scorporare.
Silvia è una rimembranza. La vita che i giovani si fingono eterna, � per lei vita mortale, e non fu che un giorno:
Silvia: rammenti ancora
Quel giorno della tua vita mortale?


Quei verbi in tempo passato,
splendea, sedevi, gettano il gelo della morte in quella bella vita giovanile. E la vita nel riso della sua espansione, nei suoi lieti sogni, nel suo vago avvenire. Gli occhi sono ancora fuggitivi, la voce è un canto, il riso che � negli occhi, � in tutta la natura, � nel suo avvenire. Un'eco di questa vita gioiosa giunge al giovane, e gli fa battere il cuore, e gli illumina l'avvenire.
Che speranze, che cori, o Silvia mia !
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato !

Allor ! Quell'allor fa già penetrare nell'illusione il disinganno, in quell'apparire lo sparire. Quei lieti sogni, quel vago avvenire, quei pensieri soave erano illusioni, inganni della natura. La verità fu lo sparire, la morte. Ella sparve e non vede la sua giovinezza. Anche a lui negarono i fati la giovinezza. E che cosa rimase di co tanta speme ?
La fredda morte ed una tomba ignuda.

Questi non fu solo la sorte di Silvia e di Leopardi, è più o meno la sorte della stirpe umana. � la tragedia della vita. La vita � un'apparenza, un sogno. Il vero � la morte: e la morte � il nulla. Nella catastrofe dei due giovani si sente li catastrofe universale. Di che si lamenta il giovane ?
Questa la sorte delle umane genti.

Questo il vero. E non � possibile che vi resisti l'intelletto. Ma ve resiste il cuore. E in questa ribellione del cuore � la poesia. Cosa ci fa il vero ? Sappiamo purtroppo che tutto � caduto, e che in fondo alla vita � la tomba. Eppuure, finch� il cuore � giovane, vogliamo sentire, immaginare, godere, e ci attacchiamo alla vita come fosse eterna. Questa � la poesia di Anacreonte, giovane con i capelli bianchi:
Questa vita è troppo labile,
Sempre in pianto e sempre in pene,
Se dell'uva il sangue amabile
Non rinfranca ognor le vene.


Un po' de questo liquore generoso � nella circolazione della vita, e ce la rende bellezza, amore e poesia. Ma il povero Leopardi si sente già vecchio ne' suoi giovani inni. La vita a lui inetto a goderla è un desiderio senza speranza. Nella mente la speranza � morta. Nel cuore � rimasto il desiderio. Il cuore � vivo ancora, e ha virtù di evocare l'ombra della prima giovinezza, i dolci sogni del desiderio colorito della speranza, accompagnata di lacrime, perch� oggi la speranza � morta:
Mia lacrimata speme !

Onde nasce l'interna scissione della sua forma poetica, il carattere drammatico della sua lirici, riso e lacrima, vita e morte. Ma questa vita evocata come memoria non è vita piena e ricca, descritta e rappresentata nella varietà delle sue gradazioni, � il fantasma della vita, lieve, aereo, ripido, labile, fuggitivo come gli occhi di Silvia, è il muto e lo sparente, con la morte scritta in fronte. Le forme sono vaghe, indefinite, e i sentimenti sono musicali, simili a suoni, che inspirano tante emozioni, e non ne esprimono alcuna -
lieta e pensosa - vago avvenire - lingua mortal non dice quel ch'io sentiva in seno - che pensieri soavi! che speranze e che cori. E appunto questo aereo e questo indefinito ti dà il sentimento di una vita in fuga e in lacrime, non più vita, ma l'ombra della vita.

La forma nel suo indefinito � chiara, e nelle sue impressioni � semplice, niente de nebuloso e di sentimentale, come nei romantici allora di moda. Quel giovane affacciato lì sul verone che ha interrotto gli studi, e tende l'orecchio al canto di Silvia, e mira il Sole in tramonto che indora le vie e gli orti, � una immagine fuggente, ma perfettamente illuminata. Il poeta non la intuisce in uno stato di oblio, non si trasferisce in quelli, non vi si trattiene, non vi si espande. E un'apparizione labile come un malinconico: io fui, e presto subentra il presente, anzi il presente � rinchiuso nella stessa apparizione. La forma � senza espansione quasi uno schizzo lampeggiato lì per lì alla mente e gettato sulla carta, ma � precisa, e ti fissa nello spirito e diviene la tua compagna nei momenti poetici della vita. Silvia non � più la classica Beatrice, e neppure � la romantica vaporosa, a forme fantastiche, a impressioni tragiche. È la vita nel suo primo apparire giovanile, gioioso e pieno di sogni, � Silvia, la tessitrice, una giovinetta che non ha niente di angelico, ed è come la natura l'ha fatta con tutti gl'istinti di quella età. Nei suoi sogni c'� la lode delle nere chiome e degli sguardi innamorati e il ragionar d'amore con le compagne, nei suoi colloqui col giovanetto della sua età salta fuori il mondo dorato della gioiosa immaginazione:
I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi,
Onde cotanto ragionammo insieme.


E tutta la vita femminile nel suo fiore, nel suo vago avvenire, il quale esce fuori a sprazzi, quando non è più, e appare con l'impronta dello sparire. Silvia � una stella luccicante in cielo oscuro, che a poco a poco l'annuvola e la involge nella sua oscurità. Il cielo � oscuro, ma tranquillo; non c'� tempesta, non c'è strida; non c'è lamento, non c'� tenerezza. Sei al cospetto di natura muta e formidabile. Qualche lamento della vittima � schiacciato sotto la muta rovina. L'ultima impressione è l'eterno sparire e l'eterno disinganno, con l'impronta del mistero.
Fondere insieme lo sparente e il preciso, l'ideale e il naturale, la chiarezza dell'immagine e il vago del fantasma, sicch� tutto vedi e tutto ti fugge, � il miracolo di questa poesia. Nel suo naturalismo, nella sua chiarezza plastica, nella sua semplicità a dir cose anche le più terribili senti la lunga dimestichezza del poeta cin i greci, che in una concezione essenzialmente romantica lo tenne lontano da ogni maniera del romanticismo.
Maggiore espansione � nella Nerina. Il poeta ritornava da Firenze, rivedeva la sua casa paterna affollata di memorie care e tristi. C'è nei suoi lamenti una effusione tenera; c'� nei suoi ricordi una grandezza artistica d'impressioni; si sente la vita che gli rinasce, il fiato della primavera. Com'erano belli quei primi anni giovanili! E come sono passati rapidamente! Passati, e cosa importa? Egli li ricorda, li pensa, li rivive, li risente, rinato a quei dì. Con lui rinasce Nerina. Anch'ella passò; ora � nel sepolcro. Cosa importa? Tutto gli parla di Nerina; l'immaginazione del redivivo la cava dal sepolcro, la ricrea. E' una Silvia a rovescio. Lì � la vita che va sparendo in seno alla morte. Qui è la vita che riappare in fondo al sepolcro. Il motivo della Silvia è lo sparire. Il motivo della Nerina � il riapparire.

E come è bella, come è piena questa vita che riappare ! Nerina non è morta, ella vive nel mio pensiero, sente in me l'antico amore. Da quella finestra mi parlava; gli occhi lucenti di gioventù, la fronte gioiosa; la vita per lei era una danza; tutta fede, non le pareva mai che potesse finire. Com'era bella, quando si adornava e andava alle feste, quando a primavera portava sul seno il fiore, dono dell'amante l Come le piaceva la vita l com'era contenta a mirare il cielo !l
Questa vita è tutta nel pensiero concitato dell'amante, che illumina il sepolcro, e ti ci fa là dentro sentire ogni illusione di una vita gioiosa femminile. Non sai come, ma quella morta lì te la vedi innanzi danzante, col suo abito di festa, ornata di fiori, e par che dica come la vita è bella! come piace di vivere! La poesia è piena di luce, colorita, vivace, calda, primaverile. Gli è che il poeta è rifatto giovane e considera la vita come giovane, ed � pieno di emozione, rivedendo la casa paterna. Il core risente i primi palpiti, riama la già amata. La risurrezione della vita � in lui reale e seco risorge l'amata:
Seco ritorna a vivere
La piaggia, il bosco, il monte
.

E così ritorna a vivere Nerina. Non maledice più la vita, vendetta dell'impotenza a vivere. La contempla, la vezzeggia, la illumina, la infiora, l'aspira, la gode. Va pur talora a feste, alle adunanze; ha i suoi giorni sereni, i suoi colli odorati, la sua piaggia fiorita, ha i suoi teneri sensi, i tristi e cari moti del core, il suo vago immaginare, gode e sente di godere. Nerina � il riflesso, il riverbero di questa risurrezione primaverile: là nel sepolcro.

Dico nel sepolcro, perch� questa vita nuova scintilla davvero delle ceneri del sepolcro. Non � già una costruzione riscaldata da una immaginazione in delirio, che finga viva quella che � morta. Ella � ben morta, e la sua vita ti appare in lontananza, nel passato, come nel fantasma, accompagnata con i più dolci lamenti, con le più tenere espressioni di affetto -
dolcezza mia - eterno sospiro mio. - Ti appare, ma portandosi nel fianco come uno strale il suo sparire - passasti - sparisti. E non è già un prima e un poi, una storia ragionata di un apparire destinato a sparire, come � la Silvia. E' un simultaneo apparire e sparire, una rimembranza oscurata dalla realtà, una realtà illuminata dalla rimembranza, tutta l'illusione della vita e tutto il disinganno della morte intrecciato, compenetrato, effetti contraddittorii fusi insieme, del presente e del passato in un solo periodo poetico, quel suono lontano di voce, quello scolorire del volto, e quella finestra deserta, e quel mesto raggio delle stelle:
...... quella finestra
Ond'eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
E' deserta. Ove se', che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
Scolorarmi ? Altro tempo. I giorni tuoi
Fùro, mio dolce amor.


Anche qui è accennato al mistero incluso in questo apparire che è uno sparire, e in questo sparire che � uno apparire. -
Spegneati il fato - passasti; ad altri il passar per la terra oggi è sortito. Ma vi è accennato come a un fatto noto e abituale, di cui � vano mover lamento. Il concetto è tutto sprofondato e sommerso nella storia individuale e non se ne stacca, come nella Silvia.

Nerina e Silvia sono il tipo più accentuato delle donne sparenti. La loro vita � un sogno, un fantasma indefinito e muto, fuggente, fluttuante. I nostri antichi rappresentavano la donna anche così, considerando la vita come il velo o l'apparenza del divino o dell'angelico, come il raggio tremulo e sparente della vita eterna e fissa. Scorporavano, idealizzavano la vita, cercavano nell'umano il divino. Davanti a Leopardi non c'è che l'umano e il naturale. La sua donna si compiace delle lodi, ragiona d'amore con le compagne, parla all'amante dalla finestra, si adorna a festa, ha sul seno il fiore, pensiero dell'amante. E non è perciò men bella e men pura e meno ideale. È un ideale umano che nasce dalla morte e dall'amore, i due grandi motivi di ogni poesia. La morte imprime sulla faccia di Silvia quel carattere muto e sparente che rende tutta la sua vita fuggevole, incorporea. L'amore riempie di luce i sepolcri e vi resuscita i morti. Ciò che nei nostri antichi era effetto di fede, era realtà, qui � effetto dell' immaginazione poetica, consapevole di essere immaginazione. La vita è un'immaginazione; la realtà è il morire. L'idealismo antico aveva a fondamento la realtà dell'altro mondo. L'idealismo di Leopardi � una creazione del suo spirito; la sua donna � lui, � il suo riflesso, perch� la vita fu per lui un fantasma.

Questi fantasmi bisogna guardarli di lontano. Se troppo vi avvicinate, li violate. Voi disputate, se Nerina era figlia di un cocchiere o di un cappellaio. Ohimè! mi avete uccisa Nerina. La verità � che Leopardi rimaneva come incantato innanzi a ciascuna donna, perch� vedeva in ciascuna non questa o quella, ma la donna, anzi la donna sua, la creatura del suo spirito. Ciascuna donna era la donna sua, e in verità non era più essa, diveniva la donna sua. Il sentimento reale della donna lo ha colui, che uscito dalla prima immaginazione giovanile e acquistata potenza di affetto, ama la tale donna: questo � amore, questo � il sentimento della donna. Leopardi poetizzava la donna, la trasformava, la faceva una sua creatura, e questa creatura della sua immaginazione gli fuggiva innanzi come un fantasma, come gli fuggiva la vita. Paolo Heise ha voluto dare un corpo a questo fantasma, formare una Nerina propria e vera, che leggeva e gustava le poesie di Leopardi, e comprendeva lui ed era compresa da lui. E ha commesso un peccato mortale, perchè di un colpo mi ha ucciso Leopardi e Nerina. Sono contraffazioni e profanazioni questi tentativi di ricostruzione. Ma possiamo perdonare ad Heise, visto ch'egli pecca, perch� ama, ama molto l'Italia e gli Italiani.

Le donne
sparenti sono oramai sparite. Il giorno che mancò la fede nell'altro mondo, morì Beatrice. E il giorno che Leopardi scoperse nella sua donna la sua idea, morì Nerina. Una signora di spirito mi diceva in Firenze che Leopardi aveva un bello istrumento poetico, ma se lo suonava da solo. La donna non era che lui. E la poesia, come la vita, vuol esser due, l'uomo e la donna. La natura negò a Leopardi la forza di concepire la donna nella sua personalità, la vita nella sua realtà, e l'amore nella sua verità. La vita � pur bella, quando può concepire Nerina; ma la vita � un fantasma, quando Nerina � un'ombra della sua immaginazione. E cerchi Nerina, e trovi Aspasia. Visse il povero poeta di fantasmi e di illusioni, e l'ultima sua illusione fu la donna. E anche questa illusione finì. Morì Nerina, e nacque Aspasia. Morì l'entusiasmo, e nacque l'ironia. La tragedia della vita fu consumata. Mori il reale, e morì la poesia.
Con Aspasia il regno ideale della donna � finito. Comincia la donna reale, nella pienezza della sua personalità. Ma ohim� ! si intravede, ma non si vede ancora.

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