HOME PAGE
CRONOLOGIA

DA 20 MILIARDI
ALL' 1  A.C.
1 D.C. AL 2000
ANNO x  ANNO
PERIODI STORICI
E TEMATICI
PERSONAGGI
E PAESI

( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNI dal 1125 al 1136 

I COMUNI - LOTARIO II - FEDERICO E CORRADO - SUD 1130-37

SVILUPPO DEI COMUNI - ELEZIONE DI LOTARIO II - FEDERICO E CORRADO HOHENSTAUFEN - BREVE REGNO DELL'ANTIRÈ CORRADO - SOTTOMISSIONE DEGLI HOHENSTAUFEN - RUGGERO II ED ONORIO II - RIBELLIONI E GUERRE IN PUGLIA - RUGGERO È INCORONATO RE A PALERMO - MORTE DI ONORIO II - ELEZIONE DI DUE PAPI: INNOCENZO II ED ANACLETO II - FUGA D' INNOCENZO IN FRANCIA - PRIMA SPEDIZIONE ITALIANA DI LOTARIO E SUA INCORONAZIONE IMPERIALE
-------------------------------------------------------------------------------------------

SVILUPPO DEI COMUNI - LOTARIO II E GLI HOHENSTAUFEN

Siamo dunque arrivati al tempo dei Comuni con uno spirito degli uomini che li abitano del tutto "nuovo"; ma quante battaglie! tra i vassalli minori e maggiori, tra ecclesiastici e imperiali, e con questi e quelli le lotte delle classi popolari, o meglio gli abitanti liberali di questi "borghi", vale a dire il "terzo stato" che sta per nascere, quello, appunto detto dei "borgh…esi", quindi una nuova coscienza, che inizia con una nuova luce a farsi strada nelle tenebre del medioevo.
Siamo però solo ai primi passi di questa nuova vita

La lotta delle investiture - scrive il Gregorovius in "Storia di Roma nel Medioevo"- fu uno degli avvenimenti più salutari che l'Europa abbia mai assistito. Con la potenza dei contrasti e con il fervore appassionato che costringeva ogni ordine di gente a prendervi parte, essa liberò veramente dai ceppi lo spirito degli uomini, bandì la rigida grettezza e l'apatia dell'età barbarica, pose anche fine a questa età e, associata alle crociate, aperse le vie ad una civiltà nuova. Durante questa lotta si destò il pensiero, indagatore in filosofia, protestante ed eretico in religione: per essa la scienza del diritto romano risorse con l'amore all'antichità, venne in fiore la libertà repubblicana dei comuni, e la società civile assunse una forma nuova, autonoma e umanamente più mansueta. Così è che Enrico IV e Gregorio VII, eroi di tragiche sorti, ed Enrico V e Callisto II, avventurati fondatori di pace in questa lotta, di cui vivrà eternamente memoria, ottennero splendidissimo spazio negli annali della storia (trad. di R. Manzato)".

Dalla lotta per le investiture forse furono i comuni quelli che trassero i profitti maggiori. La libertà comunale nasce dall'antagonismo tra la vita cittadina e quella rurale; dall'importanza acquistata dalle città per l'affluirvi delle genti del contado cui con le sue mura e le sue torri offre possibilità di difesa nelle ultime invasioni barbariche; dalle corporazioni di mestiere e dal loro trasformarsi in compagnie d'armi; dalla lotta tra i vassalli minori e i maggiori e tra questi e le classi popolari; si sviluppa ed acquista forza con le signorie ecclesiastiche più liberali delle laiche, con le continue guerre tra quelle e queste e tra quelle e l'impero, con la partecipazione delle varie classi sociali al governo delle città, con il costituirsi delle milizie cittadine; si afferma qua e là, in Lombardia, nella grande contesa provocata dalla politica ecclesiastica delle riforme, nella quale il popolo prende risolutamente posizione di battaglia; trae infine immensi vantaggi, come si è detto, dalla lunghissima lotta tra il Papato e l'Impero, acquistando privilegi dall'uno o dall'altro, e non minori ne ricava dal prosperare delle repubbliche marinare di Venezia, di Genova e di Pisa che apre nuove vie al traffico e dà nuovi sviluppi alle industrie delle città continentali, e in esse, col benessere economico, stimola il desiderio di libertà e produce il fiorire delle scuole di diritto, logico portato delle rinnovate coscienze e delle nuove condizioni di vita.
Questa nuova vita, questa libertà in vari modi acquistata, questa nuova coscienza delle cittadinanze e questa luce intellettuale che comincia a farsi strada nelle tenebre del medioevo, terminata con il concordato di Worms la lotta per le investiture, metteranno fatalmente di fronte l'Impero e i Comuni, e un'altra lotta, più aspra e più lunga, apriranno tra la forza e il diritto, tra la libertà e il dispotismo, che produrrà atti d'inaudita ferocia e di sublime eroismo.

Sentiamo anche Ludovico Geymonat, nella sua monumentale "Storia del pensiero scientifico e filosofico": 1° vol. di 9, pag.417:
"Con l'avvento dell'economia di scambio, il centro di gravità della vita associativa si spostò nella città, che era scomparsa o rimasta pressoché priva di importanza nel periodo fra il VII e il X secolo. Nelle città si concentra l'industria, nelle città si forma e prospera la borghesia, la nuova classe destinata, attraverso secoli di lotte, ad imporre la propria egemonia, dopo avere sconfitto la classe feudale ed i suoi alleati. La ricchezza si accresce prodigiosamente; il diritto deve sistemare i rapporti sociali e politici estremamente più complessi che per il passato. Si sente l'esigenza di un diritto commerciale che codifichi il costume ormai applicato dai mercanti su scala internazionale. E, cosa ancora più notevole, si riconoscono le prime libertà individuali (come quella di spostamento e di lavoro, negate in regime di servitù della gleba, o quella di disporre dei propri beni). Sono libertà senza le quali un'attività commerciale non avrebbe senso; libertà che la nascente borghesia considera non tanto nel loro significato etico quanto in quello utilitario, ma che in pochi decenni rivoluzioneranno profondamente il sistema sociale del feudalesimo.
Anche la produzione agricola si rinnova, per i miglioramenti di alcuni strumenti tecnici e per il trasformarsi delle colture. L'economia dei villaggi non è più autonoma, ma si integra gradualmente con quella della città. L'artigianato si riorganizza e tenta di adeguarsi alla crescente richiesta di prodotti migliori.
Parallelamente a questa ripresa generale, si risveglia anche la cultura, sollecitata dai nuovi problemi avanzati per un lato dai dibattiti politici e teologici, per l'altro dalle nuove forme di organizzazione sociale. Anche se questi problemi assumono formulazioni di scarsissimo interesse per la mentalità odierna, essi risultano nondimeno altamente stimolanti".
--------------------------------
Torniamo agli eventi di questo periodo. Spentasi con la morte di ENRICO V la discendenza maschile della casa salica, per diritto ereditario la corona toccava al duca FEDERICO di SVEVIA, della famiglia degli HOHENSTAUFEN, figlio di Agnese, sorella del morto imperatore, e marito di Giuditta, figlia del duca Enrico di Baviera.
Ma gl'intrighi dell'arcivescovo ADALBERTO di Magonza che seppe abilmente far rinviare di tre mesi l'elezione e togliere a Federico l'appoggio del suocero con la promessa di un matrimonio tra il figlio di lui e l'unica figlia di LOTARIO di Supplimburgo, duca di Sassonia, procurarono nell'agosto del 1125, la corona germanica a quest'ultimo, il quale insieme con la consacrazione, la ebbe sul capo ad Aquisgrana il 13 di settembre.

Il nuovo sovrano si affrettò a dare comunicazione dell'avvenuta elezione al Pontefice, pregandolo nello stesso tempo di confermarla; ONORIO II però non concesse la conferma. Lotario prima doveva rinunciare ai diritti stipulati al concordato di Worms e promettere di non esercitare alcuna sorveglianza sulle elezioni ecclesiastiche. LOTARIO rinunciando a questi diritti avrebbe dato partita vinta al Papa. Ed era quasi costretto a farlo, perché il Papa sosteneva che essendo le concessioni dell'atto papale di Worms state fatte personalmente ad Enrico V, con la sua morte cessava l'obbligo per la Chiesa di osservarle.

Esposta la motivazione in un modo così singolare, la questione poteva essere risolta con un formidabile trionfo della Santa Sede, la quale inoltre sperava altri benefici dal nuovo re essendo egli stato un paladino della indipendenza della Chiesa.
I fatti però dovevano dimostrare quanto fossero infondate le speranze nutrite dalla Santa Sede in Re Lotario, che per l'interesse della monarchia doveva vedersi costretto a seguire quella medesima politica della casa salica proprio da lui altre volte combattuta.

Intanto nuove lotte si delineavano in Germania, provocate dal rancore che FEDERICO HOHENSTAUFEN serbava per il rivale che era stato eletto re. Federico si era rifiutato di restituire quei beni ereditati da Enrico V e costituiti dai patrimoni conquistati, che però la dieta di Ratisbona sosteneva e sentenziò che erano beni di proprietà pubblica; ma lui sostenendo questa ostinata tesi, alla fine dalla dieta fu messo al bando dall'impero.

Si preparava LOTARIO ad eseguire anche con le armi le decisioni della dieta, ma anche FEDERICO a resistere, quando il minaccioso contegno dei Boemi costrinse il re a marciare contro di loro. Sebbene la spedizione avesse un esito infelice, Lotario seppe con abilità tirare dalla sua parte molti potenti amici del suo rivale, fra cui la famiglia sveva dei ZAHRINGEN ed ENRICO il "Superbo" di Baviera, cui diede in moglie la figlia Gertrude; tuttavia Federico Hohenstaufen si sostenne ugualmente e anche vittoriosamente nella Svevia e nell'Alsazia contro le forze perfino più numerose del sovrano.
Inorgoglito da questi successi, Federico oppose a Lotario come antirè il proprio giovane fratello CORRADO, reduce allora dalla Terrasanta, dov'era andato crociato (18 dicembre 1127), il quale scese in Italia per prender possesso dei beni di Matilde di Canossa, di cui con il fratello si considerava legittimo erede, ma anche per riunire intorno a sé gli avversari di Lotario che in Italia non mancavano.

Infatti, CORRADO HOHENSTAUFEN fu accolto festosamente a Milano e dall'arcivescovo Anselmo ricevette prima a Monza, il 22 luglio del 1128, la corona di ferro, poi la cerimonia dell'incoronazione fu rinnovava pochi giorni dopo con grande solennità nella basilica ambrosiana di Milano.
Procedendo per la Lombardia e la Toscana, Corrado era accolto con grande favore e solo poche città, quali Pavia, Novara, Brescia, Cremona e Piacenza, gli si opponevano più forse per l'odio che nutrivano contro Milano che non per fedeltà a Lotario, il quale, a Virzburgo, aveva sentito dai vescovi riuniti scagliare l'anatema contro, i due fratelli.

Ma quelli di Corrado erano successi troppo facili per essere duraturi e non erano dovuti né al prestigio personale né alla potenza delle armi. Corrado aveva incontrato il favore degli Italiani solo perché questi vedevano in lui un sovrano senza eserciti né ricchezze, e in tale condizioni -si dissero- non gli era certo possibile esercitare una grande autorità. Quando però Corrado, ingannato dalle accoglienze, dall'incoronazione e da qualche effimero successo, fu convinto di poter far valere la sua potestà e a Roncaglia emanò una costituzione con la quale, ai possessori di feudi fissava un termine per il giuramento con la minaccia della perdita dei beni e dichiarava nulle le alienazioni di feudi fatte senza il suo consenso, vide allora come il suo regno poggiava su debolissime fondamenta e che lui pur essendo un piccolo pilastro non era in grado di evitare il crollo.

Ne ebbe la prova nella resistenza oppostagli da tutti i possessori di beni matildini e nel rapido abbandono in cui lo lasciarono le città, prima fra tutte Milano, che lo avevano gioiosamente accolto e incoronato poi ignorato. In poco tempo a Corrado non rimase fedele che una sola città, Parma.

In tali condizioni non era più possibile per lui rimanere in Italia e, sdegnato contro gl'Italiani, nella primavera del 1130 se ne tornò in Germania. Qui le cose volgevano male per il fratello Federico che nel gennaio di quel medesimo anno aveva perso Spira e doveva, più tardi, perdere Worms e Norimberga.
Né il ritorno dell'antirè poteva essere di giovamento alla causa della casa degli Hohenstaufen. Questa si sostenne ancora in qualche modo fino a tutto il 1133, poi avendo perduta Ulma e con questa anche la speranza di evitare il disastro finale, Federico si sottomise a Lotario che gli perdonò e gli lasciò ugualmente il ducato di Svevia (1134).
L'anno seguente anche il fratello Corrado faceva atto di sottomissione a Lotario e riceveva il perdono del re.

RUGGERO II RE DI SICILIA - INNOCENZO II ED ANACLETO II
PRIMA E SECONDA SPEDIZIONE DI LOTARIO IN ITALIA

Dalla Germania pacificata -nel modo descritto sopra-, dobbiamo ora ritornare nell'Italia meridionale, dove i principati normanni, cadendo nelle mani di un solo signore, venivano a costituire uno stato che sarebbe stato, fin dall'inizio, fortissimo se non fosse stato travagliato dalle turbolenze dei baroni.

RUGGERO, figlio di Roberto, era morto nel 1111, lasciando il ducato di Puglia e di Calabria al figlio GUGLIELMO; poi morto costui nel luglio del 1127, erede di tutto il ducato rimaneva RUGGERO II, figlio del omonimo conte di Sicilia, principe che, come il padre, ad un grande valore personale univa tenacia di propositi, prudenza di consigli, animo fermo e un'instancabile attività; era sempre in movimento.
Giunto dalla Sicilia nella terraferma per prendere possesso dei suoi nuovi domini, Ruggero si rese padrone di Salerno ed Amalfi e ricevette l'omaggio di molte altre città. Questo nuovo stato di cose che si veniva formando nell'Italia meridionale non poteva, naturalmente, esser visto di buon occhio da papa ONORIO II, al quale non piaceva che nelle vicinanze di Roma si costituisse una signoria grande e potente, che raccogliesse in un solo organismo i vari principati normanni. Pertanto il Pontefice, recatosi a Benevento, dichiarò colpito dalla scomunica Ruggero e tutti coloro che lo avessero aiutato nell'acquisto della Puglia, e, con l'anatema, incoraggiò quei baroni, che lo avevano di mala voglia riconosciuto, a ribellarsi.

Ruggero tentò ogni mezzo pacifico per volgere in suo favore l'animo di Onorio gli inviò ambasciatori con ricchissimi doni, gli offrì il dominio di due città, si dichiarò pronto a considerarsi vassallo della Santa Sede; tutto fu vano; il Pontefice rinnovò la scomunica e, guadagnato alla sua causa ROBERTO principe di Capua, che solennemente fece consacrare, convocò in questa città un concilio, lanciò per la terza volta l'anatema su Ruggero, poi, convocati i baroni di Puglia, predicò la guerra contro il nuovo duca; e per incoraggiarli alla lotta concesse loro l'indulgenza plenaria.

Fallito con ogni mezzo per calmare la collera di Onorio, Ruggero II andò in Sicilia, radunò sotto le insegne le sue e le efficienti milizie dei baroni siciliani, ripassò lo Stretto con l'esercito che aumentò con le milizie messe a disposizione dai vassalli calabresi e marciò verso la Puglia.
Taranto fu la prima città che si arrese senza opporre resistenza; seguirono l'esempio Otranto, Brindisi, Castro, Oria ed altre città che Ruggero incontrava nella sua marcia rapida e vittoriosa senza causare danni.
Non potendo vincerlo con la scomunica, il Pontefice tentò la via delle armi e, allestito un esercito con le milizie del principe di Capua, del conte d'Avellino e di altri baroni ognuno con un contingente di mercenari a loro spese, mosse incontro al nemico, che si trovava già al fiume Bradano, nella pianura di Vado Petroso.

Ruggero sapeva che l'esercito pontificio non poteva a lungo tenere la campagna; perché i baroni che seguivano il papa, non possedevano un proprio servizio militare, né buona parte di loro erano militari; si sarebbero innanzitutto presto annoiati ma anche seccati di dover mantenere a proprie spese della gente che avevano messo insieme pagandola; e purtroppo il Papa poteva dare a loro solo tante indulgenze, ma non denari per i loro mercenari: e sembra che i baroni avessero assunto solo per un periodo di tempo limitato e che allo scadere dello stesso -com'era in uso- alla partenza bisognava sborsare in anticipo almeno la metà della somma, alla fine del periodo saldare e dare nello stesso tempo, se la campagna non era ancora finita, il nuovo anticipo per trattenerli.

Quindi a Ruggero conveniva tirare a lungo la guerra, aspettando che terminasse il tempo dell'ingaggio dei mercenari. Si ritirò sulle giogaie dei monti, deciso ad aspettare gli attacchi, non facili ai suoi nemici perché lui aveva il gran vantaggio di potersi preparare bene alla difesa; inoltre mettendosi solo in difensiva nessuno avrebbe potuto accusarlo di essere stato lui il primo ad assalire il capo della Chiesa.

Quello che aveva previsto e sperato il normanno si verificò quasi subito: l'esercito del Pontefice per quaranta giorni rimase nella pianura di Vado Petroso, malcontento per il saldo non ricevuto e malfidato sulle solo promesse di nuovi ingaggi; inoltre era bruciato dai calori dei mesi estivi, non aveva fiducia nei propri improvvisati capi e con costoro erano convinti di non poter certo competere vittoriosamente con il nemico, superiore come efficienza, come numero e per le posizioni occupate.
Rallentatasi la disciplina, cresciuto il malcontento e resisi insopportabili il calore della stagione e i disagi, l'esercito papale si disperse prima ancora di iniziare una sola battaglia; il Pontefice, rimasto quasi solo, si rifugiò a Benevento. A questo punto critico Onorio cambia politica e fa sapere a Ruggero che voleva incontrarlo, che desiderava assolverlo dalla scomunica e investirlo del ducato di Puglia; e per questo perdono e per l'investitura lo invitava a recarsi da lui.

Ruggero accolse l'offerta (agosto del 1128) e andò ad accamparsi sul monte di S. Felice, da dove poi scese fino al ponte fuori le mura della città; ma accorto com'era, non volle entrare a Benevento, ed Onorio II dovette invece lui recarsi in riva al Calore, facendosi accompagnare da una moltitudine di popolo, per dare l'investitura al Normanno, rendere l'evento storico.

Fatta la pace con il Pontefice, Ruggero II si rivolse contro Troja, che rifiutava di sottomettersi, ma essendo quella città ben difesa e non volendo il duca perdere tempo in un'impresa non facile, tornò a Salerno ma in zona si erano arrese sia Melfi che altre città, a quel punto Ruggero fece ritorno in Sicilia.

Era appena giunto nell'isola quando in Puglia TANCREDI di Conversano assalì e prese Brindisi e tutti i territori in precedenza perduti; ma contro di lui con numerose forze nella primavera del 1129 si mosse Ruggero, il quale iniziò la campagna subito con esito favorevole impadronendosi di Castro e Montalto.
Questi successi sgomentarono talmente i suoi nemici che il principe di Bari, il conte di Conversano ed altri baroni si affrettarono a sottomettersi e a seguire il duca all'assedio di Troia, espugnata la quale, fu facile a Ruggero di ridurre all'obbedienza i territori di quei baroni che ancora gli facevano opposizione.

Padrone del ducato, Ruggero convocò un parlamento a Melfi, "in cui sancì che nessun barone, qual ne fosse la ragione, movesse guerra all'altro, o si attentasse di proteggere ladri e malfattori di ogni maniera; che anzi qualora ne vivessero nei loro stati, dovevano consegnarli ai magistrati incaricati; che nessuno osasse appropriarsi dei beni degli arcivescovi, di vescovi e di qualunque chierico o monastero, o di molestare o far molestare gli operai, gli agricoltori, i pellegrini, i mercanti e qualsiasi altra persona".
Per mantenere la pubblica tranquillità e la sicurezza, Ruggero seppe trovare il vero rimedio del male, cioè dar più vigoria alla suprema autorità, esigere l'obbedienza dei più potenti vassalli con la forza, invece di comprarla con nuove concessioni, che li rendevano non sottomessi ma semmai sempre più insolenti. E se alla sua altissima idea non corrispose l'effetto, la ragione è che i lui precorreva i tempi"(Palmeri) ".

Ripassato lo Stretto, Ruggero dovette subito fare ritorno nella terraferma per combattere il conte di GRANTEMESNILS, che, ribellatosi, si era insignorito di Orgeolo e Castrovillari, ma fu ben presto costretto ad arrendersi; poi il Normanno invase i territori del conte di Ariano, altro ribelle, che ottenne la pace cedendo Padulo e Montefosco. Con questi energici interventi e immediati successi, Ruggero diventò così temuto che alla fine anche il principe di Capua gli prestò l'omaggio di vassallo.
RUGGERO era giunto ad un tale grado di potenza che pochi sovrani in Europa avrebbero potuto competere con lui. Se il Re Tedesco, il Re di Francia e quello d'Inghilterra per estensione di domini superavano il Normanno, nessuno di questi monarchi occidentali lo superava in ricchezze.
Solo Ruggero, fra tutti i re e i principi europei poteva permettersi di tenere a soldo e fisso un numeroso e potente esercito. Palermo, antica capitale degli emiri, ricca di magnifici palazzi, fiorentissima per le arti e per i commerci, era la degna sede di un principe così facoltoso, che aveva perfino adottato la pompa e i costumi dei signori musulmani.
Il suo palazzo era adorno di preziosissimi arredi; numerosi eunuchi e donzelle lo popolavano e vi faceva la guardia un fortissimo corpo di fanti saraceni. Il fasto di Palermo faceva pensare a quello delle più sontuose corti orientali e al fasto corrispondeva la potenza, perché in quel tempo in cui Roma era il centro di tutti gli affari politici d'Europa e l'Asia anteriore la mèta delle armi della cristianità, Ruggero, i cui stati si estendevano quasi fino a Roma e avevano i porti frequentati dai crociati di passaggio, pesava molto nella politica europea.

E mentre l'autorità degli altri principi era limitata dalla potenza dei loro vassalli, quella di Ruggero era tanta che ad un solo cenno, dalla Sicilia, dalla Calabria e dalla Puglia, poteva radunare quando, dove e come voleva un formidabile esercito, che le fedelissime milizie musulmane (un intero corpo era tutto saraceno) rendevano ancor più forte e temuto.
Data la potenza cui era pervenuto, non desta meraviglia se Ruggero nutrisse l'ambizione di mutare in regio il titolo ducale. Di tutto quel territorio lui voleva essere il Re. Per mettere in atto il suo disegno consultò gli ecclesiastici e i baroni dei suoi domini di terraferma, riuniti a parlamento a Salerno, e questi ripercorrendo l'antichissimo passato, sentenziarono che si ripristinasse in Sicilia il trono, che era stato di Gelone, di Agatocle e di Gerone, e che il duca normanno doveva essere incoronato re in Palermo.

Ottenuto il voto del Parlamento, Ruggero fece ritorno in Sicilia, dove in un'altra assemblea anche qui fu approvato il voto di Salerno; e nel giorno di Natale del 1130 avvenne la cerimonia dell'incoronazione.
Fu tale la pompa che, ad un cronista del tempo, parve che tutte le ricchezze e le magnificenze del mondo si fossero riunite a Palermo. Le sale della reggia erano ricoperte di preziose tappezzerie, i pavimenti di tappeti di squisita fattura. Il nuovo re uscì preceduto da tutti i baroni e cavalieri del regno che incedevano a coppie, montati su superbi cavalli dai finimenti d'oro e d'argento; seguivano il monarca i più autorevoli personaggi, anch'essi riccamente vestiti e su cavalli magnificamente bardati. Giunto al duomo, Ruggero fu consacrato dagli arcivescovi di Benevento, di Capua, di Salerno e di Palermo e ricevette la corona dal principe di Capua.
Alla cerimonia seguirono sontuosi banchetti in cui non fu usato altro vasellame che d'oro e d'argento; gli scalchi, i paggi, i donzelli e perfino i valletti che servivano le mense erano vestiti di tuniche di seta.
Siamo nel 1130, e lasciamo per il momento Ruggero in Sicilia (più avanti lo riprenderemo), e seguiamo i fatti che accadono nel frattempo a nord.

LA MORTE DI ONORIO - ROMA CON DUE PAPI

ONORIO II non poté assistere al trionfo del suo ex nemico poi amico: era cessato di vivere nel convento di S. Gregorio, il 14 febbraio dello stesso anno 1130, dieci mesi prima dell'incoronazione di Ruggero; trapasso che scatenò fin dal primo istante e a salma ancora calda, i contrasti.
Infatti, la morte di Onorio riaccese nuovamente a Roma le contese delle fazioni capitanate dai FRANGIPANI e dai PIERLEONI e provocò di nuovo uno scisma. Era appena spirato che subito il giorno dopo, il 15 febbraio, sepolta in fretta e in furia la salma del Pontefice, cinque cardinali della parte dei Frangipani eleggevano papa il diacono di Sant'Angelo, col nome di INNOCENZO II; ma nello stesso giorno i cardinali della fazione avversaria, riuniti in maggior numero a San Marco eleggevano, col nome di ANACLETO II, cioè Pietro, il figlio di Pierleone).

Come furono eletti nello stesso giorno, così nel medesimo giorno, il 23 febbraio, furono consacrati, il primo a Santa Maria Nuova, il secondo a San Pietro.
Lo scisma fece dividere in due campi l'Europa cattolica: i re di Germania, di Francia, d'Inghilterra, d'Aragona e di Castiglia riconobbero Papa legittimo INNOCENZO II, mentre ANACLETO II fu riconosciuto da più della metà dei Romani, dai comuni lombardi, dagli Hohenstaufen e dai Normanni.

INNOCENZO II, non potendo con qualche probabilità di successo lottare a Roma con la fazione avversaria, più numerosa della sua, imbarcatosi segretamente sul Tevere, fuggì insieme con i cardinali che lo avevano eletto, in Francia.
Qui, allora, godeva grandissima riputazione BERNARDO di CHIARAVALLE, che, nato nel 1091 a Fontaine, presso Digione, nel 1113 si era fatto monaco nel convento dei Benedettini di Citeaux (Cistercium) e due anni dopo era stato creato abate di Clairvaux.
Convinto che il papa legittimo fosse Innocenzo, Bernardo di Chiaravalle sposò la sua causa e con la sua autorità e la sua straordinaria eloquenza gli guadagnò prima il favore del suo ordine, poi quello delle altre congregazioni religiose della Francia e del re Luigi, di modo che Innocenzo, riconosciuto da tutta la Francia, riuscì al concilio di Rheims scomunicare il suo rivale.

Anche la Germania riconobbe INNOCENZO II: i vescovi tedeschi, riunitisi a Virzburgo nell'ottobre del 1130, si dichiararono favorevoli a lui e questo fatto influì senza dubbio sull'animo di re LOTARIO, il quale accettò di incontrarsi con il Pontefice. Il convegno avvenne a Liegi nel febbraio del 1131 e qui Innocenzo ottenne dal sovrano la promessa di essere scortato e condotto a Roma e di muovere guerra ai Normanni. In compenso, il Papa promise al re di incoronarlo imperatore e gli conferì l'investitura dei beni allodiali di Matilde, che Lotario passò al proprio genero ENRICO di BAVIERA.

La promessa spedizione di Lotario in Italia ebbe inizio nel settembre del 1132. Innocenzo II lo aveva preceduto per preparargli il terreno. Alla testa di un piccolo esercito, per la via del Brennero, il re germanico entrò in Italia senza incontrare alcuna resistenza, ma non conseguì subito i successi che lui sperava, perché Milano era rimasta sempre sostenitrice di Corrado di Hohenstaufen e le scarse truppe tedesche che Lotario aveva a disposizione non erano sufficienti per costringere alla resa la città.
La propaganda però di Innocenzo portò più tardi i suoi frutti; infatti Pavia, Cremona e Brescia si schierarono dalla parte di Lotario e quindi di Innocenzo, e Pisa e Genova, pacificatesi per la mediazione del Pontefice, promisero di aiutarlo nella lotta contro papa Anacleto e il normanno Ruggero.

Rafforzata così la propria posizione, LOTARIO svernò nell'Italia superiore e, nella primavera del 1133, valicati gli Appennini, marciò insieme con Innocenzo, attraverso la Toscana, dirigendosi a Roma. A Viterbo incontro al sovrano andarono i legati di Anacleto che gli chiesero di sottomettere a un concilio il giudizio dello scisma; ma Lotario si rifiutò e proseguì per Roma. Il 30 aprile fece il suo ingresso nella città vecchia, ma non riuscì a penetrare nel Vaticano e nella città Leonina, saldamente difesa da Anacleto e dai suoi partigiani.
Tuttavia Innocenzo II prese ugualmente dimora in Laterano e qui, cedendo ai consigli dell'arcivescovo di Magdeburgo, LOTARIO si fece incoronare.
La cerimonia avvenne il 4 giugno del 1133 e il sovrano, prima di ricevere la corona, giurò solennemente di proteggere la vita e la libertà del Pontefice. Ma i suoi sforzi per cacciare Anacleto dai quartieri che occupava furono inutili e verso la metà di giugno, lasciato Innocenzo sotto la protezione dei Frangipani, se ne tornò in Germania dove gli premeva di ridurre all'obbedienza gli scalpitanti Hohenstaufen.

Abbiamo, al principio di questo capitolo, detto della sottomissione di Federico a Corrado: il primo, avuto il perdono a Fulda, si sottomise pubblicamente nel marzo del 1135 alla dieta di Bamberga, e il secondo fece atto di sottomissione a Milhouse nel settembre dello stesso anno; entrambi furono assolti dalla scomunica e promisero di seguire Lotario nella sua seconda spedizione in Italia.
Questa, invocata dal Pontefice e da Bernardo di Chiaravalle, fu iniziata nell'estate del 1136 sotto gli auspici migliori. Già la maggior parte delle città italiane si erano dichiarate per INNOCENZO II, compresa Milano, che era stata piegata dalla persuasiva parola del monaco Bernardo; Genova si preparava alla guerra contro Ruggero II e, per volere di Lotario, ANSELMO di Havelberg si era recato a Costantinopolì per convincere i Bizantini all'alleanza contro i Normanni.

LOTARIO partì da Virzburgo nell'agosto dello stesso 1136, seguito da un poderoso esercito ed accompagnato da ENRICO di Baviera, da CORRADO di Hohenstaufen, dagli arcivescovi di Colonia, di Treviri e di Magdeburgo e da molti altri vassalli con le loro milizie.
Nell'Italia superiore l'imperatore rimase tutto il resto dell'anno trattenutovi dalle ostilità di alcune città, specialmente Pavia e Cremona: la prima finì col piegarsi e dovette pagare un grosso tributo, la seconda si mantenne ostinatamente ostile anche dopo che il suo territorio fu devastato e alcuni suoi castelli, fra i quali S. Bassano e Soncino, distrutti.
A Guastalla Lotario ricevette ambasciatori veneziani e confermò alla repubblica i trattati precedenti ma chiedendo aiuti per la spedizione in corso; e non sappiamo se Venezia poi vi abbia preso parte; forse con qualche naviglio privato e non ufficiale.

Nel gennaio del 1137 l'esercito imperiale, rinforzato da numerose milizie italiane, iniziò la marcia verso il sud, diviso in due corpi. Il maggiore, sotto il personale comando di Lotario, prese la via delle Marche e, impadronitosi di Ravenna, Senigaglia, Ancona e Fermo, puntò verso la Puglia; il minore, comandato da Enrico di Baviera, prese la via della Toscana. Il Bavarese nella sua marcia s'impadronì di Firenze, punì Lucca che aveva scacciato il vicario Inghiberto, e sconfisse il ribelle conte Guido prendendosi lui il titolo di duca di Toscana. A Grosseto si unì a lui papa Innocenzo ed entrambi proseguirono la marcia verso il sud, punendo e devastando nel Lazio città e paesi che si erano dichiarati per Anacleto.

Ma non si fermarono a Roma per scacciare, come Innocenzo sperava, l'altro Papa. In città fu mandato solo Bernardo di Chiaravalle a fare propaganda in favore della causa d'Innocenzo; l'esercito invece continuò il cammino verso il sud, per Albano e la campagna romana, che si sottomisero. La meta, cui tendeva Enrico, era l'Italia meridionale, dove c'era il nemico maggiore e dove i due corpi dell'esercito imperiale dovevano congiungersi.

Siamo nell'anno 1137, abbiamo accennato i precedenti fatti accaduti in Germania, gli avvenimenti a Roma con i due Papi, e la discesa di Lotario verso il Regno Normanno, dobbiamo ora ritornare a Ruggero nel 1130.


RUGGERO II E LE VICENDE DELL' ITALIA MERIDIONALE
DAL 1130 AL 1137

Abbiamo visto Ruggero II nel 1130, prendere a Palermo la corona con il titolo di "Rex Siciliae, ducatus Apuliae et principatus Capuae".
Deciso ad affermare maggiormente la sua autorità sulla terraferma, ordinò agli Amalfitani di consegnare tutte le fortezze intorno alla città rimaste in mano ai cittadini anche dopo che Amalfi aveva riconosciuto il suo dominio sulle loro terre. Essendosi gli Amalfitani rifiutati, Ruggero si mosse contro di loro via terra con un esercito e via mare con una flotta, prese e occupate alcune fortezze, costrinse la ribelle città a cedere.
Alla sottomissione di Amalfi seguì quella di Napoli, che dalla caduta dell'impero romano si vantava (pur con una forte presenza e influenza bizantina) di essere rimasta indipendente. Il duca Sergio temendo un attacco come ad Amalfi, si recò a Salerno da Ruggero e si dichiarò suo vassallo, mantenendo così il ducato anche se dovette fargli gli omaggi.

Con la sottomissione di Napoli tutta l'Italia meridionale veniva così a trovarsi sotto lo scettro di Ruggero e pareva che la pace dovesse avere lunghissima durata, quando improvvisamente fu turbata da una guerra per la quale il re normanno corse il rischio di perdere tutti i suoi domini sul continente. Fu provocata da RICCARDO e RAINULFO d'Alife, conte di Avellino, cognato quest'ultimo di Ruggero di cui aveva sposato la sorella Matilde.
Ribellatosi Riccardo, mentre il fratello si trovava con un corpo di milizie a Roma, dov'era stato mandato dal re in aiuto di papa Anacleto, Ruggero occupò Avellino ed accolse alla sua corte la sorella fuggita da Alife. Questo fatto fece ribellare anche Rainulfo, il quale trovò non pochi amici fra i vassalli che male sopportavano la signoria di Ruggero, e, fra questi, i principi di Capua e di Bari e i conti di Conversano e d'Andria.

Volendo Ruggero domare la rivolta prima che si propagasse negli altri territori, raccolto un esercito in Sicilia, nella primavera del 1132 per mare andò a Taranto, dove il conte d'Andria si sottomise con la perdita della maggior parte dei beni; poi rivolse le armi contro Bari, dove si era fortificato il principe Grimoaldo. L'assedio di Bari fu di brevissima durata: dopo tre settimane la città fu presa d'assalto e il principe fatto prigioniero fu mandato in Sicilia.

Atterrito da questi successi e dalla sorte toccata ai suoi alleati, il conte di Conversano cedette a Ruggero in cambio di una forte somma Brindisi e le altre terre che possedeva, promettendo di recarsi in Oriente a cercare miglior fortuna. Dopo questo intervento il re di Sicilia marciò contro il principe di Capua e il conte di Avellino, con i quali si era alleato Benevento, e andò ad assediare Nocera; ma qui la fortuna, che fino allora lo aveva assistito, gli volse le spalle.
Il 24 luglio del 1132, nella pianura di Scafato presso il fiume Sarno, fu combattuta una sanguinosa battaglia tra l'esercito regio e quello del principe capuano, del conte d'Avellino e dei Beneventani, battaglia che, cominciata con la vittoria del re, terminò invece con la sua sconfitta.

Ecco come la descrive il Palmeri, che attinge alle originali cronache di Falcone e dell'abate Telesino:
"La cavalleria dell'ala destra dell'esercito del re fu la prima ad attaccare la mischia, e diede con tal impeto addosso all'ala sinistra del principe, che la prima linea fu volta in fuga. La seconda schiera, per dare spazio ai fuggiaschi, si disorganizzò e non riuscì a trattenere l'impeto dei cavalli del re; i fanti che seguivano, presi dallo spavento fuggirono; molti volendo salvarsi valicando a nuoto il fiume, annegarono; molti furono catturati o morirono nel fuggire nella pianura. Il principe allora, riordinata la seconda schiera la fece avanzare contro l'ala sinistra del re. Lo scontro fu durissimo, scoraggiati già dalla fuga dei primi, cominciavano già a cedere. Il conte d'Avellino, che con cinque squadre di cavalli, teneva la parte destra dell'esercito, visto il principe quasi del tutto rotto, accorse con la prima schiera, poi a mano a mano entravano nella mischia le altre che seguivano; le truppe regie, già stanche della prima anche se vittoriosa battaglia, assalite da quelle schiere fresche, che impetuosamente sopraggiungevano, cominciarono a piegare; e in quel fortunato momento, i primi che si erano messi in fuga, vista l'efficacia prova delle milizie del conte, ripreso coraggio, tornarono indietro e andarono a unirsi nella battaglia.
I regi a quel punto non trattennero l'urto e furono questa volta loro a fuggire in rotta, né valse a trattenerli la voce e l'esempio del re, che fu l'ultimo a voltar la briglia e che con soli quattro militi riuscì a riparare in Salerno. Venti baroni, settecento militi, oltre i gregari in assai maggior numero, restarono prigionieri; molti di più ne furono uccisi; cavalli, armi, bagagli, tutto cadde nelle mani dei vincitori".

Questa sconfitta ebbe per conseguenza che i conti di Conversano e d'Andria ripresero le armi e con il conte di Matera si riunirono in lega con i vincitori.
Anche Bari tentò di ricuperare la libertà e si sollevò cacciando fuori la scarsa guarnigione lasciatavi da Ruggero; ma questi, accorso prontamente, domò la rivolta, poi, messo un forte presidio a Montefosco per far fronte a Benevento, se ne tornò in Sicilia a raccogliere forze per la controffensiva.
Nell'assenza del re, il principe di Capua e il conte di Avellino si recarono a Roma per convincere Lotario e Innocenzo ad unirsi a loro nella guerra contro il comune nemico Ruggero; ma il sovrano germanico, che non disponeva di molte forze e pensava di ritornare oltre le Alpi, non poté intervenire nelle vicende dell'Italia meridionale (ma siamo a fine 1132, cioè alla prima discesa di Lotario, poi subito ritornato in Germania).

Nella primavera del 1133 Ruggero II dalla Sicilia partì alla riscossa con un grosso esercito composto in grandissima parte di saraceni siciliani: occupò rapidamente, devastandone i territori, Venosa, Nardò, Biroli, Minervino ed altri luoghi; espugnò Matera ed Armento, catturò GOFFREDO e ROBERTO, figli del conte, inviati poi in Sicilia insieme con il conte d'Andria, caduto anche lui prigioniero, poi cinse d'assedio Montepeloso, dove si era fortificato il conte di Conversano, e dopo vari combattimenti lo costrinse alla resa con un assalto.

Le altre città ribelli non resistettero a lungo. Alcune, atterrite dalle vittorie del re, si sottomisero spontaneamente, altre furono prese a forza con le armi e così Melfi, Bisceglie, Trani, Sant'Agata tornarono in potere di Ruggero, Troia vide demolite le sue fortezze, e tutta la Puglia, eccettuati il principato di Capua e la contea d'Avellino, in quella campagna fu riconquistata, e Ruggero poco tempo dopo se ne tornò in Sicilia.

Cessato il rumore delle armi, nell'apparente silenzio, alcuni nemici di Ruggero sempre invidiosi dei successi del normanno, tramavano e crearono subito dopo altre guai al re di Sicilia; fra questi il duca di Napoli, il conte di Boiano e i Pisani, i quali -l'abbiamo visto nel capitolo precedente- grazie all'opera di papa Innocenzo che dopo la partenza di Lotario si era rifugiato a Pisa; questa dietro la proposta fatta a loro dal Papa, guardando più gli affari che le sue brighe politiche, promise cento galee a patto che i Genovesi non partecipassero e inoltre chiedevano per l'intervento, tremila libbre d'argento.
Conclusa la convenzione, i Pisani mandarono a Capua due consoli e mille soldati; mentre per pagarli con l'argento pattuito con Pisa, furono asportati i tesori dalle chiese di Napoli e di Capua.

Prima ancora dell'arrivo della flotta pisana, giunse nella primavera del 1134 Ruggero a Salerno con sessanta galee. Mise prima sottosopra il porto di Napoli poi i vicini castelli, infine s'inoltrò con l'esercito nel principato di Capua e, lasciato al passo di Scafato un contingente di arcieri e di cavalli, iniziò l'assedio di Nocera con il resto delle sue truppe.
Nocera cadde senza resistenza: all'avvicinarsi dell'esercito regio (come accadeva spesso, e accadrà sempre, quando si sta perdendo) i notabili, sgomenti, gli andarono incontro e, a patto che la città non subisse danni (cioè le loro proprietà), offrirono la resa; e la guarnigione, che teneva la rocca, si allontanò senza ricever molestia.
Dandosi ad uno e subito dopo all'altro, in questo modo, i nobili seguitavano a conservare le loro proprietà. Aveva ben espresso il concetto uno della casta nobile di Venezia "diciamo la verità, siamo dei buoni a nulla, quindi per tenere tutto ciò che teniamo, bisogna calarsi le braghe" (Ippomanno)

Caduta Nocera, Ruggero volse le armi contro la contea di Avellino, incontrando dovunque nessuna o debolissima resistenza; tuttavia le città e i castelli più ribelli e ostinati, una volta espugnati venivano rasi al suolo, i difensori passati a fil di spada, i dintorni devastati.
Restava la città vera e propria di Avellino. Ma di fronte a quell'avanzata vittoriosa del re, il poco coraggioso conte d'Avellino (che non era in città), implorò ed ottenne perdono, compiendo atto di sottomissione e cedendo le località conquistate dal cognato. Si sottomise pure il conte di Boiano, cedendo tutto il territorio ad oriente del Biferno e la città di Castellammare. Rimasero invece con le armi in pugno il duca SERGIO di Napoli e RAIMPERTO, conestabile di Benevento.

All'orgoglioso e ostinato principe di Capua, da Ruggero fu offerta la pace a patto che cedesse i luoghi conquistati: o se non voleva personalmente inchinarsi, che cedesse il principato al figlio minorenne che lo avrebbe ricevuto in vassallaggio dal re.
Poiché il principe si trovava rifugiato a Pisa (erano i primi di luglio 1134) gli si diede tempo per rispondere fino alla metà d'agosto.
Trascorso il termine stabilito senza ricevere notizie, Ruggero II mosse alla testa dell'esercito su Capua, che gli aprì le porte; il popolo e il clero andarono incontro al sovrano e al canto di inni e fra acclamazioni lo condussero al duomo dove gli prestarono giuramento di fedeltà.
Da Capua Ruggero proseguì su Aversa, e qui giunse a trovarlo il duca di Napoli, che fece atto di sottomissione e in ginocchio, al cospetto delle milizie, gli prestò l'omaggio feudale. Poi Ruggero si avvicinò a Benevento e con la minaccia di un assalto indusse gli abitanti a sposare la causa di Anacleto.

Ottenuto con le buone e con le cattive, quello che si era proposto, Ruggiero se ne tornò in Sicilia, a godersi la pace.
Fu pace però di breve durata. Sparsasi sul continente la voce che il re era morto, tornarono a ribellarsi il duca di Napoli e il conte d'Avellino cui parve giunto il momento di rifarsi di quanto avevano perduto; il principe di Capua, che era a Pisa, corse a Napoli con venti galee, e Aversa aprì le porte al ribelle cognato di Ruggero (era la fine di maggio del 1135).
Pure i collegati sollevatisi miravano ad impadronirsi di Capua, dove intanto GUARINO, gran cancelliere del re, aveva raccolto un considerevole numero di milizie, con le quali teneva a bada il nemico nell'attesa che giungesse con l'esercito il re; perché Ruggero non era per nulla morto, e giunse in Salerno il 5 giugno; e subito corse alla volta di Aversa, dove gli abitanti e il conte, atterriti della sua comparsa, fuggirono, lasciando l'infelice città esposta all'ira del sovrano, che mise a morte tutti quei cittadini che avevano festeggiato il ritorno del duca; poi appiccò fuoco alla città per punizione.

Lasciata Aversa semidistrutta, Ruggero marciò contro Napoli, dove era raccolto il maggior numero delle milizie dei ribelli; e poiché la scarsezza d'acqua e i grandi calori estivi impedivano la costruzione di opere offensive intorno alla città, il re mise forti presidii nei castelli vicini affinché tenessero bloccata Napoli. Tormentati dalla fame, i collegati chiesero nuovi e solleciti soccorsi ai Pisani, i quali si affrettarono a mandare venti galee cariche di truppe. Avvicinandosi i Pisani a Napoli e volendo distrarre il re dall'assedio, sbarcarono nei pressi di Amalfi, e assalirono questa città che era sguarnita di truppe e non si aspettava quel colpo. E fu un colpo fatale per la fiorentissima repubblica marinara; non doveva mai più rialzarsi, vittima della gelosia della rivale Pisa, che colse l'occasione per distruggerla.

Presa alla sprovvista, i Pisani la saccheggiarono, l'incendiarono e la ridussero quasi ad un cumulo informe di macerie (4 agosto 1135), poi, spintisi su Fratta, l'assediarono. Avuta notizia dello scempio di Amalfi, Ruggero, che si trovava ad Aversa, piombò come un fulmine sull'esercito Pisani, lo travolse e buona parte ne fece una strage.
Dei due consoli della repubblica uno rimase vittima sul campo, l'altro fu fatto prigioniero. Le venti galee poco distanti, informate della sconfitta, frettolosamente fecero vela verso Pisa, portandosi dietro il bottino d'Amalfi.
Sconfitti i Pisani, Ruggero fece ritorno ad Aversa, nella quale aveva cominciato a ricostruire le fortificazioni, poi si diede a percorrere e a saccheggiare il territorio di Napoli, infine si avvicinò con l'esercito a Benevento e con gran solennità investì del ducato di Puglia il suo primogenito RUGGERO, il secondogenito ALFONSO del principato di Capua, e il genero ADAMO della contea di Matera. Il Re aveva altri due figli, GUGLIEMO ed ENRICO, ma, essendo ancora fanciulli, questi erano rimasti a Palermo, dove, avvicinandosi l'inverno, il sovrano fece ritorno a godersi un po' di pace negli ultimi mesi del 1135, e quasi tutto l'anno 1136.

Ed era questo l'anno quando LOTARIO scendeva per la seconda volta in Italia e, sollecitato da INNOCENZO II, da ROBERTO di Capua e dal fratello del conte d'Avellino, si preparava alla guerra contro il re di Sicilia.
Torniamo dunque a ricollegarci al filo delle vicende di LOTARIO
che avevamo interrotte prima di questo capitolo....

il periodo dall'anno 1137 al 1154 > > >


(VEDI ANCHE I SINGOLI ANNI o nella TEMATICA)

Fonti, citazioni, e testi
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - Nerbini
LANZONE - Storia dei Comuni italiani dalle origini al 1313
GREGORIUVUS - Storia di Roma nel Medioevo - 1855

L.A. MURATORI - Annali d'Italia
MAALOUF, Le crociate viste dagli arabi, SEI, Torino 1989
J.LEHMANN, I Crociati,- Edizioni Garzanti, Milano 1996
UTET - CRONOLOGIA UNIVERSALE
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi

+ VARIE OPERE DELLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE 
 

ALLA TABELLA TEMATICA - I RIASSUNTI - HOME PAGE