DA
20 MILIARDI ALL' 1 A.C. |
1 D.C. AL 2000 ANNO x ANNO |
PERIODI
STORICI E TEMATICI |
PERSONAGGI E PAESI |
ANNO 755 d.C.
(Vedi
QUI i singoli periodi in
"RIASSUNTI DELLA STORIA D'ITALIA")
*** SAN PIETRO SCRIVE A PIPINO
*** L'OPERA DEL MONACO BONIFACIO
*** PIPINO E LA "NAZIONE FRANCIA"
*** LA LETTERA PERSONALE DI SAN PIETRO - Il re longobardo Astolfo, dopo aver rotto l'accordo con Pipino e il Papa, ha ripreso le ostilità e ha rioccupato Narni. Si appresta a devastare la campagna intorno a Roma, oltre che a minacciare la stessa città. Papa STEFANO invia subito un'altra volta il suo ambasciatore, padre FULRADO (sempre un'abate di Sant Denis) da PIPINO in Francia sollecitandolo nuovamente ad intervenire in Italia.
Nel contempo molti governatori d' Europa e duchi ricevano una lettera dove si dice, non precisando lo scopo, di aiutare il re dei franchi che si appresta a compiere una impresa degna della benedizione divina. Lo stesso PIPINO riceve una lettera da San Pietro in persona che è redatta in questi termini:
"Io Pietro Apostolo di dio che vi ho adottati, vi chiamo e vi esorto alla difesa di questa città di Roma e delle genti a me affidate da Dio e della casa dove io riposo....vi scongiura, vi ammonisce e vi ordina.....portate aiuto, con tutto il vostro potere, ai vostri fratelli, al mio popolo di Roma.....io Pietro vi garantirò la protezione in questa vita .....Non consentite che questa mia città di Roma e i suoi abitanti, siano a lungo tormentati dal popolo longobardo....Suvvia, carissimi figli vi ho avvertiti: se obbedirete presto, grande sarà il vostro compenso, e col mio aiuto vincerete in questa vita tutti i vostri nemici.... ma se, come non crediamo, doveste tardare....sappiate che noi, per autorità della Santa Trinità e in virtù dell'apostolato a me concesso da Cristo Signore, vi escluderemo, per aver trasgredito il nostro appello, dal regno dei cieli e dalla vita eterna, voi e i vostri cari. Firmato: San Pietro Apostolo di Gesù".
Non è affato improbabile che fosse stata stilata dalla stessa mano cui è dovuta la Donazione di Costantino, anche perché la calligrafia é la stessa, alcuni vocaboli erano di quel tempo, l'arrivo della missiva è contemporanea a quella delle altre che abbiamo accennato sopra e che giunsero, anonimamente (veniva dal cielo!) anch'esse a tutti i duchi di tendenza cristiana.
I Franchi non indugiarono oltre è già nel maggio del prossimo anno, li troviamo in viaggio. Astolfo lasciato Roma si affrettò ad andare loro incontro; ma di nuovo non riuscì a fermarli e di nuovo fu costretto a rinchiudersi in Pavia.
Ma Pipino voleva chiudere questa volta per sempre la questione. Assediò la città finché Astolfo capì che ci poteva lasciare la pelle, e venne subito a patti. Cedette un terzo del suo tesoro reale, restituì al Papa le sue conquiste da Ravenna fino ad Ancona, e consegnò all'abate FULRADO le chiavi delle rispettive città che portò quindi a Roma sulla tomba di San Pietro. Nasceva cosi' il "Patrimonio di S.Pietro" Lo Stato Pontificio.
Quando i Franchi ritornarono in patria, l'Esarcato, cosi come Astolfo lo aveva trovato e poi usurpato, era del Papa: Roma e il suo ducato, benché non nominato da Pipino, pure. Dal Po al Liri, e dall'Adriatico al Tirreno quelle ex terre bizantine appartenevano ora a Roma. che però non bastavano a Papa Stefano; si ricordò anche di quelle terre che erano state conquistate dal precedente re dei longobardi, Liutprando, e voleva anche quelle.
Il Papa credeva ancora anche in un aiuto di Pipino ma costui decise che non era più il caso di immischiarsi in certe questioni. E questa decisione sembra ancora strana agli storici, perchè anche quando morì poi papa Stefano e suo fratello PAOLO salì sul soglio pontificio deciso a lottare per le stesse pretese del fratello, Pipino pensò ai fatti propri, e non rispose a nessun appello.
Nonostante varie sollecitazioni, Pipino non si mosse, né il Papa dimostrò del rancore, visto che abbiamo una lista di regali che PAOLO inviava regolarmente in Francia a Pipino, che temporeggia anche se non teme né l'Imperatore bizantino come Costantino V, né il re dei longobardi. Le sue armate erano del resto dieci volte più potenti. Ma Pipino aveva un solo obiettivo, creare la Francia! Non aveva nessun desiderio di conquistare nuovi territori al di là delle Alpi, era alla Francia che voleva dare un aspetto di nazione solida, e per farlo bisognava interessarsi solo ad essa, non a fare il porta armi ad ogni disputa di un ducato italiano, erano fatti loro, non suoi, a lui bastava la Francia!
Pipino lo troviamo infatti ad aprire la Francia alla cultura, e troviamo un documento dove forse in risposta a una implicita sua richiesta, papa Paolo scrive "Vi mando tutti i libri che si è potuto trovare "(e cita i titoli dove vi appaiono i testi scolastici greci; trattati di grammatica, geometria, astronomia, ortografia e le opere filosofiche di Aristotele e di Dionisio) " vi mando anche l'orologio notturno" una singolare sveglia a suoneria inventato dai monaci per le loro alzatacce.
E per sua intercessione (e qui il mistero si infittisce ancora di più) gli fece arrivare da Costantinopoli un organo pneumatico, il primo visto in occidente. Quali rapporti tenessero ancora i papi con i bizantini è quantomai singolare. E perché li tenevano visto che ora negli ex possedimenti era la Chiesa a governare sembra un mistero. L' esarca i papi lo avevano rispedito al mittente anche quando con un'atto di "canto del cigno" Costantino volle inviarne un altro a Ravenna, una città che per Bisanzio non esisteva più.
Sembrerebbe quasi che quando i papi chiedono aiuto al re Franco abbiano voluto dare l'impressione che era pure desiderio dell'imperatore bizantino buttar fuori i longobardi dalle terre bizantine.
Nel frattempo Pipino aveva intessuto rapporti con gli Arabi di Barcellona e di Gerona, con il governatore musulmano della Spagna nordorientale, e perfino con Bagdad dove c'erano gli Abbasside nemici degli Omayyadi in Spagna. Ma anche con questi ultimi Pipino teneva ottimi rapporti.
Riceveva da entrambi ambascerie, dimostrazioni di stima, e tanti tanti doni, persino alcuni professori di teologia e filosofia greca che il califfo di Bagdad si "onorava di inviare in regalo a un sovrano illuminato". Altrettanto faceva il califfo di Cordoba.
Rapporti che si dimostrarono in seguito molto preziosi, perché questi legami e queste aperture ebbero più tardi un grande seguito nello sviluppo culturale del paese franco, mentre invece in Italia, ci chiudavamo tutte le porte del sapere, dei rapporti con le genti, prima con i bizantini, poi con i germani, poi con gli arabi ed infine dividendo l'italia in tanti stati, con gli italiani stessi, che si spaccarono prima in tre territori, poi in 5, infine con i comuni si andò a frantumare tutto il paese, e lo scollamento culturale, economico, politico e linguistico fu totale e non si riprese più. Le lotte in Italia diventarono più solo provinciali, di paese, perfino di quartiere. Il mondo diventava per l'Italia sempre più piccolo, più ristretto, tutto trasformato in piccoli orticelli dove crescevano solo più "teste di rapa" che costruivano steccati così alti da non poter vedere oltre il proprio orticello; in questo clima isolazionista non riuscivano nemmeno più a prendere coscienza dove erano, cosa ci facevano, chi erano.
LA MORTE DI BONIFACIO il VESCOVO - Sempre insofferente di restare in un posto fisso, lui che era di natura un indefesso itinerante, abbandona le comodità di una cattedrale e di un prestigioso monastero come quello che ha creato a Fulda che vale dieci cattedrali per l'importanza che essa riveste in tutto il territorio, e si trasferisce in Frisia a fare opere missionarie, qui però incontra pagani che gli sono ostili fino al punto di ucciderlo. Finisce così nel martirio un personaggio che per l'intera Europa ha fondato monasteri, ha manovrato affari della Chiesa, ha influenzato re, papi e governanti, e ha impregnato di cultura le sue abbazie, popolandole di monaci, e facendo loro arrivare migliaia di volumi da studiare da commentare, da copiare.
Alla fine volle cercare tra i pagani della Frisia la corona del martirio a cui aspirava, e fu accontentato.
Bonifacio aveva progettato un capolavoro per il papato, ma alla fine il capolavoro rimase nelle mani del solo Pipino, che andò molto al di là dei suoi stessi progetti, perché non aveva costruito solo un "suo" regno ma aveva costruito il regno dei francesi, che anche nelle successive vicende nel bene e nel male rimase una nazione unita, e costruì su di essa con quelle porte aperte sul mondo contemporaneo, una sua cultura, una sua lingua, una sua identità. Seppe la Francia cogliere nel momento più critico della sua formazione, l'attualità del mondo che la circondava, senza remore, pregiudizi politici e religiosi, guardando sempre avanti e conservando una dinastia di re che seppero poi farla ancora e sempre più grande, non solo come territorio ma come apertura mentale nel raccogliere tutte le sfide successive, sapendosi non isolare ma solo distaccare dal resto d'Europa quando sopraggiunse prima la crisi araba in Spagna, poi la crisi del Papato, infine la Riforma.
Toccò i vertici della sua grandezza nel 1600, e andò a scuotere nel 18mo secolo tutte le coscienze d'Europa mentre l'Italia si trascinerà fino al 1871 il fardello delle scelte fatte in questo periodo. Queste tardivi vagli e le divisioni che sortirono, incise profondamente nel Paese. In mille chilometri di territorio troviamo nelle risposte caratteriali delle popolazioni di alcune regioni molto diverse: intraprendenza e rassegnazione; serenità e ansia; operosità e pigrizia; credito e discredito; ordine e confusione; affidabilità e superficialità; austerità e ostentazione; autorità costituita e potere ombra.
Papa Stefano per creare il suo regno si rivolse ai francesi lasciando però al loro destino il meridione. E i francesi dopo aver dato il loro contributo si disinteressarono del "dopo" in Italia, guardarono al loro paese, alla sua crescita. Pipino mentre Stefano e Paolo continuarono ciechi nella distruzione di una identità che doveva e poteva rimanere romana dalla Sicilia alla Lombardia, Pipino in Francia perfezionò quelle indicazioni che gli erano venute paradossalmente proprio da Bonifacio. Non risparmiò energie in patria, e proprio in questi tre quattro anni, tra le due spedizione in Italia, si dedicò a una intensa attività legislativa. In quattro sinodi quasi consecutivi del SUO clero, perfezionò l'opera di Bonifacio, mettendo subito in chiaro che nella chiesa franca la corona manteneva la supremazia, e che preti, frati e monache non dovevano lasciare il loro posto che gli era stato assegnato da Dio e che aveva prescelto lui come Re, e che quindi loro dovevano (e fece fare ispezioni severissime ) dedicarsi solo e nient'altro che ai doveri religiosi mentre il loro sovrano ai doveri dello Stato. Un confine preciso di poteri, dove di potere temporale non c'era più nulla. Pipino si rivelò il Bonifacio controcorrente, con un'inversione di marcia.Chiudiamo con la personalità di questo re, anche se poi parleremo ancora delle sue gesta militari. Morì non ancora cinquantacinquenne e volle essere sepolto a Saint Denis dove aveva passato l'infanzia. La sua vita fu "breve" ma proficua. La sua fama indebitamente fu eclissata dal successore, suo figlio Carlomagno, ma tutto ciò che il figlio portò a termine era stato iniziato dal padre; uomo vigoroso, astuto, pratico, che fu al tempo stesso condottiero e primo ministro; senza cedimenti ma non crudele, religioso ma mai cieco bigotto, capace di agire a breve termine ma anche capace di aspettare pianificando a lungo termine. A suo figlio non lasciò solo un regno ma una politica. E chi studia tutta la Storia della Francia, in ogni regnante illuminato, trova l'ombra di Pipino, che tutti i soprannomi gli si poteva dare, meno che quello con cui è passato alla storia, il "breve".
Forse perchè visse troppo brevemente per vedere quanto aveva realizzato, né riuscì a realizzare ciò che aveva in mente. I suoi sudditi avrebbero voluto per almeno altri 200 anni un tipo del genere. In ogni casa francese, in ogni costruzione legislativa, economica e culturale ci sono riforme con le fondamenta in buona parte fatte da Pipino; e se in alcune fu subito completato l'intero edificio, in altre rimasero le solide fondamenta dove i francesi costruirono poi il resto, la loro identità e quindi anche il loro orgoglio. Costruirono la "nazionalità". Non è facile definire l'esatto significato del termine "nazionalita'", ma si puo' dire che all' inizio di questo periodo, in questi anni 755-800 i francesi ebbero una percezione ben netta della loro differenza dagli inglesi, dai tedeschi, e dagli italiani-latini.
Ancora oggi, mentre si sta varando la Costituzione Europea, il francese Giscard d'Estaing, gli preme dire che Carlo Magno oltre che un capo politico dell'Europa fu un Capo spirituale.C'e' anche quella questione generale che vuole che le crociate ebbero una importanza notevole - con lo sviluppo del commercio- nello sviluppo del progresso. Troviamo invece che proprio in queste vennero fuori una differenza di mentalità che accentuarono il senso di unità nazionale, come pure le ostilità tra le nazioni che vi parteciparono. Nel resoconto di Odo di Deuil nel 1146 vediamo questo odio-invidia che ci va vedere tutta la divisione e la rivalità che esistevano nelle armate miste della cristianità in viaggio verso Gerusalemme.
C'era in sostanza una differenza culturale che li divideva: il "Sapere" che nella corte carolingia si era già sviluppato e anticipò di due tre secoli gli altri Stati. Dalle abbazie francesi i testi non furono solo copiati e riposti in altri monasteri, ma ebbero una grande diffusione nella nazione. Sulle orme della scuola patavina sorse poi l'Università di Parigi.
A San Martino di Tours fu inventata anche una forma di scrittura per la copiatura dei testi, la minuscola "carolina", che confinata in Francia e lì lasciata (era una delle piu' importanti riforme dell'epoca carolingia) molto più tardi, tre secoli dopo, con l'umanesimo si diffuse in tutta Europa prendendosi la rivincita sul gotico illegibile, e pochi sanno che la "carolina" fu la progenitrice dei comuni caratteri a stampa che poi Gutemberg adottò. E sono quelli che state leggendo ora in queste pagine.L'accenno alle biblioteche delle abbazie che nell'epoca carolingia ebbero grande importanza, le liste dei volumi che esse contenevano ci indicano che il sapere era in circolazione in un modo straordinario. A Fulda, a San Gallo, Saint Denis, Corbie, Reichenau, Sain Riquier, Fleury, Laon, Liegi, in parte fondate tutte da quel Bonifacio sono tutte di indiscutibile importanza. Dentro esse troviamo nomi che vi operano che hanno lasciato il segno in tutta Europa: Valfrido soprannominato Strabone, Paolo Diacono; Eginardo, Alcuino, Angilberto, Teodolfo, Beda, Aldelmo che operano in questi anni, hanno nei loro scaffali le opere di Cesare, Tacito, Lucrezio, Giovenale, Plinio, Svetonio, Marziale, Livio, Terenzio, Virgilio, Cicerone.
E se papa Paolo I invia (senza conoscerne il contenuto, lui non conosceva né il greco nè l'arabo) a Pipino alcuni libri di Aristotele, dalla Spagna, prima Pipino poi Carlomagno, altri numerosi libri non se li fecero arrivare a caso, ed erano già tradotti in latino. Carlomagno (che sembra conoscesse poco l'alfabeto) farà di Alcuino la figura centrale di questa riorganizzazione culturale.
Figura di primo piano come organizzatore e amministratore oltre che per il suo fascino personale, costui che scriveva, ma soprattutto leggeva, con uno stuolo di collaboratori promuove la rinascenza carolingia in un modo tutto suo, e questo suo metodo è guarda caso la tradizione fondata da tempo e che lui trova nei testi filosofici antichi che gli arrivano dai suoi amici che ha a Cordova, Siviglia,Toledo, Barcellona dove allora esistevano copisti statali che producevano migliaia di volumi al giorno dentro le biblioteche di stato, con dentro scaffali che allineavano milioni di libri con dentro tutto lo scibile umano dell'allora antico e nuovo mondo conosciuto.La mole degli scritti fatti eseguire e copiare in scrittura "carolina" fu enorme, soprattutto opere sulla scolatica, sulla retorica sulla dialettica. E non fece tutto questo per caso. Il figlio di Pipino emise una ordinanza imperiale, con un preciso progetto di acculturazione della Francia, per completare il grande disegno politico iniziato dal padre.
Pipino era e rimase il "Breve" solo in Italia, infatti in molte enciclopedie gli vengono dedicate "brevi" righe, per lo più inerenti la sua frettolosa (e proficua solo per il papa) campagna in Italia. Nulla di tutto il resto, mentre nelle Enciclopedie francesi se ne parla per pagine e pagine, e politicamente è riconosciuto come uno dei padri della patria.
Come del resto, poco si parla di Bonifacio; si accenna solo che era un monaco missionario, mentre come figura politica e come influenza religiosa è presente in ogni altra parte d' Europa, e viene considerato come una delle più grandi figure della storia medioevale di tutto il centro e Nord Europa. Bonifacio aveva perfino superato i sogni di Gregorio Magno, il caparbio monaco-papa, che accarezzava l'idea di portare il cristianesimo nell' Europa del Nord, ai Franchi ai Germani, agli Inglesi.
Nella pianura Padana l'effetto Longobardo-Carolingio modificò tutta la struttura sociale, facendo compiere passi da gigante a tutto il territorio, mentre il sud per volontà di alcuni regnanti, seguiterà a sprofondare nell'apatia. Riemergerà poi nel periodo d'oro degli Arabi in Sicilia, e in quello d'oro dei Normanni, toccando l'apice con Federico II. Poi nuovamente la decadenza.
La scolarizzazione in Francia toccò nel periodo carolingio il 48% per poi salire sempre di più, mentre in Italia era precipitato all 8%, e dopo 1076 anni, nel 1836 nel meridione era ancora al 7,5%.La scolarizzazione dell' 8% in Italia erano valori costanti diffusi in tutto il territorio, poi dagli anni di Carlomagno, scaricato il sud ai bizantini, traditi e abbandonati al loro destino, il meridione segue le sorti bizantine per circa duecento anni, finché all'arrivo degli arabi, risalgono in due tre generazioni al 40 %, per poi nuovamente precipitare al 7,5 % del 1836 citato. Nel frattempo alla stessa data la Lombardia toccava il 58%, anche se in Germania si sfiorava già il 97%.
Purtroppo in Italia, passato il tornado napoleonico, si scriveva ancora nei primi anni dell'Ottocento: "in quanto chiedermi che il volgo sappia leggere e scrivere io proprio lo disapprovo, ne so scorgere quale utilità ne possa risultare al bene pubblico" (Trattato dell' "Educazione Politica e Cristiana" di Silvio Antoniano Cardinale di S. Chiesa scritti a istanza di San Carlo Borromeo, 1821 edit. Pogliani-Milano).
Lo stesso autore inizia la prefazione-dedica all' Eccellenza Reverendissima, scagliandosi sui libri perniciosi: "La moltitudine dei libri degli odierni e vecchi filosofi, che specialmente da circa otto lustri infesta l'Europa, e la tanto reiterata riproduzione di talune altre opere perniciosissime alla religione, nonché al buon ordine della pubblica tranquillità dello Stato, sono, Eccellenza Reverendissima, quelle impure scaturigini di pestifere dottrine, che pervertirono una gran parte de' cuori de' giovani, e che rendettero tanti uomini malvagi. Ed è deplorabile il vedere a nostri giorni che giovani imberbi già pretendano di essere profondi riformatori politici sotto l'egida di talune perniciosissime opere, imbevute di falsi sistemi, procurino rovesciare ogni buon ordine nell'umana società. Da sì luttuoso apparato.....vorrei rimuovere lo scandalo che inonda il mondo con questa mia opera ......" Era 1821 !
Il commento lo faccia il lettore e si chieda se in queste condizioni si poteva in Italia far crescere una cultura, una unità, una nazione. Chi volle tentare finì o impiccato o terminò i suoi giorni nelle oscure galere, bollati come "ribelli", "sovvertitori", "traditori", "terroristi","cospiratori", "briganti".
Pensate solo un momento cosa sarebbe successo se Astolfo avesse preso quest'anno Roma, e visto i buoni rapporti con Pipino quanti e quali sinergie ci sarebbero state fra i due paesi che stavano riscoprendo la cultura. Astolfo non si sarebbe fermato a Roma, avrebbe riconquistato tutto il sud; e i Siciliani, i Calabri, i Pugliesi, non aspettavano altro che riunirsi con Roma e rivivere lo spirito "romano", che avevano del resto innescato loro quando da Siracusa, da Crotone, da Agrigento, il faro della Magna Grecia aveva cominciato a risalire la penisola, e poi ancora più sù, fino a Magonza, a Colonia, a Parigi, a Londra.
Furono invece buttati nel mare di Costantinopoli e lì lasciati a divenire solo e nient'altro che terre di scambio, isolati ormai dal settentrione anche dal cuscinetto dello Stato Pontificio, che impediva e li tagliava fuori dai fermenti che provenivano dal nord dell'Italia e dell'Europa.