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GRECIA - STORIA

ALESSANDRO MAGNO
LA GRANDE SPEDIZIONE IN ASIA (327-325 a.C.)

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( Testi di ALESSANDRO CONTI - Scritti e concessi gratuitamente a Cronologia)
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L'INVASIONE DELL'INDIA (Estate 327-Primavera 326) - LA CAMPAGNA CONTRO PORO (Primavera 326) - LA BATTAGLIA DELL'IDASPE (Maggio 326) - MARCIA SULL'IFASI (Estate 326) - PREPARATIVI PER LA DISCESA DELL'INDO (Novembre 326) - LO STERMINIO DEI MALLI (Novembre 326- Febbraio 325) - VERSO L'OCEANO (Marzo-Luglio 325)
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L'INVASIONE DELL'INDIA (Estate 327-Primavera 326)

Prima di varcare il passo Khyber e entrare in India, Alessandro sentì il bisogno di riorganizzare l'armata che aveva guidato attraverso l'Iran e la Battriana e di adattarla al clima e al terrno differente. Bruciò tutti i carriaggi colmi di bottino che impedivano la sua mobilità e congedò un gran numero dei suoi veterani ormai inutilizzabili, riforgiando la sua armata con l'impiego di parecchie migliaia di cavalieri iranici. Le forze combattenti ammontavano a circa 40000 uomini, mentre gli ausiliari e i non combattenti portavano il totale a 120000 uomini. Dopo aver varcato un'altra volta la catena dell'Hindu Kush, prendendo la strada di Bamian e della Valle di Ghoroband, Alessandro divise le sue forze. Mentre le truppe pesanti, al comando di Perdicca ed Efestione, mossero insieme ai bagagli attraverso la valle del Kabul fino all'attuale Charsadda, Alessandro alla testa di truppe armate più alla leggera si spinse più a nord, attraverso le regioni dello Swat, abitate da popolazioni montanare indiane estremamente bellicose e restie a sottomettersi. Arriano e Curzio ci raccontano di innumerevoli cittadelle sottomesse durante la marcia, in genere impossibili da identificare con villaggi moderni. La maggiore impresa della spedizione fu la cattura di Aorno, una fortezza posta su un picco apparentemente inaccesibile, vicino alla valle dell'Indo. Nello stesso tempo, Perdicca ed Efestione che, avevano compiuto un percorso più facile, avevano costruito un ponte sull'Indo, e su esso, nella Primavera del 326, Alessandro passò nel territorio del Punjab, che come dice il nome, è una regione composta da cinque fiumi, affluenti dell'Indo che convogliano su di esso le acque della catena Hymalaiana.

LA CAMPAGNA CONTRO PORO Primavera 326

Il territorio in cui era penetrato l'esercito macedone era dominato da tre potentati: quello di Ambhi che si estendeva tra l'Indo e L'idaspe (Jhelum), che aveva in Taxila la sua capitale, quello di Poro (Paurava), tra l'Idaspe e l'Acesine (Chenab), e quello di Abisare, situato a nord-est di quello di Poro, ai confini dell'attuale Kashmir. Nella Primavera del 326Alessandro entrò nel regno di Ambhi, da lui poi ribattezzato Taxila, e ricevette un'accoglienza amichevole dal sovrano, che lo equipaggiò con elefanti e truppe. I regni di Taxila e Poro erano in relazioni ostili e per questa ragione Alessandro poteva contare in Taxila come un valido alleato. Poro non era rimasto inerte e si era preparato a respingere l'inevitabile attacco con tutte le forze del suo regno, mentre Abisare preferì una tattica più attendista, pronto a soccorrere il vincitore dello scontro che si andava profilando. Alessandro raggunse l'Idaspe, proprio mentre stava iniziando la lunga stagione delle piogge monsoniche e il fiume si stava gonfiando. Sull'altra sponda il Re indiano aveva schierato le sue truppe al completo, circa 30000 uomini e 200 elefanti, che costituivano la sua arma più temibile. Attraversare il fiume su zattere davanti al nemico non era un piano che avesse prospettive di successo, perché l'esercito sarebbe stato attaccato appena uscito dal fiume senza potersi schierare, e gli uomini e i cavalli sarebbero stati spazzati via dagli elefanti; bisognava cercare un guado non sorvegliato. Dopo avere tenuto desta l'attenzione del nemico con falsi attacchi, guidati da piccoli "commandos" di truppe, Alessandro ordinò ai suoi soldati di fare un rumore continuo e spostarsi in continuazione, in modo da abituare gli Indiani a non dare troppo peso a queste continue manovre. Poi, dopo avere lasciato Cratero al comando del corpo principale dell'armata, guidò una forza d'assalto composta da 5000 cavalieri e 6000 fanti equipaggiati con barche e zattere, verso un guado, situato una ventina di chilometri più a monte del punto in cui era accampato l'esercito indiano.

LA BATTAGLIA DELL'IDASPE. Maggio 326

Il guado si presentava particolarmente difficile: erano iniziate le piogge monsoniche e il fiume stava rapidamente crescendo di livello; i fanti e i cavalieri si videro costretti ad attraversare con l'acqua fino al petto e pure i cavalli soffrirono non poco la violenza della corrente. Una volta passati tutti senza perdite, Alessandro dispose le truppe per la marcia, con gli arcieri e la cavalleria in testa, mentre la fanteria seguiva in formazione. Gli esploratori indiani avevano informato re Poro che gli invasori avevano forzato il fiume, ed egli, probabilmente non consapevole della reale consistenza del corpo di sbarco, inviò contro di loro un contingente composto da 2000 cavalieri e 120 carri, guidati dal suo stesso figlio, che si rivelò inadeguato al compito. Gli Indiani si batterono coraggiosamente ma furono alla fine sconfitti e volti in fuga perdendo tutti i carri, mentre lo stesso figlio di Poro cadde in battaglia. Una volta appreso l'esito dello scontro Poro capì che la minaccia principale veniva da Alessandro e non dalle truppe macedoni ancora schierate dall'altra parte del fiume, per cui risolse di muovere l'intero esercito contro di lui, dopo avere lasciato una schiera esigua a custodia del fiume di fronte a Cratero.

Ecco come Arriano descrive la battaglia:

"Come (Poro) s'imbatté in un terreno dove non si vedeva fango, reso invece completamente uniforme dalla sabbia e resistente alle irruzioni e alle conversioni dei cavalieri, là dispose l'esercito. Primi sul fronte erano gli elefanti, distanti l'uno dall'altro un centinaio di piedi per costituire una linea sul fronte dell'intera falange e suscitare ovunque il terrore nei cavalieri di Alessandro.. Dopo gli elefanti Poro schierò la fanteria, non sul medesimo fronte delle bestie, ma in seconda linea, in modo che più o meno le schiere risultassero inserite negli intervalli. Al di là degli elefanti egli aveva disposto fanti anche sui lati, mentre su ciascun lato della fanteria sistemò la cavalleria e davanti a questa, su ambo i lati, i carri." Alessandro di fronte ad uno schieramento di questo genere, che si presentava inespugnabile frontalmente, attese dapprima alcuni reparti che avevano guadato il fiume successivamente e che, una volta arrivati portarono la forza della sua falange a 10000 uomini, poi sempre secondo Arriano:

"Essendo superiore nella cavalleria, ne prese la maggior parte ela spinse contro l'ala sinistra dei nemici, volendo attaccare in quel punto. Quindi inviò Ceno sul lato destro con la formazione della cavalleria sua e di Demetrio, con l'ordine di incalzare i barbari non appena essi, vedendo la loro massa di cavalieri, fossero avanzati sul fianco con i loro. Alessandro quindi affidò il comando della falange dei fanti a Seleuco , Antigene e Taurione, ma ordinò di non prendere parte all'azione prima di aver visto la falange dei fanti e dei cavalieri nemici scompigliati dalla sua cavalleria." Già si trovava a tiro di freccia ed inviò gli arcieri a cavallo, circa 1000 sul lato sinistro degli Indiani per sconvolgere i nemici schierati in quel punto con il fitto lancio dei dardi e la carica della cavalleria. Poi egli stesso si spinse celermente sul lato sinistro con i cavalieri eteri..Intanto gli Indiani radunarono i cavalieri da ogni parte e cavalcarono parallelamente ad Alessandro per contrastarne l'attacco. Allora gli uomini di Ceno, secondo gli ordini ricevuti, apparvero alle loro spalle..così gli Indiani non riuscirono a sostenere l'urto dei cavalieri di Alessandro ma furono risospinti verso gli elefanti, come verso un muro amico."

A quel punto con la cavalleria invischiata in mezzo alla fanteria e agli elefanti, l'esercito di Poro pareva caduto nella confusione, per cui alla falange Macedone parve opportuno attaccare frontalmente. Tuttavia la resistenza degli elefanti non fu piegata facilmente. Le bestie, colpite dai dardi e dalle frecce e impazzite dal dolore presero a calpestare amici e nemici, ma quelle che caricarono la falange riuscirono a penetrarvi dentro, nonostante la barriera delle sarisse, e menarono strage tra i fanti macedoni. Alcuni ufficiali come Seleuco non avrebbero mai più dimenticato il terribile combattimento e la forza degli elefanti Indiani, e in seguito avrebbero cercato in tutti i modi di entrarne in possesso, considerandoli un'arma risolutiva. L'impasse della battaglia fu risolta da Cratero che fece guadare il fiume al grosso dell'esercito e piombò sugli ormai spossati Indiani. Essi non vennero meno perché il loro sovrano combatté indomito fino alla fine. Tuttavia, dopo avere perso altri due figli e molti degli ufficiali e dignitari del regno, ferito in più punti, decise di venire a patti.

Alessandro, anche perché colpito dall'orgogliosa risposta di Poro, che quando gli fu chiesto che sorte desiderasse, rispose di volere essere trattato da Re, non solo gli risparmiò la vita, ma gli aggiunse altro territorio, oltre a quello che già possedeva, e lo riconciliò con Taxila. Per festeggiare la vittoria Alessandro ordinò la fondazione di due città, Nicea e Bucefala; quest'ultima in ricordo del suo valoroso cavallo Bucefalo, caduto in battaglia.

MARCIA SULL'IFASI (Estate 326)

Il successo fu celebrato anche da un'emissione di decadracme d'argento raffiguranti Alessandro a cavallo che impugna una sarissa contro Poro, che si ritira sul suo elefante, mentre sul retro Alessandro, in veste di Re dell'Asia, appare con un fulmine in mano. La vittoria, nonostante fosse stata ottenuta sopra uno dei tanti regoli della regione, gli fece davvero credere che fosse la consacrazione della sua spedizione, e con un ulteriore appello ai suoi soldati, li spinse a fare un ultimo sforzo per raggiungere i confini dell'Oceano che riteneva ormai prossimi. Eppure, nonostante un mese di riposo, le continue piogge monsoniche, iniziate a Giugno, erosero lentamente il morale dei suoi soldati che mostrarono ben poca gioia nel riprendere la marcia. Alessandro ricevette doni propiziatori da Abisare, varcò altri due fiumi del Punjab, l'Acesine e l'Idraote, sottomise le tribù a oriente di questo fiume ed espugnò la città di Sangala, sterminando le popolazioni che gli opponevano resistenza. Il tutto mentre perduravano le insistenti piogge monsoniche che facevano marcire armi ed equipaggiamento dei soldati e che causavano la proliferazione di serpenti ed animali molesti che rendevano penosa e pericolosa la marcia. Avvicinandosi all' Ifasi, il quarto fiume del Punjab, iniziò a ricevere rapporti che contraddicevano in pieno la sua convinzione di essere vicino ai confini della terra. Oltre il Punjab si stendevano altre terre e altri popoli intorno al fiume Gange e si mormorava dell'esistenza del regno dei Gandaridi il cui Re era in grando di schierare un numero di soldati e, soprattutto, di elefanti di parecchie volte superiore all'esercito di Poro. La prospettiva di combattere battaglie su scala ancora più vasta di quella dell'Idaspe, che aveva procurato ai Macedoni un sacro terrore per gli Elefanti e un certo rispetto per le capacità combattive degl Indiani quando ben guidati, li indusse a manifestare con un silenzio passivo un forte dissenso nei confronti del loro sovrano. Riuniti nell'assemblea militare avevano il pieno diritto di porre veti ad Alessandro e questi poteva convincerli, ma non obbligarli a proseguire. Alessandro parlò al cuore dei suoi veterani macedoni, ma nemmeno il suo carisma e la sua eloquenza fecero il miracolo di convincere uomini ormai logorati da anni di fatiche e spaventati dall'idea di sopportarne di più gravi a vargare l'Ifasi. Per bocca di Ceno, valoroso e provato ufficiale, l'esercito macedone comunicò la sua intenzione di non proseguire. Alessandro se voleva arrivare al Gange poteva contare solo sulle sue truppe asiatiche, che, pur componendo la maggior parte dell'esercito, non erano sufficientemente sicure ed affidabili. La tradizione racconta che per tre giorni rimase ritirato nella tenda, inaccessibile persino ai suoi amici. Il quarto giorno cedette: fece celebrare dei sacrifici per conoscere la volontà degli Dei circa il proseguimento dlla marcia e questi diedero risultati contrari. Ora che aveva un pretesto onorevole per motivare la sua ritirata, fece costruire dodici giganteschi altari agli Dei che lo avevano assistito nella sua avanzata fino all'India e diede ordine di ritornare verso l'Indo. Il valoroso Ceno morì di lì a poco per una malattia presa nel malsano ambiente Indiano e Alessandro gli tributò un grandioso funerale.

PREPARATIVI PER LA DISCESA DELL'INDO Novembre 326

Il ritorno in occidente non si svolse lungo la via percorsa all'andata. Se Alessandro non ebbe successo nel convincere il suo esercito a procedere oltre l'l'Ifasi, riuscì tuttavia a spingerlo a percorrere l'Indo fino alla foce. In un modo o nell'altro voleva raggiungere i confini dell'Oceano e soprattutto verificare se esistesse una rotta, percorribile dalle navi, che collegasse l'India al Golfo Persico e all'Egitto. La parte seguente del viaggio avrebbe avuto quindi un carattere esplorativo; con l'aiuto della manodopera fornita dai suoi nuovi alleati indiani e dei genieri al seguito del suo esercito sarebbe stata allestita una grande flotta per discendere il fiume Indo fino all'oceano. La prima esigenza di Alessandro fu di salvaguardare i territori sottomessi o alleatisi con lui, in modo da pararsi le spalle. Filippo, figlio di Machata, controllava come satrapo la linea di comunicazione verso la Battriana, la regione della valle del Kabul e una fetta di territorio a est del fiume. Taxila, Poro e Abisare furono confermati nei loro possedimenti in cambio dell'aiuto fornito per la costruzione di navi e per il rifornimenti dell'esercito. Prima di intraprendere conquista dell'India Meridionale, l'esercito ricevette ulteriori rinforzi dall'Europa: 7000 fanti mercenari assoldati dal tesoriere Arpalo, 6000 cavalieri dalla Grecia e dalla Tracia e ben 23000 fanti Greci, nonché due tonnellate e mezzo di rifornimenti medici e 25000 armature istoriate d'oro e d'argento che fece subito distribuire ai suoi fanti scudati. L'imponente esercito che con i nuovi complementi aveva sicuramente compensato le perdite d'inizio campagna, era ora affiancato da una poderosa flotta che tra barche, zattere e vere e proprie navi assommava a 18000 unità, allestita in un tempo veramente breve, prima dell'inverno del 326. Partendo dal dominio di Re Poro la flotta iniziò a discendere l'Idaspe, mentre l'esercito la seguiva appresso diviso in tre reparti al comando di Efestione, Cratero e Filippo.

LO STERMINIO DEI MALLI (Novembre 326- Febbraio 325)

Se c'erano ancora dei dubbi divenne ben presto chiaro che gli invasori Macedoni non erano benvoluti in India. Le popolazioni che abitavano la parte meridionale del Punjab non erano rette da regoli locali, ma avevano un governo repubblicano ed erano perennemente in lotta fra loro. Alessandro sottomise con una certa facilità le popolazione dei Sibi edegli Agalassi, ma trovò ben presto una resistenza maggiore nelle popolazioni successive. Visto il comune pericolo incombente le tribù più importanti, quelle degli Ossidraci e dei Malli, che abitavano intorno alla confluenza dell'Acesine con l'Idraote, avevano deciso di sospendere le loro lotte e, unirsi contro il nuovo pericolo, fortificandosi nelle loro cittadelle. Alessandro a quanto pare non volle scendere a compromessi e decise di dare un esempio di terrore, sterminando ogni volta la popolazione delle città che riusciva a prendere d'assalto. I Malli si opposero con risolutezza ma senza riuscire a respingere l'assalto: due cittadelle caddero facilmente nonostante la disperata resistenza dei difensori e vennero rase al suolo. In una di esse si era scoperto che era stata la casta dei bramani a organizzare la resistenza fino all'ultimo uomo. Questa mattanza ebbe il culmine nell'assedio della città principale deio Malli, di cui le fonti non riportano il nome, ma che è stata identificata con l'odierna Multan. Alessandro stesso guidò i suoi uomini, scalandone le mura della cittadella, come aveva fatto a Tiro. Insieme a lui combattevano sugli spalti i suoi ufficiali Peuceste e Leonnato e il soldato Abrea. Gli altri macedoni non riuscivano a raggiungerli perché le scale che avevano posto dietro di loro erano crollate per il troppo peso e i quattro macedoni vennero fatti segno ad un lancio di proiettili da parte dei difensori. Forse in quel momento Alessandro si era visto perduto qualunque cosa avesse fatto, o forse aveva perso la testa nella foga del combattimento e pensava di vincere da solo. Sta di fatto che, con un gesto più temerario che coraggioso, balzò dalle mura all'interno della cittadella in mezzo ai nemici, atterrando in piedi vicino ad un albero che gli dava parziale protezione. I Malli lo tempestarono di frecce e una di queste raggiunse il bersaglio penetrandogli nel petto. Peuceste saltò anch'egli giù dal muro e con il suo scudo lo protesse dall'ondata di frecce successiva e dopo poco tempo anche Leonnato prestò la sua assistenza, mentre Abrea morì per un colpo di freccia scagliato da vicino. Finalmente gli altri Macedoni, utilizzando i pioli delle scale rotte e altri mezzi d'emergenza, scalarono il muro ed entrarono nella città, salvando il loro temerario Re. Le fonti dicono che, credendo morto Alessandro, i soldati si vendicarono sulla popolazione sterminandola tutta quanta, comprese le donne e i bambini, ma in verità non c'era bisogno della vendetta per comportarsi a Multan come avevano fatto altrove. I Malli furono distrutti per la fama che avevano di essere un popolo potente, coraggioso e ingovernabile. Il loro massacro aveva lo scopo di terrorizzare le tribù vicine e indurle a non opporre resistenza, e difatti gli Ossiadraci si sottomisero rapidamente, così come tutte le popolazioni della regione non ancora attaccate. Alessandro fu ridotto in fin di vita dal colpo ricevuto e solo la perizia di Perdicca nell'estrargli la freccia lo salvò da morte sicura. Il Re Macedone dopo qualche giorno ebbe la forza di mostrarsi in piedi davanti al suo esercito, che attendeva visibilmente preoccupato notizie riguardo il suo stato di salute, ma dovette aspettare molti mesi prima di riprendersi e fu davvero fortunato che la ferita non si infettasse. Finalmente la sanguinosa campagna ebbe termine nel punto in cui l'Acesine si congiunge all'Indo, in cui fu fondata l'ennesima Alessandria detta di Opiene.

VERSO L'OCEANO (Marzo-Luglio 325)

Dal punto in cui l'Indo riceve l'Acesine, il fiume che convoglia le acque di tutto il Punjab rimangono ancora duemila chilometri da percorrere prima di arrivare alla foce. L'ambiente diventa sempre più desertico man mano che si procede verso sud, perché l'influsso del monsone apportatore di piogge si fa sempre più labile fino a diventare nullo. A est dell'Indo si estende il deserto di Thar e a sud la regione del Sind. C'era un considerevole numero di popolazioni stanziate lungo la sponda dell'Indo, e l'esercito macedone dovette letteralmente aprirsi una strada in mezzo ad esse per giungere verso la foce. I Un breve riassunto di queste imprese, contrassegnate dal solito contorno di massacri è dato da Diodoro Siculo

"Dopo, giunto nel territorio del Re Musicano, (Alessandro) uccise il dinasta, che era caduto nelle sue mani e ne assoggettò il popolo. Successivamente invase il regno di Porticano (chiamato da Arriano, Ossicano) ed espugnò due città al primo assalto, quindi, dopo aver lasciato saccheggiare le case ai soldati, le fece bruciare; catturato lo stesso Porticano, che si era rifugiato in un luogo ben difeso, lo uccise mentre combatteva. Espugnate tutte le città a lui soggette, le distrusse, incutendo un grande terrore alle popolazioni limitrofe. Poi devastò il regno di Sambo e , dopo aver distrutto la maggior parte delle città ed averne ridotto in schiavitù gli abitanti, uccise più di 80000 barbari. Queste sono le sventure subite dal popolo dei Bramani; i superstiti lo pregarono con le fronde in segno di supplica, ed egli, puniti i principali responsabili, perdonò agli altri le colpe. Il Re Sambo si sottrasse al pericolo fuggendo con trenta elefanti nella regione al di là dell'Indo".

Da Arriano sappiamo che questa repressione non era stata immotivata. Sambo e Musicano dopo essersi sottomessi in un primo tempo, si erano ribellati per la spinta dei bramani, provocando la terribile reazione di Alessandro. La velocità e la spietatezza di Alessandro nel punire chi gli si opponeva indusse il governatore di Patala, una città che sorgeva nel delta dell'Indo presso l'odierna Hyderbad,a porre se stesso, i propri averi e il suo regno nell mani del conquistatore e, ricevette la conferma nelle proprie cariche, con il solo obbligo di provvedere al mantenimento dell'esercito occupante. A quanto pare però in seguito preferì fuggire dalla città seguito da parte della popolazione.

Nel frattempo Alessandro prese la decisione di rimandare Cratero in Carmania, con la fanteria pesante, gli elefanti, alcuni arcieri e cavalieri eteri, in quanto, secondo Arriano, erano ormai inabili a combattere. Il contingente al suo comando avrebbe dovuto passare per la moderna città di Kandahar e la fertile valle dell'Helmand. Alessandro intanto raggiunse Patala, che a causa della sua posizione favorevole all'imboccatura del delta dell'Indo, decise di trasformarla in un vero e proprio porto con annessi cantieri navali. Tentò anche di rimediare ai guasti causati dalla sua discesa cercando di recuperare i contadini e gli abitanti fuggiaschi per indurli a fare ritorno nelle città. Il delta dell'Indo era allora diviso in due rami principali. La flotta non disponeva di piloti locali, essendo questi tutte fuggiti, per cui dovette procedere alla cieca e prese il ramo destro del fiume. Nonostante l'assistenza di un corpo di fanteria leggera agli ordini di Leonnato che affiancava la flotta offrendole protezione e sostegno logistico, le difficoltà iniziarono quasi subito. Una tempesta scatenatasi subito dopo la partenza danneggiò parecchie imbarcazioni, causando la distruzione di alcune navi, mentre altre finirono arenate sulle rive del fiume. Inoltre, avvicinandosi alla foce la flotta sperimentò la consistenza delle maree oceaniche di cui non aveva la minima esperienza. La bassa marea sorprese molte navi all'interno di un canale lasciandole in secca, né l'arrivo dell'alta marea portò un grande vantaggio, perché la barra di marea sfasciò parecchi navigli.

Alessandro che seguiva con preoccupazione le traversie della flotta, fece riparare le imbarcazioni danneggiate presso l'isola deltizia detta Ciluta, e proseguì con le navi in migliori condizioni verso la foce, che venne finalmente raggiunta. Presso l'isola di Ciluta dopo avere compiuto solenni sacrifici agli Dei e innalzato altari a Teti e all'Oceano, Alessandro proclamò di avere raggiunto il termine della spedizione. Rimaneva da affrontare soltanto il ritorno, per il quale era necessario approntare una base logistica di partenza in un territorio ben lontano dall'essere pacificato. Alessandro spese i mesi estivi del 325 nel tentativo di costruire tale base intorno a Patala. Anche l'altro braccio dell'Indo venne esplorato e lo si trovò assai più agevole da percorrere perché meno soggetto al fenomeno delle maree. Alcuni reparti dell'esercito furono mandati in avanscoperta ad aprire pozzi lungo la costa e a reperire grano e altri rifornimenti che sarebbero dovuti bastare all'armata per quattro mesi. Il Re si informò sull'itinerario più corto per raggiungere da sud le capitali della Persia, Persepoli e Susa e fece mandare un ordine ai satrapi di Gedrosia e Carmania di provvedere ai rifornimenti.

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BIBLIOGRAFIA:
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