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RIASSUNTO ANNO 1929 (07)
"GIUSTIZIA E LIBERTA'"
Fondata nel 1929 da
esuli italiani per combattere la dittatura.
Di sinistra ma staccata dal Pci, alla fine della guerra diventò il famoso
PARTITO D'AZIONE
UN MOVIMENTO
CHE TENNE SOTTO SCACCO IL DUCE
di MARCO UNIA
Il 27 luglio 1929 tre uomini fuggono in motoscafo dall'isola di Lipari, dove il regime fascista li ha costretti al confino: è così che inizia la storia del movimento Giustizia e Libertà.
I fuggitivi sono Carlo Rosselli, Emilio Lussu, Francesco Nitti e si dirigono a Parigi, nella Francia ancora libera e democratica, dove troveranno ad attenderli altri fuoriusciti dall'Italia per ragioni politiche e dove incontreranno Alberto Tarchiani, l'ex caporedattore del Corriere della Sera che ha organizzato la fuga.
Carlo Rosselli non è alla sua prima esperienza di evasione, perché il confino a Lipari gli è stato imposto per aver organizzato e realizzato la fuga in Francia di Filippo Turati, maestro e patriarca del Partito Socialista Italiano minacciato dalle misure restrittive del regime fascista. Rosselli, aiutato da Riccardo Bauer che sarà un altro dei fondatori di Giustizia e Libertà e colonna dell'attività clandestina in Italia, era riuscito a far evadere Turati nonostante la stretta sorveglianza a cui era sottoposta la casa del leader socialista e l'aveva condotto in salvo a Parigi dopo averlo nascosto prima a Milano, poi a Varese, ad Ivrea presso Camillo Olivetti e infine in Corsica. Riuscita l'impresa, Rosselli era ritornato in Italia con Ferruccio Parri, anche se entrambi sapevano che ad attenderli c'era un sicuro arresto e un procedimento giudiziario per aver organizzato la spedizione clandestina: e il processo si tenne e si concluse puntualmente con la condanna e l'invio di Rosselli al confino a Lipari.
Questi episodi avventurosi sono alcuni esempi del coraggio intrepido, dell'attivismo politico e del rigore morale che caratterizzarono la vita di CARLO ROSSELLI, il polemista scomodo, da tutti riconosciuto come il fondatore e l'animatore di Giustizia e Libertà.
Il movimento GL nacque ufficialmente a Parigi nel novembre del 1929 e il comitato estero fu composto inizialmente da Tarchiani, Lussu e Rosselli, mentre in Italia - dove qualcuno era riuscito a sottrarsi alle indagini della polizia fascista - i capi furono Ernesto Rossi, Riccardo Bauer e Francesco Facello.
Ciascuno di questi uomini era diventato membro di Giustizia e Libertà seguendo un percorso esistenziale e una traiettoria politica diversa e ciò testimoniava un carattere peculiare del movimento: l'idea portante era infatti quella di riunire in un unico fronte d'azione molte forze politiche antifasciste. Il primo manifesto del gruppo così esprimeva questo punto di vista:
"Repubblicani, socialisti e democratici, archiviamo per ora le tessere e formiamo un fronte d'azione. Ci battiamo per la libertà, per la repubblica, per la giustizia sociale. Non siamo più tre espressioni differenti , ma un trinomio inscindibile."
La volontà di unire le forze per rovesciare il fascismo era ciò che più distingueva Giustizia e Libertà dall'altra concentrazione antifascista presente a Parigi e composta dal Partito Socialista, Partito Repubblicano e Partito dei diritti dell'uomo: questi infatti si era alleati tra loro ma avevano mantenuto le proprie sigle e le proprie strutture distinte e separate, finendo così per rendere quasi evanescente la loro capacità d'azione e fossilizzandosi in uno sterile attendismo.
Non facile era anche il rapporto di Giustizia e Libertà con il partito comunista italiano, che pure andava strutturandosi come la principale organizzazione antifascista in Italia e all'estero e che dimostrava in certi momenti un atteggiamento battagliero nei confronti del regime italiano.
La divisione tra GL e comunisti nasceva soprattutto dal diverso giudizio sull'URSS e sul bolscevismo e che vedeva Rosselli impegnato a distinguere tra Rivoluzione d'ottobre e critica al regime sovietico. Rispetto alla prima, il giudizio era infatti positivo, tanto che sui Quaderni di GL del 1932 Rosselli scrive che bisogna comunque riconoscere alla rivoluzione d'ottobre meriti importanti: " prima di ogni consacrazione marxista e di ogni atrocità dittatoriale sta la rivoluzione che ha distrutto l'autocrazia, che ha dato la terra ai contadini. Questa rivoluzione la difenderemo e l'ameremo."
Per quanto riguarda la dittatura staliniana invece la critica è spietata e si basa sul rifiuto del burocratismo, dello statalismo esasperato, mette in guardia dagli eccessi derivanti dalla socializzazione e dalla collettivizzazione totali e denuncia le violazioni della legalità rivoluzionaria. Rosselli rimproverava poi ai comunisti italiani di essere troppo legati ai rapporti con l'Internazionale comunista e alle direttive di Mosca, li accusava di non essere disposti ad una vera unione antifascista per il timore di perdere l'egemonia sul movimento operaio e ne contestava la troppo rigida strutturazione in partito.
Rosselli era infatti convinto che soltanto attraverso un movimento e non con un vero e proprio partito si potesse vincere la battaglia antifascista e si potesse preparare il futuro dell'Italia su basi diverse.
Il leader di GL criticava i partiti e le organizzazioni prefasciste partendo in primo luogo dalla loro incapacità di porre un argine all'avanzata fascista: Rosselli indicava nella scelta del ritiro sull'Aventino a seguito dell'assassinio Matteotti uno degli errori più gravi nella battaglia politica degli ultimi anni, compiuto in nome di una tattica attendista che a suo parere influenzava ancora la Concentrazione.
I suoi studi sul fascismo - che egli riteneva necessario comprendere per poi poter superare - l'avevano convinto che il successo di Mussolini era derivato dalla sua capacità di unificare partiti politici e forze sociali prima divisi, proponendosi come un riferimento per le istituzioni tradizionali dello Stato e per la borghesia nelle sue varie articolazioni, ma anche per la sua capacità di far presa su strati non disprezzabili di proletariato urbano e agrario.
Tutte queste motivazioni erano di per sé sufficienti per giustificare la scelta di organizzare Giustizia e Libertà come movimento piuttosto che in forma di partito, un movimento che sapesse raccogliere una pluralità di forze capaci di opporsi al fascismo: ma le motivazioni della scelta non erano solo queste. In realtà la concezione movimentista giellista esprimeva un giudizio critico nei confronti della stessa strutturazione partitica, ritenuta incapace di creare un'autentica democrazia dal basso e di rappresentare la società civile.
Rosselli si opponeva radicalmente alle ipotesi comuniste del governo a partito unico, puntando anche in seno al movimento operaio al ripristino e alla creazione di diverse rappresentanze, dai sindacati ai consigli di fabbrica, capaci di rispondere all'esigenza fortemente sentita di democrazia e pluralismo. Il movimento era per Rosselli l'argine contro l'organizzazione di partito, che per sua essenza ha la tendenza a diventare "rigido, settario, geloso, obbligato alla coerenza, pauroso delle innovazioni brusche, in una parola conservatore" .
L'altro principio ispiratore di Giustizia e Libertà era l'azione e in nome dell'attivismo Rosselli condusse una forte critica nei confronti del socialismo e del comunismo italiano, perché egli riteneva necessario "un coraggioso esame di coscienza, che addivenga alla più spietata delle autocritiche".
Rosselli era infatti originariamente un socialista, ma ciò non gli impedì di elaborare una lucida disamina sui problemi del partito socialista e di quello comunista, critica che egli considerò quasi un obbligo morale e una necessità storica soprattutto all'indomani della vittoria del fascismo: " le ragioni della disfatta- ripeteva Rosselli - non vanno infatti cercate negli avvenimenti esteriori delle forze che sfuggono per definizione al nostro controllo, quanto in noi stessi."
Rosselli criticava il socialismo e il comunismo italiano per aver sviluppato un materialismo deterministico, per il quale alla inevitabile crisi del capitalismo sarebbe seguita l'altrettanto inevitabile rivoluzione di classe. Per il leader di Giustizia e Libertà questa interpretazione del marxismo era politicamente errata e pericolosa, perché aveva indotto i partiti di sinistra e i loro sostenitori ad attendere passivamente l'avvento della rivoluzione, senza nulla fare per prepararla e progettarla e li aveva resi indifferenti alla possibilità di riformare il paese attraverso l'uso della democrazia parlamentare e dei diritti civili acquisiti.
A differenza dei socialisti massimalisti e dei comunisti attestati sulle posizioni sovietiche, Rosselli credeva nella possibilità di conciliare la democrazia liberale con il socialismo e portava come esempio di questo possibile connubio quanto era avvenuto nel 1924 nell'Inghilterra laburista.
Nel suo libro più celebre "Socialismo liberale" egli ribadì più volte la centralità del concetto di libertà e lo collegò costantemente all'esistenza di istituzioni democratiche, criticando il socialismo marxista che in Unione Sovietica aveva relativizzato il valore della libertà in nome della dittatura del proletariato, che rischia di trasformarsi in un "melanconico sogno di burocrati".
Ed è nel nome della libertà che Rosselli vuole chiamare il popolo italiano alla rivoluzione e all'insurrezione contro il fascismo, libertà che però non esclude in alcun modo la possibilità di importanti riforme sociali. Rosselli è però consapevole che "una lotta rivoluzionaria richiede una minoranza che si sacrifica" ma già nel 1929, anno in cui viene pubblicato in Francia "Socialismo liberale" si dice convinto dell'esistenza in Italia di "una generazione di uomini che hanno scelto il proprio destino e per nulla al mondo rinunceranno a condurre la battaglia sino al suo logico sbocco."
L'esistenza di questi uomini coraggiosi fu presto testimoniata dai fatti, dalle azioni organizzate da Giustizia e Libertà per opporsi al fascismo. Nel 1930 Giovanni Bassanesi ( QUI la pagina dell'impresa ) sorvolava Milano con un piccolo aeroplano lanciando migliaia di volantini di GL e questo volo ispirò quello compiuto su Roma nel 1931 dal poeta Lauro de Bosis, morto nell'impresa. Gli slanci eroici degli uni ispiravano gli altri e così Ernesto Rossi riusciva a sfuggire alla cattura dei carabinieri lanciandosi dal treno anche se ammanettato, Renzo Giua attraversava le Alpi in inverno, restando due notti all'aperto e un altro militante si gettava nel fiume per sottrarsi ad un arresto.
La tecnica resistenza al fascismo di Giustizia e Libertà rappresentava una novità nel panorama italiano e si caratterizzava per le capacità di iniziativa in campo propagandistico: oltre ai suddetti gesti, si organizzarono attentati all'estero e in Italia , si mandarono lettere agli ufficiali, addirittura si riuscì con un trucco a far pubblicare sul Corriere della Sera il simbolo di GL, una spada fiammeggiante inquadrata dalla sigla del movimento (che abbiamo riportato a inizio pagina).
Ben presto però GL suscitò l'attenzione delle forze dell'ordine e in particolare della polizia segreta, la famigerata O.V.R.A. la cui attività ebbe inizio proprio negli anni trenta e che riuscì a infliggere pesanti perdite all'organizzazione italiana del movimento. Furono arrestati capi storici ed esponenti importanti di GL, tra cui Bauer, Rossi, Fancello, Traquandi. Ciò nonostante, i loro arresti costituirono un momento importante per il consolidarsi di GL, che trasse forza dal contegno morale e dal coraggio mostrato da questi uomini di fronte al Tribunale Speciale che ebbe l'incarico di giudicarli. Le pene furono per tutti assai pesanti, ma l'irriducibile antifascismo di cui diedero testimonianza al processo trovò eco anche sulle pagine dei giornali inglesi e costrinse quelli italiani a dare almeno testimonianza di quanto accadeva nell'aula del tribunale: era anche questo un modo di dimostrare agli italiani che ancora esistevano dei socialisti, dei comunisti, degli aderenti a GL e che queste persone affrontavano il carcere pur di resistere al fascismo.
In seguito all'ondata di arresti che aveva messo a dura prova il movimento in Italia, senza però fiaccarne la resistenza, si realizzò un riavvicinamento tra le forze della Concentrazione e la stessa GL, che conclusero un accordo nel 1932. La Concentrazione - formata come detto da partito socialista, repubblicano, dalla Lega dei diritti dell'uomo e dalla Confederazione Generale del Lavoro- riconobbe Giustizia e Libertà come suo unico rappresentante in Italia, prendendo atto delle capacità di cospirazione del movimento; a sua volta Giustizia e Libertà allargava il proprio esecutivo, che veniva così a comprendere anche un socialista, un repubblicano e un rappresentante della confederazione del lavoro e rinunciava a costituire una propria struttura operativa all'estero, demandando questo compito alla Concentrazione.
In occasione dell'accordo il movimento GL stilò anche un proprio programma, per ribadire le linee guida della propria azione politica. Il programma fu pubblicato sul primo "quaderno" di Giustizia e Libertà, pubblicazione di cui uscirono in seguito dodici fascicoli di circa duecento pagine l'uno e che rappresentò uno spazio molto importante per il dibattito politico in seno al movimento.
Il programma politico prevedeva la creazione in Italia di una repubblica democratica, caratterizzata in senso liberale dalla presenza di forti autonomie locali e dal netto rifiuto nei confronti della monarchia e aliena a qualsiasi accordo con le forze politiche compromesse con il regime fascista. Molto innovativo risultava essere anche il programma economico, che era frutto dell'elaborazione teoretica di Salvemini e dello stesso Rosselli. L'idea portante era il sistema ad economia mista, che prevedeva la socializzazione della grande industria e il mantenimento della liberà impresa per le aziende medio- piccole; inoltre il programma si caratterizzava per la richiesta della tanto attesa e sempre rimandata riforma agraria, che avrebbe dovuto finalmente concedere la terra ai lavoratori sottraendola ai latifondisti che sarebbe stati risarciti con modesti indennizzi.
I "quaderni" confermavano inoltre l'immutata vocazione antifascista di GL che, pur dovendo in qualche misura rallentare la propria azione eversiva in Italia a causa degli arresti, era continuamente alla ricerca di nuovi metodi di lotta contro il regime. Uno tra gli aspetti più dibattuti all'interno del movimento e che spesso causava disaccordi anche con gli altri partiti fu quello relativo all'atteggiamento di GL nei confronti delle masse e del loro ruolo nell'attività rivoluzionaria. All'interno è particolarmente importante la discussione che si svolse tra Rosselli e Lussu sul ruolo rivoluzionario assegnato alle masse operaie, perché il leader di GL riteneva necessario coinvolgere nel movimento antifascista le masse lavoratrici in genere - nelle quali rientrano anche i ceti medi- mentre Lussu era Nello Rosselli
convinto che si dovesse fare affidamento unicamente sulla classe operaia. Un tema affine a questo, e cioè il ruolo che nell'immediato possono avere le masse operaie nella rivoluzione, vide Rosselli impegnato in una discussione con Tockij nel 1933, contrasto che si ripeterà anche con i rappresentanti del partito comunista italiano.
Il comandante dell'Armata Rossa era infatti in quegli anni convinto che l'antifascismo dovesse avere un carattere eminentemente classista, legato al movimento operaio, mentre Rosselli metteva l'accento sulla debolezza della classe operaia italiana fiaccata dal regime e sulle nuove generazione di lavoratori diseducate dal fascismo.
Le analisi di Rosselli costituiranno il presupposto del progetto di educazione politica portato avanti dal movimento, che insisterà sulla formazione dei quadri piccolo borghesi, degli intellettuali e delle elites di comando che avrebbero dovuto a loro volta guidare alla rivolta le masse operaie e lavoratrici.
Alle accuse dei comunisti italiani, che vedevano in questa impostazione di GL un tradimento del movimento operaio e una vocazione borghese e intellettuale del movimento, Rosselli contrapponeva una spietata analisi della situazione dell'Italia di quegli anni, in cui non era possibile trovare per ogni città " più di 50-100-200 cittadini politicamente attivi disposti a partecipare alla lotta rivoluzionaria", dati che obbligavano a rimandare il lavoro di massa ad una seconda fase del progetto antifascista.
A questi scontri ideologici con i comunisti andavano sommandosi le divergenze d'opinione con la Concentrazione antifascista sulla situazione politica italiana ed europea e sulle azioni che si riteneva necessario intraprendere per affrontare la crisi delle democrazie e del socialismo. La prima rottura tra Concentrazione e GL si consumò nel 1933, all'indomani della pubblicazione sul quaderno di Giustizia e Libertà di un profetico articolo di Carlo Rosselli, intitolato" La guerra che torna". Rosselli commentava la recente conquista del potere da parte di Hitler, sostenendo che la presenza di due regimi totalitari in Europa - in Italia e in Germania - avrebbe presto portato ad un nuovo conflitto mondiale.
Le ragioni del contrasto con le forze della Concentrazione e con i comunisti risiedevano però nelle diverse conclusioni a cui giungevano Rosselli e i rappresentanti dei partiti tradizionali, perché il leader di GL invocava l'intervento militare delle democrazie europee contro i regimi totalitari, al fine di favorire una rivoluzione politica interna che ripristinasse in questi paesi le libertà civili e politiche. Rosselli contrastava con forza l'atteggiamento di socialisti e comunisti, attestati su una posizione di intransigente pacifismo - la politica del "non intervento"- che a suo dire finiva per lasciare spazio alle mire espansionistiche e agli atteggiamenti aggressivi dei regimi totalitari e che sul lungo periodo non avrebbe comunque impedito la svilupparsi di un conflitto.
Rosselli inoltre aveva compreso meglio e prima di altri che era un errore considerare il fascismo come semplice reazione autoritaria della borghesia e che ora si doveva evitare di ridurre l'intero fenomeno ad un conflitto di classe, perché lungo quella strada si sarebbe finiti per equiparare le democrazie borghesi con le dittature totalitarie, secondo la celebre e nefasta formula del "liberal- fascismo".
Già nel 1932, Rosselli aveva individuato alcuni caratteri del fascismo che ne impedivano la riduzione ad un fenomeno borghese e che così elencava sulle pagine dei quaderni:
"a) meccanismo burocratico- dittatoriale al cui mantenimento sono interessate alcune centinaia di migliaia di persone
b) abitudine alla violenza, gusto della forza, tendenze autoritarie tramandateci dalla guerra
c) religione nazionalistica, ancora fortissima in tutti i paesi, e che l'educazione fascista accuratamente fomenta
d) debolezza del carattere italiano, tradizioni di secoli dei secoli di servilismo, influenza della chiesa, apatia politica…il fenomeno è reazione di classe e crisi morale assieme"
Alla rottura definitiva con le forze della Concentrazione si arrivò poi nel 1934 e questo avvenimento segnò un altro punto di svolta per GL, che si attestò su posizioni più intransigenti e più rivoluzionarie rispetto ai suoi esordi. La svolta si realizzò a seguito dell'affermarsi della leadership sempre più indiscussa di Rosselli - poiché Lussu e Tarchiani avevano dovuto abbandonare il movimento per questioni personali - e venne alimentata dall'ingresso nell'organizzazione di nuovi esuli, più giovani e più intransigenti nel condannare gli errori della vecchia classe dirigente prefascista e insofferenti verso gli atteggiamenti attendisti dei partiti della Concentrazione.
Questa nuovo atteggiamento politico di lotta a tutto campo contro i fascismi si manifestò per la prima volta in modo eclatante in occasione dell'attacco italiano all'Etiopia nel 1936, contro il quale Rosselli chiese l'intervento armato delle nazioni europee contro il regime italiano e denunciò la palese inutilità della politica delle sanzioni, che venivano usate dal regime come strumento di propaganda contro "le plutocrazie" e che finivano per rinsaldare lo spirito patriottico alle imprese del fascismo. A suo parere l'uso della forza era l'unico modo per fermare le mire espansionistiche del regime, mentre sul piano della propaganda era necessario far capire agli italiani che la guerra in Etiopia non era una guerra della nazione, ma una guerra del regime e di Mussolini, "un impresa privata della dittatura" che aveva bisogno del conflitto per continuare ad alimentare il proprio consenso.
Per quanto corretto e lungimirante il discorso di Rosselli non trovò interlocutori in Europa e la facile e rapida vittoria di Mussolini in Etiopia rese vano il tentativo di diffondere il messaggio in Italia.
Nonostante questa sconfitta, Rosselli non rinunciò alla condotta intransigente nei confronti dei fascismi, come dimostra la sua coraggiosa e immediata partecipazione alla guerra civile spagnola che scoppiò in Spagna nel 1936. La guerra civile spagnola, che vedeva le forze democratiche opporsi al tentativo di colpo di stato dei militari e degli elementi più conservatori e reazionari, era per Rosselli l'esempio di uno scontro che era latente in tutta l'Europa e che sarebbe presto esploso in un conflitto di vasta scala. Per questa ragione egli si mise immediatamente in azione per organizzare una spedizione in aiuto dei repubblicani spagnoli e cercò di vincere le resistenze e i dubbi che attanagliavano i partiti socialisti europei, attestati sulla famigerata posizione di "non intervento" che diventerà il comune denominatore anche degli Stati democratici europei.
Il problema che ancora una volta si proponeva a Rosselli e a GL era di riuscire a convincere i partiti dell'emigrazione che il problema prioritario, per l'Italia e per il Continente europeo era di creare un collettivo antifascista in cui tutti le altre questioni passassero in secondo piano e venissero esaminate all'indomani della vittoria. La dimostrazione della sincerità delle intenzioni di Rosselli fu dimostrata nella composizione della colonna, in cui prevalenti risultarono gli esponenti anarchici e il cui comando fu affidato ad un "tecnico", il repubblicano Mario Angeloni, a cui si affiancava lo stesso Rosselli.
Nonostante l'eterogeneità del gruppo e la sostanziale impreparazione delle forze, la colonna italiana si rese subito protagonista in Catalogna di azioni coraggiose e coronate da successo, che furono d'aiuto alle forze repubblicane spagnole per frenare l'avanzata delle truppe franchiste nel nord del paese. La prima battaglia contro i franchismi fu sostenuta il 28 luglio 1936 presso il Monte Pelato, nella quale un corpo di circa 200 giellisti riuscì a respingere un attacco in forze degli avversari, anche se nello scontro persero la vita alcuni volontari, tra cui lo stesso Angeloni.
I mesi successivi, fino all'ottobre del 1936, costituirono il miglior momento dell'attività di GL in Spagna e non solo per i successi conseguiti: l'azione di propaganda di Rosselli, appoggiato dal giornalista Colosso, fece del movimento un punto di riferimento per l'emigrazione italiana.
Tuttavia, dopo mesi di successi, Giustizia e Libertà incappò a partire da novembre dello stesso anno in una crisi che da un lato si ricollegava alla difficile situazione della guerra spagnola in cui Franco stava tornando prepotentemente ad avanzare verso l'interno e al tempo stesso per problemi di struttura e di relazioni con gli altri volontari della stessa colonna. Si iniziarono infatti a delinearsi in quel periodo i netti dissidi tra comunisti e gruppi anarchici, anche se la decisione dei primi di entrare in forze nel conflitto attraverso le Brigate internazionali costituiva un fatto nuovo e importante per la difesa della rivoluzione: ma neppure l'abilità politica di Rosselli riuscì in quel frangente a creare un gruppo italiano unitario e anzi la colonna che tanto valorosamente aveva combattuto in Aragona andava lentamente perdendo unità e motivazioni.
L'esiguo numero di emigranti rendeva praticamente impossibile al movimento ingrossare le fila della colonna dei volontari e, salendo la tensione e imponendosi all'attenzione internazionale i successi della Garibaldi comunista, era sempre più difficile per Rosselli riuscire a gestire la situazione ed imporre le proprie scelte.
La conseguenza di questa situazione fu che il 16 dicembre il leader di GL venne messo in minoranza dai rappresentanti anarchici della colonna, che non vollero accettare la candidatura del cattolico Orlandini a capo della formazione. Il mese di dicembre segna di fatto la fine dell'egemonia gollista sulla colonna dei volontari italiani e in qualche misura segna anche il prevalere dell'azione dei comunisti italiani presenti nelle Brigate internazionali come i nuovi alfieri dell'antifascismo italiano.
Alla già difficile situazione politica venne in quel momento ad aggiungersi anche la malattia di Rosselli, il riacutizzarsi di una flebite che la tenne a letto per tutto dicembre e che lo costrinse a rientrare a Parigi nel gennaio. I giellisti trovarono in seguito altre sistemazioni, aiutati da quella precisa volontà antifascista che consentì loro di proseguire le battaglia su fronti diversi, alcuni entrando nella stessa Garibaldi, altri proseguendo l'attività di propaganda dall'estero, altri unendosi ai gruppi anarchici.
Ma il 1937 fu un anno terribile sia per le sorti della guerra spagnola sia per il movimento di GL che a stento riuscirà a salvarsi dalla crisi. Sul fronte spagnolo si dovettero registrate quelli che vennero denominate i fatti tragici di maggio, che videro lo scontro fratricida tra le truppe governative repubblicane e il movimento anarchico, scontri che raggiunsero il loro apice con la battaglia intestina di Barcellona.
La difficile situazione del fronte e della stessa GL non aveva comunque fiaccato la tempra di Rosselli, il quale anzi aveva dimostrato a più riprese di saper alimentare con sincere speranze e vere promesse il fuoco dell'antifascismo sia nell'emigrazione che in Italia ed era ormai da considerarsi come il leader più carismatico del movimento contro la dittatura.
Rosselli sfruttava la guerra civile per sottoporre la questione italiana all'attenzione dell'opinione pubblica internazionale, per dimostrare l'esistenza di un'opposizione al regime, pronta a combatterlo anche sul terreno militare qualora si fosse presentata l'occasione. La Spagna d'altronde non era per Rosselli che la prefigurazione della futura guerra antifascista in Italia, come dimostrava perfettamente l'invio di mezzi e di truppe da parte di Mussolini in sostegno di Franco. La linea di condotta di Rosselli fu appunto quella di rivendicare questa continuità per ispirare al combattimento e il suo slogan per animare i volontari e per spingerli ad arruolarsi era appunto quel "oggi in Spagna, domani in Italia" che era stato titolo di un suo articolo sui quaderni di GL.
Ma proprio la forza di Rosselli e la fortuna della sua propaganda convinsero Mussolini della necessità di eliminare questo pericoloso nemico, esattamente come aveva già fatto nel 1925 con il delitto Matteotti, punto di non ritorno della barbarie fascista.
Mussolini per la realizzazione dell'impresa si giovò dell'appoggio che gli fornirono in Francia di forze conservatrice e fasciste che erano attive nel paese da diversi anni e che avevano tentato anche di organizzare un colpo di Stato parzialmente riuscito a Parigi qualche anno prima.
Il 9 giugno 1937, Carlo assieme a suo fratello NELLO....
... che lo aveva raggiunto a Bagnoles de l'Orne in Normandia, furono assassinati a coltellate da sicari appartenenti alla C.S.A.R., l'organizzazione segreta francese sovvenzionata da Hitler e Mussolini e protetta da importanti funzionari francesi, tra cui il generale Pétain.
Come sinceramente ammise Aldo Garosci, militante di lunga data di GL e autore di un testo fondamentale per la ricostruzione storica delle vicende del movimento, "giustizia e libertà ebbe dalla morte di Rosselli un colpo grave…essa non poté sottrarsi alla crisi".
Tuttavia il movimento continuò a vivere, anche se con maggiori difficoltà, grazie all'inserimento di nuovi giovani e soprattutto grazie al ritorno di Emilio Lussu, ripresosi dalla pleurite che l'aveva colpito per la prima volta nel confino di Lipari e che aveva continuato a tormentarlo negli anni successivi. Questa ripresa fu però ostacolata dalle difficoltà che GL incontrò nel riprendere la propria attività cospirativa in Italia, in cui l'O.V.R.A. si era notevolmente rafforzata e dalle mutate condizioni della scena politica internazionale.
La vittoria di Hitler sulla Francia costrinse i fuoriusciti alla fuga verso altri paesi per sottrarsi alla cattura che li avrebbe riconsegnati a Mussolini e alla prigione, sorte che toccò a molti esponenti della Concentrazione. Tale fuga rese più difficili i contatti con l'Italia e l'organizzazione di una attività comune ma non giunse mai a fermare l'attività del movimento. Sotto la guida di Lussu e di Trentin diversi membri di GL si unirono ai movimenti di liberazione francesi, altri agirono in Egitto con programmi radiofonici e pubblicazioni politiche, altri si riunirono negli Stati Uniti pubblicando i "quaderni italiani" ed elaborando una teoria socialista riformatrice.
Tutti i frutti di questo lavoro spesso sotterraneo e oscuro furono poi raccolti nel 1942 quando GL, assieme a gruppi liberal -socialisti, democratici e repubblicani diede vita al Partito d'Azione che diventerà uno dei partiti protagonisti della Resistenza italiana.
Il partito fu guidato da Ferruccio Parri, che nel corso di un convegno semiclandestino tenuto a Firenze nel settembre del 1943 lanciò la parola d'ordine della "guerra di liberazione", dando così inizio alle attività di lotta partigiana.
Durante la Resistenza le brigate di Giustizia e Libertà, emanazione del Partito d'Azione, diedero prova di coraggio e crebbero esponenzialmente, fino a far diventare il PdA il punto di riferimento per tutte quelle forze politiche antifasciste che non militavano nel partito comunista.
di MARCO UNIA
BIBLIOGRAFIA
* Vita di Carlo Rosselli, Aldo Garosci, Vallecchi, Firenze 1973.
* Giustizia e libertà nella lotta antifascista e nella storia d'Italia,
A.A.V.V., la Nuova Italia, Firenze, 1978.
* L'opinione degli italiani sotto il regime, 1929-1943, Colarizzi Simona, Laterza,
Bari, 1985
* La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo stato nel regime fascista.
Gentile Emilio, Carocci, Roma, 1995
* Storia della Repubblica e della guerra civile in Spagna. Tunon de Lara, Editori
Riuniti, Roma, 1966.
* Storia della Russia Sovietica, E.H. Carr, Einaudi, Torino, 1970
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