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RADICALISMO
INGLESE |
RADICALISMO POLITICO E RELIGIOSO
NELLA RIVOLUZIONE INGLESE DEL 600
I "LIVELLATORI" E GLI "ZAPPATORI"
(di Gian Carlo Portas)
Il periodo del regno di Elisabetta I fu decisivo per l'affermarsi dell'Inghilterra come grande stato nazionale e per lo sviluppo del suo impero coloniale; ma fu anche un periodo denso di contraddizioni politico-istituzionali ed economico-sociali che, intrecciandosi con le perduranti lotte religiose che laceravano la società inglese dell'epoca, contribuirono ad innescare l'esplosione della Grande Rivoluzione inglese della seconda metà del '600. Per esplicita volontà della regina, la chiesa Anglicana, pur incorporando molti aspetti delle dottrine riformate, aveva mantenuto numerose cerimonie del culto cattolico e, soprattutto, una struttura gerarchico-religiosa 'episcopale', basata cioè, sul potere centralizzato e sull'apparato gerarchico dei vescovi, anziché sugli organismi collegiali elettivi, come invece era avvenuto nelle correnti calviniste, tra cui il presbiterianismo.
Le ragioni che indussero la monarchia a preferire un apparato episcopale gerarchizzato erano preminentemente di natura politica, soprattutto se si considera che alla Corona era riservato il potere di nominare i vescovi, il che le conferiva un grande strumento di controllo sui propri sudditi. Viceversa, l'eventuale adozione del modello presbiteriano avrebbe comportato un significativo restringimento della prerogativa regia ed, in definitiva, dei poteri di quest'ultima.
Al tempo del regno di Edoardo VI e durante la lotta contro la potenza spagnola si erano venuti però a diffondere, in seno alla Chiesa d'Inghilterra, correnti religiose più estreme che rivendicavano una radicale epurazione dell'episcopato e l'eliminazione di ogni retaggio tradizionalista che potesse, in qualche modo, richiamare la liturgia cattolica. La parte più influente di questo nuovo movimento di credenti fu certamente quella rappresentata dai Puritani.
Altro elemento decisivo che concorse al precipitare della crisi politico-sociale dell'Inghilterra della seconda metà del XVII secolo, fu il venir meno di quella funzione tradizionale degli organi di rappresentanza dei ceti. Nell'Inghilterra feudale. Il Parlamentum aveva assolto, per secoli, non solo la funzione di supremo regolatore e compositore dei molteplici interessi e pressioni sociali dei ceti dominanti, ma anche un ruolo peculiare nei rapporti con il sovrano, riuscendo, sin dalla promulgazione della Magna Charta, a contemperare le spinte e le prerogative del potere regio.
Ma, quest'istituzione si rivelò inadeguata ad integrare le spinte che erano sorte per effetto delle nuove dinamiche sociali ed economiche che si erano innestate nel corpo della società del inglese del secolo XVII. Diversamente dagli altri grandi stati nazionali, il Parlamento inglese aveva una struttura bicamerale di rappresentanza dei ceti. Un suo ramo, la House of Lords era riservato ai nobili; nell'altro ramo, la House of Commons, sedevano i rappresentanti delle città e delle contee. Questi ultimi erano prevalentemente costituiti da esponenti dei ceti borghesi emergenti. Questi istituti di rappresentanza che, in epoca feudale avevano assolto, più o meno, una funzione di integrazione e di composizione, con l'acuirsi delle tensioni che erano maturate nell'Inghilterra post-elisabettiana, si tramutarono da fattori di stabilità e di equilibrio, in fattori moltiplicatori della crisi politica e istituzionale.
Per finanziare determinate spese, soprattutto quelle militari, l'istituzione parlamentare inglese aveva consolidato il diritto di accordare alla Corona il potere di imporre le tasse ai sudditi. Col tempo, questa prerogativa aveva assunto il carattere di un diritto di controllo sull'attività finanziaria del Regno.
Benché tendenzialmente contraria all'assolutismo regio, la grande nobiltà era restia ad indebolire l'istituzione monarchica (e non aveva molto interesse), perché ciò avrebbe rimesso in discussione gli assetti proprietari, ampliati dalle nuove terre confiscate. Infatti, a partire dal regno di Enrico VIII, l'alta aristocrazia e i grandi proprietari terrieri, erano riusciti ad inglobare nei loro patrimoni i latifondi ecclesiastici confiscati al clero, riottoso alla nuova dottrina anglicana. Cosicchè, i Lords si abbracciarono l'episcopalismo e lo sostennero vigorosamente.
Un incondizionato appoggio alla corona era assicurato anche da coloro che usufruivano di concessioni regie sul commercio in regime di monopolio e che riuscirono ad accumulare rapide quanto vistose fortune: questa prerogativa aveva creato forti contrasti e notevoli esasperazioni da parte dei ceti mercantili e produttivi emergenti, a causa del danno che quei vincoli e monopoli costituivano alla loro reclamata libertà di commercio. La politica dei monopoli commerciali trovava una fortissima ostilità anche tra gli strati popolari urbani, i quali dovevano forzatamente acquistare i generi di consumo, distribuiti in regime di monopolio, a prezzi artificiosamente alti.
Inoltre, a partire dal periodo elisabettiano, nelle campagne inglesi si acuì vistosamente il fenomeno delle enclosures: cioè la recinzione dei fondi destinati agli usi civici collettivi,in quanto soggetti ad una forte regolamentazione comunitaria da parte dei grandi proprietari terrieri. L'effetto della restrizione dell'uso delle terre comuni produsse una massiccia espulsione di abitanti dei borghi rurali e fu, partire dalla seconda metà del XVI, il fattore decisivo di quel vasto fenomeno d'inurbamento di grandi masse verso le città del regno. Londra agli inizi del XVII secolo, divenne un agglomerato di quasi 500 mila abitanti; E la forza propulsiva della rivoluzione inglese sarà costituita proprio da quei ceti di nuovo inurbamento. Il forte ceto della nobiltà rurale, intraprendente e dinamico tanto negli affari quanto nell'introduzione di pratiche razionali e capitalistiche in agricoltura, manifestava interessi e mentalità affini a quelli della borghesia cittadina; pur tuttavia, non era immune da tensioni e divisioni religiose: una parte propendeva per gli episcopaliani, - fautori del potere regio; l'altra parte, per i puritani - fautori delle prerogative del Parlamento). Questioni quali la libertà politica, la libertà economica e lo spirito puritano - giacché, la lotta per la libertà religiosa fu rivendicazione della seconda fase della rivoluzione proprio da parte delle frange radicali - finiranno per intrecciarsi e costituire il fattore decisivo della sollevazione popolare della Glorious Revolution
E' noto che all'origine della crisi, vi fu il tentativo di Carlo I Tudor di imporre alla Scozia calvinista la liturgia 'cattolicheggiante' fatta propria dell'episcopato anglicano. Per tutta risposta, gli Scozzesi si ribellarono e tentarono addirittura di invadere l'Inghilterra. La politica di Carlo I si rivelò sempre più dispotica e fomentava divisioni crescenti non solo nel popolo ma anche dentro il Parlamento, anche se era richiesta pressoché unanime quella che reclamava la convocazione dell'organo di rappresentanza. Il Re dovette alfine piegarsi e acconsentire di convocare il Parlamento, per farsi accordare da esso le risorse con cui fronteggiare la minaccia degli scozzesi.
Nel mese di giugno 1628 fu presentata a Carlo I la Bill of Rights (Petizione dei Diritti), un documento che ribadiva il limite posto al potere del re, di imporre nuove tasse, di dichiarare la legge marziale in periodo di pace, di imprigionare le persone senza processo e di alloggiare forzosamente le truppe negli alloggi privati, senza l'approvazione del Parlamento. Quell'atto ha assunto, successivamente, un valore simbolico ed è stato considerato il punto da cui parte il tortuoso cammino per l'affermazione, in occidente, delle democrazie parlamentari e costituzionali.
Per tutta risposta, il monarca inglese, nel 1629, sciolse il Parlamento. Restava comunque, per il sovrano, irrisolto il problema del finanziamento delle iniziative militari e politiche in atto. Non riuscendo ad ottenere in altro modo le risorse finanziarie necessarie per combattere le rivolte scoppiate in Scozia (dove cercava di imporre la Chiesa Anglicana), Carlo I emanò alcuni decreti che imposero un prestito forzoso alla popolazione. Se il sovrano inglese voleva esasperare gli odi e le ostilità alla corona e alla sua persona, in particolare, ci riuscì perfettamente con quell'atto. Seguirono undici anni di regno in cui Carlo I governò al di fuori di ogni responsabilità nei confronti del Parlamentum. Le sue azioni acuirono le ostilità della maggioranza dei sudditi che si sentivano vessati dal vorace prelievo fiscale che egli aveva imposto dal . Fra il 1635 e il 1636, la Scozia dovette far fronte all'imposizione di tasse per oltre 150.000 sterline: tre volte tanto la massima somma raggiunta prima del 1625, durante il regno di Giacomo VI.
Anche in seno alla rappresentanza parlamentare le vicende burrascose del regno di Carlo I avevano acuito la frattura tra i sostenitori della Chiesa anglicana e i sostenitori della sua abolizione. Invece, nel mondo delle campagne, il conflitto politico stava determinando una polarizzazione tra quanti propendevano per un energico potere della monarchia, (seppure limitato dal Parlamento), e quanti ritenevano necessario che il potere di fare le leggi fosse prerogativa di un organo legittimato dalla rappresentanza sociale.
I contrasti erano dunque, il riflesso dei conflitti di classe nella società inglese della prima metà del '600. In mezzo ai contrasti che scuotevano il regno d'Inghilterra, il fatto nuovo e dirompente fu rappresentato dal protagonismo dei ceti popolari. Per effetto della radicalizzazione della lotta politica, per la prima volta nella storia dell'Isola britannica, numerosi strati di piccoli artigiani, di commercianti e di popolo minuto, stavano tumultuosamente affacciandosi nella scena politica; questo dato costituiva un elemento di ulteriore scompaginamento degli equilibri politici e sociali consolidati.
L'urto si fece drammatico quando Carlo I, credendo di poter sfruttare a suo vantaggio i contrasti che covavano tra i due schieramenti contrapposti in Parlameno, tentò un colpo di mano. Ma, la maggioranza degli abitanti di Londra insorse e costrinse il re alla fuga. Carlo, per sottomettere la riottosità del Parlamento e l'opposizione delle città, raccolse il grosso dell'esercito rimastogli fedele e mosse, allora, guerra alla capitale. In poche settimane il regno d'Inghilterra piombò nella guerra civile.
L'esordio non fu favorevole ai fedeli del Parlamento. I borghesi reclutati erano restii a trascurare i loro affari per la guerra. I pochi Lords e aristocratici rimasti fedeli al Parlamento profondevano un impegno debole e fiacco; peraltro, le truppe parlamentari, per lo più reclutate tra il popolo minuto della società londinese, non erano in grado di reggere l'urto delle truppe realiste, disciplinate e ben addestrate.
La situazione cambiò quando entrò in scena CROMWELL. Questi capì l'inefficacia di un esercito privo di quella spinta propulsiva che deriva da radicate motivazioni ideali e perciò profuse ogni sforzo per forgiare un corpo di soldati che fossero soprattutto motivati da una fede ardente nella dottrina puritana, oltre che essere reclutati tra gli strati popolari (artigiani piccoli borghesi, ecc.).
Gli Irosides (così venne chiamato questa unità di combattimento), conseguirono subito una brillante vittoria al primo impatto nel campo di battaglia. Ciò conferì a CROMWELL la forza necessaria e l'autorità per procedere alla conformazione di tutto l'esercito parlamentare all'insegna di questo modello. Nacque cosi, il New Model Army, la cui truppa, forte della convinzione di battersi per la causa di Dio, sbaragliò ripetutamente l'esercito realista. Carlo I sconfitto, fu di li a poco, fatto prigioniero.
Sconfitto definitivamente il re, restava comunque in piedi l'Esercito di Nuovo Modello. Cromwell, era consapevole che lasciare in piedi una struttura in armi di questo tipo, stante la larga penetrazione delle idee più radicali che vi circolavano, avrebbe costituito un elemento di resistenza ai suoi disegni di stabilizzazione moderata. Perciò, si adoperò affinché si giungesse ad una sua smobilitazione. Quando allacciò una trattativa con il re prigioniero (mostrando qualche segno di irresolutezza), si attirò le rimostranze delle frange più radicali del movimento repubblicano. Proprio in questa fase delicata e incerta, venne alla luce quanto la predicazione puritana avesse agito in profondità nelle coscienze dei soldati e quanto le idee propagandate avessero rafforzato la determinazione negli strati popolari.
Fu allora che si misero in evidenza i Levellers, una corrente democratico-radicale in seno all'Esercito di Nuovo Modello che, già nella prima parte dello scontro con i Realisti, aveva avuto un ruolo decisivo nel reggere l'urto della guerra. Nell'incertezza di quelle circostanze, l'azione dei Livellatori - i quali condannavano con grande energia il 'moderatismo'di Cromwell e soprattutto la sua rinunzia a cogliere sino in fondo i frutti della vittoria sulle forze realiste - fu decisiva per far prevalere, all'interno del New Model Army, il rifiuto della smobilitazione.
I Levelleres sospettavano soprattutto che Cromwell ed i suoi uomini più fidati si accordassero con la parte più moderata della maggioranza parlamentare ed abbandonassero, quindi, il processo di cambiamento che si era ormai avviato. Essi, perciò, furono i più strenui sostenitori della costituzione dei cosiddetti Comitati dì Reggimento; di quegli organismi, cioè, che erano composti dai delegati dei soldati e degli ufficiali (questi ultimi formatisi su diretta ispirazione di Cronwell e Ireton per contrastare, in qualche modo, le spinte più risolute degli elementi radicali). In seno ai Comitati di Reggimento si venne ad intrecciare una accesa ed appassionata dialettica intorno alle prospettive del governo possibile in Inghilterra. I resoconti che riportano i documenti dell'epoca, offrono uno spaccato eloquente dei termini del dibattito, sotteso dalle accese discussioni che si intrecciavano all'interno dei vari comitati e danno anche la misura di quanta tensione esistesse negli animi dei soldati.
Dentro questo magma ribollente, si manifestò un acuto contrasto tra gli esponenti dei Levellers, - i quali rappresentavano sostanzialmente le esigenze democratiche ed egualitarie del movimento dei soldati - e quelle degli ufficiali, i quali erano sostanzialmente, sia l'espressione della grande borghesia che si era arricchita con la liquidazione dei beni ecclesiastici, sia di quella dei titolari delle concessioni del commercio in monopolio.
I Livellatori furono, dunque, gli animatori di quel dibattito. Ma furono soprattutto gli artefici di quella presa di coscienza della componente popolare in seno all'esercito: si è osservato giustamente come le istanze del popolo minuto « per la prima volta fecero la loro apparizione come fattore politico di primo piano» e come la disputa fosse uscita "dal chiuso del dibattito dei teologi, dei giuristi, dei politici" per diventare "patrimonio ideologico dei sostenitori delta rivolta puritana, idee che orientarono l'opinione e l'azione di quanti parteciparono alla lotta politica". In quell'autunno del 1647, le idee dei Livellatori, intercettando le rivendicazioni della gran massa dei soldati, diventò un programma organico che si articolerà concretamente nella stesura del cosiddetto Patto del Popolo. D'altro canto, lo stesso nome con cui si essi si contraddistinsero - the Livellers - identificava di per sè, un'idea-forza: quella di concepire una società in cui tutti gli individui fossero collocati sullo stesso livello, in cui tutti gli individui fossero titolari di uguali diritti e di uguali poteri.
I capi di questo movimento - Lilbourne, che Overton, Walwyn, ecc.,- erano tutti puritani intransigenti, appartenenti all'ala 'separatista': a quella tendenza, cioè, la quale riteneva che la Chiesa d'Inghilterra fosse un'istituzione irrimediabilmente compromessa e corrotta e che, quindi, occorresse spezzare ogni rapporto da essa. L'animatore più strenuo di questo movimento fu John Lilbourne. Egli ed i suoi seguaci ritenevano che l'impegno dei puritani dovesse essere teso essenzialmente alla "realizzazione della Giustizia e della Ragione". Giunto a Londra giovanissimo, ove vi lavorò come apprendista, Lilbourne aderì immediatamente e totalmente alla dottrina calvinista. Successivamente, dovette fuggire da Londra per sfuggire alle persecuzioni e ripararò, per alcuni anni, in Olanda. Al suo ritorno fu incarcerato, subì la punizione della flagellazione e l'esposizione alla gogna. Rimesso in libertà, si arruolò nel New Model Army e raggiunse il grado di colonnello. Dopo il congedo, alternò lunghe detenzioni a brevi periodi di libertà vigilata. Il suo coraggio e il suo fascino personale lo resero molto popolare tra le fila dei soldati e tra gli strati del popolo minuto della città.
I Levellers, a causa del loro intransigente radicalismo, furono perseguitati ed arrestati non solo dagli episcopalisti e dai realisti, ma anche dagli elementi repubblicani moderati, i quali miravano ad una soluzione politica che non intaccasse le franchigie conseguite ed il loro potere. Anglicani e puritani accusavano i Levellers di "non rispetto delle leggi e delle Sacre Scritture"; li dipingevano anche coloro che "volevano mettere i ricchi alla mercé dei poveri e parificare la proprietà". Ma, dai loro libelli e dai loro documenti, non traspare affatto che la loro idea di uguaglianza da essi predicata volesse significare ugualitarismo nella proprietà dei beni economici. Ciò che essi soprattutto avversavano erano i privilegi conseguiti per mezzo delle aggiudicazioni dei vari monopoli; i privilegi riconosciuti ai ricchi commercianti, secondo criteri di censo. i privilegi attribuiti alla nobiltà secondo criteri di rango: Essi non avversavano la disuguaglianza economica in quanto tale ma solo quella che non assicurava uguale opportunità. Per i Levellers, l'uguaglianza doveva essere, innanzitutto, quella dei diritti: dei diritti politici uguali per tutti i cittadini senza discriminazioni né di censo né di religione.
Secondo il loro pensiero, il fondamento dell'uguaglianza risiedeva nella legge di natura che aveva conferito a tutti gli individui gli stessi inalienabili diritti. I governi delle Nazioni, perciò, conseguivano la loro legittimazione, solo se difendevano tali diritti. Per i Levellers, il fondamento di ogni aggregazione sociale era la ricerca del mutuo vantaggio individuale, che si compieva essenzialmente attraverso il reciproco aiuto fra gli individui; perciò, per essi, era inconcepibile l'obbedienza a una qualsiasi legge che non godesse del necessario consenso popolare.
E' pur vero che anche Cromwell ed i suoi sostenitori ammettevano un punto di vista giusnuturalistico nella concwzione che essi avevano dei rapporti tra gli individui. Ma, per essi, il cardine del 'diritto naturale' era imperniato anzitutto, sul diritto di proprietà: questo era "la pietra angolare dell'edificio politico", l'architrave della società organizzata. I Livellatori, invece, distinguevano nettamente tra titolarità dei diritti naturali e diritto di proprietà; essi affermavano che "è l'uomo, non l'interesse che è soggetto alla legge e, quindi, è l'uomo, non la proprietà che dovrebbe essere rappresentato". Se, dunque, il fondamento della legge risiedeva nel popolo, solo esso era, secondo i Levellers, l'unico titolare della sovranità. Per essi, il Parlamento non poteva essere altrimenti che un potere delegato dal popolo.
Come si è detto, le loro idee, così come il progetto di società che essi esigevano, risultano organicamente compendiate nell'Agreement of the People, un documento pubblicato all'indomani della cattura di Carlo I e composto soprattutto da Lilbourne nella prigione di Londra, ove si trovava incarcerato. In tale scritto, i Levellers, oltre che rivendicare solennemente ed esplicitamente la libertà di culto, (ad eccezione di quello cattolico perché, essi sostenevano, che i cattolici, in quanto 'papisti', erano seguaci di un capo straniero), esprimevano anche in modo più organico il loro progetto di sovranità popolare. In armonia con la loro concezione giusnaturalistica, i Levellers dichiaravano che neanche i rappresentanti del popolo potevano intaccare quel nucleo intangibile costituente il diritto naturale degli individui. Da qui, la necessità di tutelare questo diritto con un patto teso a individuare limiti precisi da porre ai governi ed ai Parlamenti, all'atto dell'edificazione del nuovo ordine politico: in nuce, in questa proposizione vi è già l'idea di quel 'Patto costituzionale' che costituirà il fondamento politico delle moderne democrazie. Il Patto del Popolo esprimeva soprattutto una precisa idea di democrazia politica anche se vi si poteva intravedere una vaga aspirazione alla giustizia sociale.
Le tesi dei Livellatori persero rapidamente influenza in seno alle forze che avevano contribuito alla sconfitta della monarchia, anche a causa delle persecuzioni che essi subirono da parte delle forze fedeli a Cromwell. Ma, le loro istanze, la loro concezione dei diritti individuali, esercitarono comunque, una influenza decisiva sul pensiero politico successivo; si può affermare che abbiano costituito l'archetipo del liberalismo rivoluzionario del '700 e dell'800, che quest'ultimo si manifesta come una feconda estensione di quei principi; le rivoluzioni americana e francese ne trassero linfa e grande stimolo per l'azione. Le agitazioni e le pubblicazioni dei Livellatori del periodo della guerra civile avevano sommariamente messo in evidenza la miserabile condizione delle masse popolari, aggravatasi ancor più a causa della sanguinosa guerra civile. Pur tuttavia, la loro azione mirava prevalentemente all'instaurazione di un ordine politico e sociale fondato sulla rappresentanza popolare ma, in cui i rapporti di proprietà, non fossero sostanzialmente messi in discussione.
Questo pensiero appare chiaro in quell'Accordo del Popolo di cui si è detto, soprattutto nei punti in cui si diffidano gli elementi più radicali dal voler perseguire obiettivi di uguaglianza sociale attraverso l'abolizione della proprietà privata. Non è escluso tale documento criticasse e prendesse le distanze da qualsiasi idea di eguaglianza economica, per il disegno di voler enfatizzare una distinzione, marcare una diversità, per non dar pretesto agli avversari e a quei settori moderati del New Model Army, di essere accusati di collusione con i comunisti. Però, indubbiamente, ciò denota anche la presenza, all'interno del movimento dei Livellatori, di spinte egualitarie più radicali e di vasta portata.
E, in effetti, tale divaricazione si rivelò poi nel 1649, quando Gerrard Winstanley, l'esponente più autorevole dell'ala ultraradicale dei Livellatori, tentò dì fondare una comunità basata su una sorta di comunismo agrario. Infatti, un gruppo di cosiddetti Veri Livellatori (così essi amavano definirsi) si impossessò, nei pressi di Walton, lungo le rive del Tamigi, di terreni demaniali non recintati, con l'idea di coltivarli e di distribuirne poi i prodotti tra i membri della comunità stessa. Da qui, il nome di Zappatori, denominazione con la quale furono meglio conosciuti.
L'esperimento ebbe, vita breve, sia a causa della feroce repressione scatenata nei loro confronti, sia a causa della dura opposizione dei locali proprietari terrieri. Winstanley e i suoi compagni furono arrestati e condannati a pagare una fortissima ammenda. Non potendola pagare, i loro beni furono sequestrati e le loro case furono distrutte. Dopodiché, il movimento dei Diggers si sbandò.
Se i Livellatori perseguivano il fine di un'uguaglianza politica effettiva, la sua ala più intransigente, i Diggers, si spingevano oltre: essi concepivano l'uguaglianza politica come un mezzo per raggiungere l'uguaglianza sostanziale tra gli individui, quella economica. Nei loro opuscoli - si veda specialmente, quel libello indirizzato a Cromwell, ove si denunciano le condizioni di miseria e di oppressione in cui versava la stragrande maggioranza degli strati popolari dell'Inghilterra di quel periodo, perché essi erano stati privati della terra sulla quale trovavano sostentamento - i Diggers affermavano di voler restaurare il primato della parola e dell'amore di Dio. Poiché questo amore era universale, lo era anche la redenzione che Dio aveva concesso a tutto il genere umano. Però, secondo i Diggers la forza di questo amore era offuscata dalla perfidia dell'uomo, resa tale dall'istituto della proprietà privata: era la proprietà privata la fonte di ogni male e la causa prima di ogni forma di oppressione e di disuguaglianza. La Maggior parte dei mali sociali, secondo gli Zappatori, poteva essere rimossa abolendola; in special modo, quella della terra: perché la terra era un dono che Dio aveva elargito a tutti gli uomini e, dunque, essa doveva essere di uso comune. Solo così, essi proclamavano, si sarebbe "realizzato il regno della vera libertà", in quanto, "...la vera libertà risiede dove l'uomo trova nutrimento e sostentamento e, cioè, nell'uso della terra".
I Diggers, affermavano inoltre, che la fonte di ogni ricchezza risiede nel lavoro e che i ricchi proprietari altro non facevano che appropriarsi di parte dei suoi frutti del lavoro altrui. Anche in questa affermazione vi è in nuce di uno dei filoni centrali del pensiero marxiano e della sua teoria del plusvalore e dello sfruttamento. Non è escluso che Marx ne sia venuto a conoscenza attraverso la lettura dei libelli degli Zappatori, anche se, il pensatore tedesco collocava il processo di formazione del plusvalore in un contesto storico ben determinato, all'interno della dinamica dei rapporti capitalistici di produzione e nel contesto della fabbrica moderna.
Gli Zappatori erano altresì convinti che fossero maturi i tempi per la restaurazione dell'innocenza originaria dell'uomo ed esortavano ad operare affinché si realizzasse coerentemente la vittoria dell'amore sull'egoismo generato dalla ricchezza. Riecheggiano nei loro scritti anche immagini millenarisiche che, per un verso, trovano consonanza con le motivazioni che hanno storicamente accompagnato le sollevazioni popolari e contadine degli ANABATTISTI;
(vedi qui l'intera storia - "Bagliori di Comunismo nell' Europa del 1500")
per l'altro verso, si affacciano certi moventi propri della dottrina dei Quaccheri della Luce interiore
Anche se i loro libelli erano densi d'invettive e di vibrate indignazioni per i mali e le ingiustizie che pativa la parte più derelitta della società, tuttavia non è dato supporre che essi pensassero di instaurare il modello di società da loro vagheggiato, facendo ricorso alla violenza. Il movimento dei Diggers era certamente minoritario in seno alle forze repubblicane e non si può prevedere quali sarebbero state le loro azioni se avessero acquisito un seguito di massa. Però, la cura e l'attenzione che essi avvertirono, nell'impossessarsi solo delle terre comuni non recintate, al fine di coltivarle per il sostentamento della loro comunità, fanno credere al loro conclamato pacifismo; quest'ultimo derivava loro da profondi motivi religiosi, pur essendo essi degli irriducibili avversari di ogni forma di gerarchia clericale. Il comunismo di Winstanley e dei suoi seguaci fu tutt'uno con la loro esperienza religiosa: ma questa religiosità fu libera da ogni dogmatismo. A differenza del pensiero puritano e nella sua etica che considerava l'autorealizzazione dell'individuo un segno della benevolenza divina, i Diggers ritenevano che il principio regolatore di ogni società, modellata a misura d'uomo, fosse l'altruismo e l'amore fraterno fra gli individui; "Gesù Cristo", essi proclamavano, "è stato il primo Livellatore". Il comunismo degli Zappatori ha rappresentato un punto di approdo originale nel pensiero politico radicale, che non è riconducibile ad alcuna altra filosofia politica del '600.
Le loro utopiche convinzioni rappresentarono una voce isolata nel complesso della vicende legate alla Glorious Revolution. La loro determinazione nel praticare, con azioni coerenti, l'idea di un'uguaglianza sostanziale fra tutti gli individui, contribuì a formare ed educare masse di diseredati, prive di ogni coscienza e di senso di appartenenza. La 'modernità' dei Diggers sta nel fatto che essi, per primi, intuirono che il 'regno della libertà' è tale soltanto se vi è un nesso stretto tra uguaglianza politica ed uguaglianza economica e sociale. Ma questa consapevolezza è conquista peculiare del pensiero contemporaneo anche se, a tutt'oggi, affatto accolta: anzi, proprio
in questi tempi, fieramente combattuta e rifiutata.
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Gian Carlo Portas