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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1919-21

VENETO

IL DOPOGUERRA: RICOSTRUZIONE E LOTTE SOCIALI

La guerra e l’invasione austriaca avevano provocato danni ingenti nel Veneto Orientale, invaso nel 1917 e riconquistato dopo Vittorio Veneto. I soldati e i profughi stavano tornando alle loro case: che situazione si presentò davanti i loro occhi?

I paesi sul Piave erano ridotti a un cumulo di rovine (San Donà era sparita). Non sempre le autorità si accollarono l’onere di ricostruire intere cittadine, e molte volte fu solo la volontà degli abitanti che farà risorgere interi paesi. E’ da ammirare la volontà di quegli uomini che, partendo dal nulla, seppero ricostruire e bonificare un territorio che sembrava avviato all’abbandono.
Le infrastrutture erano state distrutte per due volte, durante la ritirata italiana e dopo la battaglia di Vittorio Veneto dalle truppe austriache, rendendo impossibile ogni tipo di trasporto.

Mancava il cibo e il pane ed era impossibile procurarselo tramite i privati; per i primi mesi i comuni dovettero acquistare grandi quantitativi di grano e mais da distribuire alle famiglie, e la Croce Rossa provvide a fornire beni di prima necessità ai profughi.
Il patrimonio zootecnico era andato interamente perduto perché era stato requisito dagli occupanti. Si trattava di ricostruire un sistema zootecnico in precedenza molto ricco partendo dal nulla.
E come se ciò non bastasse le campagne tra Piave e Tagliamento erano state allagate artificialmente dagli austriaci diventando un immenso acquitrino, favorendo l’espandersi della malaria fino a Treviso e altri problemi igienici che possiamo ben immaginare.

La gente non aveva denaro valido in tasca, possedendo solo corone austriache (diventate ormai carta straccia) o la cosiddetta moneta veneta (che era una moneta fittizia, non quotata cioè in borsa, con la quale l’invasore aveva pagato merci e servizi).
Solo dopo alcuni mesi si poterono risolvere i problemi più gravi: si ritornò ad usare la lira, vennero risistemate le strade e le ferrovie principali, si poté ricominciare una vita economica e politica.
In questo clima di povertà e, insieme, di nuove prospettive sociali si svilupparono gravi sommovimenti, come nel resto d’Italia; la maturazione di una coscienza sociale da parte delle masse popolari,nonché l’arrivo del cosiddetto capitalismo agrario, il ritorno a casa di reduci e profughi furono altre cause dell’esplosione del malcontento sociale.

I proprietari erano assenti dai terreni e aspettavano l’intervento del governo per la ripresa delle attività agricole, come testimonia la lettera che il Senatore conte Filippo di Brazzà scrisse al Presidente del Consiglio:

“In seguito a questa inondazione protrattasi per circa 18 mesi si è sviluppata in una gran parte dei terreni una vegetazione fortissima di canne palustri… rendendo impossibile l’aratura. Ora è evidente che è obbligo del governo di rimettere allo stato quo ante quei terreni per poterli arare.”

Però i proprietari con questo atteggiamento condannavano i salariati e i braccianti alla miseria, aggiungendo benzina sul fuoco.
Ma ormai non si trattava solo di risistemare i terreni allagati: i contadini volevano un ampio pacchetto di riforme sociali, prima tra tutte la soppressione della mezzadria.
Già nel 1919 i primi nuclei delle Camere del Lavoro di Venezia e Treviso scrissero lettere ai proprietari: qui di seguito ho voluto proporre quella che i contadini di Cavazuccherina (oggi Jesolo) scrissero al già citato conte di Brazzà:

“Egregio Signore… abbiamo quindi l’onore di sottoporre alla S.V. Ill.ma i seguenti: desiderata dai lavoratori della terra di Cavazuccherina 1° abolizione della mezzadria… si prega di riscontrare il presente memoriale non oltre il 12 settembre corrente. I sottoscrittori salutano rispettosamente e restano in attesa. Dev.mi, il segretario della Camera del Lavoro Gioacchino Giordano e il segretario della Lega Aristide De Rossi.”

Questo documento di circa quattro pagine segna per certi versi la fine di un mondo e la fine del mito dell’autorità dei nobili veneziani.
Come risposta, il Conte chiese al Presidente del Consiglio l’invio sulle sue terre di

“un Commissario di P.S. e un delegato con 10 carabinieri, ma di quelli buoni… e far comprendere che 1° le terre sono dei proprietari 2° che i contadini hanno diritto a lavorare le terre che possono lavorare a mezzadria 3° che il proprietario ha il diritto di concedere ad altri il terreno dovendo essere lavorati 4° minacciare di togliere il sussidio a quelli che non vogliono lavorare”.

Evidentemente il nostro Conte credeva di avere a che fare con una sommossa non organizzata. Non aveva capito che i tempi erano cambiati.
Nitti (Il presidente del Consiglio in quel 1919) non accettò immediatamente queste richieste: prima chiese accertamenti al Prefetto di Venezia, Cioja. Con molto spirito pratico il prefetto rispose che:

“ Circa infine i mezzi coercitivi proposti… dubito che essi possano riuscire perché promuoverebbero certamente rivolte, agitazioni e aizzerebbero ancor più i contadini verso i proprietari.”

Nel 1920, viste spegnersi tutte le speranze, i contadini riuniti nelle Camere del Lavoro decisero di iniziare la lotta, condotta dalla lega contadina di Treviso, che aveva competenza anche nella bassa pianura tra Venezia e il Tagliamento.

Diversamente dal resto d’Italia, qui in Veneto
la lotta venne organizzata dal Partito Popolare e non dai socialisti.

Ciò non vuol dire che la lotta fu più tenue, ma sta a significare come la Chiesa avesse ancora un forte ascendente sulle masse dei contadini veneti.
Con alla testa squadre di “arditi bianchi” cattolici (ovvero di contadini che avevano lo scopo di far firmare ai proprietari i nuovi patti colonici a tutti i costi) i contadini iniziarono a saccheggiare, invadere e a incendiare alcuni municipi e le ville dei possidenti.

Rivolte paesane, rottura delle regole consuetudinarie, parroci che si schieravano a fianco dei manifestanti, consigli comunali assenti e, anzi, garanti dei privilegi esistenti (all’epoca il sindaco il consiglio comunale erano formati dai proprietari terrieri): così si presentavano le nostre zone nel 1920 secondo i rapporti di Pubblica Sicurezza inviati dai Prefetti di Treviso e Venezia a Roma.

Alla fine di maggio 1920 a seguito di una rivolta contadina nel Basso Piave vennero sequestrate grandi quantità di armi, ma alcune sentenze della Pretura di Portogruaro ci informano addirittura sulla presenza di esplosivi e sull’intenzione di usarli contro le linee ferroviarie.
I contadini veneti mostrarono per la prima volta di aver abbandonato quei canoni della prudenza e della remissività per i quali erano famosi, con grande sorpresa degli agrari ormai ritornati nei loro terreni dopo la risistemazione delle campagne.

In settembre ricominciarono le agitazioni in concomitanza con il raccolto delle uve: i contadini irruppero nelle ville dei redditieri e prelevarono tutta l’uva raccolta. A poco valsero le diffide che i proprietari recapitarono ai contadini. I carabinieri furono quindi mandati a presidiare le residenze padronali e le ville disseminate per tutta la provincia. Nello stesso periodo i responsabili delle leghe del lavoro di Treviso e Venezia affermarono che gli scioperanti erano oltre 200.000. Solo tra il Piave e il Tagliamento le leghe contadine contavano più di 17.000 iscritti.

Bisogna osservare che le agitazioni del 1920 non ebbero mai carattere cruento: non ci furono gravi spargimenti di sangue (2 le vittime accertate) né gravi danni alle proprietà, a eccezione di alcune ville padronali e municipi saccheggiati e dati alle fiamme. La sommossa era perlopiù una grande festa (almeno per i contadini) che si concludeva sempre con una grande bevuta con il vino sottratto dalle cantine dei proprietari. Anche i proprietari non subirono gravi violenze (nessuno di loro perse la vita) anche se gli arditi non andavano per il sottile; ma non si ebbero le violenze commesse in altre regioni.

L’anno successivo (giugno 1921) venne la pacificazione grazie all’intermediazione del Governo e delle Associazioni Agrarie (che raccoglievano i proprietari). Rimaneva aperta la questione dell’abolizione della mezzadria, ma gli accordi raggiunti favorirono senza dubbio i contadini, che ora ottenevano il 60% del raccolto ed erano esonerati dalle spese più gravose (come le assicurazioni sul bestiame o sulle intemperie). Ormai i contadini avevano ottenuto la loro vittoria, anche se parziale, ma alcune organizzazioni socialiste tentarono di continuare la lotta proponendo contratti ancor più vantaggiosi per i contadini.

Si ebbero quindi altre agitazioni in alcuni comuni del Veneto Orientale, ma ormai il biennio rosso volgeva al termine, incalzato da un nuovo protagonista: Mussolini e le sue squadre.

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