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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1921 (2 bis)

CAP.I - ALBORI DELL'ANABATTISMO

L'anabattismo nacque dalla Riforma, ma ne fu figlio maledetto, e fin dal nascere fu ripudiato dai grandi Riformatori che furono concordi nel proclamarlo degenere. Ma allorché ai fondamentali princìpi religiosi che lo componevano si sovrapposero i princìpi politici e sociali, non fu sufficiente e prudente il solo ripudiarlo, ma lo si combattè aspramente, perseguitandolo fino alla estirpazione, cattolici e protestanti insieme, con quei sistemi di pietà umana che, nei religiosi più che nei laici, caratterizzarono il secolo XVI.

Sembrava quasi che nell'aspra lotta fra luterani, cattolici, zuinglisti e calvinisti questa setta, che aveva per programma fondamentale nel campo religioso la Rigenerazione o il nuovo battesimo, e nel campo sociale la comunità dei beni, riuscisse a riunire di tratto in tratto i nemici di ieri, perché si potessero scagliare con maggiore efficacia contro comune nemico di oggi. Gli è che, mentre cattolici e protestanti combattevano spiegando i loro stendardi a fianco a quelli dei principi della loro parte, e questi sfruttavano tale lotta per le loro mire politiche, gli anabattisti combattevano insieme i potenti, religiosi o laici, cattolici o protestanti, nobili, ricchi, privilegiati, tutti, insomma, quelli che nella società del secolo XVI rappresentavano l'enorme massa inerte soprastante ed opprimente la massa che produce e lavora per sostenerne il peso.

LUTERO, che si era spinto molto oltre all'inizio delle sue veementi predicazioni contro il potere di Roma e pareva volesse coinvolgere nel turbine da lui scatenato il potere costituito e sfruttatore ai propri fini del pensiero e dell'azione umana, giudicò in seguito buon partito frenare i suoi impeti e retrocedere lungo la via temeraria e pericolosa intrapresa, rivelandosi accorto politico ed opportunista oltre che tribuno. Così prima ripudiò i “visionari”, in seguito si accanì sempre più contro di essi, incitando i principi a distruggere la setta che minacciava sconvolgere l'edilizio sociale dalle sue fondamenta falsando le parole del Vangelo ed alterandone a scopo di sedizione i concetti.
“Io credo che tutti gli anabattisti e contadini - diceva egli - debbano morire, perché essi attaccano i principi e i magistrati. Nessuna misericordia, nessuna tolleranza è dovuta ai contadini, ma l'indignazione degli uomini e di Dio. È dunque lecito e giusto trattarli come cani rabbiosi”.
Lutero intuiva che il dilagare del comunismo sotto la bandiera di ardite riforme religiose avrebbe spazzato via l'edificio che egli veniva innalzando faticosamente di fronte alla Chiesa romana.
“L'Altissimo - aveva egli predicato - mi manda a voi per additare alla vostra esecrazione il pontefice abominevole che vi spoglia e vi opprime. Popolo, giù il papato !”.


Le spogliazioni e l'oppressione erano dunque considerate da lui nel solo campo religioso e spirituale; poco importava che i miseri, cattolici o luterani che fossero, restassero miseri ; che i principi, i nobili, i privilegiati seguitassero a sfruttare le plebi rurali ed urbane per distillare moneta dal loro sudore. Bastava che il Papato fosse abbattuto, che si apportasse una rivoluzione nella interpretazione della Sacra Scrittura, che, insomma non si uscisse dal campo spirituale.
Il padrone cambiava la piuma al cappello, ma restava pur sempre il padrone. Scriveva infatti Borne:
“Dopo la Riforma, essendosi i principi impadroniti dei beni e delle entrate della Chiesa, l'imposta del fisco succedette alle gratuite oblazioni, il codice penale al purgatorio” - e aggiungeva - “Le feste religiose furono diminuite, cresciuti i giorni di lavoro e in conseguenza le fatiche del volgo. Fa orrore il leggere le persecuzioni che Lutero esercitava, e le feroci imprecazioni che vomitava contro il popolo.
Allorché alcuni signori di buone intenzioni interrogavano Lutero se i servizi personali, se altre angherie e altri pesi onde erano gravati i loro contadini non fossero contrari alle massime del Vangelo, e se dovessero abolirle, rispondeva egli che i villani (o paesani) diverrebbero insolenti se più non fossero curvati sotto i pesi”.

II popolo, il contadino specialmente, poco o nulla intendeva delle dotte dispute iniziatesi a Wittemberg. II contadino, abituato alla solitudine dei campi, costretto ad un lavoro diuturno e senza posa e più a contatto quindi con la natura, ne sentiva instintivamente la parola, credeva ciecamente in Dio, lo adorava semplicemente, secondo le tradizioni secolari, e non chiedeva a Lui che vivere in pace, vivere comunque del proprio lavoro senza peccare, sentendo che il bene e il male sono al disopra di ogni interpretazione umana della volontà di Dio, e interpretando Dio solamente col cuore. Ciò intesero i primi anabattisti, i quali disprezzavano ogni dotta disputa in materia religiosa, considerandola sterile e dannosa, a meno che non vi fossero costretti ; qualcuno di essi giunse sino al punto di errare per le campagne, soffermarsi con i contadini a chiedere come essi, col cuore, interpretassero parole della Bibbia che loro leggeva e traduceva.
Questi contadini si interessavano dunque alle dotte e violente dispute fra cattolici e protestanti come chi, avendo faticosamente arato e seminato il suo campicello, veda penetrarvi un gruppo di cavalieri, che lo scelgono come terreno di lotta e che vi combattono percuotendo e sommovendo le zolle e devastandole con le zampe ferrate dei propri cavalli per un fine che egli ignora; ignora tutto, tranne che il suo povero campo è rovinato, che egli ha lavorato solo per offrire ad altri il modo per sgozzarsi meglio.

Se l'anabattismo ebbe tanto largo seguito, fervore di fede e somma di sacrifici fra i contadini paesani e gli umili in genere, ciò fu dovuto sopratutto al contenuto sociale del programma di fede, all'odio lungamente accumulato e alla speranza di redenzione.
Onde la distinzione fra guerra degli anabattisti e guerra dei contadini è fuori luogo : esse furono una sola cosa, ribellione generosa spinta fino al più puro eroismo, ma spesso degenerata nel furore omicida, che sempre sarà caratteristica di ogni ribellione che ha il germe nella povertà e nella materiale sofferenza e non in un principio astratto.
Già verso la fine del XV secolo si ebbero vari moti di contadini, moti isolati e di breve durata e senza alcun carattere religioso o un organico programma sociale. Ne accenna appena Martino Crusius (Annal. Svev. Parte III). Il Weber parla di moti scoppiati nella regione di Algau (Svevia), ove era l'abbazia Campodunense, forte di 72 parrocchie. I sudditi di questa abbazia si riunirono in una lega chiamata “Bereinigung S. Georgen Schild des Bunders im Land zu Schwaben”. Dopo aver commessi, al dire di Weber, vandalismi e predonerie, furono finalmente domati. Altra rivolta consimile scoppiò nel 1493 in Alsazia ; essa aveva per insegna lo zoccolo del contadino. Nel principio del secolo XVI i moti si rinnovarono in Alsazia e ne scoppiarono altri nel ducato di Wurtemnerg, in Svizzera, in Carnia.
Nel 1515 il prete SCHLAPPER, impietosito della sorte degli umili e specie dei contadini, aveva chiesto invano ai principi che ne mitigassero le tristi condizioni, ed esponeva domande eque che si compendiavano nella esortazione: “Trattateli secondo il Vangelo!”.
Ma le sue richieste non ebbero esito.
NICOLA STORK (Pelargo), TOMMASO MÙNZER, MASSIMO STUBNER, più tardi, raccolsero il grido di dolore degli oppressi, grido che nella lotta fra luterani e cattolici restava inascoltato dagli uni e dagli altri. Essi si possono considerare i veri iniziatori della lotta ingaggiata con nobili propositi, degenerata in follia e violenze, e infine soffocata dalla coalizione degli interessi e dei privilegi minacciati.

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