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CRONOLOGIA

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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1923 (4)

SINTESI: DALLA TRINCEA ALLA CARTA DEL LAVORO

(queste LEGGI varate nel primo periodo del Fascismo (1923) sono state successivamente aggiornate, e per non ripeterci nel parlarne all'atto della loro gestazione o modifiche, i testi sono ripresi dal Consuntivo Ufficiale Pubblicazione Nazionale dell'anno 1928; trattano le leggi che riportiamo, la loro storia, la natura delle stesse, i commenti ufficiali)
(Un'altra intera e completa sintesi "ufficiale" è poi quella del 1936)
(i testi sono integrali e fedeli alla citata "pubblicazione" che possediamo in originale)

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Da pag. 360 a pag. 487

DALLA TRINCEA ALLA CARTA DEL LAVORO

"Si guardi alla Carta del Lavoro come il
navigante guarda alla bussola" Mussolini

In questo capitolo si intende mettere in evidenza, sia pure in pochissime pagine:

1° come e perchè la guerra abbia costituito o accelerato una rivoluzione nel campo del lavoro;
2° quale sia stato il pensiero dominante di Benito Mussolini nei riguardi del lavoro e dei problemi maturati attraverso la guerra e quale sia stata l'opera eminentemente politica del Fascismo, nel campo sindacale e in quello della legislazione sociale.
Nel termine «trincea» noi dobbiamo intendere e ricordare non solo la « dura guerra » ma il protagonista della guerra : il popolo. Il popolo che si è battuto come un eroe, che ha sofferto come un santo ; il popolo che ha misurato la sua forza e, artefice delle sorti della Nazione, ha intesa con una propria personalità la sua missione ed ha proteso il suo spirito verso una nuova Italia e un nuovo domani ; popolo di lavoratori costituito dalle forze più sane e più vive del Paese, cresciute al lavoro e al culto della famiglia, alimentate, per istinto della stirpe, da un forte sentimento del dovere e da mirabili virtù di resistenza e d'ardimento, guidate da valorosi
e ammirevoli capi e trascinate da pochi animosi compagni sorti dalle file del giornalismo e del sindacalismo rivoluzionario.

Nuovi capi e nuove idee dovevano maturare, e maturarono, in quel clima storico speciale della guerra, la coscienza rivoluzionaria delle masse del lavoro : problema politico dominante dell'anteguerra.
Qualcuno ha tacciato di funzione parassitaria quella degli organizzatori dei vecchi movimenti Sindacali. Ciò non è pienamente esatto. La funzione dell'organizzatore, quando risponda alle esigenze della categoria contemperate con quelle della Nazione, e quando chi la svolge sia moralmente e tecnicamente preparato, assume un'alta importanza. È vero invece che vecchi organizzatori consideravano questa funzione unicamente come un mezzo di guadagno e un'arma elettoralistica e svolgevano troppo spesso un'attività demagogica contrastante fors'anche con la loro stessa visione dei problemi da trattare e sopra tutto con I'interesse collettivo nazionale : azione quindi dannosa all'economia e perciò antinazionale. Era ciò che le masse - una volta meglio illuminate - dovevano avvertire.

Le classi borghesi d'altra parte, si mostravano inerti, venivano trascinate verso un domani di cui esse fors'anche avvertivano i pericoli : pericoli economici e nazionali, spirituali e materiali.
Le stesse categorie intellettuali e di professionisti venivano trasportate dagli eventi talvolta lusingate da motivi sentimentali, altre volto costrette da convinzioni economiche disagiate. Quelle così dette padronali - termine ormai eliminato dal Fascismo - pensarono a un certo punto a organizzarsi e far fronte a questa lotta, ma ciascuna per proprio conto e con una visione esclusivamente unilaterale dei problemi e una stessa mentalità di resistenza alla parte opposta.
Lo Stato a sua volta - Stato liberale - era impotente se non indifferente.
Il Governo alla mercè del più forte fu spesso dominato dalle parti.

La lotta di classe era la norma costante dei rapporti fra produttori e lavoratori, fra classi padronali e classi lavoratrici, fra Stato stesso e i suoi impiegati, fra aziende statali e i loro dipendenti.
Non si vuole con ciò negare che ragioni potessero esistere da una parte o dall'altra ; non si vuole neppure disconoscere il miglioramento che l'organizzazione operaia aveva apportato ai suoi associati.
Quanto progresso dalle condizioni dei lavoratori dipinte, e senza esagerazioni, da Marx e da Engels nelle loro inchieste, confermate da economisti e filosofi del tempo !
Ma se possiamo giustificare l'opera che apportò necessari miglioramenti - invocati però da uomini di scienza e di cuore di ogni fede politica - Mazzini insegni - noi possiamo e dobbiamo altresì lamentare che su questi miglioramenti potesse una categoria di politicanti, per il proprio tornaconto o la propria ambizione, creare stati di animo e stati di cose dannosi all'ordine economico e sociale della nazione così come si erano venuti determinando attraverso a scioperi e disordini nei pubblici servizi e nelle imprese private. Gli è che il Governo liberale come poteva essere talvolta trascinato verso il bene ugualmente veniva passivamente o quasi (complice più o meno involontario) trasportato verso il male.

Scrive in proposito giustamente E. M. Olivetti in un suo libro sul sindacalismo nazionale : a La borghesia era uscita da una rivoluzione in gran parte scettica, atea, tutt'al più razionalista. Essa valse a distruggere nel popolo le vecchie fedi senza crearne una nuova. Era imbevuta di universalismo, di massonismo, di democrazia, tutt'al più di vaghe utopie ereditare dall'enciclopedismo francese che non poteva costituire il motivo ideale della vita dei popoli. Altre correnti distruttive ben presto si sovrapposero a fare del secolo scorso forse il più triste e il più piatto nella vita del pensiero umano. Il sensismo di Locke e l'utilirismo di Bentham furono aride filosofie confinanti con il meccanismo del Lamettrie e dell'estremo enciclopedismo. L'evoluzionismo darwiniano inteso in assoluto senza alcun senso etico, quasi legge fatale dell'universo, non pure degli organismi viventi, ma anche della Società, condusse ad estreme conseguenze perniciose.

« Il proletariato a sua volta fu imbevuto di tali dottrine ed anzi più avidamente le assorbì quando esse incominciarono ad essere abbondante dalle menti più elevate e dagli spiriti più eletti. Possiamo asserire che il proletariato adottò in pieno le concezioni già superate in scienza ed in filosofia creandosene un dogma, una arida dottrina imparaticcia, terra terra, senza luce ideale e senza conforto spirituale. Dalla modesta ipotesi darwiniana derivò il sociologismo empirico di Erberto Spencer che fu ancora il meno male, ed il meccanismo fisiologico del Vogt, del Moleschott, del Buchner, fino all'estrema follia del monismo di Ernesto Haeckel. Da codesta filosofia al materialismo storico fu breve il passo il determinismo economico fu considerato come una legge assoluta ed indeprecabile ; il socialismo fu proclamato scientifico ed anzi come vera e propria scienza. Il suo fatale trionfo come una legge naturale ed una necessità della Storia. Federico Engels nel suo polemico « AntiDuhring » accampò con precisione il socialismo scientifico contro il socialismo utopistico dei secoli precedenti e specialmente degli scrittori francesi del periodo che va dalla rivoluzione dell' 89 a quella del 1848.... In Italia la prima predicazione del socialismo fu veramente evangelica ed idealistica e presentò casi memorabili di disinteresse e di sacrificio personale. Il veleno internazionalistico non l'aveva ancora intossicato. Recente era la tradizione della predicazione Mazziniana e dei primi tentativi di un socialismo nazionale altamente patriottico come quello di Carlo Pisacane.

«Ad ogni modo, così, come fu, il socialismo compié in un certo periodo una vera predicazione morale traendo le plebi dalla loro oscurità alla luce del mondo, ridando ai derelitti un senso di personalità e di umanità, parlando in nome non di una necessità darwiniana, ma di motivi idealistici di giustizia sociale, sicchè la sua opera può dirsi per un certo periodo utile, finchè non venne del tutto avvelenato dal prevalere di una dottrina straniera, da un materialismo storico alla tedesca, dall'internazionalismo pure d'invenzione teutonica, successivamente dal politicantismo e dal materialismo edonistico che fu la immediata conseguenza di quello storico ed economico ». Inconvenienti questi, continuo io, che erano stati avvertiti e lamentati, fino dai suoi tempi, da Giuseppe Mazzini il quale voleva creare con la formula «libertà e associazione» un movimento sindacale nazionale e collaborazionista contro l'invadente movimento straniero internazionalistico basato sulla lotta di classe e fondato unicamente su diritti là dove Egli additava i doveri dell'uomo e affermava oltre una vita materiale, una vita spirituale e una Società nazionale.

In Italia il movimento associazionista si iniziò infatti presso a poco quando, nel 1842, Giuseppe Mazzini, fondando la « Giovane Italia », volle che una sezione di essa fosse destinata al movimento operaio invitando gli operai a riunirsi in associazioni come già stava avvenendo in Inghilterra, in Francia, in Germania ed altrove. Ma, dove altri dicevano comunismo e socialismo, Mazzini parlava di associazione nazionale, di realizzazioni materiali come mezzo, e di realizzazioni spirituali come fine, onde Egli ripeteva : « Voi siete uomini e come tali avete facoltà non solamente fisiche ma intellettuali e morali che è vostro dovere di sviluppare ».

Se noi pensiamo a questa predicazione possiamo affermare che esiste un movimento associazionista prettamente italiano, veramente latino che soltanto Mussolini, attratto dal pensiero di Sorel e di Pareto, unendo la volontà e l'azione con il genio politico, dopo avere temprato dal 1910 la sua aspirazione sindacalista, riusciva a realizzare nello Stato Fascista.
Questo sindacalismo nazionale fatto di educazione al dovere, di collaborazione tra tutte le forze produttive, si era venuto affermando e sviluppando prima della guerra ad opera di organizzatori, economisti e filosofi provenienti da tutti i partiti i quali avevano sentita l'influenza del p
ensiero di Carlo Cattaneo, di Giuseppe Mazzini e di Giorgio Sorel e dei nostri più recenti scrittori e studiosi.
E da questo sindacalismo rivoluzionario, eroico, interventista, italiano - nelle origini, nelle tradizioni e nei propositi - doveva emergere la figura eroica di Filippo Corridoni : l'organizzatore che poté trascinare migliaia di operai per le vie di Milano al canto dell' Inno di Mameli e dopo avere affermata la necessità del nostro intervento contro il pacifismo e l'incomprensione del socialismo imborghesito, andò a battersi eroicamente, con altri interventisti sindacalisti, per la causa nazionale e per la vera redenzione del popolo italiano.

Sull' interventismo e sulla morte di Filippo Corridoni scrisse Mussolini sul Popolo d'Italia nel 1917:
« Ciò che v' è di eccezionale, di meraviglioso, nell'interventismo italiano, è il suo carattere popolare. Movimento di folle anonimo, non di partiti organizzati.
« E l'eresia che, per un miracolo nuovo, afferra le masse meno ortodosse del neutralismo conservatore, sovversivo, viene schiantata d'assalto.
« Nel Maggio del 1915 il popolo si riconcilia con la Patria e comprende, per una intuizione sicura, il valore grande di quel tesoro che aveva misconosciuto e disprezzato.
« Il popolo, che era stato da cinquant'anni un assente, rientra e s'inserisce nel corpo vivo della storia d'Italia.
«Gli uomini che danno la voce a questo movimento, sono dei fuorusciti, degli insofferenti, degli inquieti, ma sopratutto degli idealisti e dei disinteressati.
« L' interventismo porta alle origini questo sigillo di nobiltà.
« Che cosa chiedevano questi interventisti ? Forse la guerra per profittarne ? No ; domandavano di combattere e si preparavano a morire. Affrontavano comunque l'ignoto.
«
In questa guerra che deve decidere le sorti dell'umanità per almeno un secolo ; in questa guerra emi
nentemente rivoluzionaria, non nel senso politicante della parola, ma per il fatto che tutto è in giuoco, che tutto è in pericolo e molto andrà sommerso, e molto sarà rinnovato, il posto di Filippo Corridoni non poteva essere fra i negatori solitari e infecondi in nome delle ideologie di ieri, o fra i pusillanimi che sono contrari alla guerra, perchè la guerra interrompe o turba le loro abitudini o documenta la loro infinita vigliaccheria ».

E recentemente ha scritto Sergio Panunzio che «la morte del sindacalista rivoluzionario Filippo Corridoni significava la morte dell'idea di classe del sindacato classista, del sindacalismo economico classista, e il trionfo dell'idea nazionale, dei sindacati nazionali, del sistema nazionale di tutte le classi e di tutti i ceti produttori» e che « la guerra accelerava e scioglieva con la veemenza del suo urto una crisi già pronta e matura».

Mentre il popolo si batteva, e destava per il suo valore l'ammirazione del mondo e i vecchi partiti, che non avevano capito le ragioni della guerra e dell'intervento e non potevano sentire né capire né tanto meno apprezzare le mirabili prove che dava il popolo italiano combattente, si attardavano a parlare di pace o di inutile strage, queste pattuglie ardimentose, dell'autentico volontarismo, dell'audace interventismo, del generoso ed eroico sindacalismo affermavano, insegnavano, e maturavano nell'anima dei combattenti l'idea dell'amore alla Patria, del sacrificio, dell'eroismo e segnavano nella guerra l'inizio di quella rivoluzione che poi il fascismo, per l'intuito meraviglioso del suo Capo, doveva interamente attuare.
Perchè la guerra mondiale non può essere riguardata soltanto come l'epilogo di una lotta egemonica di natura economica ma, sopratutto, come una rivoluzione che, dopo avere scavato in ogni campo un profondo abisso col passato, presentò problemi nuovi all'avvenire. Scriveva l'economista Walter Rathenau nella sua pregevole opera L'Economia nuova :
« Che cosa è l'avvenimento
che ci attornia d'incendi? Noi la chiamiamo guerra, perchè esso ha la forma della guerra dei popoli, perchè le nazioni contrarie lottano visibilmente e manifestamente per terra, per acqua, per aria, nel fuoco. I nostri posteri lo riconosceranno ; quello che noi viviamo è la rivoluzione del mondo, l'eruzione vulcanica degli strati inferiori infiammati e prepotenti del firmamento umano ».

Dalla vita materialista, addormentata e grigia il popolo era passato alla trincea dove un nuovo mondo si era dischiuso alla sua anima martellata da tutte le prove, da tutte le ansie, da tutte le visioni, sicchè giustamente fu detto che la guerra faceva uomini adulti i giovanetti diciannovenni, e creava una corrente rivoluzionaria negli spiriti più forti, più audaci, più generosi e più aperti alle grandi e nuove prove.
La guerra aveva abbattuto tutto ciò che significava egoismo, materialismo, politicantismo e con essa si era affermata una generazione che sapeva far dono della vita, che non chiedeva ma generosamente offriva, che ritrovava in sè le virtù della stirpe.
Tutto ciò che sapeva di pacifismo, di internazionalismo, di umanitarismo, di opportunismo e viltà doveva inesorabilmente cadere condannato dalla nuova vita e dall'ambiente creato dalla guerra ; così il socialismo, al pari della democrazia liberale, dopo la vittoria delle armi doveva cedere il passo alle nuove idee, mentre una nuova coscienza dei loro bisogni, dei loro compiti, dei loro destini, si era maturata nelle masse dei combattenti che male potevano adattarsi ai vecchi costumi politici e, forti dei sacrifici compiuti e della vittoria raggiunta, non potevano tornare alla vita mediocre dell' Italia antebellica : politicante e affaristica.
Ma nell'immediato dopo guerra vi fu dapertutto - ove più ove meno - un triste periodo di disorientamento del quale approfittarono speculando sulle miserie e sui dolori della guerra gl'imboscati, i neutralisti e i negatori della Patria, per diminuire o addirittura negare i valori e le glorie della guerra, per vilipendere il tricolore e il sacrificio dei morti o dei superstiti, per
riaccendere più che mai l'odio delle classi lavoratrici contro il capitale, per innalzare degli indegni, degli inetti, dei vili a capo delle organizzazioni del lavoro della cosa pubblica, per provocare e moltiplicare gli scioperi sempre più politici che economici (pensate a 30.569.188 giornate di sciopero nel solo 1921), per incamminare, con false promesse, il popolo vittorioso intimamente onesto e sano, verso la sua immancabile rovina, verso il mito bolscevico.
Se nonchè vi fu un Uomo, Benito Mussolini, il quale, armato di passione, di genio, di volontà, in nome di tutte le glorie del passato, in nome del sacrificio dei morti e dei superstiti, in nome dei destini della Patria e dei reali bisogni della Nazione, sollevando un grido passato alla storia chiamò a raccolta il popolo contro quei falsi pastori, contro quelle false dottrine, e anche contro quei Governi liberali incapaci di interpretare e di difendere i diritti dell' Italia di Vittorio Veneto, impotenti, nonchè a reagire, a dominare gli eventi. E il popolo italiano - buono e operoso - ascoltò la nuova voce, credette al nuovo Capo obbedì al nuovo comando.

Questo Uomo aveva scritto nel Popolo d'Italia nel 1919:

"È da tre anni che noi gridiamo agli uomini del Governo : Signori, andate incontro spontaneamente, generosamente a quelli che ritorneranno dalle trincee! Non abbiate paura di parere troppo audaci ! Siate grandi nelle vostre parole e sopratutto nei vostri fatti, perché l'ora, i bisogni, le speranze, le fedi sono grandi !
« È da tre anni che noi andiamo proclamando la necessità di dare un contenuto "sociale interno" alla guerra, non solo per ricompensare le masse che hanno difeso la Nazione, ma per legarle anche nell'avvenire alla Nazione e alla sua prosperità.
« La smobilitazione è incominciata. Quindici classi sono state congedate.
« Tornano i reduci, tornano alla spicciolata. Non hanno nemmeno la soddisfazione estetica e spirituale di vedersi ricevuti trionfalmente come meriterebbero i sol
dati che hanno letteralmente demolito "uno dei più potenti eserciti del mondo".
«Le "tradotte" rovesciano nelle nostre città il loro carico umano. Il soldato si sveste e torna cittadino.
Ecco, le dolenti note incominciano. Il soldato che torna, con la soddisfazione intima di aver compiuto il proprio dovere, il che gli permette di guardare dall'alto coloro che questo dovere obliarono, cerca lavoro e lavoro non c'è. Danaro per vivere non ne ha e difficilmente ne trova. In ogni caso è infinitamente triste che degli uomini che spianarono il fucile contro l'austriaco e il tedesco, siano costretti a tendere la mano per il soccorso che può alleviare i bisogni immediati, ma non risolve il problema. È infinitamente triste che degli uomini che furono pronti a morire, non trovino, oggi che la Patria è salva, il necessario per vivere !
« Il cittadino che torna dalla trincea sa che vi è un' Italia da ricostruire ».

In quello stesso anno scriveva Mussolini affermando la necessità di un'intesa fra capitale e lavoro e, criticando il congresso della C. G. del lavoro tenuto a Bologna, rivendicava d'avere scritto in data 9 novembre 1918 : « Io dico che nell'immediato dopo guerra il lavoro umano della nazione italiana deve perdere gli attributi che lo accompagnarono fin qui nel corso dei secoli : la fatica e la miseria. Perchè la Nazione prosperi e grandeggi nel mondo, perchè la sua figura morale splenda luminosa nella costellazione universale, è necessario che le masse lavoratrici e produttrici non siano dannate ad un regime pre-umano se non anti-umano ».

E il 23 marzo 1919, data della fondazione dei Fasci di combattimento, Mussolini scriveve ancora sul Popolo d' Italia:
« Tenendoci fermi sul terreno dell'interventismo, - nè potrebbe essere altrimenti, essendo stato l'interventismo il fatto culminante nella storia della Nazione, - noi rivendichiamo il diritto e proclamiamo il dovere di trasformare, se sarà inevitabile anche con metodi rivoluzionari, la vita italiana.
« Noi prendiamo le mosse da quel Maggio che fu spiritualmente e divinamente rivoluzionario perchè risvegliò una situazione di vergogna all'intorno e decise le sorti della guerra mondiale. Quello fu il primo episodio della Rivoluzione. Fu l'inizio. La Rivoluzione è continuata, sotto il nome di guerra, per quaranta mesi.
NON É FINITA - ESSA CONTINUA. - Noi vogliamo l'elevazione materiale e spirituale dei cittadini italiani (non soltanto di quelli che si chiamano proletari) e la grandezza del nostro popolo nel mondo ».

Intanto fin dal 1918 Mussolini aveva dato appoggio all'Unione italiana del lavoro, sorta nella primavera del 1918, della quale facevano parte con Edmondo Rossoni, che aveva affermato « LA PATRIA NON SI NEGA, MA SI CONQUISTA», altri valorosi affermatori e costruttori del sindacalismo italiano.
Nel 1921 il movimento sindacale fascista affermandosi a Ferrara, si separava dall'Unione italiana del lavoro e si propagava e sviluppava in altre parti d'Italia.
Mussolini, che aveva manifestata chiaramente la sua anima sindacalista fin dal 1910 e poi nel 1914 nella sua rivista Utopia e fin d'allora aveva promesso alle masse dei lavoratori la loro redenzione, convocava nel 1922 a Bologna le forze del lavoro aderenti al partito Fascista e in quel Convegno venivano approvati una mozione, presentata da Michele Bianchi, e un ordine del giorno, di cui diamo il testo:

« Il convegno sindacale di Bologna del 24 gennaio 1922, afferma la necessità di costituire in corporazioni nazionali, facenti capo ad un organismo centrale dominante l'Unione federale italiana delle corporazioni, tutti quei sindacati il cui programma e la cui attività si informano sostanzialmente al programma e agli Statuti del P. N. F., e fissa i seguenti capisaldi:
1° il lavoro costituisce il sovrano titolo che legittima la piena e utile cittadinanza dell'uomo nel consesso sociale;
2° il lavoro è la risultante degli sforzi svolti armonicamente a creare, a perfezionare, ad accrescere
quanto forma benessere materiale, morale, spirituale dell'uomo ;
3° sono da considerarsi lavoratori tutti indistantamente coloro che, comunque, impiegano o dedicano l'attività ai fini su accennati e pertanto la organizzazione sindacale prima con le opportune suddistinzioni e varietà di aggruppamenti deve proporsi l'accoglierli senza demagogici ostracismi ;
4° la Nazione - intesa come sintesi superiore di tutti i valori materiali e spirituali della stirpe - sopra gli individui, lo categorie e le classi. Gli individui, le categorie e le classi sono strumenti di cui la Nazione si serve per il raggiungimento della sua maggiore grandezza. Gli interessi e gl'individui delle categorie e delle classi acquistano titolo di legittimità a patto che siano contenuti nel quadro del superiore interesse nazionale ;
5° l'organizzazione sindacale, e cioè lo strumento di difesa e di conquista del lavoro contro tutte le forze di parassitismo, deve tendere a sviluppare negli organizzati il senso della consapevole inserzione dell'attività sindacale, della complicata rete delle relazioni sociali, diffondendo la cognizione che oltre la classe vi sono una Patria e una Società. Le corporazioni sindacali facenti capo alla Unione Federale italiana delle Corporazioni sono le Corporazioni nazionali del lavoro industriale, del lavoro agricolo, del commercio, delle classi medie e intellettuali, della gente di mare.
« Il Congresso Nazionale Sindacale di Bologna dichiara costituita la Confederazione Generale dei Sindacati Nazionali che raccoglierà nel suo seno tutte le attività professionali, intellettuali, manuali e tecniche che identificano il diritto della loro elevazione morale ed economica (risultato di volontà e di capacità e non di astratte rivendicazioni) con il dovere imprescindibile dei cittadini verso la Nazione ».

Veniva poi approvato questo altro ordine del giorno:
« I rappresentanti dei Sindacati Fascisti e simpatizzanti, nel loro primo Convegno Nazionale di Bologna,
deliberano di istituire e di solennizzare, nel giorno 21 Aprile - Natale di Roma, la festa del lavoro italiano ».

A questo proposito Mussolini scriveva sul Popolo d'Italia:
« La proposta di scegliere quale giornata del Lavoro il 21 Aprile partì da chi traccia queste linee e fu accolta dovunque con entusiasmo.
« I fascisti intuirono la significazione profonda di questa data. Celebrare il Natale di Roma significava celebrare il nostro tipo di civiltà, significava esaltare la nostra storia e la nostra razza, significa poggiare fermamente sul passato per meglio slanciarsi verso l'avvenire. Roma e l' Italia sono infatti due termini inscindibili. Nelle epoche grigio o tristi della nostra storia, Roma è il faro dei naviganti e degli aspettanti. Dal 1921, dall'anno in cui la coscienza nazionale si sveglia e da Nola a Torino, il fremito unitario prorompe nell'insurrezione, Roma appare come la meta suprema, Roma è il nostro punto di partenza e di riferimento, è il nostro simbolo, o se si vuole, il nostro Mito.
« Noi sogniamo l' Italia romana, cioè saggia e forte, disciplinata e imperiale. Molto di quel che fu lo spirito immortale di Roma, risorge nel "Fascismo " : Romano è il Littorio, romana è la nostra organizzazione di combattimento, romano è il nostro orgoglio e il nostro coraggio : " Civis romanus sum ".
« Bisogna, ora, che la storia di domani, quella che noi vogliamo assiduamente creare, non sia il contrasto o la parodia della storia di ieri. I romani non erano soltanto dei combattenti ma dei costruttori formidabili che potevano sfidare, come hanno sfidato, il Tempo.
« L' Italia è stata romana, per la prima volta, dopo quindici secoli, nella guerra e nella vittoria : dev'essere ora romana nella pace : e questa romanità rinnovata e rinnovantesi ha questi nomi : Disciplina e Lavoro. Con questi pensieri, i fascisti italiani ricordano oggi il giorno in cui duemilasettecentocinquantasette anni fa
- secondo la leggenda - fu tracciato il primo solco della città quadrata, destinata dopo pochi secoli a dominare il Mondo ».

***

Dopo il Convegno di Bologna nel 1922 il movimento sindacale fascista si trasferiva da Ferrara a Bologna.
Intanto D'Annunzio, nel 1920, aveva offerto a Fiume un esperimento di costituzione sindacale tipicamente corporativa e italiana. In altro capitolo, sull' impresa di Fiume, sarà fatto cenno alla «Carta di Libertà del Carnaro » con cui Gabriele D'Annunzio aveva inteso di fissare gli ordinamenti del nuovo Libero Stato.
Tale atto - promulgato l'8 settembre 1920 - offre un esempio di ordinamento sindacale. Si legge all'art. 3°
« La reggenza italiana del Carnaro è un Governo schietto di popolo " res populi " - che ha per fondamento la potenza del lavoro produttivo e per ordinamento le più larghe e le più varie forme della autonomia quale fu intesa ed esercitata nei quattro secoli gloriosi del nostro periodo comunale ».

Sopra ogni altro diritto la reggenza innalzava quelli dei produttori i quali venivano ripartiti in dieci corporazioni.
Nell'agosto del 1922 a Milano il Poeta, scagliandosi contro i materialisti e i denigratori della Vittoria, affermava con un suo mirabile discorso :
« C' è oggi un' Italia che vuol vivere del ventre, che vuol disconoscere la Vittoria, che vuole rinnegare i suoi Morti, che vuole corrompere la giovinezza, che vuole imbestiarsi, che vuole pascersi nel chiuso. Ma c' è anche un' Italia che guarda in alto, che mira lontano, che riprende l'arte romana di assodare le vie e di moltiplicarle e di prolungarle verso tutti gli orizzonti remoti e verso tutte le mete ideali. C' è anche un' Italia che ricorda, che riconosce, che afferma, che lavora, che opera, che aspetta, che pa
tisce e del suo patimento fa il suo coraggio, che ardisce e del suo ardimento fa il suo dovere.
«Oggi non v'è salute fuori della Nazione, non v'è salute contro la Nazione, IL LAVORO E' STERILE SE NON CONCORRE ALLA POTENZA DELLA NAZIONE. Ogni volere, ogni sforzo, ogni tentativo è sterile se non sia subordinato alla legge della Nazione».

Frattanto il movimento sindacale fascista pur contro alla resistenza e agli scioperi inscenati dalle organizzazioni rosse e contro l'incomprensione del Governo, andava conquistando le masse dei lavoratori e dei datori di lavoro, e Mussolini andava sempre più precisando e spiegando i fini e i compiti del sindacalismo fascista. Così infatti Egli scriveva nel settembre del 1922:
« Il Sindacalismo fascista si differenzia dal sindacalismo rosso per molte ragioni. Non è dogmatico. Non è teologico, non persegue finalità remote, non intende cioè di sposare in anticipo un dato tipo di economia o di società. Il Sindacalismo fascista si propone di organizzare nel modo più razionale e redditizio la produzione agricola e industriale.
« Aumentando la produzione, aumenta la massa dei beni disponibili per il consumo : aumenta il benessere collettivo. Quando il bottino c' è, niente di più naturale che sorga una rivalità di interessi fra gli elementi che lo hanno creato, ma prima sarebbe esiziale. Il processo produttivo esige la più stretta collaborazione fra datori di lavoro e lavoratori.
« Il Sindacalibmo fascista è selettivo : non cerca le masse, ma non è così idiota da respingerle quando vengano spontaneamente a lui. Il Sindacalismo fascista non lusinga il proletariato, non lo ricopre di tutte le virtù, di tutte le santità, come fanno i socialisti, sempre pronti a bruciare incensi di fronte alle masse lavoratrici. Il Sindacalismo fascista non esclude che in un lontano domani i sindacati dei produttori possano essere le cellule essenziali di un nuovo tipo di economia, ma nega che il proletariato sia in grado oggi di creare il suo tipo
di civiltà.
Il Sindacalismo fascista non è catastrofico, non crede, cioè, che il capitalismo europeo sia incapace di uscire dalla crisi attuale. Comunque, se l'Europa non è salvata dalle classi capitalistiche, non lo sarà certamente dalle classi operaie e meno ancora dai diversi partiti del socialismo ».

E venendo al tema dell'internazionalismo scriveva:

« È inutile, cari signori, di ribalbettare il catechismo internazionalistico. Le vostre sono ciarle ventose, mentre la razza è un fatto, duro come il granito.
« In ogni caso l'internazionalismo è un privilegio più o meno simpatico delle classi alte, non già delle vaste masse operaie, le quali, oltre i confini del loro villaggio, non si trovano più, non respirano più perchè sono disperatamente attaccate alla loro zolla di terra e quando il destino o la miseria le proietta lontano, oltre i monti, al di là degli oceani, è sempre la voce potente e misteriosa del paesello abbandonato, quella che canta nelle loro anime primitive, con ritmi e accenti di inguaribile nostalgia ! In piena New-York sorge Mulburry Street dagli usi e costumi immutabilmente napoletani.
« L' internazionalismo è una merce di lusso, buona per le aristocrazie delle arti, della banca, dell'industria o dell'imbecillità snobistica insomma, per i borghesi del capitalismo e per quelli del socialismo ; ma, nel basso, l'internazionalismo è una favola assurda ; le masse profonde non superano nè possono superare ed è somma fortuna che non possano superare, il dato insopprimibile della razza e della nazione. " Va' al to paes ! " ecco la formula che riassume l'internazionalismo operaio.
« La dottrina socialista dell' internazionale operaia è campata in aria o incisa soltanto nelle tavole : nella vita non esiste. Mettete ad uno stesso tavolo - vedi conferenza di Washington - rappresentanti operai di diversi paesi e riudrete il baccano incomprensibile di una nuova Babele ; mettete a contatto forzato masse operaie di razze diverse e avrete la cronaca dell'Alta Slesia o del Bacino di Teschen o di Trieste ».

* * *
Era maturata intanto la rivoluzione che portò nell'ottobre 1922 le camicie nere alla marcia su Roma e l'Italia ebbe finalmente il Governo atteso dai combattenti e dai militi della rivoluzione e Benito Mussolini, Presidente del Consiglio dei Ministri, chiamava a collaborare col suo Governo insieme con altri Uomini valorosi della guerra e della rivoluzione, i Capi vittoriosi dell'Esercito e della marina : Diaz e Tahon de Revel.
Fra i nuovi molteplici problemi della vita politica nazionale, il fascismo, divenuto così anche di nome, come ormai lo ora divenuto di fatto, padrone dei destini dell' Italia, dovette pensare non solo a ristabilire, l'ordine sociale, a restaurare le finanze, a disciplinare la burocrazia, a mutare i costumi politici e amministrativi ma anche a inquadrare le masse dei lavoratori e datori di lavoro e a risolvere i problemi del lavoro e della produzione che sono fondamentali nella vita di ogni paese.

Così si venne creando e formando una nuova organizzazione sindacale e corporativa integrata da una mirabile legislazione sociale tanto più degna di ammirazione se noi la consideriamo non solo rispetto alle nostre limitate condizioni economiche ma in rapporto alla sua recentissima formazione.
E intanto che questo ordinamento si preparava e le leggi fasciste si maturavano, Benito Mussolini continuava, scendendo fra i produttori e gli operai, a spiegare le ragioni del nuovo ordine sindacale e sociale penetrando così sempre più e sempre meglio nella coscienza delle masse lavoratrici.

Recatosi fra gli operai di Dalmine nell'ottobre 1924, ebbe a dire loro « Ritengo che tutti i fattori della produzione sono necessari : necessario è il capitale, necessario è l'ele
mento tecnico, necessaria è la maestranza. L'accordo di questi tre elementi dà la pace sociale, la pace sociale dà la continuità del lavoro ; la continuità di lavoro dà il benessere singolo e collettivo. Fuori di questi termini, ve lo dico con assoluta schiettezza, non vi può essere che rovina e miseria.
« Voi siete legati al progresso tecnico e materiale del vostro stabilimento.
«Ricordatevi che in me avete un amico. Un amico severo però, non un amico lusingatore, non un amico che voglia farvi più grandi di quelli che non siete. E se vi dico che avete in me un amico ve lo dico con assoluta sincerità ; io sono un amico che conosce i vostri diritti, ma che vi dice anche che i vostri diritti devono avere la corresponsione del dovere compiuto. Giuseppe Mazzini non disgiungeva diritti da doveri, li considerava come termini di un binomio assoluto ; il diritto è la risultante del dovere compiuto.
«Compite il vostro dovere e voi avrete il diritto di rivendicare la tutela dei vostri interessi dalla Nazione fascista oggi e domani ».

E aggiungeva in un discorso a Parma il 23 ottobre 1925,
a proposito di rivoluzione e di sindacalismo:

«Rivoluzione è quando il Governo inserisce le forze sindacali nello Stato e dà a queste forze sindacali, che il vecchio demo-liberalismo ignorava, il loro posto nella vita ».

E ai lavoratori di Monte Amiata dopo una Sua visita nel 1925:

« I datori di lavoro non debbono volere che la massa dei loro dipendenti viva in condizione di disagio e di povertà. Non è nel loro interesse nè è nell'interesse della Nazione. D'altra parte i lavoratori non debbono chiedere all'industria ciò che l'industria non può sopportare....
« .... Prima di tutto voi siete degli italiani e io dichiaro che prima amo gl' italiani e poi conservo un po' di simpatia per tutti gli altri popoli della terra. In secondo
luogo. siete dei lavoratori, cioè gente che produce, siete bravi. La popolazione lavoratrice italiana può dirsi all'avanguardia per probità, per onestà, per laboriosità, per diligenza, per intelligenza. Non c'è quindi nessuna ragione perchè il fascismo non debba andare fraternamente incontro al popolo che lavora. Gli va incontro il Partito ed anche il Governo. La vostra presenza, il vostro entusiasmo mi dimostrano che non siete tocchi da dubbi assurdi. Voi sentite che il Fascismo è solidissimo e che il Governo è piantato come una quercia nella roccia.
« .... Di questa mia rapida esposizione, voi o lavoratori del Monte Amiata vi ricorderete tre cose :
1) che il sindacalismo fascista è molto migliore, molto più utile a voi e alle vostre famiglie del sindacalismo rosso che con la pratica della lotta di classe diventava norma di azione quotidiana, scavava un abisso inseparabile tra cittadini e cittadini, tra figli della stessa terra ;
2) che il Governo è solido e che non demorde a nessun costo ;
3) che il Fascismo vuol fare una politica di pace con dignità, con fierezza, con senso di disciplina ».

* * *
Ormai nella mente di Mussolini, che aveva sognata e voluta una società di sindacati organizzati e disciplinati nello Stato, doveva essersi maturata l'idea di assommare, in un documento fondamentale per la vita economica, Dindacale e sociale della Nazione, questi principi da Lui più volte affermati nel volgere della sua vita tormentosa di uomo politico, di studioso, di Capo. E il documento fu dato all' Italia Fascista - dopo che già nel 1926 era stata creata la legge sulla disciplina e sul riconoscimento giuridico delle associazioni sindacali ed era stato creato il Ministero delle Corporazioni - nell'anno 1927 proprio nella ricorrenza della data ormai sacra al lavoro italiano : il 21 Aprile.

ODDONE FANTINI
PUBBLICAZIONE NAZIONALE UFFICIALE,
(con l'assenso del capo del governo), 1928

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