STUDENTI
IN RIVOLTA MASSACRATI NELL'IMMENSA PIAZZA DI PECHINO.
La cronistoria
( !? ) nei servizi della stampa italiana
TIENANMEN
I
DIECI GIORNI CHE NON SCONVOLSERO LA CINA
( di ALESSANDRO FRIGERIO )
( vedi altre pagine in "TABELLA CINA" )
<< STORIA DI CIVILTA' - LA CINA
La repressione di piazza Tienanmen poneva fine a quella che � stata definita la "primavera" di Pechino. Il 18 aprile 1989 un pugno di studenti, diventati nel corso delle settimane alcune migliaia, avevano occupato piazza Tienanmen al grido di "Abbasso la rivoluzione, viva la democrazia, viva la Cina". Chiedevano di rimettere in sesto l'economia, che gi� dall'anno precedente viaggiava tra i flutti del caos pi� totale, e di avere pi� voce nelle scelte future del paese.
Morto Hu Yaobang, l'ex segretario del partito licenziato per aver appoggiato le rivolte studentesche del 1987, gli studenti trovarono in Zhao Zyiang un loro paladino. "Gli studenti sono patrioti. Vogliono solo denunciare i nostri errori" aveva affermato Zhao il 4 maggio. In tutta risposta il 20 maggio fu introdotta la legge marziale, mentre Zhao veniva progressivamente estromesso dai vertici del partito. Il 28 maggio gran parte della protesta studentesca era rientrata, sconfitta per sfinimento dal lungo ma incruento braccio di ferro con il potere.
Di seguito la cronaca di ci� che successe dopo, a partire dal 1� giugno e fino al 10 dello stesso mese, vista con gli occhi di quattro grandi quotidiani italiani, Corriere della Sera, Il Giornale, La Repubblica e l'Unit�. Ognuno ha voluto raccontare e spiegare a suo modo gli avvenimenti sanguinosi a cui il mondo assisteva impotente.
Ognuno col suo punto di vista specifico. Ognuno cercando di spiegare ai lettori il perch� di un tragico massacro che in quel memorabile 1989 segn� la fine di tanti regimi comunisti, ma non di quello cinese. Da questo punto di vista, le polemiche tra i partiti italiani e il Pci, nonch� quelle tra giornalisti e intellettuali di diversa estrazione in merito alla morte dell'ideologia comunista hanno trovato sulla carta stampata la loro arena pi� infuocata. Anche di ci� abbiamo voluto rendere conto.
La
quiete prima della tempesta (1-3 Giugno 1989) - Nei primissimi giorni di giugno
la quiete sembrava regnare in piazza Tienanmen. E i quotidiani italiani non
mancavano di segnalarlo lasciando le brevi corrispondenze sull'argomento nelle
pagine interne. I titoloni delle prime pagine del 1� giugno 1989 erano infatti
destinati ad altri argomenti: "Ciampi: l'Italia spende troppo" (Corriere
della sera);
"Bush: ora abbattete il muro di Berlino" (Il Giornale), "Preoccupata
analisi del Governatore sulla finanza pubblica: quanto tempo s'� perso"
(La Repubblica), "Economia, anni sprecati. Ciampi sgrida il governo"
(L'Unit�).
Su questi quattro quotidiani per scovare le notizie cinesi bisogna spostarsi
dalla prima pagina a quelle pi� interne, e talvolta neanche l� si riesce a
trovare qualcosa. Il Corriere della sera del 1� giugno aggiorna i lettori
sulla situazione evidenziando i primi segnali di rigetto nei confronti dei
giovani occupanti e della loro simbologia politica, prima tra tutti la cosiddetta
"statua della libert�", eretta con materiali di fortuna al centro
della piazza.
Scrive
infatti il corrispondente Renato Ferraro che ormai il popolo di Pechino ha
smesso di portare cibo e coperte agli studenti accampati, tanto pi� che si
rincorrono voci di denaro giunto da Hong Kong a sostegno della causa e in
parte misteriosamente sparito, mentre per le strade si sono uditi slogan contro
la borghesia (che per la propriet� transitiva � incarnazione di idee liberali
e filoccidentali).
Ma la maggiore provocazione � la statua, scrive Ferraro, simbolo dell'America,
di un paese straniero, che "irrita non solo il governo ma anche lo spirito
nazionalista dei cittadini favorevoli alla democrazia. Questi ultimi osservano
che le bravate degli ultr� possono favorire solo i falchi del regime e la
repressione".
Da
parte loro i giornali cinesi si dimostrano oltremodo scandalizzati perch�
il suo seno prosperoso rischia di turbare i bambini. Il Giornale aggiunge
un ulteriore tassello all'oziosa questione della statua della libert�. Non
si tratta di una imitazione di quella americana, bens�, spiegano gli studenti,
di una rappresentazione allegorica della "dea della democrazia".
Per il resto, in data 1� giugno il
quotidiano di Montanelli avanza l'ipotesi di un compromesso ai vertici del
partito e dello stato cinesi, "profondamente divisi sul modo di affrontare
la protesta giovanile e sulle risposte da dare alle richieste di rinnovamento
espresse da gran parte della popolazione nella manifestazioni dei giorni scorsi.
[
] Il comitato centrale, si dice, si limiterebbe ad accettare le dimissioni
di Zhao e di alcuni suoi stretti collaboratori, sancendone cos� la sconfitta
politica, ma evitando di creare ulteriori fratture in un partito nel quale
lo stesso Zhao ancora conta molti appoggi".
Per
la corrispondente delL'Unit�, Lina Tamburrino, alcuni recenti sviluppi
dimostrano come la situazione stia ormai uscendo dalla stagnazione, pronta
a svilupparsi in modo imprevedibile nelle direzioni pi� diverse. Il ritorno
da Shanghai a Pechino di Wan Li, il presidente dell'assemblea popolare nazionale,
esponente non oltranzista del partito � uno di questi segnali. Al quale si
devono aggiungere un articolo del Quotidiano del Popolo che riporta il resoconto
di un'assemblea popolare nazionale di iscritti in appoggio alle richieste
degli studenti, e l'assenza di alcuni esponenti oltranzisti in una delle ultime
riunioni del Pcc, assenza che potrebbe segnare una loro caduta in disgrazia.
"Qualcosa sta cambiando nel percorso della crisi - conclude la Tamburrino.
Forse siamo a una svolta".
Su
La Repubblica, in quello stesso 1� giugno, una corrispondenza dell'inviato
Marco Panara descrive l'istituzione all'interno della pi� grande universit�
di Pechino di un "governo parallelo" formato da studenti, che si
occupa della gestione dell'occupazione e dell'amministrazione dei fondi giunti
a sostegno delle organizzazioni studentesche.
Sotto il profilo politico occorre segnalare
che, rispetto agli altri tre quotidiani, Repubblica � quello che d� maggior
risalto, seppure con formula dubitativa ("Il potere torna unito intorno
a Deng. Pi� vicino l'intervento dei soldati?") alla ridda di voci incontrollate
su un prossimo intervento militare a Tienanmen.
I difficili tentativi per decrittare lo scontro al vertice del partito comunista
cinese continuano anche sui quotidiani italiani del 2 giugno. E come nei giorni
passati le cronache sono confinate nelle pagine degli esteri senza alcun richiamo
in prima pagina. Del resto l'argomento, che ormai ha logorato l'attenzione
dei lettori, sembra prestarsi pi� che altro alla comprensione - o alle congetture
- di esperti sinologi. "Cina, faida nella banda dei vecchi" � titolata
la corrispondenza sul Corriere della sera di Renato Ferraro, che dopo
aver dato notizia delle voci relative alla lotta di potere tra Deng, impegnato
a conservare la leadership, e Zhao, Yang Shangkun e Peng Zhen, sintetizza
felicemente l'immagine del Pcc definendolo come "una torre di Babele
al cui vertice un pugno di ottantenni, divisi da invidie e rancori, rifiuta
di intendersi".
E
mentre Repubblica diserta completamente gli aggiornamenti da Pechino, Il
Giornale e L'Unit� incentrano invece l'attenzione sul giro di vite
nei confronti della stampa locale e straniera, cui � stato proibito di dare
qualsiasi copertura giornalistica delle manifestazioni in piazza Tienanmen
o delle operazioni di polizia per far rispettare la legge marziale introdotta
dodici giorni prima. Il bavaglio alla stampa rende quindi sempre pi� credibili
le voci di un imminente intervento militare contro gli studenti. La temperatura
sale il giorno successivo, 3 giugno, quando si ha notizia di un maldestra
tentativo messo in atta dall'esercito per sgombrare la piazza dagli studenti.
Il Corriere della Sera titola
a tutta pagina "Dopo venti giorni di attesa il regime cinese tenta la
resa dei conti e la popolazione torna compatta nelle strade. PECHINO, L'ESERCITO
ATTACCA GLI STUDENTI - Ma nella notte un milione di persone impedisce ai soldati
di espugnare la Tienanmen. L'offensiva � scattata da quattro diversi punti
della citt� con truppe apparentemente disarmate - Un camion ha investito e
ucciso due persone - Barricate di automezzi - La gente canta l'inno nazionale
e lancia slogan di amicizia verso i soldati - Una dura resistenza".
Nella sua corrispondenza Ferraro osserva come questo intervento militare sia
stato deciso dal governo nel timore che operai e studenti potessero saldarsi
in un fronte unico. Infatti, nei giorni precedenti nella piazza erano state
alzate tende della federazione sindacale dalle quali si erano levati slogan
antigovernativi. Per questo motivo "si ritiene che sia stata la presenza
degli operai a convincere le autorit� a lanciare l'attacco notturno".
Che peraltro si � risolto in un nulla di fatto. Sembra infatti che gli studenti,
avvisati preventivamente da soldati simpatizzanti, non si siano lasciati cogliere
di sorpresa. Il Giornale dedica alla notizia ampio spazio sia in prima
pagina ("Tentata irruzione nella notte sulla piazza Tienanmen. GLI STUDENTI
FERMANO LE TRUPPE DI DENG - I militari erano disarmati - Ancora aperti i giochi
al vertice del Pc") sia in quelle riservate agli esteri.
Fondo e cronache sono affidate a Beppe
Severgnini, appena rientrato in Italia da Pechino. Il suo resoconto � significativo
perch� oltre a esalare gli umori appena abbandonati a Tienanmen, testimonia
il rincorrersi - tra i manifestanti ma anche negli stessi osservatori occidentali
- di speranze e aspettative per una soluzione pacifica che pareva a portata
di mano. E che invece si riveleranno vane alla prova dei fatti.
� il caso del fondo intitolato "Tutto � perduto fuorch� l'onore",
pubblicato quello stesso 3 giugno, ventiquattr'ore prima del massacro, quando
la protesta era ormai allo stremo delle forze. "Presto o tardi anche
gli ultimi studenti lasceranno piazza Tienanmen, diventata centro del mondo
per un mese, alle cure di spazzini e disinfestatori. Avrebbe potuto andare
meglio, dal loro punto di vista: se i "riformisti" avessero vinto
la battaglia per il potere, la piazza sarebbe stata abbandonata in trionfo.
Avrebbe potuto andare peggio, per�: se l'esercito fosse arrivato in armi nei
giorni caldi dell'insurrezione - e tutti eravamo convinti che arrivasse -
dal selciato sarebbero stati portati via non sacchetti di immondizie ma morti
a dozzine".
La
valutazione complessiva dei risultati dell'occupazione � per Il Giornale
in ogni modo positiva. La volont� di protesta, la manifestazione alla luce
del sole di un profondo disagio sociale, continua Severgnini, sono state le
grandi vittorie degli studenti. "Resta un fatto. Il mondo � convinto
che gli studenti abbiano perduto, e vuole sapere perch�. Una risposta potrebbe
essere questa: gli studenti non hanno perduto, per il semplice motivo che
non hanno mai combattuto per vincere [...] Tutto quello che chiedevano era
un po' di rispetto da parte di un partito che, combinando privilegi e cinismo,
di rispetto per la gente comune non � sembrato averne mai molto. [...] Gli
studenti, anche se oggi lasciano con la coda tra le gambe, hanno vinto.
Hanno vinto perch� sono stati capaci
di mostrare al regime che la gente � scontenta di come vanno le cose, tanto
scontenta da dimenticare i grandi meriti di Deng Xiaoping in questi dieci
anni di riforme". Resta la constatazione amara dell'incapacit� del fronte
riformista interno al Pc cinese di prendere il sopravvento sulla vecchia gerontocrazia.
E, assieme a questo, un dato di fatto che periodicamente sembra riproporsi
nella storia recente del paese: l'appoggio di studenti e intellettuali alle
riforme ha sempre portato male alla causa del fronte riformista.
Continua infatti Severgnini: [...] l'unica vera sconfitta degli studenti �
stata la solita sconfitta degli studenti e degli intellettuali cinesi. Scendono
in piazza per dar manforte alla corrente riformista nel partito, e finiscono
con l'affondarlo. � accaduto ad intervalli regolari per tutta la storia della
Repubblica Popolare: nella "campagna dei cento fiori" nel 1956-57,
quando i liberali vennero incoraggiati ad esprimersi e poi puniti per averlo
fatto; dopo gli incidenti seguiti agli omaggi per il defunto Chu En-lai nel
1976; prima del licenziamento di Hu Yaobang nel 1987. Oggi, di nuovo, gli
studenti sembrano aver condannato l'unico alleato, il segretario di partito
Zhao Ziyang. Questi [...] potrebbe invece risorgere il giorno in cui l'ottantaquattrenne
Deng partir� per il suo "appuntamento con Marx", oppure, a sorpresa,
tra qualche settimana" Anche Repubblica dedica la prima pagina
ai fatti cinesi ("Le truppe di Deng tentano invano nella notte di espugnare
la piazza della rivolta.
PECHINO FERMA L'ESERCITO - Un muro
di folla respinge i soldati dalla Tienanmen"). Marco Panara descrive
il fallito tentativo dell'esercito evidenziandone gli aspetti surreali. L'operazione,
volta a far rispettare una legge marziale "farsesca", in vigore
da due settimane ma mai applicata fino in fondo, � "militarmente ridicola",
� "una Caporetto penosa e festosa, senza caduti, senza, almeno sembra,
neanche feriti", conclusasi in un clima festoso, con la folla che fraternizza
con i soldati disarmati tra gli applausi della gente.
Nell'editoriale, Sandro Viola si chiede se non sia "troppo sbrigativo cavarne la conclusione che in Cina non c'� pi� un governo, un potere degno di questo nome? Forse lo �. Forse il regime sta accumulando le giustificazioni [...] per poter lanciare alla fine un attacco violentissimo contro la folla di Pechino". Ma il punto, continua, non � pi� sapere quando le truppe, prima o dopo, entreranno in piazza, "il punto � un altro. � lo spettacolo delle divisioni profonde, degli intrighi sempre pi� oscuri, e della paralisi, che viene dai palazzi del Potere". Ricca di dettagli � la corrispondenza pubblicata sull'Unit�, che in prima pagina titola "Le truppe volevano liberare la piazza ma sono state bloccate dalle barricate.
IN CINA LA FOLLA RESPINGE L'ESERCITO. I GIOVANI NON LASCIANO LA TIAN AN MEN". Lina Tamburrino fa una cronistoria degli avvenimenti che hanno portato fino alla situazione attuale, a partire dallo sciopero della fame del 13 maggio. In sintonia con gli altri osservatori occidentali anche la corrispondente del quotidiano del partito comunista italiano ritiene che l'escalation del confronto non si � ancora conclusa. Le immagini del massacro di piazza Tienanmen, che scatta alle 0,30 locali, le 17 e 30 in Italia, rimbalzano dai teleschermi dei telegiornali la sera del 3 giugno.
Esce titolando cos� il Corriere della sera del giorno successivo: "Il regime cinese scatena migliaia di soldati contro la gente scesa in piazza per difendere gli studenti ed esplode il furore del popolo. L'ESERCITO SPARA, NOTTE DI GUERRA A PECHINO. Morti a decine, barricate e incendi mentre i carri armati raggiungono la piazza Tienanmen. L'ondata di protesta si � trasformata in un'insurrezione - Scontri a mani nude con i militari - Alcuni reparti si sono uniti ai dimostranti, altri hanno aperto il fuoco all'impazzata - Li Peng si � presentato alla Tv: "Salviamo l'ambiente e la fascia di ozono".
Nella cronaca di Renato Ferraro la fallita spedizione di venerd� viene descritta come un'iniziativa tragicomica, da repubblica delle banane, che invece di disperdere gli ultimi ribelli ha fatto scendere tutta la popolazione nelle strade e reso ancor pi� alta la contabilit� del massacro di sabato. E forse, aggiunge, il maldestro tentativo di venerd� potrebbe essere interpretato come una provocazione dei falchi del partito per far convergere pi� gente in piazza e giustificare cos� l'intervento armato. La sconcertante dichiarazione ambientalista rilasciata da Li Peng in televisione ("Salviamo l'ambiente e la fascia di ozono") viene invece spiegata dal quotidiano di via Solferino come una metafora della situazione cinese, dove il pianeta minacciato � la Cina, gli inquinatori sono gli studenti e i lavoratori che protestano, mentre la fascia d'ozono da salvare sono le istituzioni e i capi del Pcc. Nel fondo ("Sangue contro la storia") Franco Venturini scrive che ancora una volta, come a Berlino, Budapest, Praga e Danzica � la paura del nuovo, abbinata al solito istinto di conservazione del comunismo, a venire fuori.
Ora per� "Deng non si � mosso soltanto contro il suo popolo. Si � mosso contro la storia, ha invertito il senso di marcia di un processo democratizzante che altrove nell'universo comunista si allarga a macchia d'olio [ ] Come dimenticare che mentre a Pechino i soldati sparano sulla folla a Varsavia si tengono le prime elezioni semi-libere del mondo comunista? Come cancellare con il sangue degli studenti cinesi le tumultuose sedute del parlamento sovietico, o il riscatto postumo di quel Nagy che nel '56 fece muovere i carri armati di Krusciov?".
Tuttavia, secondo l'autore, rispetto alle convulsioni del restante universo comunista il sistema cinese dimostra di essere incapace di provvedere a una sua riforma. E che la scelta inevitabile che ormai si pone ai dirigenti cinesi pu� essere solo quella "tra la libert� senza mezze misure e la tirannia senza falsi pudori". Il Giornale del 4 giugno titola: "A sei settimane dall'inizio della pacifica rivolta, la primavera cinese ha avuto la sua tragica svolta.
BAGNO DI SANGUE A PECHINO. L'esercito ha assaltato e occupato la Tienanmen sparando sulla folla. Almeno cinquanta i morti e centinaia i feriti tra gli studenti e gli operai". Beppe Severgnini scrive nell'editoriale che questa � una sconfitta per il palazzo. Hanno perso tutti: Deng Xiaoping che voleva passare alla storia come colui che aveva fatto uscire il paese dal fanatismo maoista, Li Peng che � in fin di vita e ha ormai i mesi contati, i "liberali" alla Zhao Ziyang che sono arrivati troppo tardi, e le forze armate che non sono riuscite a tenersi fuori dallo scontro politico. Solo gli studenti, continua Severgnini, escono moralmente vincitori da questa repressione che non era ne prevedibile ne inevitabile. "Le richieste degli studenti erano commoventi nella loro semplicit� [...] e sarebbe bastato soltanto un po' di buon senso e di abilit� per vederli partire cantando dalla piazza".
Decisamente pi� circostanziato e ai limiti dell'omert� l'atteggiamento dell'Unit�, all'epoca diretta da Massimo D'Alema. Lo sdegno � unanime ("Battaglia a Pechino. Dopo 50 giorni di lotta pacifica degli studenti e del popolo per la democrazia e la libert� il regime ha deciso l'assalto militare. Si parla di decine di morti e centinaia di feriti.
I
CARRI CONTRO IL MAGGIO CINESE. Bagno di sangue . Dura condanna del Pci"),
cos� pure la solidariet� nei confronti degli studenti da parte del segretario
Occhetto e dei vari quadri del Partito comunista italiano. Ma i commenti appaiono
circostanziati perch� puntano il dito solo contro la dirigenza attuale e non
sul sistema che l'ha generata, omertosi in quanto il regime cinese non viene
mai definito con l'aggettivo comunista.
Scrive la Tamburrino nella sua vibrante corrispondenza che "questi giovani
stanno morendo anche per l'enorme arroganza che il potere ha esercitato nei
loro confronti, rifiutandosi di considerarli qualcosa di vitale e di sano
per la Cina. Questi giovani rompevano le millenarie regole della subordinazione,
anche generazionale, e questo non poteva essere accettato. Non c'� stato spazio
per l'immaginazione al potere, per la generosit� di questi ragazzi cinesi,
fragili, eppure cos� forti". Ragazzi che oltretutto, continua la corrispondente,
sono andati incontro alla morte intonando le note dell'Internazionale.
Nel fondo, titolato "Dalla parte di quei ragazzi", Ottavio Cecchi corre con la mente "al passato, alle tante, troppe volte che un regime debole e corrotto ha risposto col fuoco alle giuste richieste di democrazia e libert�". Tuttavia, conclude, "nessuno pu� assumere in questo momento la parte di profeta. Ma un potere che ricorre alle armi dopo le esperienze di questo secolo e mentre in tutto il mondo si aprono speranze di nuove intese e di pi� solida pace, non pu� durare". In un angolo di pagina 3 il segretario della Fgci Gianni Cuperlo esprime la solidariet� agli studenti e afferma che "� chiaro come la responsabilit� di ci� che sta accadendo ricada interamente sulle forze conservatrici e retrive della burocrazia cinese".
Luned�
5 giugno le prime pagine dei quotidiani sono ancora tutte per la Cina. Il
Corriere della sera titola: "Il mondo assiste sgomento all'ultima
feroce repressione di un regime comunista contro il popolo che chiede democrazia.
UCCISI A MIGLIAIA, MUORE IL SOGNO CINESE. Ma commando di studenti continuano
a combattere i carri armati nelle strade di Pechino. C'� chi parla di 3000
vittime, ma per i dimostranti sarebbero addirittura 10000 - Manifestazioni
in tutto il paese - Voci di sciopero generale - Dissotterrati i fucili della
rivoluzione culturale - Universit� assediate - Il potere denuncia un complotto
antipartito - La gente grida ai soldati: che la sorte vi renda sterili".
Il
Giornale: "L'intervento dell'esercito contro i dimostranti ha provocato
una tragedia di dimensioni apocalittiche.
MIGLIAIA I MORTI A PECHINO. Fuoco a volont� dai carri armati: cadaveri a mucchi
sulla Tienanmen. Gli studenti, per sottrarsi alla carneficina, si sono rifugiati
nelle universit�". La Repubblica del 4/5 giugno apre cos� la prima
pagina: "I carri armati di Deng contro la folla inerme, una notte di
sangue.
MASSACRO A PECHINO. L'esercito spara, cade Tienanmen". L'Unit�:
"Spaventoso bilancio dell'assalto alla Tian An Men: forse settemila uccisi.
L'esercito prepara l'attacco alle universit�, disperata resistenza popolare.
A PECHINO UN GENOCIDIO. Il Pci scende in piazza, sit-in all'ambasciata".
Il Corriere della sera, per voce di Arrigo Levi, dopo avere ricordato
i meriti di Deng nell'opera di svecchiamento del regime, sottolinea quali
possono essere i due componenti, uno di lungo periodo e l'altro contingente,
che hanno dato luogo alla miscela esplosiva di questi giorni. "Bisogna
tenere conto di una particolare situazione che ha fatto da detonatore della
crisi: sulle tensioni "strutturali" si � sicuramente innestata,
con effetti perversi, una dura, spietata lotta di successione al vertice del
potere".
Nicola
Matteucci, sul Giornale, mette invece in evidenza "Il volto
disumano" del comunismo e accende le polveri delle polemiche contro i
comunisti italiani. "I massacri di Pechino non sono un accidente della
storia, ma una conseguenza diretta del marxismo-leninismo, che solo con la
violenza riesce ad incarnarsi nella realt�: � solo un'utopia sanguinaria.
Per cui � insieme ridicolo e patetico l'on. Achille Occhetto, che va a protestare
di fronte all'ambasciata cinese: il suo partito, che viene da lontano, porta
nelle sue stesse origini questo male assoluto".
Nelle pagine interne, un commento di
Massimo Caprara denuncia invece il fallimento sia del comunismo cinese sia
dei correttivi capitalistici introdotti negli ultimi tempi. "Il socialismo
[cinese, n.d.r.] non solo � stato intaccato, ma � uscito sconfitto dalla prova
di resistenza e durata che era stato chiamato a dare. Il capitalismo si �
dimostrato incapace di fruttificare come un antiparassitario capace di ridare
foglie e frutti ad un albero minato da cattive culture e pessimi floricoltori
politici".
Repubblica
riferisce invece delle pericolose tensioni interne alla Cina e ipotizza che
a muovere i fili della protesta, con gli studenti a fare da involontari burattini,
sia stata l'ala riformista del Pcc. Secondo l'editorialista Sandro Viola,
il clima che si respira � quello di una guerra civile. "Il problema e
gli interrogativi che si aprono adesso [...] si possono sintetizzare cos�:
come si presenta la Cina dopo che l'ordine � stato ristabilito a Pechino?"
Una cosa � certa, la Cina oggi � diversa perch� nelle strade il grido "abbasso
Li Peng" � stato sostituito da "a morte Li Peng".
"Nel grande Paese c'� da oggi, insomma, un clima da guerra civile".
Del resto, continua, le radici politiche di Tienanmen devono essere individuate
nella lotta di successione a Deng. La stessa protesta studentesca "era
nata, s'era organizzata, � durata, allo scopo di rafforzare l'ala liberale
del partito [...] e non c'� dubbio che la fazione di Zhao abbia dato una mano,
alla vigilia dell'arrivo di Gorbaciov, all'organizzazione della protesta".
Sul quotidiano del Partito comunista italiano il fondo, senza firma, riporta
il passaggio centrale delle dichiarazioni di Occhetto del giorno precedente:
"Protestiamo, non come parte di un movimento comunista; non solo perch�
questo movimento internazionale non esiste, ma perch� non c'� nulla in comune
fra noi e chi si rende responsabile di crimini come quelli che avvengono in
Cina".
Conclude quindi l'anonimo estensore
dell'editoriale: "Dunque il Pci � sceso in piazza, dando il segno di
un impegno totale e concreto in difesa della democrazia e del socialismo.
Non lo aveva mai fatto in passato, n� per Praga, n� per Varsavia, n� per l'Afghanistan".
Ma oltre alle dichiarazioni ufficiali e di circostanza, oltre all'ampio spazio
dedicato alla cronaca del sit-in di Occhetto davanti all'ambasciata cinese
a Roma, oltre alla segnalazione del frenetico attivismo del Pci in ogni angolo
d'Italia a favore degli studenti di Tienanmen, L'Unit� rifila una poderosa
spallata alla storia recente cinese con un articolo in seconda a pagina a
firma di Siegmund Ginzberg. La condanna � totale e, per certi versi sorprendente,
perch� si tratta di un revisionismo a caldo, scritto a poche ore dal massacro,
e perch� a firmarlo non � un esponente di spicco del Pci.
Tra le righe Ginzberg denuncia infatti i crimini cinesi dalla Lunga Marcia
in poi, le torture inflitte ai prigionieri politici, la dissennatezza delle
comuni volute da Mao, gli assurdi esperimenti agricoli che portarono a ripetute
carestie e alla morte milioni di cinesi. "� fin dal tempo della Lunga
Marcia che comunisti cinesi uccidono altri comunisti cinesi, con tanto di
processi farsa e confessioni fasulle, oppure con intrighi e complotti medievali.
Otto milioni di proprietari terrieri e di "controrivoluzionari"
[sono stati] fucilati nei primi anni '50...".
Tienanmen � solo l'ultimo episodio
in calce a una lunga lista degli orrori. Le incertezze sugli sviluppi della
situazione cinese, con le rivolte che da Pechino si estendono ad altre citt�
del paese, tengono banco sulle prime pagine dei quotidiani ancora per qualche
giorno. Su quelli del 6 giugno i titoli sono unanimi nel definire a un passo
dal colpo di stato, dalla guerra civile tra fazioni diverse la situazione.
"LA RIVOLTA IN CINA SPACCA L'ESERCITO. Scontri tra i reparti fedeli a
Deg e quelli contrari al massacro degli studenti" (Corriere della
sera).
"LA CINA SULL'ORLO DELLA GUERRA CIVILE. Altre vittime, fazioni militari in contrasto tra loro, forse Deng � morto. Il presidente Bus condanna gli eccidi e blocca le forniture militari" (Il Giornale).
"LA CINA NON S'ARRENDE. Pechino nella morsa dei carri armati, voci di scontro nei vertici militari" (La Repubblica).
"DOPO
LA CARNEFICINA IL CAOS. A Pechino restano forti focolai di protesta, manifestazioni
a Shanghai e in altre citt�. La situazione politica � sempre pi� confusa.
C'� chi parla di morte di Deng Xiaoping" (L'Unit�). Scrive Tiziano
Terzani, nel fondo ("Il Dio due volte fallito") sul Corriere
della sera del 6 giugno, che ora la Cina corre il rischio che L'Unit�
datale dal comunismo si spezzi dando origine a regionalismi e "a differenti
centri di potere come era al tempo dei Signori della Guerra". Bisogna
inoltre rendersi conto che "dietro la vampata di indignazione per il
massacro, dietro le proteste e le barricate che ora si levano in varie citt�
della Cina, creando le condizioni per altri interventi sanguinosi dell'esercito,
non c'� un'idea comune, non c'� un progetto alternativo di societ�".
Sul Giornale Alberto Pasolini Zanelli scrive che la repressione � stata uno
schiaffo all'Occidente, a quell'Occidente che aveva salutato con fiducia le
riforme di Deng e chiuso gli occhi di fronte alla violazione dei diritti umani.
Occorre quindi chiedersi cosa ha spinto
la Cina a sacrificare tutto il capitale di credibilit� tanto faticosamente
conquistato. "La spiegazione [...] � semplice: la disperazione. Solo
una situazione che pareva sfuggita interamente di mano pu� aver spinto i governanti
di Pechino a un gesto che ci appare, oltre che crudele, inconsulto".
Infatti, "il maggio cinese dell'89 era diventato una rivoluzione pi�
di quanto noi fossimo disposti a credere. [...] Il "riformismo"
dei ragazzi della Tienanmen si � trasformato in sette settimane, come accade
poi sempre nelle autentiche rivoluzioni, in un ripudio fondamentale del comunismo.
Quelle bandiere scarlatte sulle barricate non debbono ingannare: il rosso
� per i cinesi, da sempre, il colore della buona fortuna, appartiene a tutti".
Gli
interrogativi sul futuro della Cina sono al centro dell'editoriale di Repubblica,
a firma Sandro Viola, intitolato "Nella tenebra del maoismo...".
A parte il forte rischio che si sviluppi "la prima guerra civile in un
paese comunista dopo l'ottobre ungherese di trentatr� anni fa", l'effetto
a livello dei rapporti internazionali � che la Cina torni a far paura come
ai tempi di Mao, sprecando la credibilit� conquistata fino all'altro ieri.
Dire dove andr� dopo Tienanmen non � facile. "La sola risposta possibile
� che andr� verso l'Urss", realizzando cos� una prospettiva "che
modifica (con i due giganti del comunismo per la prima volta affiancati dopo
un trentennio) l'intera visione internazionale".
Gli insegnamenti di Pechino sono gi�
stati metabolizzati da tempo dal Pci, spiega il direttore dell'Unit�,
Massimo D'Alema, all'epoca impegnato a rintuzzare sull'organo dei comunisti
italiani gli attacchi delle altre forze politiche, resi pungenti dall'infuocato
clima preelettorale (il 18 giugno si sarebbero tenute le elezioni per il rinnovo
del parlamento europeo). "Il fallimento dei metodi del socialismo reale,
l'inaccettabilit� della dittatura del proletariato e del partito unico sono
dati di fatto accettati gi� da tempo nel Pci", afferma. Il nuovo destino
del Pci si gioca sui valori dell'uguaglianza e della libert� umana.
Le accuse lanciate dal segretario della Dc Arnaldo Forlani, che aveva denunciato il fallimento storico del comunismo, sono quindi assolutamente pretestuose, conclude D'Alema. Nei giorni che vanno dal 7 al 10 giugno la situazione cinese evolve con estrema difficolt� verso la "normalizzazione".
Per Piero Ostellino, sul Corriere della sera del 7 giugno, comincia ora la vera tragedia: o vince una delle due fazioni che si fronteggiano all'interno del partito comunista cinese oppure, se le due fazioni hanno uguale peso, si arriva alla guerra civile. Gli sviluppi futuri, continua Ostellino, dipendono da numerose variabili: dal coinvolgimento delle masse contadine nella rivolta, dalla possibilit� di uno scontro tra regioni ricche e regioni povere, dall'esplosione o meno della protesta del sottoproletariato urbano, da quel che faranno i signori della guerra locali, dal ruolo dell'esercito e delle spinte xenofobe.
Ma
in quei giorni anche un altro avvenimento aveva catalizzato l'attenzione dei
commentatori: le prime elezioni libere in Polonia, con la conseguente straordinaria
vittoria di Solidarnosc. L'avvenimento suggerisce a Sandro Viola, nell'editoriale
intitolato "Comunismi addio..." su La Repubblica del 7 giugno,
una valutazione in parallelo con i fatti cinesi. "La nostra impressione
� che gli eventi di Varsavia abbiano un rilievo storico anche maggiore della
tragedia cinese. � a Varsavia infatti - e non ancora a Pechino - che un comunismo
sta uscendo di scena".
"Tuttavia, cos� come Solidarnosc
sembrava spacciata solo otto anni fa" - continua - "il conto alla
rovescia � cominciato anche per il comunismo cinese. In vista non c'� l'ombra
d'una vittoria possibile, c'� solo l'annuncio della fine".
Sabato 10 giugno per l'ultima volta gli avvenimenti cinesi reggono ancora i titoli di apertura delle prime pagine dei quotidiani italiani. Ma l'ordine regna ormai a Pechino, e i titoli suonano a requiem. Basti, tra tutti, quello di Repubblica: "Mentre l'esercito rastrella Pechino a caccia dei capi della rivolta, TORNA DENG IL TIRANNO. Il vecchio leader annuncia in televisione il successo del pugno di ferro: abbiamo stroncato la controrivoluzione".
Scrive Vittorio Zucconi in prima pagina, sotto il titolo "Dimenticare Tienanmen...": "Devono aver tirato un bel sospiro di sollievo i terribili vegliardi di Pechino nell'ascoltare il presidente americano George Bush, gioved� sera. Quando lo hanno sentito dire davanti a tutta la nazione americana [...] che la sua prima preoccupazione � la preservazione dei rapporti fra gli Usa e la Cina popolare, hanno capito di avercela fatta".
I
dieci giorni di violenza e di passione rivoluzionaria di Pechino non sono
riusciti a sconvolgere il gigante cinese. Gli avvenimenti cinesi diedero il
via anche a una serie nutrita di polemiche sul tema del comunismo, inteso
come ideologia metapolitica (i cui esiti pratici si stavano dimostrando per
l'ennesima volta disastrosi), e sul ruolo del Partito Comunista Italiano di
Achille Occhetto, che di quell'ideologia era il migliore e pi� forte interprete
occidentale.
Ugo Tramballi, su Il Giornale
del 2 giugno 1989, aveva gi� preso spunto dalla crisi dei due grandi imperi
del comunismo mondiale per individuare, al di l� delle interpretazioni politiche
contingenti o degli esiti degli avvenimenti, alcuni punti di non ritorno.
"[...] messo di fronte all'evidenza del suo fallimento storico, � proprio
lo stato comunista che rigetta la necessit� delle riforme. Gli studenti logorano
in piazza Tienanmen le loro speranze senza ottenere nulla di ci� che chiedevano
e quei dirigenti dentro il sistema che li avevano sostenuti rischiano l'epurazione
se non l'arresto. A Mosca le grandi aspettative democratico-parlamentari dei
deputati si scontrano con una maggioranza che non vuole cambiare niente [...]
La conclusione, dunque, sembra apparentemente essere una sola: il comunismo
� un sistema sostituibile con la forza e non con le riforme. Ma l'ipotesi
� irreale e priva di senso politico [...].C'�, invece, un fenomeno mondiale
che nonostante tutte le evidenze contrarie costringer� i regimi totalitari
a intraprendere la strada del pluralismo. Nemmeno l'universo comunista pu�
essere immune dai tre fattori politici che dominano la fine del nostro secolo:
la democrazia, il mercato e la diffusione in tempo reale delle informazioni".
Ma la degenerazione dei sistemi comunisti � stata causata dal culto dalla
violenza di personaggio come Lenin, Stalin e Mao, dall'incapacit� di applicare
il "metodo" allo sviluppo economico e alle esigenze di libert� individuale,
o da un vizio d'origine presente nella dottrina stessa?
Vittorio
Strada, sul Corriere della sera del 5 giugno, non ha dubbi: "Le
interpretazioni rassicuranti, secondo cui tutte le disfunzioni del sistema
sono colpa dello stalinismo, convincono ormai soltanto limitate schiere di
"credenti" del comunismo, nonostante gli sforzi degli ideologi ufficiali
del sistema per fare di Stalin il responsabile unico di un fallimento le cui
radici stanno nell'esperimento rivoluzionario stesso di Lenin e nelle sue
basi marxiste".
In tutta risposta Enrica Colotti Pischel,
sull'Unit� del 6 giugno, si produce in un'abile piroetta dialettica
che trasforma di colpo il regime comunista cinese in fascismo. Il regime cinese,
scrive, � da intendersi fascista per l'uso della repressione militare come
atto dimostrativo, per il suo "governo di minoranza, autoritario, privo
di meccanismi democratici e pluralistici, volto alla conservazione del potere...".
Ma, continua la Pischel, n� il regime di Mao n� quello di Stalin erano fascisti
perch� avevano il consenso di ampi strati della popolazione povera e diseredata.
� quindi la profonda crisi del modello riformatore di Deng, conclude, il principale
responsabile del disastro. Del resto, scrive sempre sull'Unit� Giuseppe
Chiarante dopo una lunga dissertazione su cosa bisogna intendere per "vero"
marxismo, "ci� che conta � sottolineare senza esitazioni che � del tutto
improprio - anche dal punto di vista di una corretta lettura marxiana - designare
tali societ� [dell'Est, n.d.r.] come socialiste e comuniste. Il problema del
socialismo e del comunismo �, invece, ancora del tutto aperto" e riguarda
l'integrazione tra libert�, democrazia e sviluppo economico. Una condanna
del grande esperimento comunista del XX secolo e di quella che fino a ieri
sembrava una metodica capacit� di edificazione del futuro viene da Alberto
Ronchey, su la Repubblica del 9 giugno, con un articolo intitolato
"Lo spettro cinese s'aggira per Mosca".
"Per assurdo, l'intero mondo che
veniva detto comunista era celebre un tempo a causa dei suoi "piani"
trionfali, ma ora da un capo all'altro di quel mondo non affiora un solo credibile
"piano" di ripiegamento. Non si scorge un'uscita di sicurezza dalle
crisi che attanagliano gli eredi e gli amministratori di quel potere, mentre
fallisce in tutte le sue varianti l'esperimento del secolo". Ma la polemica
pi� forte � quella messa in atto da Il Giornale, il quotidiano a quell'epoca
diretto da Indro Montanelli, contro il segretario del Pci e L'Unit�.
A parte il fatto che per Il Giornale i ragazzi di Tienanmen intonavano
l'Inno alla gioia di Beethoven, mentre per L'Unit�, come abbiamo gi�
visto, cantavano l'Internazionale, meritano di essere riportate le fulminanti
bordate del grande vecchio del giornalismo italiano all'indirizzo di Occhetto.
Scrive Montanelli sul Giornale del 7 giugno: "Il personaggio [Occhetto
n.d.r.], parsoci fino a ieri annaspante, ficchino e farfuglione, comincia
a soffondersi di patetico. Ha chiesto udienza all'ambasciatore di Cina per
avere spiegazioni sui fattacci della piazza Tienanmen, e siccome gli hanno
chiuso la porta in faccia (e non si capisce del resto di quali spiegazioni
l'accaduto abbia bisogno), ha detto che rinunziava al "visto" che
gli avevano concesso a Pechino: cos� imparano".
Tuttavia Montanelli non nega che il compito di Occhetto sia in quel momento
immane, perch� se � vero che "gli avvenimenti di Ungheria, Cecoslovacchia,
Polonia, per non parlare di Vietnam e Cambogia cos� lontani da noi, hanno
certamente collaudato le resistenze di quel partito [...] il Pci che Occhetto
ha ereditato non � pi� quello di Togliatti, e nemmeno quello di Berlinguer
che i carri armati li digerivano come bruscolini: bastava che vincessero.
Il Pci di Occhetto � un partito che, per essersi scelto un capo come Occhetto,
vuol dire che somiglia a Occhetto e lo considera tagliato sulla sua misura".
La conclusione non pu� che essere una sola "� il comunismo, da qualunque
parte lo si rigiri, l'errore. [...] Che pu� fare il povero Occhetto di fronte
a cose tanto pi� grandi di lui? Gli auguriamo di essere all'altezza della
situazione almeno come curatore del fallimento".
Su questa falsariga � anche il tono di un articolo di Claudio Magris sul Corriere
della sera del 10 giugno. "Chi ha creduto nel comunismo, e soprattutto
nel mitico comunismo cinese, come nell'Apriti Sesamo della storia,
ora � pronto a rinnegare tutto - come il segretario del Pci, che disconosce
paternit� e identit� per rassicurare la gente come chi chiedesse un prestito
sulla fiducia promettendo di cambiar vita e di non spendere pi� quei soldi
all'osteria".
Ma per chiudere questa parentesi tutta italiana sulla tragedia di piazza Tienanmen
forse le parole pi� equilibrate e pacate sono quelle spese da un prestigioso
collaboratore del Giornale, il critico Geno Pampaloni. Scrive infatti
Pampaloni il 10 giugno, replicando a chi gli rimprovera di parlare in modo
strumentale di fine del comunismo, che in Cina si � avuto "l'evento finale,
la contrapposizione armata, la guerra fratricida tra comunisti e comunisti.
A me sembra secondario analizzare quale delle due parti in lotta incarni il
comunismo autentico. Il fatto essenziale � che il Grande Fratello ha oggi
un Sosia che alloggia nel suo stesso palazzo. La storia si � presa la rivincita,
una rivincita tragica ma inevitabile, sull'Utopia. [...] L'uscita di sicurezza
a coloro che nel comunismo hanno creduto chiudendo gli occhi di fronte all'evidente
divorzio tra l'utopia e la realt�, pu� forse fornirla il lucido e disperato
Leopardi: "Ogni passo della sapienza moderna svelle un errore; non pianta
mai alcuna verit�"".
ALESSANDRO FRIGERIO
Ringrazio per l'articolo
concessomi gratuitamente
dal direttore di
Ci avete capito qualcosa
(torti e ragioni) dalle varie corrispondenze?
proviamo
a leggere allora la fine anno 2004 > >
quanti industriali italiani vogliono andare a fare affari in Cina
Tienanmen è solo un fastidioso ricordo
l'importante ora è di non solo prendersi le "uova d'oro" che
fa la Cina
ma vogliono in molti casi (e fanno a gomitate) impossessarsi della "gallina".
Non proprio sulla gallina, ma sulla vacca c'è un' antica leggenda popolare che racconta di una imperatrice che voleva conquistare un territorio vicino soggetto a un principe Mao. Era un impresa difficile, soprattutto per il territorio accidentato; ricorse allora all'astuzia: fece circolare la voce che possedeva due vacche che ogni cosa che mangiavano, gli escrementi si tramutavano in oro. Quel principe si interessò molto della cosa, fece di tutto per averle le due vacche, minacciando pure, finchè l'imperatrice messa alle strette, pattuì che gliele avrebbe pacificamente regalate le due vacche d'"oro", ma che erano così delicate che non potevano affrontare un viaggio in strade quasi impraticabili. L'altro pensando al tornaconto venale, si offrì di costruire lui una lunga strada (che ancora oggi è fra le migliori della Cina). Una volta terminata, l'imperatrice la utilizzò subito, ma per invadere la provincia dell'ingenuo principe, e soggiogarla. La leggenda è chiaramente allusiva al metodo di conquista dei Cinesi, pacifico e astuto, che durò immutato attraverso i secoli.
Quanto alla pazienza che il cinese si pone per ottenere il risultato finale c'è anche questa storiella, anche questa allusiva.
"Un cinese avendo il suo misero orto in una valle in mezzo a due alte collinette, dove non arrivava mai il Sole, con una piccola pala incominciò a scavare la collina che gli stava davanti a levante con l'intenzione di liberarsi di quell'ostacolo e far crescere bellissimi frutti e saporite verdure; un occidentale fermandosi e osservando questa ciclopica operazione si affrettò a dire facendo i suoi calcoli che era inutile, che era una fatica da sciocchi, che gli occorrevano almeno 130 anni prima di spianarla del tutto, e che lui il Sole non l'avrebbe di sicuro mai visto, - si lo so, disse il cinese- e allora perché lo fa? - perchè così mio figlio vedrà l'opera già iniziata e continuerà lui, poi suo figlio farà altrettanto con il suo esempio, infine come ha detto lei fra 130 anni i miei nipoti mangeranno delle ottime verdure e succosi frutti e vedranno il sole entrare dalle finestre, e a lei tutto questo le sembra inutile e sciocco?"
( vedi altre pagine in "TABELLA CINA" )