ANNO 1936 (provvisorio)
(Terza parte- anno 1936)

a1936c.jpg (22463 byte)Didascalia: L'offerta d'amore e di fede delle donne d'Italia.

L'ITALIA AUTARCHICA

LE SANZIONI e IL PERIODO AUTARCHICO - Dopo la decisione della Società delle Nazioni di punire l'Italia per avere invaso l'Etiopia, abbiamo già visto che questa presa di posizione altro non era se non una messa in scena, una farsa. Dei 52 paesi, fra i 56 che non avrebbero dovuto rifornire l'Italia, solo alcuni si schierarono palesemente contro, come la Francia. Mentre quattro paesi, Austria, Ungheria, Albania e, naturalmente, la Germania di Hitler, proseguirono "pacifici" i mutui rapporti economici con l'Italia. Inoltre, non facendo parte della Società delle Nazioni, piena libertà era lasciata agli Stati Uniti, Giappone e Brasile. Cosí l'Inghilterra, rifornita dagli Usa, riforniva tranquillamente la Germania, e questa, a sua volta, riforniva l'amica Italia (e, di soppiatto, perfino l'Etiopia in guerra contro l’Italia). Dunque, possiamo considerare le Sanzioni una gran buffonata messa in piedi dalla S.d.N., con l’assenso tàcito e compiaciuto della stessa Italia, cui conveniva atteggiarsi a vittima per far crescere l'odio dei suoi contro le "nazioni plutocratiche".

Infatti, propagandare questa situazione con il vittimismo è funzionale al regime, poiché Mussolini sta pensando ad altro. Forse già pensa ai futuri passi con l'alleato Hitler; e pensa anche a quel che ha finora celato agli italiani: le riserve auree della Banca d'Italia sono calate del 74%, negli ultimi dieci anni, senza contare che il bilancio di questo 1936 chiude in modo alquanto critico: il "costo" spaventoso della guerra imperialista (40 miliardi) ha ridotto le casse dello stato a un colabrodo. La frenesia della conquista (dove l'elemento principale era il prestigio e non certo un programma economico) aveva aperto voragini in tutti i settori con una reazione a catena su tutto l'indotto.
Le promesse dei "pagherò'" alle industrie (che avevano contribuito ad allestire i reparti, a equipaggiare i 400.000 soldati, fornendo mezzi e beni d’ogni genere, trasporti e servizi) non potevano essere onorate solo con l’agognato "spazio vitale", considerato all'inizio come la panacea a tutti i mali dell'economia italiana: in quello “spazio” non nascevano soldi, ma solo banane, e a stento.

(Annedoto per tua conoscenza: Nel 1983 sono stato interpellato proprio per occuparmi della stentata crescita delle banane nelle ex “tenute Graziani”, in Somalia (la banana Somalita, forse ti sarà capitata nella spesa): il vento teso che sempre soffia, dietro la duna costiera fra Mogadiscio e Chisimaio, sfilaccia le ampie foglie dei banani a striscette larghe due o tre dita, con grave pregiudizio endemico della produzione. - Un lettore)

L'Etiopia conquistata non poteva certo risolvere i problemi dell'Italia a breve termine. Inoltre, la sopravvalutazione della lira impediva gli scambi, cioè: danneggiava l’esportazione impedendo l’entrata di preziose divise da dedicare ad una ragionevole ed inevitabile importazione. Questo, proprio quando il fabbisogno di grano si rivelò cosí insufficiente da doverlo nuovamente comprare fuor d’Italia, come in passato: quasi 17 milioni di quintali. Anche se all'estero i cereali costavano poco, doverli importare fu un’altra bella stangata alla bilancia dei pagamenti, già in rosso; e oltre non si poteva andare senza evitare la bancarotta.
Già nel 1934 la bilancia commerciale presentava un pesante squilibrio: un passivo di 2.442 milioni di lire (7.667 milioni di importazioni, contro 5.225 milioni di esportazioni). Con la guerra in Abissinia, la voragine divenne un abisso incolmabile, malgrado numerosi tagli alle spese.
Pia illusione, quella di credere evitabili le importazioni e, in particolare, l’acquisto di materie prime necessarie alle industrie tessili (cotone e lana), all'industria siderurgica (acciaio e carbone), ai trasporti (combustibili): materie assolutamente irreperibili in Italia.

Quindi il vittimismo delle Sanzioni era servito a Mussolini solo per propagandare il consumo dei prodotti nazionali, mentre la guerra abissina si era risolta in una costosa crociata patriottica, ininfluente sulla crescita economica. Tutti i miraggi di quella terra che si dicevano essere una "manna dal cielo" si rivelarono invece non solo abbagli, ma una bella palla al piede. Del resto, quella abissina, era stata una guerra, nata da un colpo di testa al Brennero, quando Mussolini temette di essere esautorato dalla politica internazionale, per mano di Hitler. E, come in tutti i colpi di testa, c'era tanta improvvisazione, carenze, nessuna logistica e poca lungimiranza. Un salto nel buio fatto in un deserto, e con il mare di mezzo, per giunta, a costi astronomici foss’anche per mandare un semplice paio di scarpe.

( Anche qui, con la metafora, hai detto una verità “storica”: raccontava mio babbo di un certo soldato Valentincic, dai piedi fuori serie: aveva finito le scarpe d’ordinanza e non c’era modo di procurargliene altre a sua misura, sul posto. Dovettero fargliene fare un paio personalizzato in Italia, ma intanto quel poveretto andava in giro strascinando un paio di coturni da pezzente. Ogni volta che arrivava l’aereo a buttare i rifornimenti, all’apparire di pacchetti lunghi, i soldati se la spassavano a sfottere: “Valentincic, ecco, ecco qua, corri ché t’hanno mandato le scarpe nuove”! Alla fine, le ricevette proprio cosí.) (Un lettore)

Dopo le spese e i debiti accumulati nei primi mesi, il mantenimento delle truppe in Africa apriva un salasso impossibile da stagnare: gravose cambiali presentate, all'alba d’ogni giorno, presso le anemiche casse dello Stato. La "quota 90" era stata raggiunta ma, lo abbiamo già letto, fu anch'essa un traguardo di solo prestigio: agli effetti pratici fu negativa per le esportazioni; calate queste, poi, non si poteva certo importare. Le sanzioni poco c'entravano! Quasi nulla.
La crisi colpí la grande industria, i grandi monopoli e, in seguito, le medie e piccole aziende, quelle dell'indotto e dei consumi. Le prime piccole aziende che stavano nascendo, da alcuni anni, furono interamente penalizzate nel loro sviluppo; in tali condizioni critiche non potevano certo né produrre, né creare una domanda interna, non riuscendo a distribuire sufficiente reddito.
Calate le esportazioni dei grandi complessi, questi ormai "producevano" solo disoccupazione; quindi era inutile, come fece Agnelli quell'anno, produrre ed immettere sul mercato auto per il popolo, se questo non avesse avuto soldi in tasca poiché disoccupato o ad orario lavorativo ridotto. Tanto ridotto da portare a cinque i sei giorni feriali della settimana. A quelli che avevano un “posto”, si regalò il "pacchetto week end" con il "sabato fascista" per diminuire le ore delle fabbriche, tutte in sovrapproduzione e con invenduti spaventosi nei magazzini.
I provvedimenti vòlti a criminalizzare platealmente i prodotti esteri e i paesi ("plutocratici") produttori, non rappresentarono un grande problema. L'Italia di allora era ben lungi dall’essere un’opulenta società dei consumi dal benessere generalizzato; gli italiani non usavano correntemente beni voluttuari, le case erano disadorne, il vestiario ridotto all’indispensabile, l'alimentazione ancora povera con giusto il necessario; vita piuttosto spartana, anche nelle case degli impiegati e dei piccoli commercianti.

Quindi, c’era ben poco da sacrificare: eccetto per qualche prodotto, la maggior parte degli italiani non risentí dell'autarchia; la retorica e la propaganda del regime riuscirono a mascherare benissimo la realtà del Paese.
Mussolini voleva solo farlo arrabbiare, il popolo italiano, aizzarlo, temprarlo, renderlo astioso, e quindi prepararlo "bell’e cotto" per le prossime avventure di gran prestigio. - "Gli italiani devono mangiare una sola volta al giorno, per conservare la rabbia in corpo".

In ogni modo, l’autarchia acutizzò il genio italiano nell'arte di arrangiarsi, mise in evidenza una caratteristica nazionale quasi genetica, secolare (la propaganda lo strombazzava, ma in effetti era una verità). Non esportando formaggi, dal latte in esubero e quindi dalla caseina, si ricavò il Lanital, una specie di lana. Dalla ginestra e dai fiocchi di canapa, cotonizzati, si ottenne una specie di cotone, il Cafioc. Non esportando vino questo fu trasformato in alcool e i motori di alcune auto funzionavano con questo combustibile che si ricavò anche dalla melassa di barbabietole e dal riso. Con la lignite, invece, si fecero andare avanti i motori degli autocarri a carbonella. Certi autocarri e molte corriere (proibito chiamarli pullman) assomigliavano piú a stufe semoventi che ad automezzi. Sui giornali americani comparivano vignette tremende, propagandistiche (ma era la realtà), che tolsero ogni dubbio sulle condizioni in cui versava l'Italia. "Sono ritornati al fuoco delle fascine, basterà ancora una spinta e torneranno ai carri con le ruote di pietra".

E purtroppo era vero! Non avendo petrolio, gomma, acciaio, a breve termine, questa sarebbe stata la prospettiva. Mentre in America si producevano e si vendevano, in 48 ore, una quantità di auto pari a quelle prodotte in Italia sull’arco di un anno. Il petrolio estratto in una settimana era pari a quello che (con poco piú di 100 mila auto da diporto) consumava l'Italia in un anno. In un solo week end, l’America, con 24 milioni di auto in circolazione, consumava tanta benzina quanto quella consumata in Italia in 8-9 mesi.

Per sopperire alla mancanza di ferro, reputate superflue, si tolsero cancellate e ringhiere alle case, di torno alle ville, dai parchi; poi si iniziò la raccolta in tutte le sedi del Fascio dei rottami di ferro, rame, bronzo e altri metalli pregiati. Iniziarono vere e proprie gare nelle scuole, con tanto di classifica aggiornata dai maestri e premi agli alunni che portassero in classe una gran quantità di rottami. Era "la buona azione giornaliera del vero patriota". Ma fino a quando poteva durare questa commedia?

Infine la raccolta dell'oro da donare alla Patria

Agli italiani sposati "la Patria" chiese un grande sacrificio, la consegna della fede matrimoniale che, per molti, rappresentava l'unico gioiello posseduto nell’intera vita (per tacere dell’effetto psicologico molto ambiguo nel doversi privare di un simbolo cosí significativo). Grandi manifestazioni collettive furono organizzate per queste cerimonie dove convennero artisti, scienziati e statisti a dare l'esempio, fare a gara nel donare, oltre la fede nuziale, anche le proprie medaglie d'oro di accademici. Per convincere le donne (piú restie alla "donazione") si allestirono grandi celebrazioni collettive. A Roma, in una di queste, la regina Elena si tolse platealmente l'anello per depositarlo nel crogiuolo, esortando gli altri a fare altrettanto; poi salutò la folla con il "saluto romano".
Non bastava la monarchia e, per convincere i cattolici, si mette in scena anche l'arcivescovo di Bologna, Nasalli Rocca, che dona la sua croce pastorale. Segue il Collare dell'Annunziata del principe ereditario, Umberto. Benedetto Croce e Albertini donano la loro medaglia di senatori. Pirandello, addirittura, quella del premio Nobel. Un'apoteosi di demagogia e di retorica; e a nessuno veniva in mente che, cosí facendo, l'Italia offriva al mondo un’immagine miserabile, di povertà di risorse e, quindi, perdente in partenza: finite cancellate e rottami, sarebbe bastato aspettare qualche mese ancora per veder tornare l'Italia alle palafitte.

Puntualmente, i nomi di questi personaggi autorevoli comparvero subito sui giornali, indicati come "fulgidi esempi d'amore per la propria Patria". Alla fine, lo Stato ricavò dall’operazione 500 milioni, "è la cifra -scrisse un giornale americano- che noi normalmente spendiamo per il cibo dei nostri cani e gatti domestici".

Mancava la cellulosa: si ridussero le pagine dei giornali, e perfino la carta bollata si portò a mezzo foglio. Seguí la raccolta degli stracci, il ché non era proprio di buon auspicio. All'estero, questa raccolta, sarà il piú ghiotto motivo per disegnare ironiche vignette sull' "Impero di Franceschiello", il poverello d'Assisi vestito di stracci, appunto. Anche qui, furono profetici, poiché in Russia, con 40 sotto zero, i soldati italiani furono mandati vestiti peggio di San Francesco; solo con gli stracci.

Mancava la gomma e il cuoio, e gli italiani iniziarono a tagliare i vecchi copertoni per farne suole da scarpe, poi arrivò un certo Ferretti che inventò la salpa, una specie di cuoio. Poi, c’è chi fabbricò il “cuoio” con la cellulosa: questa, altro non era che una sorta di cartone compresso (e proprio con questo si confezionarono le calzature dei militari mandati sul Don...).
I civili, per non consumare i vestiti, portavano il grembiule, in casa (questo era di rigore in tutte le scuole, per insegnanti e scolari d'ogni grado), gli impiegatucci infilavano le famose mezze maniche nere con l’elastico, per salvare i gomiti della giacca, del “vestito buono”; l’accessorio assurse a “titolo” canzonatorio delle classi impiegatizie subalterne: i mezze maniche, appunto.

Le lamette da barba, giunte da poco in Italia, conobbero un declino inatteso (occorreva un acciaio speciale per fabbricarle), ritornò di moda il classico e pericoloso rasoio, tralasciato ormai da tempo. Ma anche quello, se di acciaio fino, era una rarità per ricchi.

 

Circa l'alimentazione, si consigliò a tutti di allevare polli e conigli, anche in città, pur di non importare carne. Si raccomandava di raccogliere gli ossi in appositi contenitori per bollirli e saponificarli in pezzi per il bucato. Mentre con l'olio d'oliva non esportato si confezionavano le saponette da toilette. Poi, con i venti di guerra, ci fu chi cominciò a nasconderlo, l'olio, in previsione di sostanziosi affari alla borsa nera, realtà concreta di tutti i conflitti; e addio saponette. Il sapone da bucato fu razionato con la tessera. Da saponificare restavano, pelle ed ossa degli italiani, ridotti a dieta drastica.

 

Le popolazioni interne del Paese erano spronate al consumo del pesce, incalzate con insistenza dalla propaganda che allegava dotte affermazioni di professori specialisti: "La mancanza di iodio fa venire il gozzo; guardate nei paesi montani... Abbiamo i quattro piú stupendi mari del mondo, con una riserva alimentare infinita e perenne... e inoltre il consumo di pesce sviluppa l'intelligenza". Non si risparmiano consigli pur di risparmiare carne d'importazione.

La metà del popolo italiano non “marinaro” (il 50% degli italiani vive sulla costa) iniziò a scoprire e a consumare pesce di mare. In Lombardia era rarissimo, prima di questo 1936, trovare una pescheria in città: non esistevano affatto. Il pesce era un cibo praticamente sconosciuto, in ogni ceto. Fin dalla cultura preistorica, in quella palafitticola, poi attraverso quella celtica, gallica, longobarda, per non dir di quella medievale, il pesce non era mai stato considerato un gran genere alimentare, e non solo nell'entroterra, ma perfino lungo le coste, era considerato un cibo da poveracci, derelitti incapaci di procurarsi altro, quindi quasi una vergogna per chi se ne nutriva.
Sembra impossibile ai nostri giorni, eppure, in quegli anni ancora, tale mentalità resisteva; il lettore lo può desumere dai prezzi ancora irrisori, vigenti in quest’anno. Irrisori sui mercati interni e ancor inferiori nei porti: a Napoli, un chilo di vongole costava cinque centesimi, un trentesimo di un chilo di pane, mentre un chilo di triglie o di sogliole, a Venezia, non superava il costo di un etto di pane. Il pesce azzurro, sgombri, sarde, alici, i pescatori lo ributtavano a mare. A Pescara, al porto, era venduto a due centesimi il chilo, pari a mezz'etto di patate o al costo di mezzo uovo.

Il fascismo puntò su questo alimento "autarchico", inaugurando l’anno prima, a Milano (poi via via nelle grandi città, come Firenze, Torino, Roma ecc.) il Mercato del Pesce. Già quest'anno, le vendite milanesi sono pari a un terzo di quelle napoletane, dove pesce e molluschi si trovano ad ogni angolo di strada (oltre che al porto e a Porta Capuana, dove c'è il meglio del meglio): dai 200 ai 300 ambulanti.

Grandi affari per i pescatori, liguri, romagnoli e veneti. I pescivendoli invasero la Pianura padana, fino al piú piccolo sobborgo. Successe quasi di mangiar piú pesce in montagna che non al mare.
Una ragione c'era: la carne costava circa 18 lire al chilo, il pesce diciotto volte meno, da una una a due lire il chilo. Il baccalà (merluzzo) secco costava addirittura 2,50 al chilo (ripeto secco). Lo importava, in monopolio, una sola ditta in Italia, ad Ancona, davanti alla ferrovia e, se non erro, era la ditta Balboni.
All'interno del Veneto, dove non vi era altro che polenta (quanti morti di pellagra!), lo sposalizio con il baccalà secco norvegese diventò quotidiano, il "piatto principe", come i maccaroni a Napoli. Del resto, con la misera somma di quattro lire (tre lire di baccalà secco e una lira di farina gialla) ci si poteva mangiare tutta la settimana. Per il paragone, ecco alcuni prezzi correnti.

Per un chilo di... Pane, 1.60 lire – Pasta, 3 lire – Farina bianca, 2 lire – Farina di mais per polenta, 1 lira – Riso, 2 lire – Olio, 6 lire – Vino comune, 1.80 lire – Zucchero, 6 lire – Caffé, 35 lire – Uova, 1 lira (4 o 5 centesimi l'una) – Patate, 50 centesimi – Cipolle, 50 centesimi – Fagioli secchi, 3 lire – Fagioli freschi, 1 lira – Cavolfiori, 1.80 lire – Cicoria, 12 centesimi – Insalate varie, 30 centesimi – Mele, 1.50 lire – Fichi secchi, 2.5 lire – Calze da donna tipo nylon (non si chiamava ancora cosí, ma quello era) 18 lire.
Da notare che un bracciante agricolo guadagna dalle 5 alle 7 lire il giorno, circa 150/200 lire il mese. Un operaio circa 300. Un impiegato o un operaio specializzato, 350/420. Lo stipendio di un impiegato d'alto livello, laureato, si aggira attorno alle 800 lire. Quello di un dirigente d'industria o di un capoufficio dirigente statale, 1000 lire. Quello di un generale o di un professore accademico, 3000 lire.

Partí quindi l'economia nazionalistica: l'Autarchia che si affiancava al Capitalismo di Stato (IRI, STET, SIP, INA ecc.) e al Corporativismo (contenzioso sindacale, operaio e padronale, fermamente soggetto al controllo e alla mediazione di Stato). Una cavezza al collo dell'economia italiana che poteva anche dare buoni frutti, in determinate circostanze, ben circoscritte. La prima, solo a breve scadenza, di fronte all’emergenza. Il secondo, solo a lunga scadenza, e non certo in previsione di un'altra guerra. E il terzo, relativamente valido sul piano sociale, eventualmente applicabile solo per un periodo transitorio. L'economia di libero mercato, dopo la buriana (crisi del '29 e la guerra di quest'anno) doveva necessariamente ristabilirsi, pena l'isolamento economico.

Invece, si "tirò diritto": "Marceremo fino in fondo", "L'Italia non si è piegata con le sanzioni, né si piegherà mai. L'autonomia politica non si può concepire senza un'autonomia economica". Questa "ricetta" di Mussolini tirava diritto proprio all'isolamento economico e politico, irreversibilmente. Il risvolto culturale, poi, fu l’innalzamento di una vera e propria barriera dal resto del mondo, visto che furono bandite le traduzioni di libri e la vendita di giornali, film, dischi e tutte le riviste straniere, comprese quelle scientifiche.
Nel momento in cui ogni palpito delle scienze e della tecnica in prodigioso sviluppo era saggiato, riportato e discusso nelle pubblicazioni d'oltreoceano, queste furono messe tutte fuori legge. Si ripiombava nell’isolazionismo medioevale, chiamandolo "autonomia politica". Un suicidio. Per quasi dieci anni l'Italia si chiuse cosí, dentro il suo bozzolo.

L'anglofobia su ogni oggetto e la fobia della lingua inglese per ogni pubblicazione e vocabolo, raggiunse vette parossistiche quando si italianizzarono i nomi delle cose che erano nate e da sempre conosciute con il proprio nome originale, come film, bar, autobus, che furono chiamati rispettivamente pellicola, quisibeve, corriera. Dava fastidio anche la chiave inglese: evocava la gente d'oltremanica; la si chiamò quindi chiavemorsa; e tante altre simili barzellette.

In questa strategia economica mussoliniana, suicida, c'era un autorevole dissidente; era il piú grande esperto di finanza, a livello mondiale, l'amministratore delegato della Banca Commerciale, Giuseppe TOEPLITZ (odiato dal Duce, fin dal 1922). Espose i suoi dubbi, presentò un suo "piano economico moderno" sulla scrivania di MUSSOLINI, fiancheggiato dallo stimato Alberto BENEDUCE, considerato il vero "dittatore dell'economia italiana".


(VEDI BENEDUCE - IL CUCCIA DEL VENTENNIO)

"La svalutazione della sterlina, a Londra, ha reso ancora piú precaria la situazione italiana, mette in crisi le banche e l'intera industria nazionale, -rivela TOEPLITZ- occorrono interventi coraggiosi, di risanamento delle banche e non chiusure, ma aperture politiche verso l'estero, perché il mondo sta cambiando, l'Ottocento non è finito col 1900, ma finisce nel 1929: solo allora è iniziato il XX Secolo". Toeplitz ribalta, insomma, il concetto nazionalistico: "solo l'apertura economica porta all'apertura politica. Le autonomie, nel vecchio mondo moderno, sono finite" (Anticipava il mercato globale).

Mussolini tace, anzi con sufficienza gli fa notare che potrebbe mandarlo via per lavorare in pace, ma, lo ascolta -dice- "per educazione". Vinceranno il duello Beneduce e Mussolini, ma l'altro aveva previsto tutto e giusto: il crollo! E perfino l'anno 2000 !

Una cosa appare certa in questa esposizione di Toeplitz: se Mussolini avesse avuto intenzione di continuare con questi provvedimenti di economia nazionalistica, autarchica e corporativa (come sta facendo Hitler - ma lui ha le materie prime in casa) al fine di riorganizzare, ammodernare, rendere efficienti l'esercito, la marina e l'aviazione, avrebbe dovuto scordarselo. Le casse erano vuote e con troppi debiti. Allora bloccò tutti i finanziamenti. E infatti, vedremo Mussolini presentarsi sulla scena europea già in fiamme, nel 1940, con gli antiquati mezzi usati nel 1918 e riciclati in Etiopia, in questo '36. Armamentario utile, tutt'al piú, per qualche guerra intestina fra tribú africane scalcagnate (questa drammatica carenza sarà confermata dalle future lettere del Duce a Hitler, dove egli chiede nitrati, carbone, acciaio, e una lunga lista di materie prime indispensabili, piú l’elemosina di qualche cannone o mitragliatrice. Insomma: quasi tutto).

In tali critiche situazioni economiche, non si trovava solo l'Italia di Mussolini. Dal 1918, e -peggio- dopo il '29, la crisi aveva attanagliato tutti i Paesi. Ma non tutti si erano permessi il lusso di una costosa guerra d’agressione come l'Italia, né stavano preparandone un'altra. Addirittura, Mussolini chiese a BADOGLIO quale esito ci si potesse attendere dal "farne una" contro l'Inghilterra; cosí, tanto per gradire... Siamo in piena esaltazione nicciana, alla sindrome allucinante dell'onnipotenza.

 

HITLER aveva “migliori” ragioni, ataviche, lui: guerre che partono dai resoconti latini di Tacito fino all’ultima, persa malamente nel 1918, quando Versailles passò un cappio al collo della Germania, umiliata e schiacciata dai debiti e dalle insostenibili pretese di risarcimento dei vincitori, francesi soprattutto. Non si trattava di una nazioncina di poco conto... Non era difficile arguire che prima o poi la Germania si sarebbe affrancata da quello "strangolamento", in un modo o nell’altro, con un "terremoto". Da Maroboduo in poi, i guerrieri salii, hanno sempre agito cosí: quando Roma li "strozzava", riattraversavano i limes, il Reno, il Danubio, e si riprendevano quello che era stato a loro tolto; cioè lo "spazio vitale".
Tutti lo sapevano, ma facevano finta di non vedere. Non per nulla, proprio gli inglesi, capirono ed aiutarono discretamente la Germania a venir fuori dalla situazione apparentemente senza sbocco, lasciando distratti varchi nello sbarramento navale sulla Manica, permettendo addirittura alla Germania di essere privilegiata nelle sanzioni, quasi l'unico Paese a rifornire, a pieno titolo, l'Italia.

HITLER, al contrario di Mussolini, dispone però di grandi miniere di carbone, dei grandi complessi della Ruhr, di Essen, Bochum, Dortmund, e per alleati i vari Krupp & Compagni, e le grandi banche (vedi biografia di Hitler) che stanno lavorando come ossessi; in piú, ha dalla sua l'intero popolo tedesco che cerca, e sembra proprio che l'abbia trovato, il suo condottiero; pazzo o non pazzo. E per guidare un intero popolo, un po' di follia e di genio occorrono. Jung classificò "pseudologia fantastica" l’azione chi crede e agisce senza dubbi o remore, con cieca sicumera, verso ciò che egli stesso ha inventato. Anche Napoleone quando scese per la prima volta in Italia, trasformò le sue modeste battaglie in eventi storici, e ai suoi "straccioni", a Lodi, fece discorsi degni di Marco Aurelio.

Hitler ha scritto Mein Kampf, e vi si attiene scrupolosamente, quasi in modo maniacale. Il libro sfiorò quasi il successo europeo, se non fossero intervenuti gli americani e se non ci fosse stata la "sorpresa" russa. Se Mussolini, infine, non gli avesse messo il "bastone fra le ruote" con l'Africa: una vera “manciata di sabbia" negli ingranaggi ben oliati che Hitler aveva concepito e scrupolosamente realizzato fin allora con determinazione... e non da solo (nell'ombra c'erano un certo Jodl, stratega di tutti i piani d'invasione, e un certo Guderian, creatore delle Panzerdivisionen e dei Blitz. E tutta la grande industria.
(vedi "Il riarmo della Germania")

Ma, adesso, andiamo avanti: molte cose stanno accadendo proprio dalle parti di Hitler, in Germania... e quindi dobbiamo fare un passo indietro.

IL 15 GIUGNO l'Austria riconosce a Mussolini l'annessione dell'Etiopia e il 5 giugno avviene un incontro con Mussolini, dove si prende atto che l'Austria e l'Ungheria d'ora in avanti si legano politicamente e ideologicamente al Reich hitleriano. Mussolini, con le assicurazioni tedesche sull'indipendenza dei due stati, offre cosí il proprio sostegno all'intesa e appoggia indirettamente l'espansionismo tedesco nei due Paesi. Ma...

IL 23 SETTEMBRE all'insaputa di Hitler, Mussolini firma un trattato di cooperazione con la Iugoslavia (ignorando il patto segreto di questa con la Francia) con lo scopo di limitare l'influenza tedesca verso questo Paese che, virtualmente, abbandona i legami con la Francia, legandosi a Mussolini.

Nonostante tali manovre dietro le quinte, Mussolini non riesce a sottrarsi al fascino di Hitler... ed a lui si affianca nella prima sortita militare, in Spagna, dove ...

Il 17 LUGLIO si ribellano alla repubblica molti generali e, soprattutto, le guarnigioni legionarie ben inquadrate e numerose della colonia marocchina: le capeggierà un Caudillo (un duce), il generale Francisco FRANCO, pronto a riportare l’ordine sul travagliato territorio metropolitano, manu militari, con mire politiche decisamente autoritarie e antidemocratiche, molto simili ai regimi fascista e nazista. A questi si rivolge per chiedere aiuto. Mussolini e Hitler, nonostante la diffida ad intervenire emessa dalla Società delle Nazioni, mandano rapidamente a Franco una cospicua forza aerea e altro materiale in appoggio ai ribelli, sostenendo di voler evitare, ipocritamente, "che il conflitto dilaghi e comprometta la pace in Europa". È l’inizio di una violentissima e lunga guerra civile.


L'Italia fornirà alla Spagna franchista 60.000 uomini, 800 aerei, 8.000 automezzi, 90 navi. L’intervento costerà anche 4000 morti e 11.000 feriti, italiani.
È la prima intesa politica e militare, concreta e palese, tra Mussolini e Hitler che diventerà formale il…

24 OTTOBRE, creando ufficialmente l'ASSE ROMA-BERLINO. Un patto che impegnerà l'Italia a collaborare con la Germania nella lotta contro il bolscevismo, portando il suo contributo alla soluzione delle tensioni balcaniche e danubiane.

Ma Mussolini (ingenuo) ignora il patto di Hitler con i russi e ignora anche gli aiuti sottobanco, degli odiati inglesi, alla Germania; questa li userà piú tardi, proditoriamente, contro i russi. Hitler riesce, quindi, a raggirare abilmente sia Mussolini, sia l'Inghilterra, sia i russi.
Ma, a sua volta, Hitler ignora che Mussolini ha stipulato patti segreti con l'Austria e con la Iugoslavia, gelose della loro indipendenza da Berlino. Queste repubbliche temono l'egemonia tedesca sui loro territori (e non la gradisce neanche Mussolini che, con esse, segretamente si accorda).

Sulla questione spagnola, alta si leva la voce di CARLO ROSSELLI che dall’ambigua Francia incita socialisti e comunisti di tutta Europa a dare il proprio contributo antifascista in Spagna. Si riescono a mettere insieme soltanto 140 volontari, che, per dissidi interni non riescono a coordinare la loro azione. Liti e incomprensioni portano a sciogliere il modestissimo raggruppamento, alla fine dell'anno.
In tutta Europa, la coscienza democratica di ognuno è dilaniata dal conflitto ideologico e dal bagno di sangue, in Spagna. Molti temono, giustamente, lo sfocio di quella guerra civile in vera e propria guerra, di nazioni contro nazioni. A capirlo subito è proprio Carlo Rosselli che lancia il suo mònito: "attenzione non sottovalutate: oggi in Spagna, domani in Italia"!

Ambigue sono, in questa seconda crisi (dopo l'Etiopia), nuovamente, sia la Francia, sia Inghilterra, e anche la Società delle Nazioni (ormai esautorata, di fatto). Quest'ultima, il 4 LUGLIO, ha abrogato le sanzioni verso l'Italia. Mentre l'Inghilterra le revocherà il 6 novembre, non parteggiando (come Ponzio Pilato) per nessuna delle due parti nemiche, in Spagna, mentre ristabilisce (business is business) anomale e ambigue relazioni con l'Italia. La Francia fa l’equidistante, ma aiuta in gran segreto i repubblicani, contrapposti ai franchisti, fornendo ad essi, tra agosto e settembre, armi e aerei, salvando la faccia dinnanzi al mondo con il suo "non intervento".

Un'altra stonatura, in Italia, viene da STARACE (è lui, come Segretario del Fascio, a condurre la propaganda in Italia). Il 2 settembre pubblica su Il Regime fascista un articolo dove indica, per la prima volta, gli ebrei “nemici dei fascisti” (vedi MANIFESTO DELLA RAZZA). Inizia una sprezzante campagna antiebraica che andrà drammaticamente crescendo, nei prossimi anni, con accenti non inferiori a quelli della stampa tedesca, allineandosi alla nevrotica politica razzistica hitleriana.
Starace, come tanti altri, fa ciò non tanto per intima convinzione, ma per compiacente piaggeria verso i tedeschi. Egli stesso ha una segretaria ebrea, cui è molto affezionato; a chi gli fece notare che doveva dare l'esempio cacciandola, replicò che sí, lo avrebbe fatto, allorché molti altri gerarchi si fossero privati della loro. I provvedimenti, per quanto odiosi, erano generalmente blandi (con rispetto parlando dei perseguitati colpiti) e ben pochi fascisti gradivano ottemperarvi con l’inesorabile zelo nazista; per non dire della popolazione italica, visceralmente avversa.

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