(
QUI TUTTI I RIASSUNTI )
RIASSUNTO ANNO 1943
(16)
IL RUOLO DEI
CARABINIERI NEL '43
Dopo l'invasione delle truppe tedesche (1943) anche l'Arma venne travolta
nella spaccatura del Paese
che vide la fondazione della Repubblica sociale italiana
i
SALVARONO L'ONORE
ANCHE NELLA SCONFITTA
di PAOLO DEOTTO
8 settembre 1943. Forse il giorno più nero nella storia del nostro Paese. Lo sbandamento delle forze armate, la fuga del Re e di Badoglio, la rabbiosa reazione dei tedeschi, che si sentivano pugnalati alle spalle, sono avvenimenti che hanno inciso per anni, creando divisioni profonde, a tutt'oggi ancora non definitivamente sanate.
Ma vorremmo parlare con gli amici che ci seguono di un'Arma che non si sbandò, se non in minima parte, che continuò, fin dove fu umanamente possibile, a rappresentare una sicurezza per i cittadini.
Vogliamo, insieme a Voi, rileggere le vicende dell'Arma dei Carabinieri nel periodo della Repubblica Sociale.
Senza dubbio il simbolo più luminoso della dedizione dell'Arma resta il sacrificio del vice brigadiere Salvo D'Acquisto. Ma proprio l'importanza dell'evento ci ha spinto a non restringerne la narrazione a poche righe: invitiamo quindi gli amici lettori a voler leggere anche l'appendice a questo articolo, dedicata specificamente a Salvo D'Acquisto, e corredata anche dal medagliere dell'Arma, riferito a tutto il periodo 1940 - 45, mentre per introdurre il nostro argomento dobbiamo anzitutto vedere come nacque la struttura militare della Repubblica Sociale, partendo dalla sera del 18 settembre 1943, quando gli italiani risentirono, trasmessa dalla stazione radio di Monaco di Baviera, la voce inconfondibile che per ventuno anni li aveva guidati.
Mussolini, (liberato sei giorni prima con un colpo di mano dei paracadutisti tedeschi dalla strana prigionia in cui si trovava a Campo Imperatore) dopo una lunga serie di rievocazioni e recriminazioni su ciò che era accaduto dopo il 25 luglio, enunciava i punti fondamentali su cui si sarebbe fondata l'attività del nuovo Stato repubblicano che egli intendeva instaurare. Il primo punto, "riprendere le armi al fianco della Germania, del Giappone e degli altri alleati", conduceva inevitabilmente al secondo: "preparare la riorganizzazione delle Forze Armate".
Ma per procedere a questa riorganizzazione andavano risolti due quesiti fondamentali. In primis, le forze armate dovevano essere costituite da personale di leva o da volontari? Secondo problema (secondo solo in ordine di enunciazione): si doveva ricostituire un esercito apolitico, o la forza armata doveva avere una chiara connotazione di Milizia di partito?
Tre giorni prima (il 15 settembre) il reaparecido Duce aveva firmato cinque ordini del giorno, nei quali, tra l'altro, ordinava la ricostituzione di tutti i reparti della disciolta (dal governo Badoglio) MVSN (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale), e ne nominava comandante il quarantasettenne Renato Ricci, fascista inossidabile, già legionario fiumano, fondatore del fascio di Carrara, console generale della Milizia, parlamentare dal 1924, presidente dell'Opera Nazionale Balilla, eccetera.
Nelle sue primissime enunciazioni in materia, Mussolini sembrava propendere per un esercito di partito: "... preparare senza indugio la riorganizzazione delle nostre forze armate attorno alle formazioni della Milizia: solo chi è animato da una fede e combatte per un'idea non misura l'entità del sacrificio".
Ricci, che già in cuor suo si considerava comandante in capo dell'esercito, parlava pubblicamente di una Milizia composta di "due grandi branche. Una, la Milizia Legionaria, assorbirà tutti i giovani di leva... L'altra si chiamerà Milizia Legionaria Giovanile e arruolerà i ragazzi dai 18 ai 22 anni che si presenteranno volontari entro il 31 ottobre..."
Dunque, nella visione di Renato Ricci, si doveva costituire chiaramente un esercito di partito, comunque dotato di una base formata da personale di leva.
Di visione opposta era però il neo ministro della Difesa Nazionale, il maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani. Nato nel 1882, militare di carriera, era divenuto ministro quasi per caso, o, più propriamente, per mancanza di altri personaggi presentabili, non invisi ai tedeschi, e disposti ad assumersi una tale grana. Graziani non aveva dato brillanti prove di sé. I galloni di maresciallo se li era guadagnati, nel 1936, nella (non certo invincibile) campagna etiopica, ma il suo nome era poi rimasto legato, quale comandante in capo delle forze italiane in Africa settentrionale, alla perdita dell'intera Cirenaica (5 gennaio 1941). Nel febbraio del 41, sostituito dal generale Gariboldi, Graziani si era ritirato a vita privata nella sua villa di Arcinazzo (Roma). E qui era stato raggiunto, il 22 settembre del 43, dal sottosegretario Barracu, che lo aveva invitato ad assumere la carica di ministro della difesa nazionale nel governo della Repubblica Sociale Italiana. Dapprima riluttante, Graziani poi accettò, anche dietro le pressioni dell'ambasciatore tedesco Rahn.
Contrario, come la maggior parte degli ufficiali di carriera, alle abborracciate milizie di partito, il neo ministro della difesa nazionale esprimeva, sin dalla prima riunione del governo di Salò (27 settembre 1943) l'intenzione di costituire "un esercito a base nazionale, apolitico, con quadri esclusivamente volontari e truppe in gran parte volontarie, inquadrate in uno Stato il più possibile liberale e democratico", rincarando poi la dose con un memorandum del 3 ottobre, nel quale diceva a Mussolini: "La Milizia è odiata e deve essere disciolta immediatamente... L'esercito deve essere nazionale e apolitico, inoltre assolutamente unitario: finirla con la molteplicità delle creazioni militari che ci avevano portato all'impotenza".
Di entrambi i contendenti possiamo notare una scarsa aderenza alla realtà: Graziani, in una repubblica puntellata da Hitler, parla di uno Stato "liberale e democratico"; Ricci, in una situazione militare che aveva già tutti i sintomi della disfatta, pretende, riesumando quella parodia di forza armata che era la Milizia, di opporsi alla schiacciante superiorità degli Alleati in uomini, mezzi e tecnologie.
Ma tutto ciò non stupisce: la Repubblica Sociale fu piena di personaggi persi in un sogno, o quasi protesi a vivere un cupo crepuscolo senza vie d'uscita, con un atteggiamento mentale che impediva loro di valutare appieno la realtà. Se però in Graziani poteva giocare anche una preoccupazione di predisporsi qualche credenziale democratica (invocando un esercito "apolitico", uno Stato "liberale e democratico") in vista dell'inevitabile - e non lontanissimo - redde rationem, Ricci era invece uno dei migliori esempi di quei fascisti di assoluta fede che nel tramonto restarono disperatamente affezionati a idee di una impossibile riscossa. I tedeschi (che si apprestavano a rendere agli italiani il tradimento dell'8 settembre, avviando trattative segrete in Svizzera con Allen Dulles, capo dei servizi segreti americani) apprezzavano i personaggi come Ricci, come affidabili cani da guardia.
Tornando invece alla diatriba, e all'uomo che in ultima analisi doveva risolverla, Mussolini, quest'ultimo, come era del resto suo costume, non decise né per l'una né per l'altra posizione. L'antica tendenza al compromesso come strumento di potere su tutti era aggravata dallo stato d'animo del Duce, stanco e sfiduciato e ben conscio di esercitare ormai un potere limitato e comunque soggetto al controllo (se non addirittura agli ordini) dei tedeschi. Dal discorso radio del 18 settembre Mussolini inizia a pencolare tra Graziani e Ricci fino a giungere, nella riunione di gabinetto del 20 novembre, all'istituzione della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR), ottimo esempio di soluzione di pasticciato compromesso.
La GNR era arma combattente, in quanto quarta forza armata dello Stato (assieme ad esercito, marina e aeronautica). Non dipendeva però dal ministero della difesa, ma dal partito, tramite Renato Ricci, che era nominato comandante generale di questa nuova formazione. Era però anche forza di polizia, come specificato dallo stesso decreto istitutivo. Era formata dalla MVSN, dai Carabinieri e dalla PAI - Polizia dell'Africa Italiana.
Ricci non poteva quindi arruolare i giovani di leva, che restavano di competenza dell'esercito apolitico di Graziani, anche se quest'ultimo (favorevole, come vedevamo sopra, a privilegiare una ferma volontaria) da subito aveva manifestato tutte le sue perplessità sui richiami alle armi, convinto che avrebbero creato più danni politici che vantaggi.
Con lo stesso decreto veniva istituita anche la polizia repubblicana, creando così uno di quei doppioni (o più) a cui Mussolini non riusciva a rinunciare, con più polizie che spesso non avevano altro compito che sorvegliare i nemici - veri o presunti - del regime, sorvegliandosi poi tra loro.
Alla fine, insomma, il Duce aveva voluto dare una fetta di soddisfazione a Ricci e una a Graziani. L'esercito restava un'istituzione apolitica separata dal partito (anche se tutta la sua attività sarebbe stata, di fatto, controllata dalle autorità tedesche), il partito aveva di nuovo la sua forza armata, l'impopolare Milizia sopravviveva (Mussolini del resto non poteva mandare a casa - magari senza stipendio - diecine di migliaia di uomini a cui due mesi prima aveva ordinato di riprendere servizio), ma faceva quello che oggi chiameremmo un lifting.
Come vedevamo sopra, la GNR era formata dalla MVSN, dai Carabinieri e dalla PAI (Polizia Africa Italiana). Chiariamo subito che quest'ultima polizia non ebbe alcun peso: raccoglieva circa duemila uomini, risaliti a Roma da un'Africa che non era più italiana, e che a Roma restarono sempre abbarbicati, imboscandosi perlopiù in uffici amministrativi, in fiduciosa attesa dell'arrivo degli Alleati.
In più, ovviamente, concorrevano a formare il personale della GNR i giovani che chiedevano l'arruolamento.
Con questo materiale umano Ricci doveva ora far funzionare la nuova "arma combattente e corpo di polizia". La struttura territoriale iniziale fu, inevitabilmente, quella dell'Arma dei Carabinieri, già capillarmente presente sul territorio con le stazioni, le tenenze e le compagnie. Sino al livello di comando di battaglione la GNR non era altro che (dal punto di vista organizzativo) l'Arma, con qualche cambiamento di denominazioni: le tenenze e le stazioni divennero "presidi" e "distaccamenti". Ma i veri problemi derivarono, da subito, da un connubio impossibile: quello dei militi fascisti con i carabinieri.
Tra le due componenti correva un cordiale odio reciproco. I carabinieri, militari altamente specializzati e con oltre un secolo di tradizione alle spalle, non potevano vedersi affiancare dagli improvvisati militi in maglioncino nero e testa di morto sul berretto, spesso addirittura sedici - diciassettenni a cui il partito aveva schiaffato in mano un'arma. D'altro canto i fascisti di Salò non amavano certo i carabinieri, sospettati di essere ancora legati al Re, accusati di essere di scarsa o nulla fede, spesso chiamati "assassini di Muti" (Ettore Muti, già segretario del partito fascista, pluridecorato in guerra, era stato ucciso a Fregene, in circostanze mai chiarite, nella notte tra il 23 e il 24 agosto del 43, quando i carabinieri si erano recati ad arrestarlo, su ordine di Badoglio). E non erano forse stati i carabinieri ad arrestare il Duce il 25 luglio?
Renato Ricci poteva insomma contare sui militi fascisti, sicuri di fede (ma anche questa avrebbe presto iniziato a vacillare), ma ben poco validi dal punto di vista operativo, e sui carabinieri, gli unici che anche dopo l'8 settembre avevano mantenuto una certa compattezza ed efficienza, ma che ben presto divennero la sua vera spina nel fianco.
All'8 settembre gli ottantamila uomini della Benemerita avevano ricevuto dal loro comandante, il generale Angelo Cerica, l'ordine di "restare al proprio posto". Bisognava continuare a "...svolgere il servizio. Gli sbandamenti devono essere assolutamente impediti".
Mario Soldati, nell'introduzione ai suoi Nuovi racconti del Maresciallo (avventure di un non troppo immaginario maresciallo dell'Arma - n.d.r.), editi da Rizzoli nel 1984, dice che il suo protagonista pronunciava la parola Servizio così, con la "S" maiuscola, perché "per lui è sempre stata la più sacra di tutte... "
Il grande scrittore aveva centrato quella peculiarità che fa, come faceva già in passato, dell'Arma Benemerita un unicum nel vasto panorama delle nostre forze armate.
Il carabiniere ha le stellette, è anch'egli un soldato. Ma a differenza del soldato, che spesso vive una realtà di caserma ben distinta da quella del civile, il carabiniere vive tra la gente, ha la consegna (leggete, per favore, l'appendice sul martirio di Salvo D'Acquisto) di "difendere a qualsiasi prezzo la comunità a lui affidata".
Il carabiniere è la presenza tranquillizzante, è il soldato che combatte quotidianamente la sua guerra per il mantenimento della civile convivenza e per il rispetto delle leggi. La doppia veste, di militare e di poliziotto, ha fatto sì che tra i carabinieri i casi di malcostume, corruzione, abuso (presenti anche nelle migliori polizie del mondo) siano sempre stati limitati e, in genere, rapidamente repressi. La disciplina e l'inquadramento militare hanno fatto insomma del carabiniere un poliziotto assolutamente speciale, tant'è che tra la malavita la figura del carabiniere ispira, e ha sempre ispirato, quella paura mista a metus reverentialis che si prova solo nei confronti di chi si avverte come naturalmente superiore.
Con il ritorno di Mussolini e l'istituzione della Repubblica Sociale tutto divenne terribilmente difficile. Se la spaccatura in due dell'Italia fu causa per moltissimi di dolorose crisi di coscienza, con scelte spesso rispettabili da entrambe le parti, (non scordiamoci che gli italiani, ma in particolare chi portava le armi, dovettero scegliere se restare fedeli a un Duce che aveva portato il Paese al disastro, o a un Re che, con la sua ampia parte di corresponsabilità in questo disastro, aveva poi scelto la vergognosa via della fuga) per i Carabinieri, in particolare, c'era un'altra componente: quel "Servizio" che il loro comandante generale aveva ribadito che non doveva subire interruzioni.
Anzitutto, quanti erano i carabinieri alla data dell'8 settembre, e quanti di essi si trovarono incorporati, ex lege, nella GNR?
L'Arma contava ottantamila uomini, compresi in essi circa dodicimila militari che si trovavano nelle varie zone di guerra fuori dal territorio nazionale, sia come combattenti che come truppa d'occupazione.
Nel caos che seguì all'annuncio dell'armistizio i carabinieri mobilitati nelle diverse unità dell'esercito seguirono le sorti di quest'ultime. In Dalmazia, Slovenia, Grecia, Albania e Francia furono circa diecimila gli uomini della Benemerita catturati e deportati in Germania; altri 1.500 furono disarmati e catturati a Roma. Circa 7.000 infine furono gli sbandati.
Con questo primo salasso appare irrealistica la cifra di 75.000 carabinieri incorporati nella GNR, riportata dai giornali dell'epoca e ripresa nel dopoguerra dalla pubblicistica neofascista. Il primo dato certo su cui ci si può basare è lo "specchio" dell'ufficio ordinamento del comando generale dell'Arma, che al 1° marzo 1944 (quindi poco più di tre mesi dopo la costituzione della GNR) censisce in servizio 44.198 uomini: 790 ufficiali, 8.253 sottufficiali e 35.155 fra appuntati e carabinieri.
Prima della costituzione della GNR i tedeschi manifestarono diffidenza verso i reparti territoriali, che erano rimasti in servizio per espletare i normali servizi di istituto, tollerandone la presenza laddove questa veniva considerata utile per l'ordine pubblico. Ma in altri casi lo scontro ci fu, e fu sanguinoso, come a Napoli dove, il 12 settembre 43, i 14 carabinieri della Stazione Porto, che avevano rifiutato di consegnare le armi ai tedeschi, furono immediatamente fucilati. Né si possono dimenticare gli uomini della Legione Allievi Carabinieri di Roma, che si scontrarono coi tedeschi nella capitale dall'8 al 10 settembre, lasciando sul terreno 21 caduti.
Insomma, i carabinieri erano invisi ai fascisti, per le ragioni che vedevamo sopra, e lo erano anche ai tedeschi, che trovavano nella Benemerita uomini poco disposti a lasciarsi disarmare, anche perché animati da un senso del Servizio che veniva rafforzato dal pericolo che anche la popolazione civile potesse subire rappresaglie.
Con queste premesse, l'incorporazione dei carabinieri nella GNR era un assurdo, e le autorità di Salò se ne sarebbero rese conto ben presto. L'Ufficio "Situazione" del comando generale della GNR (uno dei pochi settori che funzionarono sempre in questa forza armata) redigeva quotidianamente dei rapporti riservati, riportati alla luce alla fine degli anni sessanta da un paziente lavoro di Giampaolo Pansa. In questi rapporti da subito si legge una denuncia: "i carabinieri sabotano".
I rapporti della GNR erano indirizzati solo ai massimi vertici di Salò. Scevri da ogni retorica, dicevano le cose come stavano. Ma invece la retorica ufficiale tentava di accreditare una realtà ben diversa, quasi idilliaca. Gian Gino Pellegrini, redattore di sicura fede fascista del Corriere della Sera, che già aveva raggiunto vertici di ipocrisia quasi umoristica scrivendo (13 dicembre 1943) che la GNR "non è assolutamente una milizia di parte", offriva qualche giorno dopo ai suoi lettori un quadretto di sapore matrimoniale: "... gli stessi carabinieri vedono volentieri quello che potremmo chiamare, usando una felice espressione del generale Ricci, lo sposalizio con la Milizia, perché essi per primi riconoscono la necessità di svecchiare e quindi rinvigorire la loro arma". Il maresciallo Graziani dichiarerà dopo la guerra: "la fusione GNR - carabinieri non fu che un ibrido e naturalmente non riuscito connubio".
Leggiamo alcuni flash dai rapporti della GNR, e vedremo che il matrimonio fu da subito molto travagliato, e tutt'altro che d'amore:
25 novembre 1943, rapporto da Milano: "il contegno dei carabinieri, fazioso e anti - Asse, dopo l'armistizio è sfociato addirittura in opera di sabotaggio".
30 novembre 1943, rapporto da Casale Monferrato: "nella chiamata della classe 1924 ben poche sono state le reclute che si sono presentate al Distretto Militare, e ciò è dovuto in parte alla nefanda opera dei vari comandanti di stazione dei Carabinieri".
Cos'era accaduto? Il 9 novembre le autorità di Salò avevano pubblicato il primo ordine di chiamata alle armi. Graziani (che si dimostrò, nella dirigenza repubblichina, uno dei pochi con i piedi per terra) era stato fino all'ultimo contrario alla coscrizione obbligatoria, perché ne temeva i contraccolpi. Mussolini aveva invece voluto questa prima chiamata, mobilitando anche tutti i prefetti della Repubblica Sociale affinché contribuissero "con opera intensa di propaganda e di vigilanza, chiamando alla collaborazione tutte le forze sociali... Il successo della presentazione sarà il segno sicuro della ripresa nazionale".
Come sempre in tutte le vicende del travagliato periodo repubblichino ci troviamo afflitti da una pubblicistica che varia da un estremo all'altro. Se Pisanò ci parla di una risposta entusiasta da parte di una gioventù anelante al combattimento, Giorgio Bocca ci mostra invece un quadro assolutamente sconfortante, con renitenze alla leva superiori al 70% dei richiamati. In fondo, nessuno dei due mente del tutto. Il primo però enfatizza anzitutto i dati di arruolamenti volontari in formazioni autonome come la "Decima Mas", il secondo sovente prende i dati delle diserzioni successive all'arruolamento (che, come vedremo, non mancarono, e ne vedremo anche le ragioni).
Se più semplicemente si vanno a leggere le documentazioni dei ricostituiti distretti militari si può constatare che, salve alcune eccezioni, si presentarono, ai diversi Distretti, dal 55 all'80% dei richiamati, il che poteva già essere considerato un successo, stante il caos amministrativo in cui si trovarono a operare le autorità militari repubblichine.
La renitenza comunque esisteva, seppur non gigantesca come sostenne la pubblicistica di sinistra, e poco dopo l'arruolamento iniziò un altro fenomeno, quello delle diserzioni, dovute a diversi fattori. Anzitutto molto giocò la paura di doversi trasferire in Germania per l'addestramento; poi la mancanza di tutto, dalle armi, alle uniformi, fino alle più elementari attrezzature di caserma, contribuì a scoraggiare molti giovani. Ferruccio Parri dichiarò, dopo la Liberazione, che il governo di Salò aveva contribuito agli arruolamenti nelle bande partigiane perché la chiamata alle armi dell'inverno 1943 aveva spinto molti giovani a scegliere la via della montagna. Più obbiettivamente va detto che per molti coscritti le alternative erano ben poche: o con l'esercito di Salò, o con i partigiani, salvo scegliere una solitaria e poco pensabile vita alla macchia.
Le gravi carenze materiali delle forze armate di Salò derivavano in buona parte dalla gigantesca rapina operata dai tedeschi dopo l'8 settembre. Con la scrupolosa passione per l'ordine amministrativo che caratterizzava i tedeschi, anche nelle attività sulle quali sarebbe stato meglio stendere il silenzio, il generale Alfred Jodl, capo Ufficio operazioni del Comando Supremo elencava il seguente bottino sottratto all'alleato italiano: 1.255.660 fucili, 38.383 mitragliatrici, 9.986 pezzi di artiglieria, 15.000 automezzi, 6.760 muli e cavalli, vestiario per mezzo milione di uomini. Ai fascisti di Salò non fu restituito nulla, anche perché i tedeschi vedevano la ricostituzione dell'esercito italiano come un fastidio, necessario da sopportare per ragioni politiche, ma che non avrebbe avuto alcun peso sotto il profilo militare.
In questa situazione la chiamata alle armi del 9 novembre 1943 aveva comunque creato due categorie contro le quali lo Stato (se voleva mantenere un minimo di credibilità) doveva agire: i renitenti e i disertori. E fu, a ben vedere, con questa chiamata alle armi che iniziò veramente la guerra civile in Italia, sporca e tragica come tutte le guerre fratricide. Il governo di Salò doveva mostrare la sua forza, non solo verso i cittadini ma anche verso i tedeschi. E soprattutto su indicazione di questi iniziarono le misure più odiose: rappresaglie sulle famiglie dei renitenti o dei disertori, ritiro delle tessere annonarie, arresto del padre del renitente/disertore, ritiro delle licenze di esercizio, sospensione dei pagamenti delle pensioni o degli stipendi, cattura di ostaggi nei paesi con alto numero di giovani che non ottemperavano agli obblighi militari.
Mussolini aveva sperato di ricreare quel contatto diretto col popolo, vagheggiando una Repubblica "Sociale", che cercava di darsi una parvenza pseudo - socialista; col dicembre del 43 la situazione si fece tragicamente chiara: da un lato c'era un popolo stanco e sfiduciato, dall'altra parte un'autorità che poteva sostenersi solo con la paura indotta dalla ferocia dei fanatici fascisti dell'ultima ora, sostenuti dai tedeschi.
In questo clima anche per i carabinieri si chiarirono le scelte. Non era pensabile, per la tradizione dell'Arma, per quel suo contatto quotidiano con la gente, di cui parlavamo sopra, per come era inteso il "Servizio", partecipare a un'opera di repressione che aveva sempre più le caratteristiche di vera opera di oppressione.
I notiziari della GNR continuano a ripetere un ritornello: "... del tutto insufficiente la collaborazione dei carabinieri. In territorio di giurisdizione dall'8 settembre ad oggi non hanno mai fatto fermi di carattere politico o proceduto all'arresto di renitenti o disertori..."
Ma molti militi dell'Arma non si limitano a sabotare, o a difendersi con l'assenteismo, o a procurarsi lunghissime licenze di convalescenza. Iniziano le fughe, e iniziano a formarsi anche le prime bande partigiane composte da carabinieri.
10 dicembre 1943: il tenente colonnello, comandante del Gruppo carabinieri di Ascoli Piceno, si allontana per mare su un natante, portando con sé, oltre a numerose armi, alcuni ufficiali subalterni e due prigionieri inglesi. Irritato, il locale comandante della Milizia fa circondare la caserma di Ascoli per sventare altre fughe.
Come armonia per il matrimonio vagheggiato dal giornalista Pellegrini, non c'è male. Il 1° febbraio del 44 una velina del Ministero della Cultura Popolare raccomanderà ai giornali della RSI: "Non insistere sulla fusione fra Milizia e carabinieri, già in atto".
Insomma, meno se ne parlava, meglio era. I carabinieri se ne vanno. Da Pola: "quotidianamente interi presidi dell'arma dei carabinieri dislocati in provincia passano ai ribelli, portando seco tutto l'armamento. Su circa 900 carabinieri, diverse centinaia hanno già defezionato... "
Iniziano anche gli arresti di carabinieri in contatto coi ribelli. Il governo di Salò deve contemporaneamente controllare i carabinieri e iniziare a tamponare i vuoti. Al 1° marzo 1944 saranno già 3.634 le Camicie Nere dirottate verso le caserme dei carabinieri in questo duplice compito.
Con la fine del mese di maggio del 44 le defezioni degli uomini della Benemerita si fanno massicce. Sta infatti prendendo corpo il vecchio progetto tedesco di "trasferire" in Germania diecimila carabinieri, da impiegare come bassa forza nei servizi antiaerei e nella sorveglianza del campi di aviazione. I tedeschi, impegnati sul fronte dell'est e sul nuovo fronte francese, hanno fame di uomini per i servizi di retrovia, e poi c'è il vantaggio di allontanare dall'Italia questi soldati infidi. La RSI non si oppone, né del resto potrebbe. Aggiunge però di suo un tocco di vendetta contro gli infedeli, imponendo definitivamente ai carabinieri la camicia nera.
L'adesione dei carabinieri è così entusiasta che in certi casi si ricorre ai rastrellamenti, come accade il 13 giugno 44 al Comando Presidio di Arona, che viene circondato dalla polizia tedesca, che procede all'arresto e al disarmo dei carabinieri presenti in caserma.
Le basi di partenza per il Brennero sono Verona e Milano, e in queste due città le defezioni si fanno così massicce che il 16 giugno i dirigenti fascisti piemontesi prospettano al Duce l'opportunità di "sospendere la partenza dei carabinieri per la Germania... per porre freno alle diserzioni, che vanno a tutto vantaggio dei banditi".
Ma gli ordini tedeschi non si possono discutere, e con il 20 giugno 44 saranno circa 2.800 i carabinieri trasferiti in Germania. Complessivamente erano partiti da Verona e Milano 4.000 uomini, ma non ci fu sosta dei treni senza fughe, individuali o di gruppi.
A luglio di quell'anno inizia poi il dramma dei carabinieri dislocati sul litorale adriatico, a Trieste, Fiume e Pola. Qui i tedeschi decidono d'autorità lo scioglimento dei Gruppi Carabinieri; all'offerta di essere inquadrati definitivamente nella Milizia, solo un centinaio di uomini aderisce (su oltre 800). Gli altri scelgono l'internamento in Germania, o riescono a fuggire.
E si arriva al 5 agosto 1944. I tedeschi hanno perso la pazienza, hanno bisogno di uomini e vedono che gli stessi fascisti sono incapaci di procurarli. Allora provvedono da soli. Con una serie di operazioni fulminee che ricordano quelle del settembre 43, uomini dell'esercito tedesco e delle SS fanno irruzione nelle stazioni, nei presidi e negli uffici della GNR e prelevano gli ex carabinieri rimasti in servizio. Le autorità di Salò stanno a guardare. Uno spento e remissivo Mussolini farà il consuntivo dell'operazione, scrivendo a Goring di aver "mandato" nel Reich 7.600 carabinieri, quasi a voler nascondere a sé stesso che i militi della Benemerita, partiti imprecando e piangendo, erano stati caricati sui treni sotto la minaccia dei mitra tedeschi.
E' l'ultimo atto del dramma per l'Arma che non si volle arrendere. Vestiti con le divise della Luftwaffe, indrappellati sotto l'occhio vigile delle SS, i carabinieri si avviano ai treni per la Germania. Qualcuno, Dio sa come, è riuscito a procurarsi uno striscione, che resterà appeso per diversi minuti sul fianco di uno dei vagoni in partenza dalla stazione di Torino Porta Susa. Sopra c'è scritto: "Siamo Carabinieri Reali, che per volontà del PFR (partito fascista repubblicano, n.d.r.) vestiamo da pagliacci. Ritorneremo! Viva i carabinieri!".
Il 25 agosto del 1944 il tenente generale Niccolò Nicchiarelli, già capo di stato maggiore della GNR e ora, dopo il siluramento di Ricci, comandante generale, dispone che "al 1° settembre tutti gli ufficiali, sottufficiali graduati e militi della GNR provenienti dall'Arma dei carabinieri sono dispensati dal servizio e posti in congedo". Il congedo non è operativo (suprema ipocrisia!) per chi "presta servizio in Germania".
E' la fine di ogni illusione e ipocrisia. Il matrimonio non finisce con un divorzio: in verità non c'è mai stato. Di lì a poco anche la GNR entrerà in piena crisi, anche perché poteva ormai far conto solo sulla Milizia, ossia su una forza che si andava liquefacendo con rapidità. Gli alleati avanzavano e via via che si liberavano i territori, l'Arma riprendeva i propri compiti di istituto per la tutela dell'ordine pubblico. A Salò resterà l'ultimo disperato tentativo di formare delle unità militari con le Brigate Nere volute da Pavolini, quando ormai gli Alleati erano sulla linea del Po.
Ma prima di chiudere questo studio sulle vicende dei carabinieri nella Repubblica di Salò, vorremmo richiamare alla memoria un episodio particolarmente significativo, quello degli eroi di Fiesole. E lo facciamo riportando alla lettera la motivazione con cui a questi tre uomini venne concessa la medaglia d'oro v.m. alla memoria:
"Carabiniere Alberto La Rocca, carabiniere Vittorio Marandola e carabiniere Fulvio Sbarretti (Fiesole, 12 agosto 1944): iscritti al fronte clandestino di resistenza di Firenze, ma ancora in servizio alla stazione di Fiesole, prevedendo la loro cattura da parte dei tedeschi, lasciata di sera la caserma e sotterrate le armi e le munizioni, si tennero nascosti sino alla sera successiva nelle vicine grotte dell'anfiteatro romano. Appreso, però, che se non si fossero presentati sarebbero stati fucilati 10 ostaggi presi tra i cittadini, decisero di tornare al loro posto e affrontare la sorte. Arrestati e rinchiusi nel sotterraneo di un albergo, ne vennero fatti uscire dopo meno di un'ora e, appena all'aperto, uccisi con tre scariche di fucile mitragliatore, mentre partiva da uno di essi il grido di "Viva l'Italia".
Dicevamo sopra che la guerra civile è una cosa crudele e sporca. E spesso le popolazioni inermi subirono terribili rappresaglie tedesche per attentati operati da partigiani rimasti poi latitanti (ricordate via Rasella?). Qui abbiamo un esempio di un modo veramente particolare di partecipare a una guerra civile: brutta, sporca, ma conservando la dignità e l'umanità.PAOLO DEOTTO
Bibliografia
* L'esercito di Salò, di Giampaolo Pansa, Mondadori, Milano 1970
* Soldati a Salò, di Silvio Bertoldi, RCS libri, Milano 1995
* L'Italia della guerra civile, di Indro Montanelli e Mario Cervi, Rizzoli, Milano 1983_________________________________--
IL CARABINIERE SALVO D'ACQUISTO
Lezione di eroismo all'ufficiale tedescoMercoledì 22 settembre 1943 a Palidoro, un paese non distante da Roma, sulla strada che dalla capitale porta a Civitavecchia. Nella frazione Torrimpietra un reparto di SS si è insediato nella caserma della Guardia di Finanza, rimasta abbandonata in seguito allo sbandamento di tante forze italiane dopo l'8 settembre. Il silenzio della notte all'improvviso è scosso: nella caserma della Finanza è scoppiata una bomba a mano e un militare tedesco è morto, mentre due sono feriti gravemente. Sembra che siano state le stesse SS a causare l'esplosione, rimuovendo maldestramente degli ordigni trovati in una cassa. Ma il loro capitano non è di questo avviso, è convinto che si sia trattato di un attentato: non c'è da aspettarsi di tutto da questi italiani, che hanno appena pugnalato alle spalle l'alleato tedesco?
Il mattino dopo il capitano SS va alla stazione dei Carabinieri di Palidoro, dove trova il comandante interinale, vicebrigadiere Salvo D'Acquisto. Gli ordina di trovare i colpevoli, non vuole neanche sentir parlare di "incidente". E' assolutamente convinto che il suo soldato sia stato ucciso. D'Acquisto è un giovanotto napoletano, non ha ancora ventitré anni (è nato il 7 ottobre del 1920) e si trova a dover fronteggiare un capitano SS, pericoloso come tutte le belve che fiutano il pericolo. Ma dimostrerà coi fatti la sua enorme superiorità sul tedesco.
Un colpevole non si trova, e il capitano ordina allora ai suoi uomini di rastrellare ventidue civili, caricarli su un camion e portarli a Torrimpietra. Perché le SS buttano sul camion anche alcuni badili? Semplice: sono quelli con cui i fermati dovranno scavare una fossa. Poi saranno fucilati. Si chiama rappresaglia: è un modo come un altro per dire che l'uomo scende al livello della belva.
Salvo D'Acquisto si porta subito a Torrimpietra, arriva mentre i ventidue innocenti stanno scavando la loro tomba sotto la minaccia dei mitra.
I Carabinieri hanno una consegna ben precisa: "Difendere a qualsiasi prezzo la comunità loro affidata".
"Signor Capitano!"
L'SS si gira. Fissa i suoi occhi gelidi in quelli di Salvo D'Acquisto.
"Signor Capitano, liberi quei poveracci. Non c'entrano nulla. La bomba l'ho messa io. Sono io solo il colpevole della morte del suo uomo".
C'è un attimo di silenzio. Il capitano guarda il vicebrigadiere, e per un momento si comporta da persona umana. "No, tu non sei stato. Tu sei innocente, va via".
"Le ripeto che sono stato io. Liberi quelle persone. E poi, a lei serve un colpevole, no? Io confesso, quindi sono colpevole. Liberi quelle persone".
Il capitano non riesce a staccare gli occhi dallo sguardo di Salvo D'Acquisto. C'è qualcosa in quel giovanotto che lo supera, qualcosa che lui non conosce. Poi si scuote. Sì, è vero, in fondo a lui non serve che un colpevole... Urla un ordine, i militi SS fanno smettere lo scavo, spingono gli ostaggi verso il camion; alcuni sono smarriti, sembra impossibile che la salvezza sia arrivata proprio a un istante dalla morte.
Poi due SS si accostano al giovane vicebrigadiere, ma non lo spingono con la canna del mitra, come in genere fanno. D'Acquisto si incammina da solo verso la fossa. Le SS tacciono, sconfitte; avvertono che quel giovanotto li ha schiacciati con un'arma che a loro non è mai stata data.
Presto, presto, ora bisogna sbrigare questa faccenda. Il capitano urla un altro ordine, due mitra latrano, il vicebrigadiere dei Carabinieri Salvo D'Acquisto, reo confesso innocente della morte di una SS viene gettato a terra dalla raffica. Il camion si avvia per riportare in paese, liberi, i ventidue ostaggi. Ora il capitano potrà scrivere un rapporto in cui dirà di aver scoperto il responsabile della morte di uno dei suoi uomini, e di averlo passato per le armi; i Comandi Superiori approveranno, apprezzando la decisione mostrata dall'ufficiale. E tutto sarà a posto.Non sappiamo il nome di quel capitano tedesco, né crediamo di essere stati negligenti non avendo fatto ulteriori ricerche al proposito. E' stato uno dei milioni di piccoli uomini travolti da una ventata di follia. Ma speriamo che sia sopravvissuto alla guerra, e che il fatto di aver fissato, per qualche attimo, il suo sguardo in quello del giovane vicebrigadiere, lo abbia poi aiutato a vivere un po' più umanamente, a cercare, perlomeno, di capire come mai ci siano uomini in grado di offrire la propria vita per gli altri.
Alla Memoria del vice brigadiere dei Carabinieri Salvo D'Acquisto il Luogotenente Generale del Regno, con Decreto Motu Proprio del 25 febbraio 1945, conferì la Medaglia d'Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
"Esempio luminoso di altruismo, spinto fino alla suprema rinunzia della vita, sul luogo stesso del supplizio, dove, per barbara rappresaglia, erano stati condotti dalle orde naziste 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, non esitava a dichiararsi unico responsabile d'un presunto attentato contro le forze armate tedesche. Affrontava così da solo, impavido, la morte imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una nuova pagina indelebile di purissimo eroismo nella storia gloriosa dell'Arma".
LE DECORAZIONI DELL'ARMA
Nel corso dell'intera campagna di guerra 1940-1945, l'Arma ebbe 3.520 Caduti, 578 dispersi e circa 15.000 feriti.
Le ricompense individuali furono numerosissime: 5 Ordini militari d'Italia, 47 medaglie d'oro al valor militare, 285 d'argento, 764 di bronzo e 1.587 croci di guerra al v.m..
Alla Bandiera dell'Arma vennero concesse una medaglia d'oro al v.m . per il I gruppo carabinieri A.O. (Culqualber), due d'argento per il battaglione carabinieri paracadutisti (Gebel via Balbia A.S.) e per i reparti carabinieri della divisione italiana partigiani "Garibaldi" (Jugoslavia) ed una medaglia di bronzo al v.m. per il III battaglione carabinieri mobilitato (Klisura fronte greco).PAOLO DEOTTO
Questa pagina (e solo per apparire su Cronologia)
è stata offerta da Franco Gianola
direttore di http://www.storiain.netvedi anche "SALVATORE D'ACQUISTO" > >