L'alleanza fra GUGLIELMO EMANUEL, giornalista di
vaglia, e il partito cattolico
durante una battaglia politica che segnò il futuro dell'Italia
CORRIERE
DELLA SERA: ARIETE DC
DURANTE LE ELEZIONI DEL 1948
di STEFANO ROMAGNOLI
" ...avviene, nel settore della stampa, una serie di vicende ...tutte queste vicende finiscono per preparare quel quadro di restaurazione che il voto del 18 aprile 1948 sancirà definitivamente anche nel campo dell'organizzazione del consenso ". P. MURIALDI (storico del giornalismo)
Guglielmo Emanuel (Napoli 27/IV/1879-Roma 17/VI/1965), uomo di vasta cultura (laurea in chimica), lavoratore metodico e impassibile come un inglese, sincero antifascista e liberale vecchio stampo, inizia la carriera giornalistica presso La Stampa di Torino, ma, fin dal 1906, passa tra le fila del Corriere della Sera retto dagli Albertini. Specializzatosi sui temi della politica internazionale, per oltre un decennio gira, in lungo e largo, il globo terrestre, seguendo gli eventi più importanti, fin quando, nel 1920, viene richiamato in patria ed assegnato all'ufficio corrispondenza di Roma. Con l'avvento del regime fascista, la sua libertà di movimento viene però ampiamente limitata e, dopo l'uscita dei fratelli Albertini, decide di dimettersi dal giornale (30/XI/1925).
Per circa 20 anni collabora con agenzie di stampa estere (soprattutto americane e inglesi), poi, alla fine del conflitto, diviene direttore del quotidiano napoletano di tendenze monarchico-conservatrici Il Giornale, foglio del pomeriggio in aperta concorrenza con La Voce comunista. La sua esperienza partenopea si protrarrà dall'ottobre del 1945 all'agosto del successivo anno, allorché rientra al Corriere della Sera per assumerne la guida.
Succede a Mario Borsa, che non gode più della fiducia della famiglia Crespi e di alcuni collaboratori del giornale a causa delle sue aperte posizioni repubblicane e azioniste, coll'intento e il proposito, come dichiarerà di persona al direttore uscente, di fare al Corriere " tutto l'opposto di come lo facevi tu ".[1]
Singolare, per capire l'opera e l'indirizzo dato dall'Emanuel al giornale milanese, è anche la diatriba che, appena arrivato in via Solferino, ha con il medesimo Borsa (" lo scocciatore " [2] come lo aveva ironicamente ribattezzato). Dalle pesanti accuse dell'ex direttore, " ...il tuo Corriere pare che abbia il solo proposito di non dir nulla ...il monito, a quanto pare, è: tacere...[3] ", l'Emanuel si scagiona dichiarando di voler fare un quotidiano sinceramente democratico e repubblicano, assolutamente indipendente e schiettamente progressista, un organo la cui voce, alta, pura e libera, non sia strumento né di partito, né d'uomo politico.
E, nonostante l'aspra condanna ricevuta dal Borsa, al neo direttore giungono a testimoniare la solidarietà e la stima di cui gode, numerose lettere di collaboratori e inviati speciali del giornale milanese.
Testimonianze veritiere, come dimostreranno poi le parole scritte da Indro Montanelli, pochi giorni dopo la morte dell'ormai ottantaseienne ex direttore: " ...ce lo ritrovammo direttore di questo giornale nel '46, e fu una specie di trauma. Soffiava il "Vento del Nord", il delirio epurazionista imperversava, e anche noi eravamo alla mercé di alcuni somari che cercavano di gabellare per meriti antifascisti i loro demeriti grammaticali e sintattici. Essi avevano accettato, sia pure a malincuore, la nomina di Emanuel ritenendolo dei loro: livido di rabbia per il suo ventennale confino e smanioso di vendetta contro chi, essendo nato col regime ci aveva convissuto. Ma furono crudelmente delusi. Emanuel venne a braccia aperte incontro a noi, non a loro, disperse l'atmosfera di ricatto e d'intimidazione che pesava su tutti, e restaurò quella della collaborazione e della colleganza. Il lavoro ridiventò un piacere. E finalmente, dopo venti anni di censura fascista e uno di censura antifascista, non ne avemmo più nessuna [4] ".
Durante i sei anni della sua direzione (1946-1952), una direzione di transizione, quasi di compromesso, che doveva simboleggiare la continuità col giornale albertiniano e ripulire via Solferino dai " pericolosi lieviti di ciellenismo" [5] , il Corriere diviene gradualmente anticomunista. Anche se l'imperativo è quello di non spaventare il lettore (" ...non scoraggiatemi il lettore. Aiutatelo a cominciar bene la sua giornata dandogli buone notizie, e presentandogli quelle cattive in modo che non sia obbligato a disperarne...[6] " , amava ripetere ai dipendenti), non mancano in prima pagina grida di allarme per la continua e consistente crescita del Pci e dello Psiup, per il comunista Tito affacciato sull'adriatico, per le vicende degli stati dell'Europa orientale e la situazione triestina.
A poco a poco il quotidiano milanese sta avvicinandosi, in politica, alla Dc di De Gasperi (titoli, argomenti e struttura della prima pagina ricalcano quelli del Popolo, di cui vengono anche cancellati tutti i debiti contratti in quegli anni con la tipografia di via Solferino; il censore milanese del giornale, il "guardiano" come lo definiva Negro, è Augusto De Gasperi, fratello di Alcide) e, in economia, alla CONFINDUSTRIA, o sarebbe meglio dire all'asse De Gasperi-Costa.
Utilizzando le parole del Licata: " ...via via che si ingrossava il potere della Dc, il conformismo del giornale di Emanuel si sarebbe adeguato...[7] " .
E' una scelta naturale, quindi, quella di schierarsi dalla parte della Dc alle elezioni del 1948 (da notare, però, anche la coincidenza lettore del Corriere/elettore Dc ), una scelta che il giornale milanese onora impiegando tutte le forze umane di cui dispone, battendo le medesime strade propagandistiche della compagine cattolica e dei suoi alleati (aiuti americani e piano Marshall, vicende triestine e dei paesi dell'Europa orientale, il voto come scelta pro o contro la democrazia e le libertà, ecc. ecc.) e non dando spazio, se non per screditarli, ai partiti della sinistra (" ...Nenni con molta sobrietà gli chiese semplicemente di far sì che il Corriere prestasse qualche attenzione anche alle ragioni dell'opposizione. Emanuel troncò seccamente: "lei si occupi del suo partito e io mi occuperò del Corriere..." "[8] ).
Spetta a Silvio Negro, durante gli ultimi giorni del dicembre 1947, aprire la campagna elettorale del "partito" di via Solferino, e lo fa con un articolo dal titolo "I partiti e le elezioni", nel quale presenta al lettore le vicissitudini a cui il Psi di Nenni è andato incontro negli ultimi mesi. Quello socialista, per il vaticanista ed ex simpatizzante fascista, è un partito che molto difficilmente alle prossime consultazioni potrà raccogliere gli oltre 5.000.000 di voti del 2 giugno 1946, a causa delle profonde lacerazioni che stanno formandosi al suo interno, ma, anche perché costretto a muoversi in un paese che, volere o non, riconduce tutto al contrasto tra i due blocchi in cui si sono divisi i vincitori della guerra. Poi, nel prosieguo del pezzo, si lascia andare a considerazioni su quanto enormi siano le somiglianze fra la tattica frontista adottata dal Pci ed ingenuamente avallata dai cugini socialisti, e quanto avvenuto nei paesi dell'Europa orientale, augurandosi che anche i futuri elettori siano abili nell'accorgersi di ciò.
Passano pochi giorni dall'inizio del nuovo anno che si apre il VI Congresso del Pci, ed a seguirlo il Corriere invia Gaetano Baldacci. Che il giornalista non nutra simpatie per il partito di Togliatti, e più in generale per il mondo delle sinistre, appare subito evidente dai commenti che affiancano i suoi resoconti: " ...la giornata, peraltro, si è svolta sotto il segno della ripetizione fino alla noia: almeno per noi... [9]" , e ancora, " ...Thorez non ci ha detto nulla di nuovo, nulla di illuminante, ha svolto le solite accuse all'imperialismo americano, ha criticato il piano di impoverimento del ministro Mayer, ha messo in guardia contro il film gangsteresco che ci viene dall'America e contro la importazione del cheewinggum...[10] " , poi, " ...l'on. Scoccimarro ci ha confessato l'aperta sfiducia nel sistema democratico - parlamentare ...il parlamentarismo secondo Lenin (e secondo i nostri comunisti) è storicamente superato ...lo stesso si dica per il capitalismo... [11]" .
E se già tutto questo non bastasse a screditare la compagine comunista, il giornalista non si fa scrupolo nell'affermare che le idee di tutti coloro che si sono alternati sul palco, lodando e inneggiando la tattica frontista, possono esser così riassunte: " ...togliamo le fondamenta alla tradizionale struttura dello Stato (attraverso le "iniziative popolari": Costituente della terra, Lega dei comuni democratici, ecc.) e, insieme, inseriamoci nel metodo parlamentare attraverso un largo fronte democratico popolare che includa più partiti e più classi ...più partiti, sotto la guida del comunista, andrebbero al potere, senza restrizioni di voto ai borghesi. Ma ai "fascisti" sì. E qui è il punto: l'artificio per il quale può essere definito "fascista" chiunque dia fastidio e non sia un supino esecutore di ordini moscoviti. Qui si profila il dramma di tutti i democratici dell'Oriente europeo...[12] " .
Così il tanto invocato blocco popolare viene trasformato dal Baldacci in nient'altro che un abile trucco per mascherare la nascita di un sistema monopartitico, la difesa dell'indipendenza nazionale nella scelta della Russia come alleata e, il divieto di voto per i fascisti, nella fine della libertà di voto. E, rincara la dose il giornalista, se l'onorevole Terracini ha affermato che il passaggio pacifico ad una democrazia progressiva non è possibile per la necessità della borghesia di difendere i suoi privilegi con la violenza, siamo dunque al tentativo di scaricare sulle spalle dei non comunisti la responsabilità di quello che potrebbe succedere. " Ma forse si tratta di una campagna intimidatoria in vista delle elezioni. E non giova ai comunisti "[13] " .
E' questo il tono tenuto dall'inviato per tutti i giorni del congresso. Ciò che è detto da quel pulpito "nemico" deve essere confutato dall'uomo dell'Emanuel, che lo fa impegnandosi con tutte le proprie forze, arrivando perfino ad accusare il leader comunista di presentare ai suoi adepti l'ideale di un'indipendenza astratta, la quale ha il solo scopo di isolare l'Italia dal sistema occidentale, per farla poi fatalmente, ricadere sotto un altro sistema di suo maggior gradimento.
Chiuso il congresso, bisogna però riassumere quanto successo in una settimana e presentare al lettore, tutta assieme, la politica proposta dai "compagni". Per far ciò, il Baldacci, manda alle stampe un pezzo dal titolo "Astratto e concreto" dove afferma che " ...l'on. Togliatti come tutti gli uomini che hanno la fissazione della concretezza, cade regolarmente nel difetto opposto, l'astrattezza. ...L'indipendenza come l'on. Togliatti dice di concepirla, a noi sembra una mera astrazione ...non è concreta ...egli è ad un tempo, triplicista e antitriplicista " [14] . Poi, convinto di farsi interprete delle perplessità di molti, chiede alla guida del Pci di mostrare quale siano i suoi veri progetti in politica estera, un intervento attivo, non mere lezioni sulla sovranità nazionale e sul concetto di libertà. Al Silvio Negro, che circa quindici giorni prima ha dato il via alla tenzone elettorale, spetta, invece, il compito di occuparsi del Psi e del suo congresso.
E' un congresso tutto incentrato sul tema del fronte con i comunisti, un fronte di cui i socialisti rivendicano la primogenitura. "Un forte partito socialista all'avanguardia del fronte democratico popolare". E' questo lo slogan posto attorno alla balconata dove i vari membri della compagine si alternano a parlare, uno slogan, però, stando alle parole del giornalista, che non convince del tutto neppure i suoi stessi autori. Fra le fila del Psi, c'è infatti chi teme di subire una sorta di soffocamento alle prossime consultazioni da parte dei candidati comunisti. Ma c'è anche chi, ed è segno questo della pluralità che ormai regna incontrastata nel partito, non palesa preoccupazioni, anzi, copre con bordate di fischi coloro che provano a spiegare le buone ragioni per un rifiuto della tattica frontista. " ...E' d'obbligo un'atmosfera euforica per il fronte e tutto il resto passa in secondo linea "[15] : un congresso aperto per decidere sul fronte, sembra aver già preso una propria, irreversibile, decisione.
A rafforzare l'autorevolezza di questa conclusione, Negro riporta l'intervento di un delegato meridionale, che così risponde a chi aveva chiesto lumi sulla reazione di quanti si sono iscritti nel partito proprio per differenziarsi dalle posizioni del Pci, e che, con i loro soldi, mandano avanti la baracca: " ...e chi se ne cura? ...Essi non ci danno altro, ogni tanto, che degli assegni, che poi non riusciamo a riscuotere. Sia ringraziato Satana che mi ha concesso di arrivare a questa tarda età, e spero che egli mi conceda altri sei mesi per vedere il trionfo del fronte " [16] .
E ancora continua con le allarmate considerazioni di Lombardi: " Comunisti e socialisti sono sempre sulla stessa linea? ...Siamo tutti contro il piano della ricostruzione europea, contro la "terza forza"? C'è identità di vedute per la legalità democratica? Se tutto questo fosse avrebbero ragione i fusionisti; ma non è. Per cui, nel fronte, il partito socialista finirà, a poco a poco, per essere assorbito dai comunisti " [17] .
Adesso, dopo aver presentato al lettore un Psi fortemente diviso al suo interno, non rimane altro che screditarne il programma elettorale, ed il giornalista fa questo analizzando il discorso conclusivo di Nenni e ribattendo che per l'Italia una politica degli scambi è inattuabile, poiché le nostre imprese sono tuttora incapaci di produrre e non si ha, neanche il mezzo di assicurare alla gente l'indispensabile per la vita; riaffermando ancora la monotonia delle accuse del leader socialista, che vertono tutte sulla collusione del Governo e della Dc con la Chiesa e gli Stati Uniti; del legame che vi è fra lo stato americano, il capitalismo, l'imperialismo, ecc. ecc.. Tutte affermazioni, commenta, già sentite in altri congressi e già lanciate da altri pulpiti, e modo tanto semplice di risolvere le questioni " ...da far venire in mente i sillogismi di don Ferrante " [18] .
Noiosità nelle accuse lanciate ai partiti di governo, poca chiarezza nei programmi presentati. Sono queste le imputazioni mosse dal giornale milanese ai due partiti del fronte in questi primi, ma già roventi, giorni di campagna elettorale.
E a ribadirle e amplificarle ecco un editoriale dal titolo semplice ma di forte impatto: "Alla ricerca della chiarezza". A redigerlo, un Momigliano preoccupato per l'assoluta mancanza di limpidezza che vige nella propaganda di alcuni partiti. La chiarezza, il requisito fondamentale affinché le future Camere possano avere l'autorità e la certezza di rappresentare il Paese. E' stata proprio la mancanza di questo fondamentale attributo, sempre secondo il giornalista, a causare la confusione che ha regnato sovrana nei primi anni delle neonata repubblica. " ...i Governi di coalizione riunivano i più opposti uomini e i più diversi programmi col risultato di elidersi reciprocamente condannando la attività governativa alla più miserevole inazione. L'eredità dei comitati di liberazione nazionale ha creato questa confusione ...i comitati di liberazione nazionale non possono rinascere né ricostituirsi quando la situazione è radicalmente mutata...[19] " .
Bisogna perciò che ogni partito, ogni coalizione, ogni fronte, si presenti all'elettorato con i propri, veri, programmi, con idee precise sul da farsi in politica estera, nazionale, nel campo della legislazione sociale e dell'economia, ed attenda poi l'esito delle votazioni. " ...Lo sbandierare un fantastico pericolo fascista per ricostruire dei raggruppamenti eterogenei non è serio... " [20] . Apprezzabile, si legge ancora, sarebbe trovarci di fronte a comunisti che non nascondano, con le cortine fumogene dei discorsi prolissi e nebulosi, la loro precisa volontà di attuare in Italia un regime politico conforme a quello russo.
E poiché siamo in un paese democratico, promette Momigliano, se le urne diranno che la maggioranza degli italiani abbraccia la fede comunista, la minoranza si adeguerà, ma non è tollerabile che se il responso risulterà l'opposto, la forza rossa conquisti il potere con la violenza. Infatti, " ...noi deprechiamo la divisione del Paese in due campi avversi che potrebbero essere indotti a risolvere il loro conflitto al di fuori dei metodi democratici, ma non possiamo consentire che coloro i quali vedano ...nel piano Marshall l'unica speranza di salvezza dell'economia europea si presentino ...con coloro che hanno in programma di impedirne l'attuazione; ...che coloro i quali vogliono la resurrezione in regime democratico e nella pace, chiedano il suffragio del popolo a fianco di coloro che ne voglio fare istrumento [21]di un pauroso imperialismo che mostra evidente il suo scopo di impossessarsi dell'Europa " . E con queste amare parole l'editorialista prende congedo dal lettore.
Il suo silenzio si interrompe però il 2 marzo, allorché riappare sul giornale per mettere in evidenza la falsità di alcune promesse che si elevano, a gran voce, dalla medesima fazione politica. Giustizia sociale, indipendenza, libertà, sono questi i soliti impegni, il solito ritornello, ormai da anni in bocca ai profeti della sinistra, ma mai attuato. I pochi, al contrario, " che tentano con coscienza ed esperienza di proporre soluzioni concrete agli immani problemi che incombono sulla vita economica e politica d'Italia non sono certamente quelli che godono di maggiore popolarità e che raccolgono gli applausi delle adunate oceaniche, decorate di molte bandiere, stavamo per dire di molti gagliardetti... " [22] .
Per la penna di via Solferino, le tanto sbandierate parole di indipendenza e libertà, non sono altro che un paravento, uno slogan comodo da sventolare in faccia all'elettorato. In realtà, queste promesse, nascondono progetti di dipendenza dalla Russia e avvicinano due concetti, libertà e marxismo, agli antipodi. Quindi, o i marxisti italiani non sono marxisti, o quando pongono nel loro programma la parola libertà sono in malafede. Poi, conclude il suo intervento, ponendo seri dubbi anche sui piani di giustizia sociale, cavallo di battaglia del fronte socialcomunista. Perché, sentenzia amaramente, è facile parlare di giustizia sociale senza però elencare, mostrare a tutti, gli strumenti e le procedure attraverso cui questa verrà attuata.
Comunque, così come già era accaduto in precedenza, l'assenza del giornalista dalle pagine del giornale è breve. Dopo circa una settimana è infatti sua la firma a fondo di un editoriale polemico contro chi abbraccia, per opportunismo o chissà quale altro futile motivo, la causa socialcomunista. "Borghesi a nolo" è il titolo di questo scritto, dove ribadisce che a compiere questa deprecabile azione trasformista, a vendersi, sono generali, intellettuali falliti, uomini politici di poco spessore, persone che già in precedenza, circa vent'anni prima, avevano fatto un'operazione simile. Il destino a cui vanno incontro e che giustamente meritano, stando al Momigliano, è una cocente e giusta sconfitta. Lo stesso proletariato saprà riconoscere il trucco del prestigiatore e volgerà loro le spalle. " Sono dei borghesi a nolo per l'uso dello spettacolo elettorale. Saranno restituiti alla loro nullità quando lo spettacolo sarà finito, così come si restituiscono gli abiti da maschera che si noleggiano per un veglione " [23] .
Ad accorgersi però dell'importanza che la classe media rivestirà in queste elezioni c'è anche Silvio Negro, secondo cui: " ...è per convogliare simpatie nelle classi medie, sensibilissime ai temi del sentimento nazionale e sempre pronte a pagare di persona, che il Fronte socialcomunista prende il volto di Garibaldi, ed è stato per rassicurare la gran massa che non è operaia e che di suo non possiede spesso che i mobili di casa, che Alberto Cianca, parlando ieri a Firenze, ha messo acqua nel vino del Fronte, e ha insistito sulla libertà e legalità della sua azione " [24] .
Ma quello che appare in questo editoriale è anche un Negro preoccupato per la tensione che sta salendo nel paese e che si augura la veridicità delle promesse fatte dai partiti di sinistra, di voler mantenere la lotta politica su un piano di legalità e in un clima pacifico. A tal proposito riporta una dichiarazione dell'onorevole De Gasperi: " ...se i lavoratori comunisti vogliono essere rappresentati al Governo essi devono reclamare dai loro politici il rispetto della legalità democratica, un tema sul quale finora essi dicono e, nello stesso tempo, disdicono. Ma possono farlo? " [25] .
Tutto in una campagna elettorale infuocata come questa può avere risvolti politici, i giornalisti del Corriere lo sanno bene, così non perdono occasione per denunciare la stranezza dello sciopero indetto da poligrafici e dipendenti delle agenzie di stampa, sciopero protrattosi dal 22 al 25 marzo. "...Dire per questo, come è stato fatto da qualche parte, che si è trattato senzaltro di sciopero politico, può essere avventato. Anche perché ci sono situazioni in cui il silenzio diventa un commento più efficace di qualsiasi articolo. Si può invece dire, con tutta sicurezza che, nei riguardi dei giornali, questo sciopero è apparso piuttosto strano, perché motivato da ragioni di solidarietà per le rivendicazioni di altre categorie di grafici e non quella dei quotidiani, la quale sostanzialmente, aveva già visto accolte le sue richieste nelle trattative svoltesi la settimana scorsa.." [26] .
Che sia stata un'abile mossa, si continua a leggere, per far passare sotto silenzio la condanna emessa dalla Conferenza socialista di Londra verso il Cominform, i partiti comunisti a questa organizzazione legati ed i loro alleati?
Passano i giorni, la tensione cresce, le elezioni più importanti nella storia d'Italia, come le ha definite il Boeri, sono ormai alle porte, nell'aria circolano voci di possibili colpi di stato e ad appesantire il già invivibile clima ci si mette anche il quotidiano milanese con una serie di titoli tutt'altro che rassicuranti: 24 febbraio, "Un democristiano ucciso in Sicilia. Fu vittima di odio politico"; 18 marzo, "Una minoranza comunista sta compiendo uno sforzo aggressivo per impadronirsi del Paese"; 3 di aprile, "Il 18 aprile si sceglierà fra comunismo e democrazia"; inoltre non mancano piccoli trafiletti in cui si da risalto a qualsiasi ritrovamento o confisca di armi e manganelli nelle sedi più piccole dei partiti del fronte.
Il 4 di aprile ecco l'illustre Luigi Einaudi (per il quale il giornalismo è una sorta di missione morale, come afferma il Licata) a mettere in risalto la connessione che vi è fra il voto ed i nostri destini più immediati. " Il grido: "Vogliamo la pace !" E' troppo umano, troppo bello, troppo naturale per una umanità uscita da due spaventose guerre mondiali e minacciata da una terza guerra sterminatrice, perché ad esso non debbano far eco e dar plauso tutti gli uomini i quali non abbiano cuor di belva feroce " [27] .
Ma a cosa ed a chi devono affidarsi gli italiani per raggiungere una solida e duratura pace. Non servono le promesse di cambiamenti sociali, religiosi, non giova appellarsi a nuovi ideali.
La storia ci ha infatti insegnato, continua l'economista, che le religioni tutte possono dar vita a guerre, cruente e deleterie come le altre, nonostante il frequente appellativo di sante.
Stesso ragionamento può essere fatto per i diversi sistemi sociali, anzi, chiarisce, se un paragone si vuole fare fra opposti sistemi di organizzazione sociale come fomentatori di guerre, la conclusione, a cui si giunge, è una sola: tanto più facile è conservare la pace quanto più numerose sono le forze economiche esistenti in un paese, e tanto più è agevole scendere in guerra quanto più l'economia è accentrata sotto la direzione di un'unica volontà.
E termina il pezzo lanciando un monito e un augurio: " ...quando noi dobbiamo distinguere gli amici dai nemici della pace, non fermiamoci perciò alle professioni di fede, tanto più clamorose quanto più mendaci. Chiediamo invece: volete voi conservare la piena sovranità dello stato nel quale vivete? Se sì, costui è acerrimo nemico della pace. Siete invece decisi a dare il vostro voto, il vostro appoggio soltanto a chi prometta di dar opera alla trasmissione di una parte della sovranità nazionale ad un nuovo organo detto degli Stati Uniti d'Europa? Se la risposta è affermativa e alle parole seguono i fatti, voi potrete veramente, ma allora soltanto, dirvi fautori della pace. Il resto è menzogna " [28]
Ma ormai siamo in dirittura d'arrivo ed è bene rinfrescare per l'ultima volta al lettore-elettore, quale sia la scelta giusta da farsi all'interno della cabina. Così, ecco la prestigiosa penna del Ferrara a presentare ancora i due acerrimi nemici: fronte e democrazia cristiana.
" Ad ogni partito rivoluzionario giova la prolungata tensione: quella che, oggi, si chiama la guerra dei nervi; ed il partito comunista è partito rivoluzionario ed estremista " [29] . Poi, l'uomo di via Solferino, prosegue affermando che la fortuna del Pci sono stati gli anni di dittatura fascista, grazie ai quali, adesso, può presentarsi come un partito di rinnovamento in tutti i campi, anche se così non è. E questa fortuna giova anche a Togliatti che, nel suo intimo, deve " avere un senso di compatimento per i suoi connazionali, così ben disposti a coltivare i sambuchi credendo che siano capperi "[30] , così facili da ubriacare con promesse vaghe e false. Auguriamoci quindi " che, prima o poi, per necessità di eventi, il partito comunista mostri la sua aperta fisionomia e non ci racconti di essere quasi un partito democratico, riformista o, magari, conservatore " [31].
La nascita del fronte è stata infatti un'esigenza di natura tattica, un'abile mossa per poter entrare nella res publica, iniziare a dominarne gli organi ed infine raggiungere quel tanto bramato potere assoluto. Medesimo scopo hanno le tanto sventolate riforme di struttura, poiché, Il Pci, non vuole né la maggioranza parlamentare, né il governo: vuole lo Stato. E, conclude un preoccupato Ferrara, " ...nella sua complessa tattica e nella sua viva combattività il partito comunista vuole aprire, con la collaborazione, l'adito alla possibilità dell'azione diretta rivoluzionaria, e perciò pratica l'altro principio della scissione, nel momento stesso in cui si affianca, con modesti programmi governativi, ai partiti democratici. Questo che hanno chiamato il doppio gioco comunista non è affatto doppio e non è soprattutto un giuoco. La lotta di classe non viene né rinnegata né attenuata per il fatto della partecipazione al Governo; ed anzi l'azione rivoluzionaria e classista dei Sindacati viene rafforzata dalla pratica degli uomini di Governo, i quali collaborano con l'azione rivoluzionaria dei Sindacati e non con l'azione riformista dei Governi.
Il sincronismo dell'azione sindacale rivoluzionaria e dell'assorbimento dei partiti affini con l'azione di collaborazione al Governo che si risolve nella paralisi prima e poi nella conquista degli organi del Governo stesso, costituisce il segreto della nuova tecnica rivoluzionaria "[32]. Non rimane altro, constata amaramente il giornalista, che armarsi del voto e combattere il partito della classe operaia nel suo momento estremista e rivoluzionario, per evitare che l'Italia, sotto la sua egida, perda la libertà e l'indipendenza.
Due giorni prima delle elezioni, ecco poi il turno della democrazia cristiana. Una compagine che, stando alle parole del Ferrara, ha già in pugno la vittoria tattica, sia per come ha condotto la vita politica fino a questo fatidico 18 aprile, sia per l'abilità con cui è riuscita a mantenere una posizione di centro nello schieramento politico italiano, a non abbracciare pericolose nostalgie. Tutto ciò è merito di De Gasperi e della sua sapiente tattica (al giornalista ricorda perfino certe pratiche giolittiane), che ha permesso e permetterà al gruppo parlamentare democristiano di divenire la maggioranza di ogni possibile maggioranza: nessuno potrà governare senza il questa compagine. " Rimane un dubbio, che solo gli altri partiti potranno sciogliere: se, cioè, questa maggioranza della maggioranza non sarà costretta ad una rotta obbligata dall'azione delle forze di destra o di centro - sinistra " [33].
Anche Momigliano riappare in questi ultimi frenetici giorni per porsi lo strategico interrogativo se il partito comunista sia realmente il partito dei lavoratori, del proletariato, o se invece tale affermazione sia di comodo, l'ennesimo trucco per attirare voti. Se infatti fosse il partito dei lavoratori, argomenta abilmente l'editorialista, che stando alle statistiche sono la maggioranza del paese, alle elezioni del 1946 avrebbe dovuto stravincere, ma così non è stato. Perché? Forse i lavoratori non sono così ciechi come si crede, e preferiscono i metodi democratici per risolvere i problemi che li attanagliano, siano essi di natura economica, sociale o politica? Le ipotesi sono molte, la certezza una sola. Pci - grida forte il giornalista- non significa partito dei lavoratori!
Il 17 aprile spetta di nuovo a Negro, ribadire e rafforzare le critiche lanciate dai suoi illustri colleghi di lavoro al fronte. Ed egli lo fa con forza, aggiungendovi anche, una storiella sul simbolo elettorale dei socialcomunisti (quel Garibaldi preso ingiustamente, secondo la figlia dell'eroe dei due mondi, che niente aveva ed ha a che fare con Marx e la sua dottrina) che dice: " ...sei comunista, ed io sono Stalin, con la stella sovietica; sei patriottico ed io sono Garibaldi con lo stellone d'Italia; sei un praticante e io sono san Giuseppe con l'aureola; sei monarchico e io sono colui che ha portato il re e lo riporterà " [34].
La domenica delle elezioni, dopo un silenzio lungo oltre due settimane, è il direttore ad inviare agli italiani l'ultimo messaggio, le ultime raccomandazioni.
"Ormai sappiamo tutti come votare. Giunti al giorno della votazione, nell'animo di ognuno si è formata la persuasione del modo migliore d'assolvere il dovere civico. Ma, per rafforzare la risoluzione, dedichiamo gli ultimi dieci minuti di attesa a riflettere sul gesto che tutti gli italiani stanno per compiere. Essi sono, oggi, convocati per eleggere il Parlamento nazionale: il primo Parlamento della Repubblica. Non è un'esagerazione il dire che l'importanza di questa consultazione elettorale supera di molto quella di ogni altra giornata di elezioni nell'intera storia del Parlamento italiano. ...Oggi, ...è un problema sostanziale che viene affrontato: quello dell'essere o non essere " [35].
Se essere una nazione democratica o no. Se essere l'Italia o una copia della Russia. Se essere liberi o schiavi di un nuovo giogo dittatoriale. Dunque il dilemma si presenta chiaro: libertà o tirannide, regime parlamentare o regime totalitario. " Chi vota per il cosiddetto "fronte democratico parlamentare", o, "fronte Garibaldi", utile mascheramento dell'organizzazione italiana del Cominform moscovita, sa a quale destino va incontro " [36].
Gli italiani devono quindi fare buon uso di quell'importantissima arma che è il certificato elettorale. Devono andare a votare ed evitare di sparpagliare voti in liste minori, perché ciò equivarrebbe a non votare.
E di fianco all'editoriale del direttore, viene posizionato il seguente trafiletto: " Preferisci la libertà o la paura di tutti i giorni? preferisci una casa in cui tu ti possa sentire sicuro o una casa dove centinaia di occhi sospettosi continueranno a spiarti? Preferisci lavorare in pace o veder la tua città devastata, i tuoi cari massacrati, o dispersi? Preferisci la certezza del pane o la fame umiliante? Preferisci la serenità o il terrore? "Oh se dipendesse da me" tu rispondi. Ma dipende da te! Da te e da nessun altro. La fatale scelta non verrà fatta dagli uomini di Stato, dai deputati, dagli uomini politici, dai sapientoni, e nemmeno da quei minacciosi tipi che hai visto passare per le vie con clamorose bandiere e che ti hanno lasciato un presentimento sinistro. La scelta è affidata proprio a te, personalmente, benché tu forse dubiti di essere quantità trascurabile. E per decidere non dovrai combattere, né lottare, né assumere difficili responsabilità, né rischiare il minimo pericolo: non ti si chiede neppure la più lieve fatica. Hai l'impressione che questo sia soltanto uno slogan propagandistico? Non lasciarti suggestionare dalle parole grosse, dalle frasi fatte, dai numeri, dai titoloni di certi giornali. Pensaci su un momento e capirai che è proprio vero: la scelta dipende da te. Basta che tu oggi vada a votare " [37].
Ad occuparsi delle vicende riguardanti il piano americano di aiuti all'Italia, un piano che per ispirazione e portata pratica è " molto più socialista di quanto sembri " [38], il Corriere delega l'abile Ugo Stille, corrispondente da New York, persona che può contare su importanti contatti nel mondo americano (" ...una volta Sforza osservò: "potremmo anche abolire l'ambasciata negli Stati Uniti: tanto ci sono gli articoli di Stille..." " [39]), Augusto Guerriero, giornalista impegnato fino a pochi anni prima nel dimostrare le buone ragioni della politica estera del regime fascista e Libero Lenti, studioso di statistica, economia politica e docente all'università di Milano .
E' il corrispondente da New York a lanciare le prime grida d'allarme per un presunto piano delle sinistre atto a boicottare gli aiuti U.S.A.. Piano architettato con la supervisione della stessa U.R.S.S., ma, al quale, gli Stati Uniti sono pronti a rispondere con tutti i loro mezzi, come si evince dalle parole dello stesso Truman apparse sul Corriere del 14 dicembre 1947: " ...pur ritirando le loro truppe dall'Italia, ...gli Stati Uniti continueranno ad interessarsi perché l'Italia venga mantenuta libera ed indipendente. Se, in seguito allo svolgersi degli eventi, dovesse risultare evidente che la libertà e l'indipendenza dell'Italia, ...sono minacciate direttamente o indirettamente, gli U.S.A. come firmatari del trattato di pace e come membri delle Nazioni Unite, sarebbero costretti a prendere le misure più esatte per il mantenimento della pace e della sicurezza " [40].
Ma lo scongiurare uno schieramento dal compiere gesti azzardati può non essere sufficiente. Bisogna convincere quanti sono incerti della bontà e dell'utilità degli aiuti U.S.A., spiegare cosa sia il piano Marshall, quali i suoi scopi, perché si può essere per il piano Marshall e si può essere contro di esso: ma prima di tutto si deve capire che cosa sia il piano Marshall. E per capirlo bisogna mettere da parte le proprie opinioni politiche e guardarsi dall'assumere posizioni ideologiche. E' questo lo scopo che si da Guerriero, esplicitando in cosa consista tale piano, quali le sue finalità (evitare il crollo della già traballante economia europea e quello dei suoi disastrati stati, un crollo che trascinerebbe nel baratro gli stessi U.S.A.), quale la contropartita richiesta dal colosso americano (" ...il Governo americano mira ad un solo scopo: ad assicurarsi che i governi europei facciano buon uso dell'aiuto che ricevono; buon uso nell'interesse loro e dell'opera di ricostruzione dell'economia europea... " [41]).
Poi, il giornalista, si chiede vanamente, perché mai, in un sì magnanimo piano, alcuni uomini, o sarebbe meglio dire alcune forze politiche, debbano vedere uno strumento di imperialismo economico e politico, un atto lesivo alla sovranità dei paesi che lo ricevono?
A segnare un altro punto a favore della compagine democristiana, su questo importantissimo campo, ci pensa lo Stille, che il 14 marzo scrive: " ...in Italia, si fa notare al Dipartimento di Stato, un risultato elettorale a favore del blocco delle sinistre potrebbe scardinare legalmente l'intero sistema del "piano Marshall" senza bisogno di nessun intervento esterno.
Quale dovrebbe allora essere l'atteggiamento degli Stati Uniti? Alcuni sostenitori del "sistema strategico" non nascondono che occorre che gli U.S.A. siano pronti a "impedire con qualsiasi mezzo che l'Italia venga sottratta al sistema occidentale". Marshall, però, ritiene che dichiarazioni o decisioni circa tale eventualità, cioè una vittoria legale delle sinistre, siano premature, e che, in ogni caso, il problema oggi è che da un lato vengano date assicurazioni al Governo attuale di appoggiarlo contro ogni "aggressione interna o esterna", e che, d'altro canto, si lasci che il popolo italiano faccia la sua scelta ma con piena coscienza delle conseguenze decisive che essa comporta ...gli italiani debbono rendersi conto che la votazione del diciotto aprile significa, in campo internazionale, scegliere contro o a favore del piano Marshall "[42].
Ancora Stille, per palesare l'importanza che il piano ricopre per tutti i partiti, nonostante le diverse posizioni proclamate in pubblico, riporta la richiesta fatta da Giuseppe di Vittorio (membro di spicco del partito comunista e della CGIL) al rappresentante del CIO James Carey, di far sì, che anche in caso di vittoria delle sinistre, gli aiuti degli U.S.A. proseguano. Ma, conclude il corrispondente dall'America, il Congresso U.S.A. impedirà l'invio di aiuti economici ai paesi dietro la cortina di ferro. E' una affermazione dura e senza appello.
Comunque, se le parole finora dette non bastassero a chiarire la portata degli aiuti, a rafforzarle ecco i numeri (entità dei prestiti già ricevuti dall'Italia in questi primi anni post conflitto, di quelli che riceverà nell'arco del 1948 e nei successivi anni, ecc. ecc.) che un meticoloso Guerriero, tra la fine di marzo ed i primi di aprile, snocciola ad un'Italia affamata.Anche Sforza, in un editoriale del 18 febbraio dal titolo "Politica estera e polemiche elettorali", ribadisce l'importanza che avrà nelle vicende degli italiani, la posizione presa dai futuri eletti verso il piano americano di aiuti. Un piano definito " ...vitale per tutte le innumerevoli famiglie italiane che temono fame e sofferenze pei loro figli... " [43]. Poi, nel prosieguo del pezzo, si prodiga per confutare le accuse che i politici di sinistra hanno mosso ad un governo, reo, secondo loro, di avere ignorato fino ad oggi tutte le proposte di accordi provenienti dall'Europa orientale. Ed elenca i contatti che l'esecutivo ha avuto ad est, contatti necessari, poiché " ...saremmo folli se non facessimo così perché i nostri figli non esporteranno certo cotonate in Inghilterra o macchine in Germania... "[44], ma che purtroppo sono falliti per le richieste, assurde, da parte russa, di ottenere anche i pagamenti concordati nel trattato di pace. Pagamenti cui, l'Italia è tenuta solo dopo due anni dall'entrata in vigore del trattato stesso, e che nessun altro vincitore le aveva fino ad oggi chiesto. Si parli dunque ampiamente di politica estera nei discorsi elettorali, rilancia lo Sforza, ma non ci si distacchi troppo dalla verità.
Ad accompagnare gli articoli della suddetta triade, per tutta la campagna elettorale, vi sono anche piccoli trafiletti in cui si da risalto ad ogni nuovo arrivo, nei nostri porti, di barche statunitensi cariche di viveri e materie prime, ad accordi di carattere commerciale che vengono stipulati con gli altri paesi "del blocco occidentale" ed a come un successo comunista alle prossime elezioni significherebbe, automaticamente, rinunzia agli aiuti.
Di forte impatto nel lettore è anche la grande foto che troneggia sulla prima pagina del giornale il 6 gennaio, foto che vede ritratti l'onorevole De Gasperi, l'ambasciatore degli U.S.A. Dunn e l'onorevole Sforza mentre firmano l'accordo per gli aiuti americani all'Italia.
Ma anche il direttore Emanuel, non si esime dal far sentire la sua voce su questo importante argomento, e, il 2 di aprile, prendendo spunto da quanto accaduto alla Camera dei rappresentanti di Washington, dove una manciata di deputati guidati dall'Okonski, ha proposto l'ammissione della Spagna del caudillo Franco nel piano Marshall, confronta fra loro i regimi ispanico e russo. A tal proposito scrive: " ...è vero che le due dittature differiscono in maniera sostanziale nei loro rapporti con i terzi: perché l'una fomenta partiti e sommovimenti, all'infuori delle proprie frontiere, in ogni Stato europeo, e l'altra si limita ad applicare all'interno del Paese il suo sistema di governo e si guarda dal farlo oggetto d'esportazione. Ma chi è stato scottato dall'acqua bollente vuol provare sempre con un dito la temperatura di quella fredda, prima di buttarcisi dentro " [45].
Mal comprende inoltre, il direttore, l'indignazione dei comunisti, dei fusionisti, dei loro organi di stampa ad una così azzardata proposta. Pare che siano gli unici ad opporsi a questa idea, quando invece anche le altre forze politiche e nazioni europee la condannano unanimemente. Comunque, prosegue, lo spregiudicato deputato potrebbe ribattere, ai detrattori di sinistra, che all'inizio il piano era stato proposto a tutti gli stati del vecchio continente, pure a quelli " che proprio non possono definirsi dei modelli di democrazia, anche se ne hanno la etichetta, per uso esterno " [46]. E che proprio questi erano stati i primi a rifiutarlo, tacciandolo con i peggior aggettivi, anche se esso mira soltanto, attraverso aiuti finanziari, alla ricostruzione dell'Europa, " ...perché il ristabilimento della prosperità sul nostro Continente è la prima condizione per la sua salvezza e per la salvezza della sua civiltà e dei suoi ordinamenti " [47].
Comunque, in tutto questo gran polverone alzato dalla sinistra, c'è qualcosa che all'Emanuel non quadra.
"I comunisti affermano che la Spagna di Franco non può essere accolta fra le nazioni che beneficeranno del piano Marshall. Che deve essere punita perché non è una democrazia. Ma allora, perché punire anche l'Italia, ostinandosi a tenerla fuori da un patto che può solo giovarle?
C'era una democrazia esemplare nell'Europa orientale, una democrazia che non soltanto credeva nella libertà costituzionale, ma che aveva superato tutte le altre democrazie nella liberalità delle sue concezioni e che, certo più audacemente delle altre, s'era spinta sulla via delle pianificazioni e delle nazionalizzazioni. Su codesto cammino s'era avanzata tanto da sollevare fondati dubbi presso le democrazie occidentali, le quali si chiedevano, logicamente, se l'ardimento di molta legislazione cecoslovacca fosse spontaneo germinare di concezioni economico-sociali, o non piuttosto il prodotto riflesso della situazione geopolitica del Paese, stretto da ogni canto dalla pressione sovietica. Ognuno riconosceva che Praga si trovava in una posizione talmente incomoda da giustificare le molte ed anche le troppe concessioni alle ideologie del confinante. Ma quello che accade in queste ore tragiche nella capitale boema dimostra, in maniera lampante, che quelle concessioni non soltanto non hanno servito a salvare il Paese dalla minaccia della manomissione russa; ma, anzi, hanno aperto la via alla fine della democrazia " [48].
E' con queste parole che l'Emanuel decide di aprire il giornale il giorno seguente l'invasione russa della Cecoslovacchia. Quello che si presenta agli occhi dei lettori è un direttore preoccupato, angosciato per la sorte del piccolo ed industrioso stato il cui presidente, " ...un Presidente al quale la Costituzione consentiva molta maggiore autorità e potere di quanto la Costituzione, recentemente istituita da noi, consenta al Presidente della Repubblica italiana... " [49], nulla ha potuto contro lo strapotere russo.
"Miserabile, continua il direttore, è stata la sorte di uno stato che già aveva dovuto subire la dura occupazione tedesca e la cui liberazione, purtroppo, cominciò da oriente. Che cosa siano state, in realtà, queste liberazioni ad opera della Russia lo si vede oggi, con sufficiente chiarezza, in Polonia, in Romania, in Jugoslavia, in Bulgaria, in Ungheria ed ora anche in Cecoslovacchia. Tutti Paesi nei quali la libertà è spenta, la sovranità soppressa, la democrazia irrisa: e questi spaventosi sacrifici sofferti in cambio del dubbio dono di un totalitarismo comunista, articolato da Mosca. In ognuno si ripete, meccanicamente, lo stesso procedimento, infallibile anche se di scarsa genialità. Infallibile perché brutale: e brutale, specialmente, verso coloro che si sono prestati, con ingenua compiacenza, a farsi prima compari e poi strumento di una minoranza senza scrupoli. Per un estremo pudore, la Russia avrebbe potuto e dovuto risparmiare al mondo quest'ultima dimostrazione che il suo avido imperialismo non rispetta nulla e che il suo antinazismo e antifascismo non è che una comoda maschera, da gettare appena convenga "[50].
"A nulla sono valsi, continua l'Emanuel, i tentativi di Benes di dar vita ad uno stato che potesse fare da ponte fra oriente ed occidente, uno stato cuscinetto, uno stato mediatore, dove due modi così diversi di vedere la politica, l'economia, la società, potessero incontrarsi e confrontarsi pacificamente. Ma Mosca, sentenzia amaramente la guida di via Solferino, non tollera mediatori se non per il brevissimo tempo nel quale ritiene utile la loro opera: poi li sacrifica tutti. Non rimane altro che sperare che questo luttuoso fatto serva agli italiani poiché ...esso sopraggiunge in un'ora che lo rende particolarmente interessante per l'Italia, alla vigilia delle elezioni generali. L'esempio della Cecoslovacchia, schiettamente democratica, profondamente antinazista, audacemente progressista e pure ineluttabilmente fagocitata dalla Russia, dimostra che c'è un solo modo per garantire la riconquistata libertà: quello di respingere le insidie dei fronti che mascherano i loro fini ultimi con vaghi orpelli di falsa democrazia e con figure di comodo da sbarcare senza ringraziamenti al momento conveniente; quello di usare a difesa propria, della famiglia e dello Stato democratico, l'arma invincibile del voto. Praga ci insegna come bisogna votare per la difesa della libertà " [51].
In questi concitati giorni di fine febbraio, ad occuparsi delle vicende ceche, che possono pesantemente condizionare la campagna elettorale, sono comunque tutte le maggiori firme del Corriere, da Alceo Valcini, ex simpatizzante fascista e corrispondente da Vienna, il cui pezzo, "Benes china la testa innanzi all'ultimatum comunista", occupa la maggior parte della prima pagina del 26 febbraio, a Giorgio Sansa ("Il sipario di ferro cala su un altro paese"), al solito Stille, tempista nel riportare i commenti della Casa Bianca sull'accaduto.
Ad occuparsi di questa drammatica vicenda il giornale prosegue per circa tre giorni, relegando in piccoli trafiletti la maggior parte delle altre notizie.
Passano, però, poco più di dieci giorni che il direttore è costretto a scendere nuovamente in campo, per commentare, con un editoriale dal titolo "La strada giusta", gli amari sviluppi della vicenda boema:
" Il cadavere sulla soglia del nuovo regime è di pessimo augurio. Dice quello che nemmeno mille articoli o cento comizi avrebbero saputo esprimere con tanta chiarezza: e cioè l'impossibilità a convivere fra democrazia e comunismo. Se c'era un uomo che, prima, aveva potuto illudersi sulla possibilità di quella coabitazione, era precisamente Jan Masaryk. Democratico e figlio di quel grande democratico che fu Tommaso Masaryk, egli non poteva ignorare che la Russia è il contrario della democrazia: e che, anzi, fu il primo Stato totalitario sul quale la Germania hitleriana e l'Italia fascista cercarono di modellarsi, senza riuscirvi completamente.
E, tuttavia, Jan Masaryk conservò l'illusione di poter difendere la democrazia nella sua patria con un Governo di coalizione, nel quale anche i comunisti erano entrati, reclamando, naturalmente, il Ministero degli Interni "[52].
"Ma nemmeno questo, si continua a leggere, bastò a mantenere indipendente, dall'ingombrante vicino, la piccola Cecoslovacchia. Il piano Marshall, prima richiesto e poi rifiutato, le sempre più opprimenti interferenze russe nella vita politica, economica e civile del paese, erano tutti segnali questi che il "ponte" tanto desiderato dal Masaryk e dal Benes era fallito. Tutte queste illusioni e questi progetti, sono ora infranti sulla pietra accanto al corpo del povero Masaryk. " Non ci possono essere mediazioni né ponti fra la democrazia e il totalitarismo. ...Non è stato l'esaurimento, non è stata l'insonnia a precipitarlo giù del quarto piano: ma l'angoscia per la spaventosa responsabilità di avere, con quel ponte, facilitata la via al conquistatore; ma il pentimento per il gran danno che alla patria e alla democrazia ne era venuto " [53].
E così come aveva fatto sul finire del precedente editoriale da lui scritto, l'Emanuel si augura che gli incerti, coloro che guardano fiduciosi l'esperimento frontista, avvertiti da questi funesti eventi, possano cambiare parere e si battano perché l'Italia non cada sotto il giogo comunista. " C'è un modo semplice e decisivo: quello di esprimere alle elezioni, fra poco più di un mese, la volontà netta e chiara che l'Italia rimanga un Paese democratico. Sono appena tre anni che essa ha riconquistato le libertà democratiche ed è da così breve tempo uscita dalla stretta del totalitarismo che ne ricorda con vivezza tutte le angosce. E sa che quelle erano ansietà attenuate rispetto al regime che Gottwald ha instaurato nella repubblica di Masaryk: dove oggi c'è già chi trova che Hitler aveva la mano più leggera. Il cadavere di Masaryk parla con una concitazione ed una eloquenza che il ministro cecoslovacco non ebbe da vivo. Lì, steso al gran bivio, ci indica la strada giusta "[54].
Parole forti, crude, che non lasciano spazio a compromessi, a mediazioni. La via da seguire, per il vecchio giornalista, è una sola: votare contro il fronte socialcomunista, votare per i partiti che rappresentano la democrazia, le libertà civili e politiche, votare per la democrazia cristiana.
Ma a tenere alta la tensione internazionale, in questi primi quattro mesi del 1948, non vi sono solo i fatti cechi. Fin da gennaio il Corriere della Sera da ampio risalto a quanto sta avvenendo nella vicina Grecia, dove da più di un anno è in atto una vera e propria guerra civile. Per i vari giornalisti del quotidiano milanese che si occupano della vicenda, quello greco è uno scenario che potrebbe ripetersi anche in Italia a seconda dell'esito delle prossime elezioni. Si seguono le vicende di Re Michele e della sua Romania; della Finlandia, dove un preoccupato Montanelli vede, nella "linea Paasikivi", il ripetersi della storia polacca, ungherese, rumena e infine cecoslovacca; viene anche messo in risalto, trasformandolo così in una minaccia, qualsiasi spostamento delle truppe russe (ad esempio "Truppe sovietiche affluirebbero in Austria" 20/02/1948; "Sommergibili russi dislocati nel mediterraneo" 13/03/1948).
Gli assi nella manica del Corriere, o forse le ultime cartucce. Fatto sta che ad occuparsi più attivamente delle vicende triestine e di una possibile riammissione dell'Italia nell'O.N.U., considerando quanta acqua possano smuovere nel già torbido stagno della campagna elettorale due simili "macigni", il Corriere comincia solo alla fine di marzo.
Ciò nonostante gli sforzi per recuperare il tempo perduto sono davvero considerevoli. Il 21 marzo a poco meno di un mese dalle elezioni il giornale milanese titola a sei colone: "La restituzione di Trieste all'Italia. Primo passo per la revisione del trattato". Circa dieci giorni più tardi si riportano le dichiarazioni dell'onorevole De Gasperi in materia: " ...gli Jugoslavi se vogliono trattare hanno l'obbligo di trattare c[o]n questo Governo e non porre delle condizioni. Se avvenisse altrimenti si avrebbero degli accordi fra partiti comunisti, anzi, tra minoranze comuniste. Se ciò si avverasse in Europa si avrebbero regimi dittatoriali, si riaprirebbero i campi di concentramento, verrebbero istituiti i tribunali del popolo e la democrazia cesserebbe di esistere " [55].
Trieste all'Italia. E' questo quello per cui si stanno battendo gli Stati Uniti ed i loro alleati in questa vigilia elettorale. Uno scopo nobile, tale da meritare tutto il risalto (sotto forma di titoli e colonne) possibile. Trieste a Tito. E' questo invece quanto ribattono l'Unione Sovietica ed i suoi accondiscendenti discepoli italiani. E tre giorni prima della consulta elettorale, per ribadire ciò, appare sul giornale il seguente titolo: "Il no di Mosca per Trieste palla al piede dei comunisti italiani. La Russia ha preferito la Jugoslavia: forse non crede più ad una vittoria del fronte".
Anche Negro, già impegnato su altri fronti, non si lascia scappare una così ghiotta occasione, e in un articolo di più ampio respiro lascia cadere la seguente affermazione: " ...è anche troppo ovvio che la scadenza delle elezioni del 18 aprile, come ha influito a far maturare la decisione dei Tre circa Trieste, così costringe la Jugoslavia a controllare la sua reazione, tanto più che la Russia, ufficialmente, tace " [56].
Con il loro voto, dunque, gli italiani decideranno sulle sorti di Trieste, una città, stando agli scritti del giornale, sempre più minacciata dalle velleità di espansione dei comunisti slavi.
Ma il voto avrà anche la sua importanza per quanto riguarda un possibile reintegro dell'Italia nell'O.N.U.. La riammissione, a quanto si legge, è caldeggiata dagli Stati Uniti e dai paesi dell'Europa occidentale. Gli unici ad osteggiarla, guarda caso, anche in stavolta sono la Russia e suoi "satelliti".
All'indomani delle votazioni, le preoccupazioni, la tensione, la paura per un successo socialcomunista, lasciano il posto alla distensione ed alla gioia per il risultato espresso dagli italiani.
Così, l'Emanuel, esordisce affermando che mai un paese vinto è stato osservato con più ammirazione, gioia, fiducia da coloro che lo vinsero. Tutte le nazioni civili sono in festa perché il popolo italiano ha mostrato di non essere lui il vero vinto dell'ultima sanguinosa guerra, ma quel sistema totalitario salito al potere abusivamente nel 1922, e che adesso, sotto altri colori stava per essere riproposto. Alla distanza di un secolo, l'Italia ha ripetuto il suo Quarantotto. E questo è un risultato importantissimo per un paese che spesso fu, ed è tuttora, fucina di esperimenti politici.
Una vittoria delle sinistre avrebbe potuto far ricadere l'Italia in quel lontano e nefasto 1919. Fu allora che nacque il fascismo. " Fu una violenta reazione alla violenza comunista e l'amara ritorsione nazionalistica, agli errori della pace di Versaglia; fu il prodotto dell'altro dopoguerra e, purtroppo, seminò tanto male da mettere tutto il mondo in allarme, quando, in questo dopoguerra, si vide che l'Italia era nuovamente in travaglio. Era logico che, di qua e di là dell'Oceano, molti si preoccupassero e si chiedessero cosa stesse per nascere tra il Po e il Tevere, quale annunzio si preparasse. Ora tutto è chiaro: l'Italia si è liberata da ogni tormento; si è dichiarata un Paese democratico nel senso più pieno e reale; ha dimostrato di poter eliminare, con le proprie forze, il contagio comunista, e di voler assumere il posto che le spetta tra le Nazioni libere "[57].
" Questa vittoria, si continua a leggere, non è la vittoria della reazione, è la vittoria del progresso, delle riforme, è la vittoria di quanti vogliono un'Italia nuova e pacifica, è la vittoria delle libertà sulla dittatura.
"Queste elezioni...aprono la via ad un rapido inserimento del nostro Paese nella grande famiglia della democrazia occidentale " [58].
Fino a quando non fosse stata nota la volontà dell'elettorato italiano, restavano dubbi i vantaggi che l'Italia poteva trarre dalla sua politica estera. Non le ex-colonie di epoca prefascista, che sotto un governo comunista avrebbero potuto diventare basi aeree e marine per l'Unione Sovietica; non i trattati con Francia, Inghilterra e BENELUX; non Trieste, non il piano Marshall.
Anzi, proprio il piano di ricostruzione europea, ribadisce il direttore, è stato sanzionato dai milioni di elettori che hanno votato contro il fronte. Per fortuna dell'Italia, la campagna indetta dalle forze di sinistra e dalla Dc è stata una sorta di referendum popolare su tale piano, "...e i comunisti devono, onestamente, rassegnarsi ad accettare le conseguenze di un verdetto che hanno sollecitato " [59].
Adesso non rimane altro che aspettare l'inizio di un periodo di pace e tranquillità, anche se ciò richiede la soluzione del problema più difficile mutuato da queste elezioni: la convivenza politica fra italiani. Non rimane altro che sperare " ...che dopo i risultati delle elezioni, il partito comunista comprenda e rettifichi quegli errori che sono alla base della eccitazione e della reazione di grandi masse elettorali " [60]. E' risultata "inintelligente", afferma Merzagora, l'idea da parte del Pci di rifiutare gli aiuti del piano Marshall come è stato "inintelligente" estremizzare, radicalizzare, la campagna elettorale. " Il popolo italiano ", conclude poi il giornalista, " non può avere fiducia nel partito comunista, fintanto che quest'ultimo obbedisce al Cominform, poiché non è pensabile che un partito italiano, di nome e di fatto, possa compiere un'opera di alto spionaggio a favore dello straniero, e, ancor meno, segua gli ordini dello straniero nell'approntar la sua politica " [61].
"Auguriamoci che il Pci comprenda i suoi errori, conclude Merzagora, e che la lotta politica in Italia sia meno aspra, meno radicale e forse più produttiva.
" La democrazia si serva in primo luogo con la buona creanza, quella che fa difetto purtroppo, e molto spesso, nella vita pubblica italiana ...l'Italia è troppo un bel Paese perché pochi ...ce lo guastino! Diventerebbe un vero Paradiso se alcune dozzine di uomini cambiassero la testa " [62].
Vittoria delle libertà dunque, della democrazia contro il comunismo, degli stessi lavoratori poco propensi ad accettare favole rivoluzionarie, a farsi ubriacare da promesse vaghe e fantasiose.
A nulla sono serviti al fronte metodi deplorevoli, squallidi, come quelli di promettere la distribuzione di terra ai più poveri, o, minacciare la confisca di beni ai più ricchi non appena fossero andati al potere. Il Paese non ha creduto a tutto ciò che veniva sbandierato ai quattro venti. " Prima e durante la lotta elettorale erano avvenuti fatti internazionali di così vasta portata, che il Paese ha avuto la sensazione precisa di ciò che rappresentava il vero e non confessato programma del fronte "[63].
Il significato delle votazioni è chiaro e inequivocabile: gli italiani hanno votato per la loro libertà e la loro dignità.STEFANO ROMAGNOLI
NOTE
[1] G. Licata, Storia del Corriere della Sera, Rizzoli.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] I. Montanelli, I protagonisti, articolo del19/06/1965.
[5] D. M. Smith, Storia di 100 anni di vita italiana visti attraverso il Corriere
della Sera, Rizzoli.
[6] I. Montanelli, I protagonisti, articolo del19/06/1965.
[7] G. Licata, Storia del Corriere della Sera, Rizzoli.
[8] G. Afeltra, Corriere primo amore storia e mito di un grande giornale,
Bompiani.
[9] G. Baldacci, Sul tema del Mezzogiorno discutono i comunisti, articolo
del 06/01/1948.
[10] Ibidem.
[11] Ibidem.
[12] Ibidem.
[13] Ibidem.
[14] G. Baldacci, Astratto e concreto, articolo del09/01/1948.
[15] S. Negro, Aria conformista al congresso del Psi, articolo del 20/01/1948.
[16] S. Negro,Diviso il congresso del Psi sulla questione delle liste elettorali,
articolo del21/01/1948.
[17] Ibidem.
[18] S. Negro, Pressoché uguali le forze deciderà il gruppo
degli 'incerti', articolo del22/01/1948.
[19] E. Momigliano, Alla ricerca della chiarezza, articolo del 07/02/1948.
[20] Ibidem.
[21] Ibidem.
[22] E. Momigliano, Le parole e le cose, articolo del02/03/1948.
[23] E. Momigliano,Borghesi a nolo, articolo del09/03/1948.
[24] S. Negro, Primi discorsi elettorali, articolo del17/02/1948.
[25] Ibidem.
[26] S. Negro, Cinque giorni, articolo del 26/03/1948.
[27] L. Einaudi, Chi vuole la pace?, articolo del 04/04/1948.
[28] Ibidem.
[29] M. Ferrara, La politica del Fronte popolare, articolo del 11/04/1948.
[30] Ibidem.
[31] Ibidem.
[32] Ibidem.
[33] M. Ferrara,Democrazia cristiana, articolo del 16/04/1948.
[34] S. Negro, Vigilia, articolo del 17/04/1948.
[35] G. Emanuel, Una giusta causa, articolo del 18/04/1948.
[36] Ibidem.
[37] Al bivio, articolo del18/04/1948.
[38] M. Ferrara, La politica del Fronte popolare, articolo del 11/04/1948.
[39] G. Afeltra, Corriere primo amore storia e mito di un grande giornale,
Bompiani.
[40] U. Stille, L'indipendenza dell'Italia garantita dagli U.S.A., articolo
del14/12/1947.
[41] A. Guerriero, A quali condizioni l'America da i miliardi all'Europa,
articolo del22/01/1948.
[42] Tratto da una corrispondenza dello Stille da Nuova York apparsa il 14/03/1948.
[43] C. Sforza, Politica estera e polemiche elettorali, articolo del18/02/1948.
[44] Ibidem.
[45] G. Emanuel, L'Italia punita, articolo del02/04/1948.
[46] Ibidem.
[47] Ibidem.
[48] G. Emanuel, La lezione di Praga, articolo del26/02/1948.
[49] Ibidem.
[50] Ibidem.
[51] Ibidem.
[52] G. Emanuel, La strada giusta, articolo del12/03/1948.
[53] Ibidem.
[54] Ibidem.
[55] La pace non si può salvare seminando odio nel nostro paese, discorso
di De Gasperi riportato il primo aprile del 1948.
[56] S. Negro, Cinque giorni, articolo del26/03/1948.
[57] G. Emanuel, L'Italia, domani, articolo del22/04/1948.
[58] Ibidem.
[59] Ibidem.
[60] C. Merzagora, Distensione, articolo del 20/04/1948.
[61] Ibidem.
[62] Ibidem.
[63] E. Momigliano,Insegnamenti di una battaglia, articolo del27/04/1948.
Tutti gli articoli, ovviamente, sono tratti dal Corriere della Sera
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