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CRONOLOGIA

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ANNI 616 - 579 a.C 

ROMA ORIGINI
(secondo gli scrittori antichi)

REGNO DI TARQUINIO PRISCO
( 129 - 167 Anno di Roma - 616-579 a.C. )

(da Tito Livio, Istorie)

Sotto il regno di Anco Marzio venne a stabilirsi a Roma Lucumone, uomo di grande attività e di ricchezze, potente, mosso da ardente desiderio e dalle speranze di grandi onori, che non aveva potuto conseguire a Tarquinia, essendo pure là d'origine forestiera. Era figlio di Damarato da Corinto, il quale, fuggito dalla patria per sconvolgimenti, si era fermato a Tarquinia. La moglie sua Tanaquilla, donna d'alto lignaggio, era tale da non soffrire che la casa dov'era entrata, fosse da meno di quella da dov'era uscita. Ma gli Etruschi disprezzando Lucumone, come uomo nato da profugo forestiero, la donna non poté soffrirne l'affronto; e, dimentica del rimpianto amore verso la patria,
pur di vedere il marito onorato, prese la decisione di abbandonare Tarquinia. Roma le parve il luogo più a suo genio. In mezzo a un popolo nuovo, dove la nobiltà sorge improvvisa dal merito, non doveva mancar posto ad un uomo di valore e risoluto come il suo. Non aveva regnato Tazio che era di origine sabina, non era stato chiamato Numa al trono dalla città di Cure, e non era Anco Marzio di madre Sabina, senz'altra prova di nobiltà che l'effigie di Numa? Tanto più facilmente lo persuase poiché il marito era avido di onori; inoltre Tarquinia non era la sua patria, lo era solo dal lato di madre.
Presero dunque i loro averi e migrarono a Roma. Erano omai giunti al Gianicolo, quando, sedendo egli in cocchio con la moglie, un'aquila, abbassatasi adagio adagio con le ali tese, gli tolse il cappello, e, svolazzando di sopra al cocchio con grande schiamazzo, quasi mandata dal cielo per tal ufficio, glie lo ripose acconciamente sul capo; indi, levandosi in alto sparì.

Si sostiene che Tanaquilla, donna, come sono comunemente tutti gli Etruschi, pratica dei segni del cielo, accogliesse lietamente l'augurio. Abbracciando il marito, l'invitò ad alte e sublimi speranze, dicendogli quale era 1'uccello, di qual parte del cielo era venuto, di qual dio messaggero mandato, e che aveva fatto l'augurio intorno al vertice dell'uomo, levandogli l'ornamento soprapposto al capo e restituendolo per volontà del dio.
Con tali speranze, con tali pensieri nell'animo entrarono in città, e prendendovi domicilio, l'uomo prese il nome di Lucio Tarquinio Prisco. Ragguardevole lo resero presso i Romani la novità e le ricchezze; ed egli stesso aiutava la fortuna col benigno parlare, con la cortesia degl'inviti e conciliandosi con benefizi quanti più poteva, finché ne giunse voce anche alla reggia; né molto andò, che, sostenendo presso il re incarichi senza mercede e con destrezza, già aveva mutato le sue conoscenza in rapporti di intimità, sicché assisteva abitualmente ai pubblici e ai privati consigli di pace e di guerra; e, data di sé in ogni occasione buona prova, fu finalmente lasciato per testamento tutore dei figli del re.

Anco Marzio regnò ventiquattr'anni, pari a qualunque dei re precedenti nell'arti e nella gloria della guerra e della pace. I suoi figli, quand'egli morì, erano quasi vicini all'età di maggiorenni; n'approfittò Tarquinio, e subito si tennero i comizi per la nomina del re.
Come furono banditi, allontanò da Roma i due ragazzi con il pretesto di mandarli a caccia. Dicesi che egli era il primo che intrigasse per esser fatto re, e che pronunciò un discorso tutto volto a conciliarsi gli animi della plebe: non era una cosa nuova, né era il primo, onde potesse qualcuno meravigliarsi e dolersi, ed era il terzo straniero che aspirava a regnare in Roma. Tazio non solo era straniero, ma era anche di nemico eppure era stato creato re; Numa, ignaro di Roma, e senza che lo chiedesse, era stato chiamato al trono. E così lui appena fu arbitro di sé stesso, era venuto a Roma con la moglie e con tutti gli averi; quella parte di età in cui gli uomini occupano gl'impieghi civili, lui l'aveva vissuta più a Roma che nella vecchia sua patria; aveva imparato nella città e nel campo le leggi e i riti romani sotto un non spregevole maestro, ma sotto lo stesso re Anco Marzio; in ossequio, e lealtà verso il re aveva gareggiato con tutti, e col re stesso in cortesia verso gli altri. Non erano false le cose che Tarquinio rammentava, e perciò il popolo di comune consenso lo elesse re.
Conseguito il trono, Tarquinio, dopo una vittoria sui Latini, celebrò dei giochi i più ricchi e i più fastosi di quelli dei re precedenti. Si segnò allora per la prima volta lo spazio per il circo che ora è detto Massimo, ed ai senatori e ai cavalieri furono assegnati posti da dove su palchi sorretti da sostegni, alti da terra dodici piedi potessero vedere. Lo spettacolo era di cavalieri e pugilatori, chiamati i più dall'Etruria. Questi giochi rimasero poi stabili e si facevano ogni anno, detti, secondo i casi, Romani o Magni. Lo stesso re ripartì tra privati alcuni spazi presso il foro, per innalzarvi edifici e vi fece costruire logge e botteghe.
[In seguito il re Tarquinio, aumentato l'esercito, condusse importanti guerre vittoriose contro Sabini e Latini].
Poi con più maggior sforzo di come aveva condotte le guerre, si diede alle opere di pace, affinché il popolo non stesse a casa inoperoso dopo essere stato al campo. Prese dunque a cingere la città, là dove non era ancora fortificata, di alte mura di pietra; all'inizio questo lavoro era stato interrotto dalla guerra coi Sabini. Tramite cloache condotte in pendio che sboccavano poi nel Tevere, asciugò i luoghi più bassi intorno al Foro e gli altri avvallamenti che erano frapposti alle colline, e che non potevano agevolmente scaricar l'acqua stagnante. Voleva edificare sul Campidoglio un tempio a Giove, che era un voto fatto durante la guerra con i Sabini, e già presagendo nell'animo quale sarebbe stata un dì la grandezza di quel luogo, preparò lo spazio delle fondamenta.

(Da Tito Livio,  Istorie, I, Trad. L.Mabil-T.Gironi - Ed. Paravia)

Fonti:
ERODOTO, STORIE
STRABONE, STORIA ROMANA
TITO LIVIO, ISTORIE
CASSIO DIONE - STORIA ROMANA
+ BIBLIOTECA DELL'AUTORE

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