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( QUI TUTTI I RIASSUNTI ) RIASSUNTO ANNO 1917 (9)
MISSIONE IN AMERICA
- LA JUGOSLAVIA - CONFERENZE e DISORDINI
LA "POLEMICA"
NOTA PONTIFICIA PER LA PACE
MISSIONE ITALIANA IN AMERICA - II VOTO DELLE MASSONERIE A PARIGI - LE CONFERENZE INTERALLEATE DI PARIGI E LONDRA - IL PATTO DI CORFÙ ("PROGETTO JUGOSLAVIA" IL DOCUMENTO) - IL DISCORSO DI CUNEO DI GIOLITTI - I DISORDINI DI TORINO -
L'AVIAZIONE E LA MARINA NELLA PRIMAVERA E NELL'ESTATE DEL 1917
LA "POLEMICA" NOTA PONTIFICIA PER LA PACE
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MISSIONE ITALIANA IN
AMERICA
IL VOTO DELLE MASSONERIE A PARIGI
Nel mese di maggio 1917 (mentre Cadorna sferrava la sua offensiva), con lo scopo di stringere ancor di più i vincoli che legavano l'Italia agli Stati Uniti e di negoziare un prestito, era partita per l'America (dove già si trovava l'on. ARLOTTA) una missione, capitanata dal Principe di Udine, primogenito del Duca di Genova, e composta dell'on. BORSARELLI, sottosegretario agli Esteri, del senatore GUGLIELMO MARCONI e degli onorevoli CIUFFELLI e NITTI. La missione, dopo avere assolto il suo compito, ritornò in patria nella prima quindicina di luglio (con i risultati dell'offensiva di Cadorna piuttosto scarsi, e anche critici).
Il l° di quel mese, il Congresso delle massonerie alleate e neutre, riunitosi a Parigi, emetteva un voto, nel quale, auspicata la sconfitta del militarismo prussiano, si riaffermavano le rivendicazioni militari della Francía, della Polonia e della Boemia e si sosteneva che la soluzione dei vari irredentismi della monarchia asburgica dovevano avvenire mediante plebisciti.
La dichiarazione massonica riempì di sdegno gl'interventisti italiani, i quali appuntarono le loro ire specie su due dei quattro delegati massonici italiani, ERNESTO NATHAN e il gran maestro ETTORE FERRARI. Quest'ultimo si difese affermando che la formula del plebiscito non era stata adottata dal congresso, ma aggiunta dopo, però fu smentito dalle autorità massoniche.
La polemica suscitata dal Congresso di Parigi divenne più rumorosa per l'intervento dei massoni italiani di rito scozzese e dei cattolici e il FERRARI fu costretto a dimettersi.
Il 4 luglio si era dimesso da ministro della Marina il contrammiraglio TRIANGI, apparentemente per motivi di salute, ma realmente perché fra un gruppo di deputati aveva affermato che, data la natura della costa orientale adriatica, la flotta italiana, neppure con l'aiuto di tutte le flotte del mondo, sarebbe riuscita a vincere la nemica. Al posto del Triangi il 17 luglio fu messo il viceammiraglio ALBERTO DEL BONO.
Intanto continuavano le polemiche suscitate dal voto massonico di Parigi e v'intervenivano, a difesa del diritto italiano sulle terre irredente, uomini politici quali il SONNINO e BARZILAI, mentre un'altra polemica si andava svolgendo intorno all'italianità della Dalmazia di quella regione piena di "fratelli italiani" e che BENITO MUSSOLINI dalle colonne del "Popolo d'Italia" reclamava.
A contendere all'Italia però la Dalmazia si adoperavano infaticabilmente i fuorusciti slavi della Monarchia austriaca, i quali brigavano in Francia, in Inghilterra, in America e vi trovavano facili e potenti appoggi finanziari e politici.
LE CONFERENZE INTERALLEATE DI PARIGI E LONDRA
Parte della stampa italiana dava l'"allarmi" e il "Giornale d'Italia", alla vigilia della Conferenza di Parigi (24-26 luglio) che doveva occuparsi dell'assetto balcanico ed alla quale parteciparono SONNINO, CADORNA e THAON DE REVEL, esponeva molto chiaramente quali erano in proposito gli interessi dell'Italia e la politica da essa seguita nelle questioni che concernevano il Mediterraneo orientale, lo Jonio e l'Adriatico.
Sulla questione adriatica scriveva:
"Gli Jugoslavi hanno sparso fiumi d'inchiostro, hanno ordito milioni d'intrighi per far passare la loro tesi, diremo così massimista secondo la quale gli Italiani non avrebbero alcun diritto a porre il piede sulla sponda orientale dell'Adriatico e dovrebbero, tutt'al più, accontentarsi di insediarsi - tempo permettendo - a Trieste.
Tale tesi dell'ultra-nazionalismo jugoslavo ha fatto qualche presa nell'opinione pubblica russa, inglese e francese e, pare impossibile, presa persino in alcuni ambienti democratici italiani, in quanto è stata maliziosamente contrapposta ad una tesi massimista italiana - invece assai poco diffusa - secondo la quale gli Jugoslavi non dovrebbero affacciarsi sull'Adriatico.
Tutta questa discussione, oltre ad essere antipatica e pericolosa, è perfettamente oziosa. La questione dell'Adriatico è stata completamente regolata nel patto di Londra mediante un'equa transazione tra le aspirazioni italiane e le aspirazioni jugoslave, transazione sostanzialmente soddisfacente per tutti.
Ma siccome né la Serbia può seriamente pretendere di contestare all'Italia quelle posizioni adriatiche, strategiche, etniche ed economiche che le derivano, oltre che da incontestabili diritti, dai grandi sacrifici fatti nella guerra e siccome d'altra parte l'Italia non ha alcuna intenzione di negare alla Serbia le posizioni adriatiche di cui ha economicamente bisogno e non ha alcuna ragione di ritirare alla Serbia stessa la benevolenza dimostratale se non altro col miracoloso salvataggio del suo esercito scampato all'invasione austro-germano-bulgara, così è evidente che la disputa tra Italiani e Jugoslavi è alimentata da gente irresponsabile, ispirata probabilmente dai nemici dell'Italia non meno che della Serbia, e soffiata dentro verosimilmente a Vienna. Ciò posto, ci sembra che l'opinione pubblica dell'Intesa ed il labriolismo nostrano potrebbero finalmente mettersi quieti e tralasciare di discutere una questione adriatica equamente regolata, nella quale l'Italia - ben lungi dal praticare l'imperialismo- ha fatto larghe concessioni oltre cui non potrebbe andare senza subire una profonda ed insanabile lesione dei propri interessi".
Nella conferenza di Parigi - come riportava un comunicato - si decise che Francia, Italia e Inghilterra cesserebbero simultaneamente nel più breve termine le occupazioni militari effettuate nel territorio dell'antica Grecia, in Tessaglia e in Epiro; che l'occupazione del triangolo formato dalla strada di Santi Quaranta e dalla frontiera dell'Epiro, sarebbe stata mantenuta provvisoriamente nell'interesse della sicurezza, con la riserva di un'intesa italo-greca per il ristabilimento delle amministrazioni civili sotto l'autorità di un commissario ellenico; che infine Francia, Italia e Inghilterra conserverebbero durante la guerra la base di Corfù, sotto la sovranità della Grecia.
Un'altra conferenza interalleata si tenne a Londra nella prima settimana di agosto, ed il ministro SONNINO ebbe un colloquio con il primo ministro serbo PASIC, il quale più tardi, intervistato dal "Weekly Dispatch", dichiarò: "Non esistono dissensi tra i Governi italiano e serbo. Al contrario, le relazioni sono caratterizzate da una fondamentale armonia di scopi. Bisogna distinguere fra l'atteggiamento ufficiale dei due paesi e quello di certi uomini politici e di certi giornali che si sono resi interpreti delle tendenze estreme. Come potremmo noi credere che gl'Italiani intendano trattarci ingiustamente dato che hanno costruito il loro Stato sul principio della nazionalità? La patria di Garibaldi e di Mazzini non si sogna di opporsi alla nostra unità".
IL PATTO DI CORFÙ (PROGETTO JUGOSLAVIA)
Erano sincere queste dichiarazioni? Ci dà la risposta a questa domanda il "Patto di Corfù", stipulato dopo la conferenza di Parigi e prima ancora di quello di Londra, e precisamente il 30 luglio del 1917, tra il Governo Serbo e i delegati delle province jugoslave dell'Austria e firmato dallo stesso PASIC e dal dott. ANTE TRUMBIC, presidente dei comitati jugoslavi di Londra, Parigi, Roma e New York, patto di cui qui riproduciamo il testo:"I rappresentanti autorizzati serbi, croati e sloveni, riconoscendo il desiderio di questi popoli di liberarsi da ogni giogo straniero e di costituirsi in Stato nazionale e indipendente, si accordano nel dichiarare che questo Stato deve essere fondato sui principi seguenti:
1° Lo Stato dei Serbi, Croati e Sloveni, che sono anche conosciuti con il nome di "slavi meridionali" o "jugoslavi", sarà uno Stato libero, indipendente, con territorio indivisibile e unità di regime. Questo stato sarà una monarchia costituzionale, democratica e parlamentare sotto la dinastia dei Karageorgevic, che ha sempre condiviso il sentimento nazionale e posto la libertà e volontà nazionale in cima ad ogni altra cosa.
2° Questo Stato sarà chiamato "Regno dei Serbi, Croati e Sloveni" ed il titolo del Sovrano sarà di "Re dei Serbi, Croati e Sloveni";
3° Lo Stato avrà un unico stemma, un'unica bandiera, un'unica corona, i quali saranno composti dagli emblemi attuali;
4° Le speciali bandiere e gli stemmi serbi, croati e sloveni potranno essere liberamente usati;
5° Le denominazioni nazionali saranno uguali dinanzi alla legge e potranno liberamente essere usate nella vita pubblica;
6° I due alfabeti cirillico e latino avranno pure eguale riconoscimento in tutto il regno;
7° Tutte le religioni riconosciute saranno esercitate liberamente e pubblicamente. Specialmente i credi ortodosso, cattolico e musulmano, che sono quelli principalmente professati dai nostri popoli, saranno uguali e avranno gli stessi diritti dinanzi allo Stato;
8° Il calendario dovrà venire unificato al più presto possibile;
9° Il territorio del Regno includerà il territorio completamente abitato dal nostro popolo e non potrà essere mutilato senza danno ai vitali interessi della comunità. La nostra nazione non chiede nulla che appartenga ad altri ma solo ciò che gli è proprio. Desidera la libertà e l'unità, perciò respinge coscientemente e fermamente ogni soluzione parziale del problema della sua liberazione dalla dominazione austroungarica e della sua unione con la Serbia e il Montenegro in uno Stato formante un'indivisibile entità;
10° Nell'interesse della libertà e dei diritti uguali di tutte le nazioni il mare Adriatico sarà libero ed aperto a tutti;
11° Tutti i cittadini saranno uguali e godranno gli stessi diritti verso lo Stato dinanzi alla legge;
12° I deputati al Parlamento nazionale saranno eletti con il suffragio universale a votazione segreta;
13° La Costituzione da stabilirsi dopo la conclusione della pace da un'Assemblea Costituente eletta a suffragio universale, costituirà la base della vita dello Stato. Essa stabilirà la possibilità di organizzare autonomie locali. La nazione, cosi unificata, formerebbe uno stato di 12 milioni di abitanti, potente barriera contro l'aggressione tedesca e inseparabile alleato di tutti gli Stati civili".
La stampa italiana non tralasciò di commentare il patto di Corfù e di proclamare i diritti italiani; diritti che trovarono difensori persino all'estero, primo fra tutti il Partito Laburista inglese. Da Londra intanto PASIC andava proclamando che la Serbia voleva continuare ad essere amica dell'Italia, ma nelle numerose interviste che concedeva ai giornalisti dichiarava che la Dalmazia, era tutta slava -eccettuata Zara- e doveva far parte del nuovo nascente regno jugoslavo.
Altri fatti - fra cui l'offensiva italiana sulla Bainsizza della quale parleremo nel prossimo capitolo - contribuirono a distrarre l'attenzione della stampa dall'atteggiamento degli jugoslavi. E i fatti non erano pochi; fra questi l'arrivo in Italia di una missione sovietica per conferire con i socialisti ufficiali e con i socialisti interventisti; la visita del presidente della Repubblica Francese, RAIMONDO POINCARÉ, accompagnato da LEONE BOURGEOIS; l'arrivo a Milano del sig. SCUDDER, capo dell'"Ambulanza Americana degli Alleati"; la chiamata a nuova visita dei riformati dal 1874 al 1899; ed infine il discorso a Cuneo del redivivo on. GIOLITTI.
(Sui fatti jugoslavi (indipendenza) vedi poi il riassunto "inizio anno 1918")
IL DISCORSO DI CUNEO
Questi, rieletto il 13 agosto presidente del Consiglio provinciale di Cuneo, pronunciò un discorso che era un "programma di Governo" del dopoguerra:
"E' logico -egli disse - che i popoli da così immane catastrofe colpiti si pongano come supremo fine da raggiungere quello d'impedire che la catastrofe si rinnovi, creando uno stato di cose che assicuri essere questa l'ultima guerra. L'opera degli uomini di Stato, che cercheranno di fare regnare definitivamente la pace nel mondo incontrerà gravi ostacoli d'interessi, passioni e pregiudizi di ogni genere, ma un gran passo sarebbe fatto se, sulla base del principio di nazionalità, si riconoscesse in tutti i popoli il diritto di scegliersi il Governo che vogliono e se si fondassero in tutti i paesi ordinamenti interni così liberi che la sola volontà dei popoli legalmente espressa determinasse la linea di condotta dei Governi. L'Italia, sorta in nome di quei principi, ne sarà certamente efficace sostenitrice nel consesso delle Nazioni. Possa una pace che soddisfi i voti degli italiani, permettere d'iniziare sollecitamente la risoluzione di quell'altissimo problema e di intraprendere l'opera di ricostruzione economica e sociale, che già preoccupa tutti i popoli".
A questa ricostruzione dovevano, dopo la guerra, essere dedicate tutte le forze e si doveva allora abbandonare ogni illusione che si potesse riprendere con poche varianti l'andamento della politica estera a base di trattati segreti e della politica sociale economica del periodo precedente alla guerra, periodo definitivamente chiuso come era stato chiuso dalla rivoluzione francese il periodo dell'antico regime. Finita la guerra, che aveva "dimostrato necessarie mutazioni profonde nella politica estera, rilevate insaziabili avidità di denaro, disuguaglianze nei sacrifici, ingiustizie sociali, mutate le condizioni della pubblica economia, concentrate le ricchezze in pochi, -accresciute oltre ogni paragone le ingerenze e le responsabilità dei governi", lo spirito pubblico, specie quello delle classi popolari, si troverebbe radicalmente mutato, perché "�quando milioni di lavoratori delle città e delle campagne, quella parte più virile della Nazione, affratellata per anni da comunanza di pericoli, sofferenze e disagi eroicamente sopportati per la Patria, ritornerà nelle sue povere case, avrà la coscienza dei propri diritti e reclamerà ordinamenti riformati a maggior giustizia sociale, la Patria riconoscente non li potrà a loro negare.
Allora i governanti dovranno essere animati da un alto senso di giustizia e di solidarietà umana perché, solo guidati da questo sentimento potranno far sì che l'ineluttabile trasformazione avverrà senza scosse e senza danneggiare la compagine nazionale".
Il discorso dell'on. Giolitti suscitò infiniti commenti e le più strane congetture. Ci fu perfino chi disse che l'ex-presidente si preparava con l'aiuto dei social-neutralisti ad impadronirsi del potere per poi imporre la pace.
Certo irrequieti, frementi e eccitati oltre ogni dire erano i socialisti e questa loro irrequietudine era accresciuta dalla presenza e dalla parola dei delegati russi. Questa spasmodica animazione più che altrove era manifesta a Torino, roccaforte del giolittismo, del disfattismo e degli imboscati e qui non poteva non sfociare nella sollevazione alla prima occasione.
I DISORDINI DI TORINO
E l'occasione non mancò. Anzi colse di sorpresa pure i socialisti, infatti, la ribellione nella sua breve durata rimase senza una guida politica. Scarseggiando le farine e non provvedendo le autorità a procurarle, il 21 agosto scoppiarono gravissimi torbidi che durarono cinque giorni, durante i quali furono saccheggiati negozi, incendiate chiese, erette barricate e avvennero sanguinosi scontri con la truppa, nei quali caddero una sessantina di cittadini e una ventina di soldati. Il 26 la calma era stata ristabilita. Molti furono gli arrestati e fra questi il famigerato BARBERIS. Il prefetto VERDINOIS fu collocato a disposizione e il questore BORRELLI trasferito.
Si cercarono insomma i capi espiatori, anche se questi dall'alto delle loro funzioni non è che potevano fare molto; quello era il clima, un clima di insofferenza.
LA NOTA PONTIFICIA PER LA PACE
Mentre a Torino dovevano ancora scoppiare i tumulti e al fronte italiano si davano le ultime disposizioni per la grande offensiva, una voce di pace s'innalzava ancora dal Vaticano.
Datata l° agosto, nella prima quindicina del mese fu consegnata a tutti i Governi belligeranti e neutrali una nota pontificia, nella quale BENEDETTO XV, dopo un accenno ai precedenti suoi appelli e all'opera esplicata dal Vaticano a favore dei prigionieri e feriti, diceva:
"In sì angosciato stato di cose, dinanzi a cosi grave minaccia, Noi, non per mire politiche particolari, né per suggerimenti o interesse di alcuna delle parti belligeranti, ma mossi unicamente dalla coscienza del supremo dovere di padre comune dei fedeli, dal sospiro dei figli che invocano l'opera Nostra e la Nostra parola pacificatrice, dalla voce stessa dell'umanità e della ragione, alziamo nuovamente il grido di pace e rinnoviamo un caldo appello a chi tiene in mano le sorti delle Nazioni. Ma per non contenerci più sulle generali, come le circostanze ci suggerirono in passato, vogliamo ora discendere a proposte più concrete e pratiche ed invitare i Governi dei popoli belligeranti ad accordarsi sopra i seguenti punti, che sembrano essere i capisaldi di una pace giusta e duratura, lasciando ai governanti di precisarle e completarle. E precisamente il punto fondamentale deve essere che subentri alla forza materiale delle armi la forza morale del diritto.
" Quindi un giusto accordo di tutti nella diminuzione simultanea e reciproca degli armamenti, secondo norme e garanzie da stabilire nella misura necessaria e sufficiente al mantenimento dell'ordine pubblico nei singoli Stati; e in sostituzione delle armi, l'istituto dell'arbitrato con la sua alta funzione pacificatrice, secondo le norme da concertare e la sanzione da convenire contro lo Stato che ricusasse o di sottoporre le questioni internazionali all'arbitro o di accettarne la decisione. Stabilito così l'impero del diritto, si tolga ogni ostacolo alle ire di comunicazione dei popoli con la vera libertà e comunanza dei mari; il che, mentre eliminerebbe molteplici cause di conflitto, aprirebbe a tutti nuove fonti di prosperità e di progresso.
Quanto ai danni e spese di guerra non scorgiamo altro scampo che nella norma generale di un'intensa e reciproca compensazione, giustificata del resto dai benefici immensi del disarmo; tanto più che non si comprenderebbe la continuazione di tanta carneficina unicamente per ragioni di ordine economico. Se in qualche caso si oppongono ragioni particolari, si ponderino con giustizia ed equità. Ma questi accordi pacifici, con gli immensi vantaggi che ne derivano, non sono possibili senza la reciproca restituzione dei territori attualmente occupati. Quindi, da parte della Germania, evacuazione totale sia del Belgio, con garanzia della piena indipendenza politica, militare ed economica di fronte a qualsiasi potenza, sia del territorio francese. Da parte avversaria restituzione delle colonie tedesche. Per ciò che riguarda le questioni territoriali, come quelle ad esempio che si agitano fra l'Italia e l'Austria, tra la Germania e la Francia, giova sperare che di fronte ai vantaggi immensi di una pace duratura col disarmo, le parti contendenti vorranno esaminarle con spirito conciliante, tenendo conto, nella misura del giusto e del possibile, come abbiamo detto altre volte, delle aspirazioni dei popoli e coordinando, ove occorra, i propri interessi a quelli comuni del grande consorzio umano. Sono queste le precipue basi sulle quali crediamo debba posare il futuro assetto dei popoli. Esse sono tali da rendere impossibile il ripetersi di simili conflitti e da preparare la soluzione della questione economica, così importante per l'avvenire di tutti gli Stati belligeranti. Lo stesso spirito di equità e di giustizia dovrà dirigere l'esame di tutte le altre questioni territoriali e politiche, specialmente quelle relative all'assetto dell'Armenia, degli Stati balcanici e dei paesi formanti parte dell'antico regno di Polonia al quale in particolare le sue nobili tradizioni storiche e le sofferenze sopportate durante l'attuale guerra debbono giustamente conciliare le simpatie delle Nazioni.
Nel presentarle pertanto a voi, che reggete in questa tragica ora le sorti dei popoli belligeranti, siamo animati dalla cara e soave speranza di vederlo accettate e di giungere quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale ogni giorno appare sempre di più una " inutile strage".
Tutti riconoscono, d'altra parte, che è salvo nell'uno e nell'altro campo l'onore delle armi: ascoltate dunque la Nostra preghiera, accogliete l'invito paterno che vi rivolgiamo in nome del Redentore Divino, Principe della Pace. Riflettete alla vostra gravissima responsabilità dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini: dalle vostre risoluzioni dipendono la quiete e la gioia di innumerevoli famiglie, la vita di migliaia di giovani, la felicità stessa dei popoli, che voi avete l'assoluto dovere di procurare. Vi ispiri il Signore decisi conformi alla Sua santissima volontà, e faccia che voi meritandovi il plauso dell'età presente, vi assicurate altresì presso le venture generazioni il nome di pacificatori. Noi intanto, fervidamente unendoci nella preghiera e nella penitenza con tutte le anime fedeli che sospirano la pace vi imploriamo dal Divino spirito lume e consiglio".
Pareva che la nota pontificia dovesse incontrare più o meno il favore dei belligeranti, specie dell'Austria con la quale in certo qual modo era stata concertata, e invece non fu così. "Il Governo tedesco - scrive il Gori - si dolse che la nota insistesse sul disarmo e desse come già convenute le cessioni in Alsazia-Lorena. Il Governo belga non ritenne adeguato al suo martirio e al suo zelo cattolico la mossa papale con lo scialbo accenno ai risarcimenti. Inghilterra e Francia giudicarono che il Papa, con il parlare d'indipendenza belga di fronte a qualsiasi potenza, autenticasse le accuse germaniche di essere stato il Belgio in precedenza un feudo inglese e francese. E ancora gli inglesi, che si stavano leccando già i baffi, non volevano sentir parlare di restituzione delle colonie tedesche.
In Francia i militari erano da qualche tempo già sicuri di portarsi via l'Alsazia-Lorena, e i massoni non intendevano doverne riconoscenza al Papa.
Infine i nordamericani, per cui la guerra rappresentava una colossale speculazione, partito il volano del "grande affare", soffrivano di dover smettere prima ancora di cominciare".
Neppure in Italia, accolsero con favore la nota papale se si escludano i giornali cattolici e con alcune riserve quelli socialisti; la nota servì a rafforzare l'opposizione a questa interminabile guerra che non aveva più nulla di romantico, che era un affare del tutto diverso dalle crociate garibaldine, che da qualche tempo era ormai priva di quella retorica cara agli interventisti.
La presa di posizione del papa, che dichiarava senza mezzi termini che la guerra era una "inutile strage", ebbe un effetto devastante sul morale degli italiani soprattutto cattolici e diede forza anche a quelli che erano poco cattolici ma facevano da qualche tempo propaganda per la cessazione del conflitto.
E questo in un momento in cui c'erano gravi crisi di sfiducia; vi erano contrasti fra i capi militari; c'era l'inasprimento della disciplina nell'esercito; era noto il rifiuto alle proposte di pace; e si stavano riprendendo le operazioni sui vari fronti.
Qualcuno poi ritenne responsabile il papa sia della rivolta di Torino (avvenuta tre settimane dopo), sia della disfatta di Caporetto.
Cadorna non ne fece mistero; e "uno dei massimi ufficiali del comando di Cadorna affermò che il papa doveva essere impiccato" (Martin Clark, Storia dell'Italia contemporanea, Bompiani, p.270)
Il Governo belga fu il primo a rispondere al Vaticano, ma si limitò ad accusare ricevuta della nota. Il Governo austriaco si mostrò molto intransigente riguardo alle rivendicazioni territoriali italiane. Il cancelliere germanico MICHAELIS, succeduto al Bethmann, il 21 agosto nella seduta della Commissione del Reichstag dichiarò che la Germania non poteva pronunciarsi senza previo accordo con gli Alleati, ma plaudì agli sforzi nobili del Pontefice di porre fine alla guerra.
L'Inghilterra, per mezzo della Santa Sede, chiese alla Germania che intenzione avesse circa l'indipendenza belga. Francia, Italia e Russia, cui si unì poi l'Inghilterra, stabilirono di non dare risposta alcuna alla nota pontificia.
La dette, invece, il 30 agosto, il presidente WILSON con tono quasi insolente che rendeva più aspro il rifiuto:
"Se ogni cuore che sanguina per l'orribile guerra - egli disse- deve essere tocco dall'appello del Papa, sarebbe tuttavia folle seguire la via di pace che esso indica, perché non conduce allo scopo ricercato. Trattare con l'attuale Governo della Germania è permettere ai suoi governanti, le cui trame sono state sventate ma che non sono ancora vinti, di riprendere le insidie e sollevare nel futuro i pericoli. La pace deve basarsi sulla fede dei popoli non sulla parola di un governo ambizioso ed intrigante".
La risposta del Presidente degli Stati Uniti fu accolta con grande favore in Italia da tutti coloro che erano per la guerra ad oltranza e il nome di Wilson fu portato alle stelle. Da allora, l'ammirazione per costui, presso l'Italia doveva crescere così tanto da diventare idolatria morbosa, ma non doveva trascorrere gran tempo e gli italiani si sarebbero accorti quanto fossero "folli" le loro illusioni riguardo al "santone" nordamericano, più "folli" ancora di quelle che il presidente rimproverava alla Santa Sede (l'umiliazione a Versailles, fece poi il resto)
L'AVIAZIONE E LA MARINA NELLA PRIMAVERA E NELL'ESTATE DEL 1917
Così i bollettini di guerra: "Intense furono le attività delle forze aeree e navali italiane durante l'offensiva della primavera e durante l'estate del 1917, più intensa nella prima un po' meno nell'altra. Inoltre essendo principalmente offensive di terra, la forza aerea fu un supporto prezioso.
La quinta arma aveva ormai assunto un'importanza capitale nella guerra. Essa fu impiegata sempre più largamente e -sollecitata- si perfezionò moltissimo proprio nel corso del conflitto, e conseguì un'efficienza così vasta per numero e bontà di macchine e per perizia e audacia di uomini che lo stesso nemico riconobbe francamente la superiorità della nostra aviazione.
"Il nemico cercò di gareggiare con noi, ma senza alcun successo e non arrecò tanti danni, nonostante i suoi sforzi. La prima azione aerea austriaca della primavera fu un'incursione di aeroplani su Gorizia, che fortunatamente non produsse vittime; danni ad alcune case produssero invece le bombe gettate da aeroplani austriaci, la sera del 4 aprile, su Grado e Monfalcone. Quattro giorni dopo una squadriglia di idrovolanti nemici portava a termine un'incursione sulla zona di Monfalcone, ma un apparecchio, colpito dal fuoco delle nostre batterie, precipitava presso Conegliano.
Il 13 aprile, aeroplani austriaci lanciarono bombe sull'idrovoro di Codigoro; il 20, alcuni idrovolanti bombardarono parecchie località del basso Isonzo; il 17, un gruppo di aerei nemici, appoggiati da siluranti e sommergibili, si avvicinò alla piazza di Venezia per eseguire una ricognizione in forze. Il pronto contrattacco di apparecchi italiani e francesi, unitamente ai tiri delle batterie, impedì agli aerei di portarsi sopra la città. Nei duelli aerei, svoltisi fino a grande distanza dalla nostra costa, fu abbattuto uno degli apparecchi nemici. Due nostri idrovolanti non fecero; purtroppo, ritorno alla base.
"Il 25 aprile, aeroplani nemici tentarono con insistenza delle ricognizioni e incursioni sul territorio italiano, dalla parte del Trentino, ma furono respinti dai tiri delle artiglierie e dall'aggressività dei nostri aviatori. Quello stesso giorno, idrovolanti austriaci lanciarono bombe su San Canziano. Il 28 furono lanciate bombe su Ala e Fiera di Primiero, il 30 su Valona e su alcune località del basso Isonzo.
Non meno attivi furono in maggio gli aviatori austriaci: il 2 lanciarono bombe su Codigoro, perdendovi un apparecchio, il 3 bombardarono Fogliano, Sagrado e Gorizia; il 4 le adiacenze di Castellammare adriatico; il 9 località del basso Isonzo, Cormons e un ospedaletto da campo in Romans, facendo otto vittime; il 10 Gorizia; l'11 Punta Solobba; il 12 Isole Morosini; il 13 Aquileia producendo danni alla millenaria basilica e al museo archeologico (con i suoi bimillenari reperti romani); il 13 tentarono un'incursione su Treviso, ma furono volti in fuga ed inseguiti uno degli apparecchi fu raggiunto e abbattuto presso Feltre dal capitano DOMENICO BOLOGNESI; il 26 lanciarono bombe su Grado; il 27 su località del basso Isonzo, facendo qualche vittima, e su Chiusaforte (Val Fella); e il 31 su Udine e Cervignano.
" Intensa continuò la loro attività in giugno: il 2 tentativi nemici d'incursione nel Trentino furono respinti; il 3 lanciarono bombe su Codigoro e nelle vicinanze di Venezia; la notte del 5 su Monfalcone e ancora su Venezia; il 7 su Aquileia, Cervignano e Portogruaro, mentre falliva, nel basso Adriatico un attacco contro un dirigibile e un tentativo d'incursione su Brindisi; il 17 bombardarono Gorizia; il 30 Venezia e Chioggia.
Il 7 luglio un'incursione su Valona fu respinta; l'11 aeroplani nemici lanciarono bombe su Cividale del Friuli, producendo vittime e danni; il 16 furono lanciate bombe fra l'Isonzo e il Carso; il 27 su Grado; il 28 su Termoli, sull'isola di Tremiti, su Grado e su Cervignano; il 3 agosto su località del basso Isonzo; il 4 su centri abitati fra l'Isonzo e il Tagliamento; il 9 su Grado; l'11 su Tremiti e Brindisi; il 14 su Venezia uccidendo e ferendo molte persone, fra cui alcune ricoverate in un ospedale.
" Di gran lunga maggiore fu l'attività delle forze aeree italiane e più grande l'efficacia della loro azione. Il 26 marzo una squadriglia bombardò accantonamenti nemici in Vallarsa, nei pressi di Geroli; il 4 bombardammo il campo d'aviazione dl Prosecco e i fabbricati del Lloyd austriaco presso Trieste; la notte del 7, baraccamenti e depositi nemici presso Rifenberga e Mesari, in Val Branizza; il 13 le stazioni di Prebacina e Volcia Draga; il 16 in combattimento aereo sul cielo di Ternova fu abbattuto un apparecchio nemico; il 17 furono lanciate bombe su Chiapovano; il 18, baraccamenti austriaci presso Chiapovano, Dorimberga e Comeno; il 19 sulla stazione e il nodo ferroviario di Opicina; il 20 ancora su Chiapovano; il 21, prima con una squadriglia di aeroplani, poi con un dirigibile, il centro ferroviario tra Prebacina e Dorimberga; il 24 fu abbattuto un velivolo nemico; il 25 un dirigibile rovesciò 600 chilogrammi di esplosivo su magazzini e baraccamenti presso Nabresina e altri aeroplani delle brillanti ricognizioni su Bressanone e Franzenfeste (Valle Isarco). Quel giorno, in combattimento aereo, fu abbattuto un aeroplano nemico che cadde nelle vicinanze di San Martino del Carso. Uno degli aviatori rimase ucciso, l'altro fu ferito e catturato. II 30 aprile due idrovolanti bombardarono il campo nemico d'aviazione presso Trieste.
" Attivissima fu nel mese di maggio l'aviazione. II 1° bombardamento della stazione di Opicina; la notte del 3 gli impianti ferroviari presso Sesana; il 9 gl'impianti ferroviari di Rifenberga; la notte del 10 il campo di aviazione di Prosecco; l'11 gli impianti ferroviari di San Daniele; mentre nello stesso giorno un Caproni si spinse su Pola e con getti di bombe provocò incendi nell'arsenale; il 12 ancora il campo di Prosecco con l'abbattimento di un aereo austriaco presso Gorizia; il 13 in combattimenti aerei sul medio Isonzo furono abbattuti due aeroplani austriaci, uno dei quali dal famoso tenente FOLCO RUFFO di Calabria; furono bombardati l'arsenale del Lloyd, lo stabilimento di San Saba, presso Trieste, e un convoglio vicino Capo Salvore; il 14, alcuni velivoli bombardarono baraccamenti nemici nelle vicinanze di Chiapovano e una forte squadriglia lanciò circa 200 bombe su accampamenti e convogli poi, abbassandosi a 500 metri mitragliò e scompigliò truppe nemiche; il 15 le retrovie austriache furono meta d'incursioni e nella notte, con un'aeronave; un'altra incursione la notte del 16 con un dirigibile nella Valle del Frigido e nella notte del 17 un altro dirigibile bombardò accampamenti nemici ad oriente di Gorizia; il 18 alcune squadriglie bombardarono accampamenti ad est di Canale e nella conca di Gargaro e furono abbattuti due apparecchi avversari; il 19 un altro aeroplano abbattuto in un combattimento aereo su Feltre. Il 20 un apparecchio lo abbatté il maggiore PIER RUGGIERO PICCIO e un altro il capitano BARACCA che riportava, in un mese e mezzo, la sua undicesima vittoria. La notte sul 21 un'aeronave bombardò le retrovie nemiche presso Vogrisca.
" Durante l'offensiva italiana del maggio, grande fu il concorso prestato all'esercito dalla nostra aviazione: 140 aeroplani - come in altra parte di questi riassunti abbiamo già accennato - accompagnarono l'azione della fanteria sul Carso; ai valorosi che facevano parte delle squadriglie, GABRIELE D'ANNUNZIO, prima del volo, aveva lanciato il seguente proclama:
"Aviatori italiani, guardie alate del nostro cielo, precursori aerei dei nostri eserciti sopra il suolo che occupammo e che occuperemo, per celebrare il 2° anniversario della giusta guerra, siete oggi eletti a una più vasta e ardua impresa. Per due anni di durissime prove, superando ogni giorno voi stessi nell'arte e nella prodezza, ogni giorno crescendo di esperienza e di potenza in combattimenti singolari, in scorrerie di squadriglie, in esplorazioni sempre più lontane, in mettere a guasto le opere, in dar continuo travaglio alle forze nemiche, in sopperire con l'audacia ostinata alla scarsezza dei mezzi e alle avverse fortune, voi avete costruita, istruita, invigorita l'ala d'Italia, l'avete fatta pari alla severità di quel comandamento che grida al coraggio di ciascuno e di tutti".
"Più alto e più oltre. Compiendo un lavoro pacato nel rischio mortale, ai nostri fratelli che patiscono e lottano nell'Alpi e nel Carso voi fornite ogni giorno la figura esatta del terreno dove avanzano con quel duplice valore che vince a un tempo l'inimicizia della natura e dell'uomo. Siete gli occhi che scoprono, le mani che colpiscono, le ali che annunziano l'Italia assunta portando il tricolore nell'altezza come bandiere tese. La vostra apparizione infiamma la quotidiana speranza nelle genti nostre che aspettano. Domani alla loro ansia uno dei vostri stormi si trasfigurerà in un volo improvviso di vittorie sprigionate dal marmo trionfale degli archi di Roma. Perché un tale voto si assolva, oggi si chiede alla vostra devozione uno sforzo che superi le prove compiute. E' indetta la grande adunata delle ali di guerra sopra la linea del fuoco, nell'ora medesima in cui le nostre fanterie eroiche si scaglieranno all'assalto. Il rombo ritmico accompagnerà dall'aria le ondate impetuose. E sia, per l'ardore dei nostri fratelli ammirabili, incitante come il rullo abolito dei tamburi, come lo squillo vietato delle trombe. Per la prima volta la battaglia sarà combattuta in terra e in cielo con la volontà unanime di vincere e, nel volo e nell'impeto, il respiro della battaglia avrà l'ampiezza della nostra luce.
"Ciascuno di voi raccolga tutte le sue virtù e le sollevi all'apice della sua fede. Ciascuno sia pari all'altro nell'attenzione acuta e indefessa: il meccanico che intona il motore e il pilota che impugna il volante, il bombardiere che esamina l'innesco delle sue bombe e il mitragliere che regola la sua arma delicata. V'è una specie d'eroismo nella chiusa officina, come ve n' è nello spazio libero. Quella non è meno nobile di questa, davanti alla santità della Patria, che non misura l'amore né il sacrificio riconoscendoli e accettandoli. Oggi, più che ieri, ciascuno sia pronto a operare secondo le sue forze e oltre, con una sagacia che aguzzi l'ardire; cosicché il soffio della vittoria passi con voi sopra i fronti dei combattenti e voi siate degni di recare il primo massaggio di là dalla morte che non temeste mai".Il 24 maggio attivissima fu la guerra aerea; squadriglie di velivoli bombardarono la stazione di Santa Lucia di Tolmino e le retrovie nemiche del Carso, con effetti assai efficaci. In combattimenti aerei furono abbattuti 3 velivoli, uno dall'aspirante BARACCHINI, uno dal sottotenente LUIGI OLIVARI che riportava la sua decima vittoria e uno dal sergente ARRIGONI, che era alla sua quinta vittoria.
Il 25, in combattimento aereo fu abbattuto un apparecchio nemico; sulle retrovie avversarie della fronte Giulia volarono numerosi nostri aviatori, bombardando impianti ferroviari, depositi e batterie e mitragliando truppe nemiche in marcia. Il 26 fu bombardata, ancora la stazione ferroviaria di Santa Lucia di Tolmino; un aeroplano nemico, colpito dalla nostra artiglieria, precipitò in fiamme presso Vertoiba, un altro cadde nella regione di Britovo, vinto da un vivace duello col tenente RUFFO di Calabria che era così alla sua nona vittoria. Nel mattino del 28, nel cielo di Gorizia, dopo lungo combattimento, il maggiore POERIO e il tenente OLIVI riuscivano ad abbattere un Albatros che cadde ad est del San Marco, conquistando il primo la sua seconda vittoria, l'altro la quinta.
Nella notte del 31, in seguito ad un'incursione nemica sulle nostre retrovie, le squadriglie italiane di idrovolanti dell'Alto Adriatico si sollevarono immediatamente in volo per eseguire dalle 21 alle 23 il bombardamento dei cantieri del Lloyd e di Opicina. I velivoli bersagliarono altresì una squadriglia nemica di cacciatorpediniere che trovò scampo dirigendosi a tutta forza lungo la costa verso Trieste. Numerosi combattimenti si svolsero il 30 nel cielo di Gorizia "dove i nostri aviatori respinsero tentativi di incursioni sulla città; uno dei velivoli nemici fu abbattuto presso Aisovizza. Anche le nostre squadriglie aeree da bombardamento, scortate da velivoli da caccia, furono assai attive
impianti militari, campi d'aviazione, depositi e nodi ferroviari furono con successo bombardati lungo la costa da Duino a Opina"."Il 3 giugno nostre squadriglie bombardarono baraccamenti ed ammassamenti di truppe in Santa Lucia di Tolmino e Chiapovano e la stazione ferroviaria di Rifenberga. Un velivolo nemico fu abbattuto dal nostro tiro presso il Monte Zebio. Un altro apparecchio austriaco, a nord-est di Plava, precipitava in fiamme sotto i colpi del capitano BARACCA; un terzo fu abbattuto dal BARACCHINI ad est di Vertoiba; un quarto infine, grazie al concorso del sottotenente OLIVARI e del sergente POLI, fu costretto ad atterrare alle falde del San Daniele.
"Nella notte sul 5 giugno, nostre squadriglie da bombardamento, nonostante il violento tiro della difesa nemica, rovesciarono oltre due tonnellate di alto esplosivo sulla stazione ferroviaria di San Pietro, nella linea Trieste-Lubiana; un aeroplano austriaco, colpito dai nostri tiri, fu costretto ad atterrare precipitosamente presso Moos, in Val di Sexten, ed un altro fu abbattuto in combattimento tra il Vodice e Monte Santo.
Ardite incursioni compirono, il 6, due nostre squadriglie da bombardamento: una, risalita la valle dell'Adige fino alla sua confluenza con quella del torrente Noce, bombardò efficacemente impianti militari presso Mezzolombardo, a nord di Trento; l'altro rinnovò la distruzione del nodo ferroviario di San Pietro sulla linea di Lubiana."Nel pomeriggio dell'8 giugno un aeroplano austriaco in ricognizione sulle nostre posizioni dell'alto Val Furva (Valtellina) fu abbattuto sulla vedretta di Cedeo dai tiri delle nostre mitragliatrici. Il 10, mentre le nostre fanterie iniziavano l'offensiva sull'altopiano d'Asiago, squadriglie aeree, vincendo gravissime difficoltà atmosferiche, bombardarono nella zona delle alte valli dell'Astico é dell'Assa le retrovie del nemico e le sue numerose batterie pesanti. Il giorno dopo, numerosi nostri idrovolanti effettuarono successive incursioni sopra Durazzo, gettando molte bombe sugli hangar, sui pontili di lancio, sulle batterie e sui fabbricati militari. Due velivoli nemici uscirono per tentare un contrattacco, ma uno di loro non riuscì a sollevarsi, mentre l'altro si mantenne a bassa quota facendo evoluzioni sopra la rada senza tentare alcuna azione.
"Il 14, in combattimento aereo, furono abbattuti due aeroplani nemici sul rovescio di Monte Verena e nella valle del torrente Maggio; altri due furono costretti ad atterrare nelle loro linee in Valsugana; un quinto, colpito dai nostri tiri, precipitò sul rovescio di Monte Zebio. Dei primi due uno fu abbattuto dal sergente NARDINI, l'altro dal caporale NIGELLI.
Ancora il 14, nostre squadriglie da bombardamento, scortate da apparecchi da caccia, lanciarono 1800 chilogrammi di proiettili su baraccamenti ed accampamenti nemici nella zona di Santa Lucia di Tolmino e nella valle del torrente Bazza. Il 16, colpito dall'artiglieria nemica, cadeva sul Polounik un nostro apparecchio, montato dai tenenti FRANCESCO ALLIAGA e ANGELO VILLANI. Il 17 il tenente BONAVOGLIA abbatté presso Ranziano un Albatros austriaco e un altro ne abbatté sulle linee nemiche di Merna il tenente OLIVI, che riportava così la sua sesta vittoria, ma alcune ore dopo, recatosi a fotografare l'apparecchio abbattuto, per un guasto al motore, precipitò al suolo, rimanendo ucciso.
Nella notte due nostre aeronavi bombardarono con successo ammassamenti di truppe intorno a Tolmino e le batterie dell'Hermada.
Il 18, furono felicemente compiute importanti ricognizioni dalle forze aeree italiane sulla costa nemica. Una sezione di idrovolanti, spintasi sopra Parenzo, vi bombardava con successo la stazione di aviazione. Un velivolo nemico, che si era alzato a dar caccia, fu dal tiro dei nostri obbligato a precipitosa fuga. Nella notte sul 13 un'aeronave della nostra marina ritornava su Parenzo e ribombardava efficacemente la medesima stazione e le batterie, nonostante il vivo fuoco della difesa antiaerea locale.
" Il 19 un aeroplano austriaco fu costretto dai nostri aviatori ad atterrare presso Aisovizza e un altro fu abbattuto sul rovescio del San Marco. Il 23, in seguito a combattimento aereo, un apparecchio austriaco fu costretto ad atterrare presso Monte Armentera. Il 25, un aeroplano nemico, abbattuto dal fuoco delle nostre batterie, cadde nelle linee austriache a nord di Asiago. Nella notte, una nostra squadriglia bombardò gli impianti militari di Nabresina e di Prosecco.
Il 28, nel cielo di Gorizia, il maggiore PICCIO assaliva due apparecchi nemici, abbattendone rapidamente uno a colpi di mitragliatrice. Si volgeva quindi contro l'altro che, approfittando del duello impegnato, lo aveva a sua volta attaccato, e lo costringeva ad atterrare nella Valle del Vipacco. Furono rispettivamente la terza e la quarta vittoria del maggiore Piccio.
" La notte sul 1° luglio, a ritorsione di un'incursione aerea nemica effettuata contro Venezia la notte precedente, nostri idrovolanti attaccarono la zona industriale di Trieste. Il 30 giugno, ad oriente di Gorizia un nostro aeroplano abbatté un apparecchio avversario e ne costrinse un altro ad atterrare. Una nostra squadriglia bombardò efficacemente baraccamenti nemici a Malchine, nella zona dell'Hermada.
Dall'inizio della guerra al 4 luglio del 1917 - secondo una statistica del "Giornale d'Italia" -noi avevamo abbattuti 167 aeroplani austriaci. Fra i nostri aviatori primeggiavano il capitano FRANCESCO BARACCA e il sottotenente OLIVARI, che fino allora avevano abbattuti dodici apparecchi ciascuno; 9 ciascuno ne avevano abbattuti il tenente FALEO RUFFO di Calabria e l'aspirante BARACCHINI; 6 il tenente OLIVI e il sergente MARIO STOPPOLONI; 5 il tenente FERRUCCIO ROSA e il sergente BARTOLOMEO ARRIGONI; 3 il maggiore PIER RUGGERO POERIO, il maggiore EGIDIO CONTI, il tenente GASTONE NOVELLI, il tenente VIRGILIO SABA e il soldato EMILIO SALOTTO; due ciascuno il maggiore GUIDO TACCHINI, il capitano DOMENICO BOLOGNESI, il sottotenente FRANZ di RUDINÌ, l'aspirante PIAGGIO, i sergenti GIUSEPPE TESCI, GIOVANNI MENEGONI, ANSELMO CASELLI, OTELLO VENCHIARENTI, GOFFREDO GORINI ed EMILIO POLI e i caporali GUIDO NARDINI e NOVELLI; uno ciascuno i capitani MICHELE MARTINELLI, MARIO AYMONE-CAT, MARIO UNGANIA E GORI LUIGI; i tenenti GIULIO FRANCIOSINI, GIOVANNI CASTIA, GIUSEPPE MICHELI, ALESSANDRO BUZIO, MARIO DE BERNARDI, ENRICO LANDI, RIGONI, IGNAZIO THAON DI REVEL, BONAVOGLIA, BAGGIO e UMBERTO FIORETTI; i sottotenenti PIER CARLO TAGLIONI, VINICIO MURARO, VINCENZO LIOY, RENATO ROSSETTI, GINO GRAZIANI, NICOLAO CENA, RICCARDO DE PAOLINI, SALVATORE NAVARRA, ENRICO MAZZETTI, VITTORIO ZANNINI, CARLO SAVIO, VIRGINIO APPIANI, FRANCESCO BROILI e PASQUALI; l'aspirante PIAGGIO, il maresciallo FELICE TORELLI, i sergenti TERSILIO TALIANI, ALESSANDRO RESCH, PIETRO FERRI, GINO BEVILACQUA, GIUSEPPE LOCATELLI, GUIDO CONSONNI, ERNESTO CANELLI, MARIO BORGHI, DOMENICO CACCIATORI, ALBERTO BARDUCCI, TERNO MACCHI, CHIARI E LEONARDI; i caporali GUIDO SOBRERO, AUGUSTO VOLA, GIOVANNI SBARAGLIA, ALESSANDRO BORELLO E FERRARI, e i soldati VLADIMIRO ZABELLI, ETTORE BRAIDO, EMILIO BLESSO, LUIGI MAURIZIO, GINO GHIRETTI, MASSIMO CHIAPPERATTI, PIETRO ARLUMEO, MASSIMO BIANCHETTI, ALDO BURATTI, ETTORE D'ARDUIN.
"Nel pomeriggio del 6 luglio una nostra squadriglia da bombardamento scortata da apparecchi da caccia volò su Idria e lanciò due tonnellate e mezza di proiettili sugli impianti militari per l'estrazione del mercurio, producendovi distruzioni ed incendi. Sul Carso, in seguito a combattimenti aerei, due aeroplani nemici precipitarono nelle nostre linee e un terzo nelle linee avversarie. Di questi tre apparecchi, il primo fu abbattuto dal capitano BARACCA (13a vittoria), il secondo dal sottotenente SANBONOT, il terzo dal sergente RIZZOTTI.
L'11, un aeroplano austriaco fu abbattuto e precipitò fra Temnizza e Uschizza; un altro cadde, il 13, fra Miramare e Trieste, e un terzo il 14 ad est di Castagnevizza ebbero ragione di loro il tenente RUFFO (12a vittoria), il sergente RIZZOTTO (3a vittoria) e il sergente ALASSIA.
Il 13 e il 14 furono eseguite ricognizioni su Pola e furono lanciate bombe su siluranti nemiche presso la costa istriana.
"Il 16, una poderosa squadriglia da bombardamento, comandata dal capitano GIACOMO BARUCCHI e scortata da apparecchi da caccia, eseguì un'incursione sulle retrovie nemiche ad est di Selo; numerose truppe furono scoperte ed efficacemente battute. I nostri apparecchi, che per il lancio delle bombe erano discesi a quota bassa, rientrarono tutti incolumi, sfuggendo al tiro austriaco, abbattendo uno dei velivoli avversari levatisi in caccia e respingendo gli altri. Nello stesso giorno 18 idrovolanti della Marina eseguirono un bombardamento su Durazzo: furono colpiti con bombe un pontile, un hangar, un piroscafo nel molo, edifici militari e una batteria austriaca.
Il 17 il tenente RUFFO di Calabria abbatté il 13° aeroplano sull'altipiano di Ternova e il sottotenente BARACCHINI riportò la sua l0a vittoria presso Tolmino. Un altro velivolo nemico abbatté, il 18, il sergente NARDINI (3a vittoria) sull'Altipiano di Asiago.
Il 20, nel cielo di Oppacchiasella, il tenente RUFFO assalì una squadriglia, di cinque aeroplani nemici e ne abbatté due, mettendo in fuga gli altri e conquistando la sua 14a vittoria. La notte sul 23 nostre aeronavi bombardarono efficacemente le batterie. nemiche dell'Hermada e impianti ferroviari del tronco Opcina-Grabovica; il 24 due nostre squadriglie bombardarono i baraccamenti militari e gl'impianti ferroviari a San Daniele del Carso; la notte sul 26 una nostra aeronave rovesciò una tonnellata di alto esplosivo sugli impianti ferroviari di Santa Maria di, Tolmino.
"La notte sul 28 una nostra aeronave lanciò una tonnellata di bombe sui baraccamenti di Bazza di Modrea. Alcune ore dopo, dieci nostri aeroplani da bombardamento, scortati da caccia, rovesciarono tre tonnellate di bombe sugli impianti minerari di Idria, che, poco dopo, furono colpiti una seconda volta da un'altra squadriglia di nostri apparecchi da cui furono lanciate altre tre tonnellate di esplosivo. La sera del 28, un terzo gruppo di aeroplani rinnovò il bombardamento rovesciando tre tonnellate e mezza di bombe. Numerosi ed accaniti combattimenti furono sostenuti dai nostri apparecchi da caccia. Il maggiore PICCIO assalì ben 8 apparecchi nemici, li tenne tutti in rispetto, ne contrattaccò tre e ne abbatté uno (6a vittoria). Un altro ne abbatté il sergente ALIBERTI. Nel cielo della Bainsizza il sottotenente BARACCHINI, quel giorno, riportò la sua 11a vittoria.
Il 30 sulla fronte Giulia un aeroplano austriaco, colpito da un nostro aviatore, precipitò ad Oriente di Tolmino; il 31 il capitano BARACCA guadagnò la 14a vittoria facendo precipitare in fiamme presso il Podgora un apparecchio nemico, il 2 i tenenti RANZA e PARVIS abbatterono un Albatros presso Ovcia Draga; il 3 di agosto il maggiore Piccio riportò l'8a e 92 vittoria abbattendo nel cielo di Tolmino, due velivoli austriaci e il capitano BARACCA abbatté il 16° presso Wocheiner Freistritz. La notte sul 3 nostre squadriglie bombardarono efficacemente l'arsenale e le opere militari di Pola, su cui la notte successiva furono lanciate otto tonnellate di bombe ad alto esplosivo, che causarono vaste distruzioni e violenti incendi. Un idrovolante nemico, colpito dal nostro fuoco, precipitò, il 5, nel Po: gli austriaci furono catturati.
"Il 6 e 7 nostre squadriglie da bombardamento, nonostante un nutritissimo fuoco austriaco, rovesciarono quattro tonnellate di bombe ad alto esplosivo su baraccamenti militari nemici nella Valle di Chiapovano, causandovi vaste rovine. Uno degli apparecchi di scorta fu colpito dal tiro nemico, ma riuscì ad atterrare felicemente in territorio nazionale.
La mattina del 3, nostre squadriglie, persistendo nell'operazione iniziata il giorno 6, si portarono sulla Valle di Chiapovano provocando con getto di numerose bombe, nuove distruzioni ed incendi in quegli impianti militari. Il vivacissimo fuoco delle difese raggiunse gli apparecchi e ne colpì qualcuno, ma, i nostri bravi aviatori seppero ricondurli tutti ai propri campi. La notte sul 9, alcune nostre squadriglie di nostri velivoli da bombardamento rinnovarono l'attacco degli impianti militari di Pola. In condizioni di luce favorevoli i nostri aviatori colpirono efficacemente quell'arsenale e la flotta nemica all'ancora, perfettamente visibile, con otto tonnellate di bombe ad alto esplosivo; poi sfuggendo all'intenso tiro austriaco e respinti gli idrovolanti nemici levatisi in caccia, fecero tutti ritorno ai propri campi.
"I baraccamenti e gli impianti militari della Valle di Chiapovano tornarono ad essere bombardati da nostre squadriglie il 10 e il 12, con circa sette tonnellate di granate incendiarie e bombe-torpedini che colpirono in pieno gli obiettivi. Aeroplani avversari 1evatisi per attaccare i nostri, furono messi in fuga. Il 7, l'8 e il 10 tre aeroplani austriaci furono abbattuti dai nostri aviatori: il primo ad ovest di Flondar, il secondo presso Tolmino dal sottotenente BARACCHINI (12a vittoria), che rimase ferito al viso, il terzo ad oriente del Dosso Faiti.
Il 14 agosto quindici aerei nemici attaccarono Venezia. Il fuoco delle nostre artiglierie e il pronto attacco delle nostre squadriglie, alle quali se ne unì una francese, abbatté quattro apparecchi austriaci e tre idrovolanti costrinse a scendere in mare; di due di questi ultimi furono fatti prigionieri gli aviatori.
Le nostre squadriglie, dopo aver inseguito gli apparecchi nemici, colpendo con una bomba uno dei loro cacciatorpediniere di scorta, proseguivano per la costa nemica bombardando, con visibile efficacissimo risultato, gli hangars di Parenzo.
Nel periodo che comprendeva la primavera e l'estate del 1917, durante il quale una settantina circa di nostri piroscafi e quasi 150 velieri furono silurati dai sommergibili austriaci, l'attività della nostra marina da guerra non fu appariscente. Fu però continua e logorante, com'era stata nel primo anno di guerra, e fors'anche di più dopo l'inasprimento della lotta con i sottomarini. Noi dovemmo lottare e con i nostri stessi alleati che volevano toglierci la direzione delle operazioni navali nell'Adriatico, e col nemico, il quale dai covi sicuri della sua costa sguinzagliava verso il Mediterraneo i suoi sommergibili.
" Noi avevamo sbarrato il canale d' Otranto con numerosi piccoli piroscafi britannici da pesca (drifters) trainanti lentissimamente lunghe tratte di reti metalliche immerse, dalle maglie cosparse di bombe. Poiché non era possibile coprire con i drifters tutta la zona di mare compresa tra la costa italiana, quella albanese, il parallelo di Otranto e quello di Santa Maria di Leuca, il viceammiraglio THAON DI REVEL, successo, nei primi del febbraio del 1917, al Duca degli Abruzzi nel comando di tutta l'Armata, sostenne la necessità di uno sbarramento fisso mediante una grandiosa rete distesa verticalmente fra la riva italiana e quella albanese; ma gli alleati furono per allora contrari alla nostra proposta, che doveva aspettare un anno ancora prima di essere approvata ed attuata, e si mantenne lo sbarramento mobile, sorvegliato e sostenuto da unità delle flotte alleate.
Contro questo sbarramento, nella metà di maggio del 1917, il comandante in capo della flotta austroungarica, ammiraglio NIEGOVAN, succeduto all'Hans che era morto sul finire del 1916, fece eseguire un'incursione che aveva lo scopo di distruggere il maggior numero possibile di drifters.
"Tre esploratori nemici, il Novara, il Saida, e l'Helgoland, uscendo da Cattaro verso il tramonto del giorno 14 maggio, dovevano giungere all'alba del 15 sul parallelo di Otranto a 10 miglia circa dalla costa nostra e qui separarsi per dirigersi su tre punti diversi della congiungente Santa Maria di Leuca, isola di Fano e attaccare tutti i drifters che avessero incontrati; alle ore 7 dovevano riunirsi a quindici miglia a ovest da Capo Linguetta (Valona); quindi si sarebbero diretti verso Cattaro. Contemporaneamente agli esploratori dovevano uscire da Cattaro i cacciatorpediniere Csepel e Balaton, i quali dovevano dirigere sul punto quindici miglia a ovest di Saseno, quindi, rastrellata la zona circostante che soleva essere attraversata dai nostri convogli, i quali andavano da
Taranto e Brindisi a Valona e Santi Quaranta, passare alle 6,15 del punto di riunione fissato per gli esploratori e, senza aspettarli, proseguire per Cattaro, precedendoli, sulla via del ritorno, di tre quarti d'ora e cioè 20 miglia circa. Queste forze dovevano essere aiutate da tre sommergibili, dei quali uno in agguato presso Capo Linguetta, il secondo a venticinque miglia da Brindisi sulla congiungente Brindisi-Punta d'Ostro, il terzo in agguato presso Brindisi. Il servizio di ricognizione e d'informazione era affidato agli idrovolanti di Durazzo e di Kumbor. In riserva, a Cattaro, dovevano rimanere l'incrociatore corazzato Sankt Georg, la nave di linea Budapest, due cacciatorpediniere e alcune torpediniere.
"Quella notte un convoglio di tre piccoli piroscafi italiani scortati dal cacciatorpediniere Borea era in rotta da Gallipoli per Valona e navigava alla velocità di 6 miglia per giungere alle 7 del mattino a Capo Linguetta. Inoltre a nord del parallelo di Otranto incrociavano l'esploratore Mirabello e tre cacciatorpediniere francesi, i quali dalle 24 alla una dovevano percorrere il parallelo di Capo Linguetta, poi dovevano navigare a nord fino a Capo Poli e, invertita la rotta, trovarsi alle 7 sul parallelo di Saseno a una quindicina di miglia dall'isola.
Il gruppo degli esploratori austriaci, entrato nella zona dello sbarramento mobile, dalle 4 alle 5,30 affrontò tutti i drifters che riuscì ad incontrare e ne affondò 18, quindi si diresse verso il punto fissato per la riunione. I due cacciatorpediniere Csepel e Balaton ebbero eguale fortuna: verso le 3 incontrarono il nostro convoglio e, dopo breve azione, affondarono il Borea un piroscafo e danneggiarono gli altri due piroscafi, che più tardi furono da nostre unità rimorchiati a Valona.
La stazione di vedetta di Saseno, udito il cannoneggiamento, diede l'allarme a Brindisi, donde, alle 4,30 uscivano l'esploratore inglese Bristol e due cacciatorpediniere italiani e alle 5,30 l'esploratore britannico Darmouth, due altri cacciatorpediniere e l'esploratore veloce italiano Aquila che si diressero verso il golfo del Drin con l'intenzione di tagliare la ritirata ai cacciatorpediniere Csepel e Badaton.
"Anche il Mirabello e i tre cacciatorpediniere francesi furono avvertiti della presenza delle navi nemiche e ricevettero ordine di navigare verso sud, incontro a loro. Poco dopo le sette il gruppo Mirabello avvistò il Novara, il Saida e l'Helgoland e, dopo uno scambio di cannonate, si tenne a vista del nemico fino a che il Mirabello, per la presenza di acqua nella nafta, non fu costretto a ridurre la sua velocità.
Alle 7,40 il gruppo Bristol, Darmouth, Aquila e cacciatorpediniere avvistò l'Osepel e il Balaton che navigavano verso Cattaro, precedendo di venti miglia i tre esploratori austriaci. Allora i due esploratori inglesi si diressero verso la costa albanese per chiudere al nemico la via del ritorno; l'Aquila e i quattro cacciatorpediniere italiani attaccarono le due navi nemiche.
Il combattimento sarebbe finito certamente con la vittoria nostra, se un colpo avversario non avesse sfortunatamente colpito in una caldaia l'Aquila immobilizzandolo. Di questo fatto, approfittarono i cacciatorpediniere austriaci per ripiegare a tutta forza verso Durazzo e mettersi sotto la protezione di quelle batterie dopo essere stati inutilmente inseguiti da due dei quattro cacciatorpediniere italiani. Gli altri rimasero a difesa dell'Aquila.
Verso le 9, il Darmouth e il Bristol avvistarono i tre esploratori nemici, che si dirigevano verso l'esploratore Aquila, e spalleggiati dai cacciatorpediniere nostri, non appena vennero a tiro, aprirono il fuoco producendo non lievi danni al Novara e colpendo in varie parti l'Helgoland e il Saida, quindi si diedero ad inseguire verso Cattaro le tre navi nemiche le quali però procedevano con maggiore velocità.
Intanto era uscito da Brindisi l'incrociatore Marsala con l'esploratore Racchia e tre cacciatorpediniere italiani e, navigando alla massima velocità, si dirigeva verso le due navi inglesi, mentre da Cattaro, a sostenere, la ritirata dei tre esploratori inseguiti, usciva il Sankt Georg con due cacciatorpediniere e, alcune torpediniere e si preparava ad uscire il Budapest.
Il gruppo Darmouth-Bristol, informato dell'uscita del Sankt Georg, trovandosi in condizione di netta inferiorità, sospese l'inseguimento, ma lo riprese verso le 11,30 quando si congiunse con il gruppo Marsala. La situazione era propizia alle forze alleate, ma queste, sia per l'avvicinarsi del Sant Georg, sia, per la prossimità della base navale avversaria, sia per la scarsa velocità del Bristol, non ritennero opportuno insistere nell'inseguimento e ingaggiar battaglia e, ripiegarono su Brindisi lasciando che i tre esploratori austriaci, dei quali il Novara tratto a rimorchio dal Saida, facessero ritorno a Cattaro accompagnati dal Sankt Geory.
Sulla via del ritorno il Darmozrth fu silurato dal sommergibile tedesco U 25, ma riuscì a raggiungere Brindisi a rimorchio. Affondò invece nell'uscire da Brindisi per avere urtato in una delle mine poste in quelle acque dallo stesso sommergibile nemico, il cacciatorpediniere, francese Boutefeu. L'aviazione si mostrò attivissima sia nella ricognizione sia nel bombardamento, ma inefficace fu il lancio delle bombe degli idrovolanti delle due parti sulle unità navali.Fatto questo bilancio delle azioni aeree e navali nel primo periodo dell'offensiva, noi ora dobbiamo tornare ai primi di agosto e precisamente alla
...infausta "battaglia della Bainsizza" > > >
Fonti, citazioni, testi, bibliografia
Prof.
PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - (i 5 vol.)
Nerbini 1930
TREVES - La
guerra d'Italia nel 1915-1918 - Treves. Milano 1932
A. TOSTI - La guerra Italo-Austriaca, sommario storico, Alpes 1925
COMANDINI - L'Italia nei cento
anni - Milano
STORIA D'ITALIA Cronologica 1815-1990
-De Agostini
CRONOLOGIA UNIVERSALE - Utet
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
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