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( QUI TUTTI I RIASSUNTI ) RIASSUNTO ANNO 1926 (03)
1926 MESI DA LUGLIO - BATTAGLIA ECONOMICA - LA LIRA
LUGLIO
LA BATTAGLIA ECONOMICA (DELLA LIRA e DEL GRANO)
(discorso-intervista di Mussolini)
"Ho ancora una battaglia da vincere : è la battaglia per la restaurazione economica dell'Italia. Nelle altre battaglie che il regime fascista ha dovuto combattere, la vittoria è già stata conseguita. Abbiamo vinto la battaglia contro la faziosa opposizione parlamentare, siamo riusciti a riunire tutte le forze produttive della nazione in uno Stato corporativo, abbiamo trionfato nel campo della finanza nazionale convertendo il deficit annuo in un sopravanzo di quasi due miliardi di lire. Ora dedico tutta la mia attenzione alla restaurazione della bilancia commerciale e alla stabilizzazione del cambio sulla lira".
L'on. Mussolini prosegue quindi spiegando al corrispondente del Daily Mail le importanti misure di carattere economico promulgate testé dal Consiglio dei ministri. E a questo proposito il corrispondente osserva che, « in una breve riunione del Consiglio dei ministri, il Governo italiano ha fatto infinitamente di più per la prosperità dell'Italia di quanto non abbia fatto la Camera dei Comuni per la Gran Bretagna in dodici mesi di discussioni e con un sussidio industriale di ventitré milioni di sterline ».
L'on. Mussolini ha proseguito:
"Bisogna innanzi tutto vedere chiaro il proprio scopo, e dopo andarvi incontro direttamente. Io studio le cifre del nostro commercio nazionale e vedo chiaramente che importiamo troppo, con deleteri effetti sull'economia del paese. Dopo aver consultato gli esperti, io preparai una prima lista dei rimedi da applicare, e sono appunto questi i rimedi annunziati testé alla nazione. Essi potranno procurare danni e fastidi a qualche individuo o a qualche categoria della popolazione, ma è meglio che qualche minoranza soffra anziché tutta intera la nazione. In una tempesta, se il capitano della nave decide di fare buttare a mare le merci dei passeggeri per alleggerire lo scafo, i proprietari non protestano perché sanno che il sacrificio a loro inflitto serve per il bene di tutti, e, per conseguenza, anche per il loro personale vantaggio. Io sono sicuro che le nuove restrizioni imposte testé alla vita economica dell'Italia saranno accettate non solo senza opposizione, ma con entusiasmo. Io so che, se avessi invitato gli italiani a lavorare dieci ore anziché nove, avrebbero acconsentito. Essi si rendono conto che dietro tale innovazione non vi è il capriccio del Governo, ma la necessità nazionale. Essi sanno, del resto, che io sono il primo a dare l'esempio, lavorando quattordici o diciotto ore. Fu il capo della Federazione italiana del lavoro che assicurò il Governo che gli operai italiani erano pronti a lavorare un'ora di più al giorno senza paga straordinaria : « Comprendiamo - disse l'on. Rossoni al Governo - che è nostro interesse che l'industria dei paese sia poste sopra una base di prosperità».
"D'altra parte - ha continuato l'on. Mussolini - soltanto in quelle industrie che sono più soggette alla concorrenza straniera, come per esempio l'industria tessile, sarà necessaria un'ora di più di lavoro alla quota ordinaria di salario. Nelle industrie più prosperose, invece, io vigilerò perché la paga per l'ora di più di lavoro sia fissata per mezzo di negoziati tra gli organizzatori rappresentanti i datori di lavoro e gli operai. Ciò non darà luogo a difficoltà, perché tutte queste organizzazioni, da una parte e dall'altra, sono composte di fascisti e sanno bene che il Governo fascista le tratterà con la massima imparzialità,: in modo da impedire qualsiasi sfruttamento degli uni da parte degli altri, e viceversa.
Io sono risoluto a sviluppare la prosperità economica dell'Italia fino al maggiore punto possibile. Il tracollo del franco ha inevitabilmente avuto le sue ripercussioni sul cambio della lira. Inoltre dobbiamo importare molte materie prime. Ma io intendo ridurre al minimo le importazioni. I provvedimenti presi e quelli che ho in preparazione non potrebbero essere adottati sotto un regime di socialismo, oppure con vane e sterili discussioni parlamentari. Tali provvedimenti possono solo scaturire dalla salda e saggia, è vero, autorità dello Stato, che comprende in sé la forza così dei datori di lavoro come degli operai e adopera entrambi per il bene della collettività nazionale.
In Italia abbiamo compiuto quello che i bolscevichi russi tentano invano di fare. I bolscevichi distrussero il capitale, e invece noi ce ne serviamo, come di tutte le altre risorse nazionali, per il bene comune.
(Riportato su "Il Popolo d'Italia", N. 155, del 1° luglio 1926)
Pochi giorni dopo Mussolini ritornò sull'argomento, esponendo un'ampia analisi sulla situazione della bilancia dei pagamenti e sulla "lira malata".
L'occasione fu fornita da una crisi seria della bilancia dei pagamenti, e Mussolini volle mostrare i muscoli. Proclamò che non avrebbe tollerato una svalutazione della lira (a quel tempo ci volevano 150 lire per una sterlina). Di conseguenza Mussolini fissò il cambio a "quota novanta". Un valore se non proprio scelto a caso, più che altro fu scelto per ragioni di prestigio. Molti imprenditori si lamentarono che era un cambio troppo basso, e senza risultato. La rivalutazione fu accompagnata anche da altre misure di deflazione: alti tassi di interesse, minore disponibilità monetaria, stretta creditizia, taglio dei salari.
L'economia era andata bene in questi quattro anni (1922-26), le esportazioni con la lira bassa erano raddoppiate in quattro anni (una manna solo per alcuni, e pochi). Mentre il nuovo tasso di cambio della lira gettò i prodotti italiani fuori mercato: le automobili, la meccanica leggera e i prodotti tessili ne soffrirono molto. Al contrario, gli importatori, soprattutto di materie prime ( acciaio, carbone, ferro, chimica, avrebbero potuto prosperare, dato che "quota novanta" aveva abbassato il prezzo italiano dei beni d'importazione. Ed infatti, a prosperare furono le acciaierie e le industrie chimiche, fino al punto che nel 1929, la loro produzione era autosufficiente per l'Italia.
Dolori vennero invece nel commercio e nella media industria. Soprattutto quest'ultima che per salvarsi fece frequenti fusioni o entrò in consorzi produttivi. Ma non fu sufficiente, e le banche principali che avevano prestato grandi somme di denaro al commercio e all'industria, accettando come garanzia le azioni nelle aziende debitrici, quando le aziende andarono in crisi e divennero insolventi, le banche rimasero con una montagna di pezzi di carta senza valore; e pur fagocitando lentamente le industrie puntando soprattutto sul loro patrimonio immobiliare, minacciarono di chiudere e di trascinare nel disastro la Banca d'Italia che aveva a suo tempo dato le necessarie garanzie.
Qui Mussolini dimostrò veramente chi aveva i muscoli, e alla fine degli anni Venti, fece una vera rivoluzione nella finanza italiana. Creando prima l'IMI e poi l'IRI; lo Stato con i due enti prima acquistò le azioni ormai prive di valore delle banche, pagandole con soldi reali (anche se dei contribuenti) poi si fece carico dei maggiori investimenti industriali, guadagnandosi in questo modo il plauso del pubblico. Milioni di piccoli risparmiatori furono protetti e la fiducia ristabilita. Inoltre Mussolini anticipando Keynes, stimolò la domanda e l'occupazione attraverso un nutrito programma di opere pubbliche e di benefici sociali. Basti dire che nel giro di quattro anni il denaro speso in opere pubbliche quadruplicò, creando lavoro e piccole e medie imprese.
Quando giunse la bufera mondiale del '29 che durò fino al 1933, l'Italia fu in grado di affrontarla meglio di tante altre nazioni industriali. Il successo di questa operazione innovativa (che poi "inventò" Keynes) stimolò incredibilmente la propaganda fascista, e il metodo della cura sembrò screditare l'economia liberale mondiale. Eminenza grigia di questo "miracolo" fu il geniale ALBERTO BENEDUCE, che poi lasciò questa preziosa eredità economica del periodo fascista a un giovane economista che gli sposò la figlia, con un nome molto curioso: Idea Socialista. Il giovane genero che divenne subito suo aiutante (e depositario dei segreti della finanza italiana) si chiamava ENRICO CUCCIA.
Mussolini aveva grande stima di Beneduce, nonostante questi non era un fascista, anzi in precedenza era stato un caparbio oppositore del fascismo, un regime che l'eminenza grigia della finanza italiana, decisamente rifiutava (leggi la sua biografia).
" LA DIFESA DELLA LIRA
E I PROBLEMI DELL'ESPORTAZIONE "
(una interessante panoramica di Mussolini sulla situazione economica generale)
"Il discorso che voi avete ascoltato dal presidente dell'Istituto nazionale per le esportazioni è il discorso di un uomo che sta bene al proprio posto, perché preparato attraverso la dottrina, ma più ancora attraverso la pratica. Quando un uomo ha venti anni di esperienza, ha un patrimonio a sua disposizione: usi patrimonio che può essere utilizzato ai fini nazionali. Ed è evidente che il dottor Pirelli continuerà nella sua funzione per un periodo di tempo che io definisco indeterminato. Voi avete già l'impressione che l'Istituto è piantato solidamente, su basi pratiche, su basi che ne assicurano la funzionalità. Comprendete anche che non si potevano mettere nel Consiglio i rappresentanti di tutte le categorie interessate, perché se avemmo accettato questo criterio, oggi avremmo dovuto fare la riunione nella sottostante piazza, invece di farla in questa sala, ampia, ma di proporzioni discrete. E evidente però che tutti gli interessi saranno ugualmente rispettati e tutelati.
Che cosa è questo Istituto nazionale per le esportazioni? Cerchiamo di definirlo agli effetti dello stato civile. Esso è una sezione distaccata, ma autonoma, del ministero dell'Economia nazionale. Questo già ne delinea il carattere e la figura. Naturalmente, essendo distaccato ed autonomo, ha le maggiori possibilità di movimento e la maggiore elasticità di funzioni. Per questo lo abbiamo creato autonomo e lo abbiamo voluto autonomo anche topograficamente, cioè in una sede sua propria.
Due anni fa, parlando al Cova, io dissi a quegli ottimi costituzionali che mi ascoltavano, che si andava verso un periodo nel quale la lotta economica fra le nazioni sarebbe stata più dura e più spietata della lotta militare fra le nazioni stesse. E quello che si verifica oggi. Non si deve credere ad un'attenuazione di questo fenomeno. No! Dobbiamo renderci conto di questo fatto: la vita diventa dura, non più comoda, non più . facile per nessuno. Quando si parte da questo che io chiamo senso virile della realtà, tanto lontano dal disfattismo lacrimogeno ed imbelle come dall'ottimismo panglossiano ed inconcludente, si è bene inquadrati per comprendere l'attuale epoca storica e per vedere quali sono i nostri compiti.
E veniamo a cose concrete e precise. Questione dei cambi. La lira è malata ed allora noi, che sentiamo la nostra responsabilità, abbiamo cominciato con l'esaminare quali potevano essere le cause di questa anemia. Questione dei debiti non sistemati? Li abbiamo sistemati. Questione della circolazione? L'abbiamo ridotta, la nostra tendenza è piuttosto deflazionista. Bilancio dello Stato? Il bilancio dello Stato non solo è in pareggio, ma è in avanzo notevolissimo. Dunque, procedendo per eliminazione, nessuno di questi fattori è la causa dell'anemia. Bisogna continuare nell'esame delle cause ed allora veniamo a un punto che è quello della bilancia dei pagamenti di cui è parte preponderante la bilancia commerciale.
Mi sono preparato a questa riunione studiando molto attentamente questo volume irto di cifre che si chiama: Statistica del commercio di importazione ed esportazione dal 10 gennaio al 31 dicembre 1925. E una lettura interessantissima, che consiglio a tutti. Intanto io voglio dire una cosa: che non bisogna, innanzi alle cifre, restare come gli assorti in contemplazione, perché le cifre non possono essere interpretate in maniera assoluta e dogmatica.
Ho fatto un calcolo per stabilire la differenza tra le nostre cifre e quelle degli altri a proposito d'importazioni e di esportazioni. Da questo calcolo si vede come si verifichino taluni curiosi e singolari divari. La Cecoslovacchia, per esempio, dice che importa da noi per 537 milioni di lire; le nostre statistiche accusano, invece, 172 milioni di lire. La Francia, press'a poco, non ha differenza: accusa 2 miliardi e 75 milioni; noi accusiamo 2 miliardi e 19 milioni. La differenza è di circa 60 milioni soltanto. La Germania invece dice nelle sue statistiche che noi esportiamo in Germania per 2 miliardi 986 milioni di lire; viceversa la nostra statistica riduce questa cifra a 2 miliardi e 27 milioni di lire. La Gran Bretagna dice che noi esportiamo in Gran Bretagna per 2 miliardi e 360 milioni di lire; viceversa noi diciamo che si tratta soltanto di un miliardo e 875 milioni. La Jugoslavia dice 707 milioni; noi 496. Gli Stati Uniti dicono 2 miliardi e 556 milioni; noi 1miliardo 188 milioni. Totale: essi, gli altri, dicono 12 miliardi e 519 milioni di lire; noi diciamo 10 miliardi e 91 milioni di lire. C'è una differenza di 2 miliardi e 428 milioni di lire.
Dinanzi a questo divario notevole, bisogna domandarsene il perché. E perché i sistemi statistici sono diversi nei vari paesi? Entra in queste cifre o non entra il gioco dei cambi? Sono difettosi i nostri accertamenti? Cè una tendenza negli esportatori a dire meno? A decurtare cioè le cifre per sfuggire alle indagini fiscali? Tutte queste cause possono essere messe in conto e si può anche concludere che, facendo una tara dei cinquanta per cento tra la nostra statistica e quella degli altri, vi è un vantaggio a nostro favore di un miliardo e mezzo che diminuisce il deficit totale della nostra bilancia commerciale.
Sulla quale bilancia commerciale conviene soffermarci ancora un po'. In questo libro, che io considero utilissimo, queste cifre sono punti di riferimento da cui non si può prescindere, altrimenti navigheremmo in piena fantasia.
Ho voluto procedere ad una discriminazione di alcune voci importanti: delle voci cioè per le quali, o in esportazioni o in importazioni, si supera il valore di 100 milioni di lire. Vedrete subito dalle cifre che io sto per leggervi dove sono quelli che io chiamo i tarli roditori della nostra economia nazionale.
Animali vivi (parlo sempre per il 1925). Noi abbiamo importato per 142 milioni e abbiamo esportato per 80 milioni. C'è un peggioramento di cento milioni sull'anno precedente: siamo dunque in deficit.
Carni e brodi. Anche qui siamo in deficit: 585 milioni di importazioni contro 462 di esportazioni.
Ecco l'agricoltura, che ci dà subito una grande soddisfazione. Latte e prodotti del caseificio: importazioni, 42 milioni; esportazioni, 611 milioni. L'esportazione di questi prodotti del caseificio segna un aumento di cento milioni sul 1924.
Ecco una cifra che qualcuno potrà accogliere con sorpresa pensando che noi abbiamo centinaia di chilometri di coste e mezza dozzina di mari. Prodotti della pesca: importazioni, 510 milioni; esportazioni, 431. In questa cifra delle importazioni della pesca c'è un aumento di 80 milioni rispetto al 1924.
Caffè, zucchero ed altri generi della stessa specie: importazioni, 800 milioni; esportazioni, 97 milioni. Quindi 700 milioni circa di deficit. Gli italiani bevono per 500 milioni di caffè e c'è stato un aumento di
108 milioni rispetto al 1924.
Poi viene la cifra grossa che spiega molte cose ed è questa. Cereali diversi: importazioni, 4 miliardi e 166 milioni; esportazioni, i miliardo e 15 milioni. Voi vedete che soltanto il deficit della voce « cereali diversi » è la metà di tutto il deficit globale della nostra bilancia commerciale; ed allora voi vi rendete conto che la battaglia dei grano è una cosa molto importante. Essa ha già dato risultati abbastanza soddisfacenti quest'anno, malgrado le condizioni atmosferiche, che, non soltanto in Italia, ma in tutta l'Europa, sono state decisamente contrarie.
Veniamo ora ad un'altra voce dell'agricoltura, che rappresenta una nota consolante. Ortaggi e frutta: importazioni, 68 milioni; esportazioni, un miliardo e 892 milioni, con un aumento di 480 milioni sull'anno precedente.
Anche come bevande stiamo bene, quantunque ci sia stata una diminuzione di esportazioni di 30 milioni. Il rapporto è questo: 28 milioni importazioni e 350 milioni esportazioni.
Sali e tabacchi importazioni, 220 milioni; esportazioni, 60.
Semi e frutti oleosi: importazioni, 707 milioni; esportazioni, 100 milioni; aumento sul 1924 di 170 milioni.
Olî, grassi animali e vegetali: 470 milioni di importazioni; 310 di esportazioni.
Canapa, lino e juta : 495 milioni di importazioni; 784 di esportazioni. Qui siamo in vantaggio.
Cotoni. C'è equilibrio di cifre fra le importazioni e le esportazioni del 1924: 3975 milioni di importazioni; 2900 esportati.
Lana. Siamo in deficit: un miliardo e 615 milioni importati; 750 milioni esportati.
C'è poi una voce molto confortante: la seta naturale ed artificiale. Ne abbiamo importato per 620 milioni nel 1925; ma ne abbiamo esportato 3 miliardi e 775 milioni; e c'è stato un aumento netto sul 1924 di 700 milioni a nostro favore.
Vesti e biancheria. Stiamo bene: 61 milioni di importazioni; 141 milioni di esportazioni; press'a poco la cifra dell'anno precedente.
Anche per i minerali metallici l'aumento è in nostro favore: 40 milioni sul precedente anno. In totale, abbiamo 100 milioni di importazioni; 115 di esportazioni.
Ecco poi una voce su cui richiamo la vostra attenzione. Ghisa, ferro e acciaio: 1300 milioni di importazioni; 75 di esportazioni. Bisognerà convincersi che del ferro ce n'è anche in Italia, forse più di quanto non si creda dalle statistiche superficiali. Comunque, abbiamo dato la facoltà di aumentare lo sfruttamento dell'isola d'Elba, i cui bacini dovevano essere esauriti da vent'anni, mentre invece ve n'è ancora per moltissimo tempo. Questa voce segnava 600 milioni netti in più di importazione sul 1924.
Rame: 570 milioni di importazioni; 20 di esportazioni, con un aumento di 150 milioni in più dei precedente anno.
Altri metalli comuni : 470 -milioni di importazioni; 120 di esportazioni, con un aumento netto sul 1924 di 140 milioni.
Passiamo da questo capitolo, che, come vedete; non è brillante, alle macchine e agli apparecchi: un miliardo e 50 milioni di importazioni; 222 milioni di esportazioni; quindi un deficit di circa 880 milioni.
Strumenti scientifici : le cifre segnano un deficit di 135 milioni a nostro danno. E precisamente: importazioni, 155 milioni; esportazioni, 20 milioni.
Veicoli. La voce è confortante.
Però qui apro una parentesi, per dire che bisogna che l'industria italiana si adegui alle direttive del Governo, che è decisamente unitario, che, di tutte le Cassazioni, ne ha fatto una sola; che, di tre Istituti di emissione, ne ha fatto un solo; che, di quattro ministeri, ha fatto il solo ministero dell'Economia nazionale; di tre ministeri, il solo ministero delle Comunicazioni; di due ministeri, il solo ministero delle Finanze.
Bisogna che l'industria italiana, almeno all'estero, formi un fronte unico e che all'interno si riducano tutte le fabbriche non vitali, tutti i doppioni, e che, comunque, la Confederazione fascista dell'industria agisca presso i propri associati per indurli ad un'opera concorde, senza farsi una rovinosa concorrenza, soprattutto oltre le frontiere.
Vengo ad un'altra voce. Minerali e carboni : importiamo 1 miliardo e 970 milioni; esportiamo, 430 milioni; ciò che significa un deficit di circa un miliardo e mezzo.
Vetri e cristalli anche qui 115 di importazioni; 56 di esportazioni.
Legnami e sugheri: 950 milioni di importazioni; 150 di esportazioni; siamo cioè in passivo per 800 milioni, anzi 880 milioni, e c'è inoltre un aumento di 200 milioni sul precedente anno.
Materie di intaglio e di intreccio : 130 di importazioni; 9 di esportazioni.
Altra voce non brillante : gli oli minerali : 970 milioni di importazioni; 12 milioni di esportazioni. Siamo veramente all'ablativo assoluto! Ecco qui una voce che segna un aumento, naturale, spiegabile, di 140 milioni in più del precedente anno.
Oli essenziali, profumerie e saponi. Queste sono di scarsa importanza. Le cifre dicono : importazioni, 52 milioni; esportazioni, 120 milioni.
Anche nei prodotti chimici inorganici siamo in deficit: 185 milioni di importazioni; 85 milioni di esportazioni. Per i concimi, abbiamo 200 milioni rispettivamente e 15 milioni.
I prodotti chimici organici, invece, segnano : 85 milioni importazioni; 165 milioni esportazioni.
Generi per tintoria e concia: 180 milioni importazioni; 100 milioni esportazioni. C'è un deficit.
Pelli e pellicce. Siamo in pieno deficit importazioni, un miliardo e 30 milioni; esportazioni, 510 milioni.
Gomma elastica. Qui c'è pareggio: 430 e 430.
Carta e cartoni. Qui una sosta. Quando si è detto, a proposito della riduzione dei giornali a sei pagine, che l'importazione della cellulosa in Italia si riduceva ad una cifra assolutamente trascurabile, non si è detto il vero. Per questa voce, importiamo 400 milioni; esportiamo 125; e nei 400 milioni d'importazione, la cellulosa figura per 241 milioni, passando da 137 milioni dell'anno precedente a 241 nel 1925.
Pietre preziose: importazioni, 320 milioni; esportazioni, 110 milioni.
Oggetti di moda (siamo in attivo) : importazioni, 75 milioni; esportazioni, 625 milioni.
Materiali vegetali diversi : importazioni, 270 milioni; esportazioni, 140 milioni.
Prodotti diversi : importazioni, 150 milioni; esportazioni 130 milioni. Queste sono le voci che rappresentano un movimento di andare e venire di oltre 100 milioni.
Ora, facendo una seconda discriminazione per vedere dove è il fenomeno più grave ed in che cosa consiste, noi vediamo che ci sono sei o sette voci (cereali, ghisa, acciaio, ferro, macchine, apparecchi, carboni, oli minerali, pelli) che veramente pesano sul piatto della bilancia commerciale italiana.
Voglio aggiungere però che da questo complesso di cifre risulta un'impressione diversa: queste cifre non danno un'idea di debolezza, non danno l'idea di una nazione stremata, ma piuttosto quella di una nazione che cammina; queste cifre, nel loro complesso, tanto per la parte importazioni che per quella esportazioni, danno l'idea di una nazione forte, quando teniamo conto soprattutto del fatto che il nostro sviluppo industriale ed, in generale, il nostro aumentato movimento economico, data dal dopoguerra, anzi quattro anni dopo l'armistizio dal 1922 ad oggi. Oggi c'è una maggiore disciplina, un maggior rendimento delle maestranze; un prestigio nazionale aumentato nel mondo; tutti elementi che hanno migliorato la nostra produzione.
La quale però, pur essendo di forza e di sviluppo, presenta questi elementi negativi, che dobbiamo prima di tutto sceverare, controllare, modificare e possibilmente annullare. Uno degli strumenti di questa lotta per migliorare la nostra bilancia commerciale è questo Istituto nazionale delle esportazioni che il Governo ha voluto e che oggi si inaugura.
Prima di finire, voglio dire qualche altra cosa. Non già sui compiti dell'Istituto, che sono stati prospettati, in maniera assolutamente organica, dal presidente dell'Istituto stesso, ma piuttosto sui metodi di lavoro.
A mio avviso, dopo questa cerimonia inaugurale, il metodo di lavoro di questo Istituto deve ispirarsi a questi criteri: applicazione sistematica e discrezione per evitare delle aspettazioni eccessive all'interno. In secondo ed ultimo luogo, bisogna dire che nessuno deve essere così ottimista da credere che, fatto l'Istituto, sia risolto il problema. Fatto l'Istituto, non c'è che un elemento di più per risolvere il problema; ma il problema dovrà essere risolto da tutti gli elementi che compongono la parte vitale della nazione: Governo, industriali, lavoratori, agricoltori, commercianti, banchieri; tutto, insomma, il popolo italiano che sente la grandezza, l'importanza, la necessità di questa vasta opera, che solleverà, ne sono certlssimo, le sorti della nostra economia e mostrerà al mondo la potenza, la volontà, la capacità di lavoro della nuova Italia.
(Discorso riportato da "il Popolo d'Italia", N. 162, 9 luglio 1926)1 LUGLIO - Le norme d'attuazione della legge sindacale del 3 aprile entrano in vigore. Istituito dal Governo il nuovo ministero delle Corporazioni. Per la prima volta il termine "corporazione" entra in un testo legislativo, anche se i nuovi organismi non hanno per ora personalità giuridica, ma sono istituiti come organi dell'amministrazione statale.
- L'Oltregiuba viene ufficialmente annesso alla Somalia italiana.
2 LUGLIO - II ministero delle corporazioni è insediato ufficialmente. Mussolini ne assume la guida, sottosegretario è nominato Giacomo Suardo. L'accordo italo-inglese sull'Abissinia è riconosciuto dal governo francese.
3 LUGLIO - L'assunzione di nuovo personale nei ministeri è bloccata. Sono sospesi anche tutti i concorsi. La misura, per ora presa su ordine di Mussolini, sarà ratificata da un apposito decreto il 20 agosto.
11 LUGLIO - Confortanti dichiarazioni di Mussolini su i risultati della prima "guerra del grano"; secondo i primi calcoli il raccolto granario sarà di circa 50 milioni di quintali.
(vedi poi il discorso "Ai veliti del grano", del 12 ottobre)
24 LUGLIO - In Francia si forma un nuovo gabinetto di unità nazionale costituito da Poibncarè con l'esclusione di socialisti e comunisti.
continua mesi da AGOSTO a DICEMBRE 1926 > > >
Fonti,
citazioni, testi, bibliografia
(*) RENZO DE FELICE "Mussolini
il fascista"- Einaudi, 1966
CONTEMPORANEA - Cento
anni di giornali italiani
MUSSOLINI, Scritti Politici. Feltrinelli
MUSSOLINI, Scritti e Discorsi, La Fenice, 1983
A. PETACCO, Storia del Fascismo (6 vol.) Curcio
(*) MARTIN CLARK, Storia dell'Italia contemporanea 1871-1999), Bompiani
STORIA D'ITALIA Cronologica 1815-1990 -De
Agostini
CRONOLOGIA UNIVERSALE, Utet
+ AUTORI VARI DALLA BIBLIOTECA DELL'AUTORE