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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1915 (6)

GRANDE GUERRA - PRIMO MESE DI GUERRA - PRIME OPERAZIONI (2)

INCURSIONI AEREE AUSTRIACHE - LE OPERAZIONI DI GUERRA DAL 13 AL 23 GIUGNO: LA CONQUISTA DEL MONTE NERO; FLAVA - L'OPERA DELLA MARINA ITALIANA NEL PRIMO MESE DI GUERRA - IL PAESE E IL GOVERNO NEL PRIMO MESE DI GUERRA - IL DISCORSO DEL CANCELLIERE BETHMANN HOLLWEG E LA RISPOSTA DELL'ON. SALANDRA - IL COMITATO GENERALE PER L'ASSISTENZA CIVILE - GARA DEI CITTADINI ITALIANI NELL'OPERA DI ASSISTENZA - I VOLONTARI - LE DONNE - I GIOVANI ESPLORATORI - IL SECONDO PRESTITO NAZIONALE - RIORGANIZZAZIONE DELLA VITA NEI PAESI LIBERATI - TERRORISMO AUSTRIACO - LA PASSIONE DELLE CITTÀ ITALIANE SOGGETTO AL NEMICO


Bombe austriache su Venezia. Un'inutile terroristico scempio !

INCURSIONI AEREE AUSTRIACHE
LE OPERAZIONI DI GUERRA DAL 13 AL 23 GIUGNO
LA CONQUISTA DEL MONTE NERO; PLAVA

Il paese, in verità, mostrava una calma maggiore di quella che il nemico potesse credere, né a sminuirla valevano le incursioni aeree, fatte non per raggiungere obbiettivi militari, ma per atterrire le popolazioni e fiaccare la resistenza interna. Così, mentre noi bombardavamo il 30 maggio e il 6 giugno, con un dirigibile, la stazione, il deposito di nafta e l'arsenale di Pola con una squadriglia aerea, il 31 maggio, il cantiere di Monfalcone, con il dirigibile M. 2 alcune torpediniere nelle acque di Sebenico e con un altro dirigibile, l'8 giugno, gli stabilimenti militari di Fiume, gli Austriaci lanciavano, il 31 maggio, bombe su Bari, Brindisi e Molfetta, uccidendo un ragazzo ed un operaio, l'8 giugno su Venezia (incursioni che si ripeteranno nel corso del conflitto per 41 mesi, causando perdite di vite umane e uno scempio nel patrimonio artistico della indifesa città), il 12 giugno su Mola di Bari, Polignano e Monopoli, uccidendo una donna e ferendo un bambino, il 18 giugno su Rimini, Pesaro e Fano ferendo parecchie persone.

Intanto le operazioni continuavano su tutto il fronte. Nel Trentino, il nemico sferrava continui attacchi contro la sella del Tonale, cima Cady, Monte Pissola, Zugna Torta, e Brentonico, ma veniva sempre respinto con perdite; anche nel Cadore si accaniva in tentativi offensivi specie a Monte Piano; nella zona carnica era battuto a Pal Piccolo, a Pal Grande, al Freikofel, al passo di Volaja, al passo di Sesys, a Cima Vallone e a Pizzo Avostano; nella fronte orientale avevano luogo violente azioni di artiglieria da Plezzo al mare, e i nostri allargavano e consolidavano, dopo sanguinosi scontri, il possesso di Plava.

L'azione più importante di quei giorni fu la conquista del Monte Nero. Il 31 maggio, attaccando il Monte Nero, i battaglioni alpini Exilles, Susa e Val Pellice e la 7a batteria da montagna avevano conquistato la cresta Vrata-Vrsic-Potoce e nei giorni successivi l'avevano superbamente mantenuta contro gli attacchi del 3° e 4° reggimento Honwed e di reparti della 50a divisione austro-ugarica. La mattina del 16 giugno, sotto la direzione del generale ETNA, fu iniziata l'azione per la conquista della cima del M. Nero. Essa doveva essere attaccata prima di giorno e di sorpresa da due parti: dal Vrata e dal Kozliak. Due capisaldi controffensivi a copertura delle spalle dalle provenienze di Plezzo vennero costituiti alle testate dei valloni di Statenik e di Lepenie, e sul Polounik venne tenuta pronta la divisione speciale bersaglieri per assalire di fianco le truppe nemiche procedenti per lo Slatenik.

L'avanzata cominciò alle 2 del 16 giugno. Il maggiore TREBOLDI, che operava al di là della cresta, fece attaccare i trinceramenti nemici di Vrata-Potoce per agevolare l'avanzata degli alpini dal Vrata al Monte Nero. Nello stesso tempo, dal Kozliak, mosse il maggiore POZZI con due compagnie dell'Exilles. L'attacco del maggiore Treboldi, vigorosissimo, condusse all'occupazione di posizioni poste tra il Lemez e Monte Nero, che gli alpini difesero accanitamente. Sensibili furono le perdite nemiche, a cui altre più tardi se n'aggiunsero: difatti un battaglione ungherese che veniva a rinforzare i difensori delle trincee del Lemez attaccate dagli alpini del maggiore Treboldi, assalito di fianco dalla compagnia del capitano FABRE, fu in parte distrutto, parte fatto prigioniero e parte messo in fuga.
Non meno vigorosa fu l'azione delle due compagnie del maggiore POZZI, la 31a comandata dal capitano ROSSO e l'84a agli ordini del capitano ALBARELLO. Esse, arrampicatesi arditamente per le balze scoscese del monte, attaccarono con risolutezza alla baionetta le trincee nemiche, e dopo mischia furiosa, ne conquistarono due ordini. Nell'ultimo attacco cadde il sottotenente PICCO, che, sebbene ferito, aveva voluto continuare a combattere; cadde esclamando: "Viva l'Italia !".
Di questa operazione uno scrittore austriaco diede questo giudizio: "Quando si parla di questo splendido attacco, che nella nostra storia della guerra viene annoverato senza restrizione come un successo del nemico, ognuno aggiunge subito: giù il cappello davanti agli alpini: questo è stato un colpo da maestro". In quell'azione lievissime furono le nostre perdite, gravi invece quelle del nemico, il quale, oltre numerosi morti e feriti, lasciò nelle nostre mani più di 600 prigionieri e moltissime armi e munizioni.

"Nel pomeriggio dello stesso giorno 16 - cito il comunicato ufficiale - un altro battaglione ungherese, proveniente da Planina Polju, pronunziò un violento attacco contro la nostra posizione di Za Kraju: fu respinto, contrattaccato, annientato".
Mentre si combatteva al Monte Nero, furiosa divampava la lotta a Plava. Di questa abbiamo i ragguagli un comunicato ufficiale del 19 giugno:

"La lotta è durata due giorni ed una notte per la conquista delle alture della riva sinistra dell'Isonzo dominanti Plava, villaggio al fondo di una gola rinserrata da pendii ripidi e boscosi, fra i quali il fiume scorre rapidissimo e profondo. Vi esisteva un ponte che fu distrutto dal nemico: con grandi sforzi ed ardimento, stabiliti i passaggi nella notte, le nostre truppe all'alba del 16 iniziarono l'attacco: questo procedette tutto il giorno con lentezza a causa della resistenza del nemico e delle grandi difficoltà del terreno accresciute da rilevanti ostacoli artificiali, solidi trinceramenti protetti da profondi reticolati di grossi fili di ferro rafforzati da spranghe e da ferri a T; numerose artiglierie di grosso calibro, anche da 305, dissimulate in punti dominanti e difficili a controbattersi.

"Tuttavia, appoggiate dal fuoco delle batterie, le nostre truppe riuscirono, con ripetuti assalti all'arma bianca, ad affacciarsi verso sera al ciglio delle prime posizioni nemiche: nel corso della notte l'avversario tentava, più volte, e con impeto, di strappare il terreno conquistatogli; ma fu sempre ricacciato. Il successivo 17 i nostri completarono il successo impadronendosi delle alture ancora rimaste al nemico. Questo concentrava su di esse un violento fuoco di artiglieria e di mitragliatrici; indi lanciava ripetutamente al contrattacco nuove truppe fresche; venne decimato e definitivamente respinto alla baionetta. Vennero fatti oltre 150 prigionieri dei quali 4 ufficiali, e conquistati numerosi fucili, munizioni ed una mitragliatrice. Le perdite nostre sono gravi, ma i risultati sono importanti: la linea dell'Isonzo in quel tratto superata a viva forza; le posizioni nemiche dominanti per natura, fortissime per arte, ad una ad una espugnate; costantemente respinte le ostinate riprese offensive di un nemico numeroso ed agguerrito; sulle alture di Plava le nostre fanterie, validamente appoggiate dal fuoco dell'artiglieria, hanno dato una nuova prova di tenacia e di valore".

Il 20 giugno, sul fronte trentino, i nostri occupavano la Punta Tasca (Valle di San Pellegrino) e dall'alto Cordevole aprivano il fuoco contro i forti di Pieve di Livinallongo; il 21 si ripetevano i vani attacchi austriaci contro il Freikofel e s'infrangevano gli attacchi nemici contro le posizioni da noi conquistate a Plava e sul Monte Nero; il 22 altri attacchi, specialmente notturni, al Monte Piano, al Pal Grande, al Pal Piccolo, sulla Cresta Verde, vennero sanguinosamente respinti.

Così terminava il primo mese di guerra (giugno 1915), durante il quale le nostre truppe avevano conseguito notevoli risultati. Uscendo dal Tonale avevamo successivamente occupato la Forcella di Montozzo e la punta di Albiole; nelle Giudicarie avevamo preso Ponte Caffaro, Cima Spessa, Monte Pissola e il costone fra Condino e Bezzecca, portandoci sotto i forti di Lardaro; nella Val d'Adige ci eravamo impadroniti dell'Altissimo di Monte Baldo, di Monte Foppiano, di Ala, di Brentonico, di Serravalle, del Coni Zugna dello Zugna Torta e, verso destra, del Pasubio e del Baffelan; sugli altipiani avevamo ridotto al silenzio i forti di Spitz Verle, di Vezzena e di Luserna e conciato in malo modo gli altri; in Val Sugana eravamo giunti a pochi chilometri da Borgo; in Val Cismon avevamo occupato il Belvedere; nella valle di San Pellegrino avevamo conquistato la Punta Tasca; ci eravamo resi padroni di tutta la conca di Cortina d'Ampezzo fino a Podestagno e al Passo di Falzarego; tenevamo saldamente tutti i passi da quello di Monte Croce di Comelico a quello di Vall'Inferno e di Monte Croce Carnico, le cui vette circostanti erano in nostro potere, mentre dalla zona di Pontebba le nostre artiglierie sbrecciavano il forte Hensel che sbarrava la strada di Tarvis e dalle testate di Val Raccolana e di Val Dogna disturbavano i movimenti nemici a nord del Passo del Predil.

Nel fronte orientale avevamo passato il basso Isonzo, ci eravamo stabiliti a Gradisca e a Monfalcone e ci eravamo aggrappati alle ultime pendici del Carso; avevamo forzato il passaggio del medio Isonzo a Plava occupando le alture circostanti; avevamo occupato tutto il massiccio del Monte Nero, spingendoci a nord verso Plezzo e minacciando a sud Tolmino.
Questi risultati erano tanto più notevoli in quanto erano stati conseguiti da truppe scarsamente armate, inferiori al nemico per artiglierie e per posizioni, non ancora allenate ad un genere di guerra, che richiedeva tenacia, costanza, prudenza, pazienza, sangue freddo, qualità tutte di cui si credeva - a torto - che gl'Italiani fossero privi.

L'OPERA DELLA MARINA ITALIANA NEL PRIMO MESE DI GUERRA

Meno appariscenti, ma non meno attive di quelle dell'esercito erano le operazioni della Marina, costretta ad agire contro un nemico prudentissimo e favorito da ottime basi e dalla natura della sua magnifica costiera. Mantenere il blocco, proteggere la lunga e indifesa costa adriatica, cooperare all'azione dell'esercito, disturbare i movimenti dei naviglio nemica molestare le basi avversarie e tentare di attirare a battaglia le riluttanti forze navali austro-ungariche erano i compiti della nostra flotta, ed essa li assolse con intelligenza, attività, spirito di sacrificio, ardimento ed eroismo.

Il 27 maggio due nostre torpediniere sostennero uno scontro con una torpediniera e due sommergibili austriaci. "Uno di questi, ripetutamente colpito, emanò un denso fumo nero, sollevò una colonna d'acqua e con un forte boato scomparve, lasciando larghe chiazze d'olio alla superficie", come narrava un comunicato. Le nostre torpediniere tornarono incolumi alla loro base. Lo stesso giorno il dirigibile M. 2 bombardò efficacemente alcuni caccia nemici ancorati a Sebenico, e venne catturato presso la foce del Po di Volano un idrovolante austriaco.
Il 31 maggio, una squadriglia di nostre torpediniere bombardò il cantiere di Monfalcone, arrecandovi gravissimi danni. Nel suo ritorno sorprese e distrusse alcuni barconi carichi di farina. Il 1° giugno, una squadra leggera italiana della divisione Millo bombardò gl'impianti radiotelegrafici di Lissa e le stazioni di vedetta di Curzola e Meleda, distruggendo i fari e i semafori. Lo stesso giorno due idrovolanti nemici, che avevano volato presso le nostre coste, furono catturati.

Il 5 giugno, alcuni esploratori e cacciatorpediniere italiani e alleati, operarono contro la costa dalmatica, i canali interni e le isole di Meleda, Lagosta, Giupana e Curzola, distruggendo stazioni di segnalazione, basi di rifornimento, fari, cavi telegrafici e danneggiando la linea ferroviaria Cattaro-Ragusa.
Il 7 giugno, una squadriglia di cacciatorpediniere tornò a bombardare Monfalcone e incendiò il castello di Duino presso cui erano piazzate alcune batterie nemiche. Una aeronave nostra attaccò le opere militari di Pola e tornò incolume alla base, ma il giorno dopo il nostro dirigibile P. 4, comandato dal tenente di vascello conte CASTRUCCIO CASTRACANE di Fano, dopo avere bombardato a Fiume il cantiere Danubius, il silurificio e il cantiere Whitehead, di ritorno fu costretto per avarie a calare sul mare presso l'isola di Lussin e s'incendiò. L'equipaggio fu purtroppo fatto prigioniero.

Il 9 una squadra leggera cannoneggiò la costa a sud di Cattaro; il 16, batterie natanti appoggiarono l'azione delle truppe di terra in direzione del Carso e un dirigibile, sorpassando campi trincerati nemici, lanciò bombe sull'importante nodo ferroviario di Divacco, producendovi gravi danni. Quel medesimo giorno il sommergibile Medusa, che aveva compiuti ardimentosi servizi di esplorazione, veniva sorpreso, silurato e affondato presso Venezia. Il comandante VITTURI e quasi tutti l'equipaggio, eccettuati un ufficiale e quattro marinai, vi persero la vita.
Il 18 un nostro dirigibile bombardò una fabbrica militare presso Trieste ed altre aeronavi eseguirono incursioni in territorio nemico, bombardando efficacemente le posizioni di Monte Santo, i trinceramenti di fornte a Gradisca e la stazione di Oveja Draga sulla linea Gorizia-Dornberg, Quel giorno un cacciatorpediniere austriaco silurò ed affondò il piccolo piroscafo mercantile Maria Grazia. Un reparto navale nemico, presentatosi alla foce del Tagliamento, fu contrattaccato e respinto da una squadriglia di nostri. cacciatorpediniere.

Il 19 giugno, l'incrociatore inglese Dublin, mentre tornava dalle foci della Bojana, dove aveva scortato rifornimenti destinati al Montenegro, pur essendo scortato da parecchi cacciatorpediniere, venne silurato da un sommergibile austriaco; ma, essendo l'allagamento localizzato, riuscì a rientrare con i propri mezzi a Brindisi.

IL PAESE E IL GOVERNO NEL PRIMO MESE DI GUERRA

IL DISCORSO DEL CANCELLIERE BETHMANN HOLLVEG E LA RISPOSTA DELL'ON. SALANDRA
IL COMITATO GENERALE PER L'ASSISTENZA CIVILE
GARA DEI CITTADINI NELL'OPERA DI ASSISTENZA
I VOLONTARI - LE DONNE - I GIOVANI 'ESPLORATORI
IL SECONDO PRESTITO NAZIONALE

Mentre dallo StElvio al mare l'esercito ci si batteva con coraggio e bravura e nell'Adriatico marinai e navi si logoravano in una guerra silenziosa ma faticosa, il Paese seguiva con fiducia lo svolgersi delle operazioni e, abbandonata l'illusione che l'intervento italiano avrebbe risolto in pochi mesi il conflitto, si apprestava a sostenere con un'organizzazione civile adeguata l'azione guerresca.
Insieme con l'illusione della durata breve della guerra era caduta fin dai primi giorni quella che la guerra nostra sarebbe stata combattuta contro un solo nemico: l'Austria. Difatti la stampa germanica, dal 23 maggio, non aveva mai cessato dal vomitare ingiurie contro l'Italia e a queste, il 28 maggio, si aggiungevano quelle ufficiali, pronunciate al Reichstag dal cancelliere BETHMANN HOLLWEG, che accusava l'Italia di perfidia e di tradimento.
Alle accuse del cancelliere germanico e a quelle contenute nel manifesto di FRANCESCO GIUSEPPE rispose il ministro SALANDRA il 2 giugno, inaugurando in Campidoglio i lavori del Comitato Romano di Preparazione Civile, con un discorso lungo, documentato, composto, infiorato qua e là di fine sarcasmo, e qua e là reso più vigoroso da nobile e fiero sdegno. Dopo avere esposti sommariamente i negoziati corsi durante il periodo della neutralità, l'on. Salandra si domandava:
"Dov'è dunque il tradimento, dove l'iniquità, dove la sorpresa se, dopo nove mesi di sforzi vani per arrivare ad un'intesa onorevole, la quale riconoscesse in equa misura i nostri diritti e tutelasse i nostri interessi, noi riprendemmo la nostra libertà d'azione e provvedemmo come l'interesse della Patria consigliava? Sta invece in fatto che Austria e Germania credettero fino agli ultimi giorni di avere a che fare con una Italia, imbelle, rumorosa ma non cattiva, capace di tentare un ricatto, non mai da far valere con le armi il suo buon diritto; con un'Italia che si potesse paralizzare spendendo qualche milione e frapponendosi con inconfessabili raggiri fra il Paese e il Governo".

Dimostrata la costante ostilità dell'Austria verso l'Italia durante il trentennio della Triplice e specie nel tempo della guerra italo-turca, dimostrata l'insufficienza delle concessioni austro-ungariche e venendo a parlare della "dibattuta questione dell'esecuzione dell'accordo", l'on SALANDRA così si esprimeva fra i consensi dei presenti:

"Ci si oppone che dell'esecuzione non avremmo dovuto dubitare, perché ci sarebbe stata la guarentigia della Germania. Supponiamo questa guarentigia data con perfetta intenzione di eseguirla. Supponiamo che la Germania, alla fine della guerra, fosse stata in condizione di poter mantenere la parola data, ciò che non è sicuro. Quale sarebbe stata la nostra condizione dopo questo accordo? Vi sarebbe stata una nuova Triplice, una triplice rinnovata, ma in ben altre ed inferiori condizioni di quelle di prima, poiché noi avremmo avuti uno stato sovrano e due Stati vassalli. Il giorno in cui una delle clausole del Trattato non fosse stata eseguita, il giorno in cui, dopo breve tempo, dopo anni, l'autonomia, municipale di Trieste fosse stata infranta da un qualsiasi decreto imperiale o da un qualsiasi luogotenente, a chi avremmo potuto rivolgerci ? Avremmo dovuto ricorrere al comune superiore, alla Germania.
Ora, signori, io voglio dirvi che della Germania non intendo parlare senza ammirazione e senza rispetto. Io sono Primo Ministro d'Italia, non cancelliere tedesco; e non perdo il lume della ragione. Ma con tutto il rispetto dovuto alla dotta, alla potente, alla grande Germania, mirabile esempio di organizzazione e di resistenza, in nome del mio Paese debbo dire: vassallaggio no, protettorato no, verso nessuno. Il sogno dell'egemonia universale è stato infranto, Il mondo è insorto, la pace e la civiltà dell'umanità futura debbono fondarsi sul rispetto delle compiute autonomie nazionali fra le quali la grande Germania dovrà assidersi pari alle altre ma non padrona".

Al fiero, chiaro, realistico, discorso dell'on. Salandra applaudiva tutto il Paese, che rispondeva concorde ed entusiasta all'appello per la mobilitazione civile. A Milano si costituì un Comitato Generale per l'assistenza civile per provvedere ai bisogni nati dalla chiamata alle armi di tanti capi di famiglie proletarie, e dietro l'esempio di Milano altri comitati sorsero in ogni centro d'Italia, sorretti e guidati dalle autorità governative, specie dai prefetti, ai quali il presidente dei Ministri, con una circolare in data del 7 giugno, forniva le direttive seguenti: "Non si tratta di burocratizzare, assoggettandolo a criteri uniformi, il movimento spontaneo della carità nazionale; occorre invece che esso si svolga multiforme, secondo la varia natura dei bisogni locali. Ma tale criterio non esime i rappresentanti del Governo dall'esercitare tutta la loro influenza per stimolare, organizzare ed integrare le spontanee energie caritative. Anche la raccolta dei mezzi deve farsi non rivolgendosi ai Governo Centrale, che ha altri doveri e le adempirà, ma facendo intendere alle amministrazioni locali e ai cittadini delle classi agiate che in questo periodo di supremo sforzo nazionale è comune l'obbligo civile di consacrare ogni disponibilità, non più a spese che possono essere risparmiate e differite o a consumi di lusso, bensì ad alleviare le preoccupazioni, i disagi, i danni inevitabili delle case dei poveri. Nessun Comune del Regno dovrebbe rimanere senza il suo Comitato, ed in ognuno una pubblica sottoscrizione dovrebbe essere aperta".

Quella di Milano si aprì con una prima somma di 1 milione e 200 mila lire, che il 13 giugno giungeva a quella di 3 milioni e il 26 di 4 milioni e mezzo.

Privati e ditte inviavano somme cospicue da esser date in premio ai combattenti più valorosi. Si moltiplicavano i comitati e le istituzioni ognuno dei quali aveva scopi ben definiti: assistere i soldati alla partenza, durante il viaggio e al fronte; assistere i feriti, i mutilati, gli invalili, gli orfani, le famiglie dei richiamati; provvedere calze, maglie, scaldarancio, passamontagna, maschere per gas, doni; organizzare uffici d'informazioni intermediari tra i combattenti e le famiglie e comitati di vigilanza contro l'insidia delle spie; raccogliere libri per soldati. Ma era solo l'inizio di un lungo calvario.

Nella gara di offrire e di rendersi utili per i bisogni della guerra parve in questi primi mesi che fossero scomparsi i partiti politici e le classi sociali. Il presidente onorario del Comitato milanese per l'assistenza civile era il sindaco socialista CALDARA; la Confederazione Generale del Lavoro diramava alle organizzazioni operaie una circolare in cui si davano istruzioni sull'opera da svolgere per alleviare i danni della disoccupazione; la Federazione Nazionale Lavoratori della terra, d'accordo con la Società Umanitaria di Milano, istituiva un ufficio di collocamento nazionale per i contadini; la maggiore attività possibile esplicavano i marinai mercantili, i postelegrafonici e i ferrovieri, dei quali ultimi vennero, come premio, amnistiati quelli che erano stati puniti per lo sciopero dei 1914; coloro che avevano parteggiato per la neutralità ora si sbracciavano in favore della guerra, deputati socialisti si arruolavano volontari. Fu un momento magico della solidarietà dell'italiano

Quello dei volontari era davvero uno spettacolo meraviglioso; accorrevano sotto le bandiere cittadini di ogni età e di ogni condizione e spesso giovincelli imberbi falsificavano le proprie generalità per dimostrare di avere i requisiti voluti per gli arruolamenti. E non solo di Italiani residenti nel regno si ingrossavano le schiere dei volontari, ma di Italiani residenti all'Estero che rimpatriavano sia per rispondere alla chiamata alle armi, sia per offrire spontaneamente il loro braccio alla causa santa della redenzione.
Non minore entusiasmo degli uomini dimostravano le donne, le quali, se in parte non furono mosse da spirito di sacrificio e di patria, ma da vanità e qualche volta da libidine, senza distinzione di età né di ceto, accorrevano in generale volentieri a prestar l'opera loro pietosa e patriottica alle stazioni, sui treni, negli opifici, nei comitati di soccorso, negli ospedali delle retrovie e dell'interno e a sfidare la morte negli ospedaletti da campo esposti ai bombardamenti nemici (delle donne parleremo ancora).

Nè, in questa rapida e sommaria rassegna delle forze operanti del paese debbono essere dimenticati i giovanissimi. Infatti, i Giovani esploratori - tra i quali fece il suo tirocinio il principe Umberto - furono mobilitati e a loro si affidò l'incarico di distribuire ai cittadini ordini ed avvisi delle autorità, di portare dispacci di Stato e fare segnalazioni, di raccogliere informazioni, di organizzare e mettere in esecuzione i provvedimenti emanati dalle autorità per i soccorsi pubblici, di aiutare personalmente le famiglie i cui uomini erano stati chiamati alle armi, sostituendo nel lavoro i combattenti, assistere gli ammalati e i feriti, stabilire i posti di pronto soccorso, dei ricoveri e dei dispensari nei locali delle loro sedi di sezione, di far da guida nelle loro circoscrizioni, di occuparsi dei servizi riguardanti alloggi delle truppe e di raccogliere e portare a destinazione i messaggi lasciati cadere da aeroplani e dirigibili in perlustrazione.
Nell'agosto, i più forti dei Giovani esploratori di circa quindici anni furono adibiti a servizi di vigilanza costiera.
Anche dal lato finanziario il Paese rispose all'appello del Governo. Durante la neutralità era stato emesso un prestito nazionale per 1 miliardo, che sottoscritto tra il 4 e l'11 gennaio del 1915 aveva fruttato 1 miliardo e 280 milioni, 500 dei quali sottoscritti da 240 enti bancari. Il 17 giugno fu emesso un secondo Prestito Nazionale, a 95, col tasso netto del 4.50, rimborsabile entro venticinque anni. La chiusura della sottoscrizione fu fissata al 15 luglio, ma con decreto luogotenenziale fu protratta, di tre giorni. Il prestito raggiunse la cifra di 1 miliardo 145 milioni 862.700 lire. Vi parteciparono 245.474 sottoscrittori in Italia e non pochi connazionali residenti all'estero; e se il risultato non fu proprio magnifico, esso non deluse l'aspettative del Governo anche per la larga partecipazione dei piccoli risparmiatori.

Ma il prestito non risolse i gravi problemi finanziari. Né li risolse, quando inizia a incassare il primo prestito di 50 milioni di sterline concesse dall'Inghilterra. E' il primo, il secondo a dicembre; poi seguiranno gli altri fino al termine del conflitto; procurandosi l'Italia -pur vincitrice- quello spaventoso debito con l'Inghilterra; che offriva buona parte denari americani, ma era l'Inghilterra a garantire gli Usa per la riscossione. Restituzioni dilazionate fino al 1988. Nella critica situazioni in cui si venne poi a trovare l'Italia del dopoguerra; e a fascismo già iniziato, l'Inghilterra propose agli Usa la cancellazione o una riduzione del debito a vinti (Germania) e vincitori (Italia). Ma gli Usa - entrati poi pure loro in crisi nel 1929, furono sordi. Famosa la frase del Presidente Usa: "I soldi li hanno ricevuti? Allora paghino!".

Le enormi spese militari, soprattutto iniziali, causeranno già in settembre preoccupazioni in seno al governo. SALANDRA farà pressioni su Cadorna perché riduca le richieste di stanziamenti e di materiale bellico. Cadorna farà qualcosa, ma non avrà il potere di fare miracoli.

RIORGANIZZAZIONE DELLA VITA CIVILE NEI PAESI LIBERATI
IL TERRORISMO AUSTRIACO
LE CITTA' ITALIANE SOGGETTE AL NEMICO

"Parallelamente allo svolgersi delle operazioni militari, - così scriveva un comunicato ufficiale del 18 giugno - Il Comando Supremo attende a rianimare la vita civile sui territori occupati ed a sollevare le popolazioni stremate in conseguenza della lunga guerra europea. Tale compito è esercitato dal Comando mediante il Segretariato Generale per gli affari civili istituito fin dall'inizio della guerra sotto la direzione del Commendatore D'ADAMO, ispettore generale del Ministero dall'Interno. Compito del predetto ufficio, oltre la collaborazione con Stato Maggiore nelle funzioni di carattere politico ad esso spettanti nell'ambito della zona di guerra, è principalmente l'organizzazione dei servizi nei territori occupati.
E' cura del Comando di destinare nei singoli distretti politici, appena le esigenze militari lo consentano, un funzionario fra quelli che il Governo centrale ha posto a sua disposizione, scegliendoli fra il personale delle Prefetture. Detti funzionari alla dipendenza delle autorità militari operanti nei vari settori e del Segretariato Generale svolgono già un'opera bene apprezzata dalle popolazioni. Sono in funzione commissari civili a Cormons, a Cervignano, a Caporetto, ad Ala, a Condino, ed altre nomine sono in corso per il governo di altri sette comuni già occupati. Sono state organizzate dappertutto, mediante alacre opera dell'Intendenza Generale, che si è valsa dei larghissimi rifornimenti predisposti per le truppe, distribuzioni di viveri di prima necessità sotto la sorveglianza dei commissari civili. E poiché anche gli abbienti non era loro possibile fare acquisti, per l'assoluta mancanza di generi, l'Intendenza ha in vari comuni provveduto alla vendita di essi a prezzi di gran lunga inferiori e quelli in corso prima della nostra occupazione".

"Basta ricordare, ad esempio, le farine, le quali avevano raggiunto il prezzo di 400 corone per quintale. Rifioriscono ora i mercati normali dopo che hanno cominciato nuovamente a circolare nelle province di frontiera i treni di derrate; funzionano i primi uffici postali e telegrafici; si stanno impiantando gli spacci di privative e già sono stati riforniti quelli esistenti. Dovunque le amministrazioni comunali, con gli amministratori già in carica e con persone del luogo all'uopo delegate, sono in funzioni. Si provvede con medici locali e con ufficiali delle sanità militare all'assistenza sanitaria, a larghe provviste di disinfettanti e di medicinali; sono distribuite le provvidenze di carattere igienico che hanno larga applicazione per la necessaria tutela della popolazione civile e delle truppe; la moneta italiana è dappertutto accettata o ricercata, stante la progressiva ed impressionante svalutazione di quella austriaca.

"Un senso di fiducia si diffonde. Con plauso e pubbliche manifestazioni è stato accolto il provvedimento generoso di continuare a concedere a favore delle famiglie dei richiamati il sussidio che loro veniva concesso sotto il regime austriaco. Prove non dubbie di attaccamento e di gratitudine sono ogni giorno segnalate. A Cervignano in dieci giorni si sono raccolte 2600 corone a favore della popolazione. Il Presidente del Consiglio se ne compiaceva con un nobile telegramma subito divulgato nell'intero distretto. Anche a Monfalcone, che è ancora così prossima all'azione del fuoco nemico, vi sono state offerte per la Croce Rossa Italiana e per i nostri feriti in guerra. Si va svolgendo così intensamente il programma del Governo che alla gloriosa avanzata delle nostre truppe intende far seguire immediatamente un ordinamento amministrativo che, per quanto provvisorio durante l'occupazione, deve manifestarsi solido e benefico, inteso al rispetto dei diritti individuali ed al benessere delle popolazioni redente".

Tanto più era necessaria nei paesi liberati l'opera dell'amministrazione italiana in quanto il nemico, ritirandosi, desolava il territorio che era costretto ad abbandonare, portando via tutto ciò che poteva avere valore, lasciandovi però spie ed emissari, che fornivano informazioni al nemico, tendevano agguati ai nostri, specie gli ufficiali, organizzavano nei boschi bande che colpivano alle spalle le nostre truppe o assalivano le salmerie e infine spargevano abilmente nelle popolazioni la diffidenza e il terrore.
Certo queste popolazioni pur essendo di lingua "italiana", non vedevano di buon occhio gli Italiani, sia perché avevano i loro più validi uomini sotto le bandiere austriache o internati nell'Impero, sia perché erano convinti che non saremmo riusciti a vincere e temevano poi le rappresaglie degli Austriaci a guerra finita.
Questo non significa che erano animate, come da qualcuno fu detto, da sentimenti antitaliani. Poté essere scambiata per sorda ostilità la loro diffidenza, che, ricambiata ad usura, da noi, diede origine a molte leggende, a non poche esagerazioni e solo col tempo e con l'opera avveduta delle nostre autorità scomparve, dando luogo a manifestazioni commoventi d'italianità e di fratellanza.
Non meglio delle popolazioni dei territori che gli Austriaci dovevano poi abbandonare, furono trattate quelle del Trentino, dell'Istria e della Dalmazia di nazionalità italiana.
Nelle città vennero sciolte le amministrazioni comunali le quali furono sostituite con commissari governativi, che cercarono in tutti i modi di cancellare il carattere italiano di esse, sostituirono con nomi tedeschi quelli italiani delle vie, cercarono di dare all'insegnamento elementare un indirizzo austriaco, e obbligarono a scrivere in tedesco la corrispondenza indirizzata alle autorità governative.
Nelle principali città adriatiche che vivevano del commercio, ora completamente rovinato dalla guerra, le autorità austriache cercarono di volgere il malcontento del popolino contro il Governo italiano, rappresentandolo come il responsabile del prolungarsi della guerra ed ottenendo, con la loro istigazione, furiose rivolte.
Il 23 maggio, a Trieste i cosiddetti "leccapiattini", opportunamente istigati contro gli averi e le persone del partito nazionale italiano, saccheggiarono, devastarono, incendiarono molti negozi italiani, deturparono il monumento a Giuseppe Verdi e diedero fuoco all'edificio del giornale il "Piccolo. Altre dimostrazioni ostili agli Italiani furono provocate a Fiume, a Capodistria e in altre città, dove della plebaglia strumentalizzata e pagata cantava canzonacce oltraggiose verso l'Italia, contro Salandra, contro Cadorna.

Nè questo era tutto. Il Governo austroungarico, col pretesto dello stato di guerra, arrestò e deportò tutti i regnicoli che non erano riusciti a rimpatriare e moltissimi nativi di Trieste, di Fiume, di Zara, di Trento e delle altre città italiane della Monarchia. I deportati, d'ogni età, sesso e condizione, esposti agli insulti del popolaccio, furono internati in fortezze e in campi di concentramento al centro o agli opposti confini dell'impero e qui soffrirono la prigionia, i disagi, l'affronto di promiscuità vergognose, non di raro la fame, e molti morirono di stenti e qualcuno si diede volontaria morte.
Nelle città italiane furono proclamate lo stato d'assedio e la legge statuaria; furono sciolti circoli e società, si proibì di spedire lettere chiuse, s'impose il coprifuoco; qualche città, come Pola ed altre dell'Istria, fu fatta sgombrare dalla popolazione civile; altre città, comprese nella zona d'operazione e divenute per la loro posizione luoghi di passaggio e di concentramento di truppe e di servizi, ebbero sorte peggiore, perché furono esposte alle ingiurie della soldataglie: così Trento, dove a stento furono sottratte, nascondendoli, alla furia dei soldati i busti del Prati, del Verdi e del Carducci, e non si sa come, non venne fatto oltraggio al monumento di Dante; così Gorizia, la bella e ridente Gorizia, di cui furono allontanati i patrioti e dove per più d'un anno spadroneggiò la bestiale burbanza delle soldatesche imperiali, quasi sicuri che (con le loro formidabili difese) gli Italiani non avrebbero mai colpito con le loro artiglierie la regina dell'Isonzo.

Ma peggio di tutte stavano le città vicinissime al fronte, cadute o in procinto di cadere nelle nostre mani; su queste il nemico sfogò la sua rabbia inviando sopra di esse il piombo distruttore dei suoi cannoni: così conobbero tutto il barbaro livore degli Austriaci, Rovereto, Gradisca, Monfalcone e, per non citare, molti altri paesi, Cormons, che, sebbene lontana, per mesi ricevette il quotidiano quantitativo di granate di grosso calibro.
In questo primo mese di guerra, gl'Italiani rimasti nelle vicine città, specie a Trieste, o che erano sfuggiti agli arresti ed alle deportazioni, vissero inenarrabili ore di ansie, di trepidazione, di speranze. Videro fuggire autorità, palpitarono di gioia ogni volta che più distinto si faceva il rombo dell'artiglieria italiana, guardarono con appassionato desiderio le ali tricolori che spesso attraversavano il cielo della loro patria oppressa per seminare la distruzione sulle opere miliari,; sperarono nell'imminente liberazione tutte le volte che la sagoma di una nave o una colonna nerastra di fumo si staccava dal verde dell'Adriatico.
Ma a poco a poco, dal cuore di questi fratelli, la speranza di esser presto liberati scomparve. La speranza di uno sbarco italiano tramontò e tramontò pure quella di una rapidissima avanzata delle nostre truppe approfittando dello scarso numero di quelle nemiche.
Le posizioni austriache resistevano, dagli altri fronti giungevano quotidianamente reggimenti e cannoni e la possibilità che gl'Italiani avessero facilmente ragione della resistenza austro-ungarica svaniva. E più che l'angoscia, subentrava un senso di rabbiosa amarezza.

Anche sul fronte italiano la guerra, come altrove, si era trasformata in lotta di posizione, con la sfibrante attesa nelle trincee, con i logoranti assalti a quote martoriate dai proiettili, con costruzione continua di camminamenti, di piazzole, di ricoveri, e acquistava il grigiore e la monotonia di una vita, che però qualche volta si illuminava d' una luce radiosa e mostrava, tra il fragore delle artiglierie e gli urli dell'assalto, esempi impensati di eroismo, che si moltiplicheranno nei mesi e negli anni successivi, facendo scrivere le innumerevoli pagine gloriose della nuova storia d'Italia.

Abbiamo qui terminato giugno, primo mese di guerra; abbiamo ora davanti il secondo mese�

o meglio la "guerra dell'estate 1915" > > >

 

Fonti, citazioni, e testi
Prof. PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - (i 5 vol.) Nerbini 1930
TREVES - La guerra d'Italia nel 1915-1918 - Treves. Milano 1932
A. TOSTI - La guerra Italo-Austriaca, sommario storico, Alpes 1925
COMANDINI - L'Italia nei cento anni - Milano
STORIA D'ITALIA Cronologica 1815-1990 -De Agostini

CRONOLOGIA UNIVERSALE - Utet 
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi

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